4 
INTRODUZIONE 
 
 
 
 
 
 
 
Il percorso analitico che questa tesi intende offrire avrà come oggetto un 
contesto estetico-produttivo ben definito, vale a dire il linguaggio audiovisivo 
proprio del postmodernismo statunitense. 
Nelle pagine seguenti verrà analizzata la definizione della condizione 
spettatoriale nel cinema postmoderno e del nuovo tipo di alterità con cui 
l‟individuo contemporaneo è tenuto a rapportarsi. Per pervenire a una 
definizione dei due punti si cercherà di far dialogare una strumentazione 
metodologica prodotta prettamente all‟interno degli studi cinematografici 
(prediligendo in particolare il lavoro di Laurent Jullier a proposito del cinema 
postmoderno e la teoria dell‟estetica masochista formulata da Gaylyn Studlar) 
con alcuni contributi filosofici formulati da Galimberti e Severino in relazione 
alla questione della tecnica. L‟obiettivo di tale accostamento sarà la 
formulazione di un itinerario in cui l‟indagine sul medium e sui percorsi di 
fruizione tenga conto della condizione dell‟individuo odierno e dell‟alto grado 
di tecnicizzazione occorso nel mondo contemporaneo; si ravviserà, inoltre, una 
produttiva concordanza tra il pensiero di alcuni teorici studiati (Galimberti, 
Jameson, De Vincenti) a proposito dell‟indagine sulla condizione 
postmoderna, in cui l‟individuo è segnato da un‟essenziale frammentazione 
derivante dalla perdita di un punto di vista unitario sul mondo. 
Il lavoro si snoderà attraverso tre capitoli: nel primo verrà condotta 
un‟indagine teorica atta a definire la spettatorialità contemporanea, mentre nel
5 
secondo e nel terzo si metterà l‟impianto teorico indagato al servizio 
dell‟analisi testuale. 
Nel primo capitolo, partendo dallo studio della spettatorialità 
postmoderna, si cercherà di formulare le caratteristiche precipue di una nuova 
singolare alterità, ovvero la „madre orale tecnologica‟. Con tale definizione 
verrà indicato il complesso di istanze produttrici di senso con cui lo spettatore 
è tenuto a rapportarsi. Muovendo dalle riflessioni di Jullier indagheremo la 
crescente similitudine tra le emozioni provate nella realtà e quelle provate al 
cinema, in virtù di una scrittura cinematografica capace di suscitare una 
intensa risposta emotiva nel fruitore, coinvolgendolo intimamente anche nella 
dimensione fisica. Analizzeremo dunque il desiderio, da parte dello spettatore, 
di sprofondare all‟interno del testo filmico postmoderno, con l‟intento di 
raggiungere una momentanea simbiosi con la macchina da presa, entità dai 
poteri sconfinati in grado di tracciare percorsi visivi ben al di là delle 
possibilità umane. La ricerca di tale stato simbiotico ci permetterà di far 
dialogare le riflessioni inerenti al cinema postmoderno con lo studio che 
Studlar ha compiuto a proposito della spettatorialità masochista, nel quale la 
studiosa afferma che il desiderio ultimo è riconquistare la simbiosi con la 
madre orale dello stadio pre-fallico. Focalizzandoci quindi sull‟identificazione 
primaria, cercheremo di delineare le caratteristiche di una grande istanza 
discorsiva con cui lo spettatore si identifica: tale istanza, in virtù del proprio 
potere scopico, viene vista come una sorta di divinità tecnologicamente 
costituita, in quanto, come evinceremo analizzando il lavoro di Severino e 
Rutsky, la tecnologia nella nostra epoca ha assunto in tutto e per tutto i 
connotati dell‟alterità. Sfortunatamente tale istanza si rivela inadatta ad 
operare il recupero di un punto di vista unitario sul mondo, rivelandosi quindi 
caratterizzata dalla stessa frammentazione che caratterizza l‟individuo odierno, 
immerso in un mondo tecnocratico in cui l‟imperativo categorico è “si deve 
fare tutto ciò che si può fare”.
6 
Nel secondo e nel terzo capitolo questo modello teorico verrà applicato 
all‟interno di due analisi testuali molto diverse tra loro: nella prima verranno 
presi in esame Guerre Stellari (Star Wars, George Lucas, 1977), Matrix (The 
Matrix, A. Wachowsky e L. Wachowsky; 1999) e Avatar (James Cameron, 
2010), nella seconda sarà analizzato un unico „piccolo‟ testo, il videoclip Bad 
Romance (Francis Lawrence, 2009). I testi analizzati costituiscono alcuni dei 
prodotti artistici di maggior successo realizzati negli Stati Uniti nell‟ultimo 
ventennio, ad eccezione di Guerre Stellari che, in accordo al punto di vista di 
Jullier, può essere considerato una sorta di „padre‟ del postmodernismo 
cinematografico. La prima analisi testuale si proporrà di rintracciare le 
caratteristiche dell‟alterità tecnologica all‟interno della messinscena proposta 
dai tre film, evidenziandone le correlazioni e le assonanze; la seconda analisi 
proporrà invece un percorso nel quale, oltre agli elementi mostrati, sarà 
indagata anche la condizione dello spettatore e le modalità attraverso le quali 
l‟alterità del video si rapporta ad esso. 
La scelta di riflettere a proposito del concetto di alterità nei testi 
audiovisivi postmoderni è motivata dalla constatazione di un lacerante 
spaesamento occorso nell‟uomo della nostra epoca, diviso tra una dinamica 
corsa verso il futuro e l‟amara consapevolezza di aver smarrito un „centro‟ cui 
fare riferimento; tale spaesamento, secondo Galimberti, è da far risalire 
direttamente al particolare modo di esperire se stesso e il proprio ambiente, che 
l‟uomo ha sempre posseduto: 
 
La tecnica, che è alla base della costruzione del mondo, di quel “mondo costruito” che 
è poi l‟unico che l‟uomo può abitare, è dunque l‟origine della “coscienza”, termine 
con cui si designa l‟ec-centricità dell‟uomo che muove da un centro non per ritornarvi
7 
come l‟animale, ma per allontanarsi [...]. L‟uomo [è] un essere in situazione ma [...] 
sempre desituato
1
. 
 
La nozione galimbertiana di desituazione può essere fatta dialogare 
agevolmente con il termine „decentramento‟ utilizzato da Jameson
2
: il teorico 
statunitense condivide con Galimberti la convinzione che nella nostra realtà 
postmoderna parole come angoscia e alienazione non siano più adeguate. Per 
Galimberti lo scarto decisivo si ha nel passaggio dal soggetto alienato al 
soggetto che si identifica con l‟apparato tecnologico; per Jameson invece tale 
passaggio di definisce come lo slittamento dal soggetto alienato al soggetto 
frammentato. 
La desituazione non è un concetto da intendersi esclusivamente secondo 
il rapporto tra l‟uomo e le cose: la desituazione indica soprattutto la presa di 
distanza da sé, attraverso la quale l‟uomo può ambire a comprendere la propria 
posizione nel mondo. 
 
      “Coscienza” è il nome che la nostra tradizione ha assegnato a questa distanza da 
sé, a questa non coincidenza con sé, per cui è possibile dire che la coscienza è 
lacerazione
3
. 
 
L‟uomo comprende se stesso attraverso altro e tale predisposizione ci 
permette di collegarci anche a lo stadio dello specchio teorizzato da Lacan
4
: 
durante questo periodo (che va dai sei ai diciotto mesi) il soggetto “vedendo la 
propria immagine riflessa in uno specchio, anticipa, sul piano visivo, l‟unità 
                                                 
1
 Umberto Galimberti, Psiche e techne. L‟uomo nell‟età della tecnica, Feltrinelli, Milano 2007 (I 
ed. 1999), p. 197. 
2
 Fredric Jameson, Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano 
1989, p. 32. 
3
 Umberto Galimberti, Psiche e techne, cit., p. 198. 
4
 Cfr. Jacques Lacan, Le stade du miroir comme formateur de la fonction du Je telle qu'elle nous est 
révélée dans l'expérience psychanalytique (1949), tr. it. Lo stadio dello specchio come formatore 
della funzione dell‟io, a cura di G. Contri, in Scritti, Einaudi, Torino 1974, pp. 87-94.
8 
del suo corpo”
5
; di conseguenza l‟Io “non esiste se non in quanto altro, in 
quanto immagine esterna”
6
. 
La coscienza passa attraverso una irrimediabile lacerazione e questa 
mancata coincidenza con se stessi, che per Galimberti è prerogativa dell‟essere 
umani, nella nostra epoca è avvertita in proporzioni amplificate a causa della 
crescente moltiplicazione dei punti di vista e dell‟importanza decisiva 
posseduta dai processi di rappresentazione, dalle immagini. L‟uomo della 
nostra epoca vive la perdita del centro come conseguenza estrema di quella 
„distanza da sé‟ che pure lo ha sempre contraddistinto. 
                                                 
5
 Lucilla Albano, Lo schermo dei sogni. Chiavi psicoanalitiche del cinema, Marsilio, Venezia 2004, 
p. 26. 
6
 Ibid.
9 
1. LA SPETTATORIALITÀ POSTMODERNA E L‟ALTERITÀ 
TECNOLOGICA  
 
 
 
 
 
 
 
 
Il rapporto tra realtà e finzione: la ricerca delle „sensazioni forti‟ 
 
In questo capitolo cercheremo di definire lo spettatore postmoderno e il 
suo rapporto con le istanze produttrici di senso del postmodernismo 
cinematografico, analizzando l‟intrinseca frammentazione e l‟assenza di centro 
che caratterizzano entrambe le parti. 
Innanzitutto ci occuperemo della crescente similitudine tra la fruizione 
della finzione e la fruizione della realtà. 
Le metropoli contemporanee costituiscono un coacervo di input 
oltremodo ricco e sfaccettato per essere recepito con successo e nella sua 
interezza. La sovrastimolazione a cui l‟ambiente urbano sottopone i suoi 
abitanti genera in questi un atteggiamento difensivo per il quale la soggettività 
è sempre meno permeabile agli agenti esterni. La coscienza protegge 
l‟individuo dallo shock, riversando quest‟ultimo nell‟inconscio. Per 
sopravvivere all‟urbanizzazione l‟organismo esige un conscio molto forte, 
chiamato a divenire sempre più superficie, scudo. Come ha osservato 
perfettamente Benjamin, la fruizione dello spazio urbano e dell‟architettura è 
sempre avvenuta nella distrazione:
10 
Colui che si raccoglie davanti all‟opera d‟arte vi sprofonda; penetra nell‟opera [...]. 
Inversamente, la massa distratta fa sprofondare nel proprio grembo l‟opera d‟arte. Ciò 
avviene nel modo più evidente per gli edifici. L‟architettura ha sempre fornito il 
prototipo di un‟opera d‟arte la cui ricezione avviene nella distrazione e da parte della 
collettività. Le leggi della sua ricezione sono le più istruttive.
1
 
 
Ciò che più alimenta il nostro stato di distrazione è che in questo processo 
l‟abitudine ha preso nettamente il sopravvento. Benjamin distingue due diversi 
modi di fruire l‟architettura: “il modo tattile e il modo ottico”
2
. Il modo tattile 
è certamente la modalità di fruizione più diffusa, poiché “non avviene tanto sul 
piano dell‟attenzione quanto su quello dell‟abitudine”
3
 e finisce per 
influenzare anche il modo ottico, laddove l‟osservazione degli edifici è 
condotta sempre più tramite rapide occhiate che non attraverso uno stato 
contemplativo. Stato che, idealmente, sarebbe confacente alla fruizione 
dell‟arte. Ma il fatto è proprio questo: anche la fruizione dell‟arte sta 
cambiando. La tecnologia e l‟estetica hanno intrapreso due strade destinate a 
convergere in modo sempre più marcato
4
. L‟ambiente metropolitano si sta 
trasformando in una grande opera d‟arte che, al contrario dell‟arte „classica‟, 
non esige dall‟osservatore/fruitore una ricezione contemplativa e rigorosa, in 
quanto questi è libero di attraversare tale „grande opera‟ nella distrazione più 
completa.  
La tesi proposta, in accordo alle teorie di Jullier, è dunque la seguente: la 
percezione del cinema postmoderno e la percezione della realtà contemporanea 
sono divenute sempre più simili e non pare azzardato affermare che il medium 
cinematografico è divenuto, nel nostro tempo, uno strumento che può essere 
                                                 
1
 Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (1936), tr. it. 
L‟opera d‟arte nell‟epoca della sua riproducibilità tecnica, a cura di E. Filippini, Einaudi, Torino 
2000 (I ed. 1966), pp. 44-45. 
2
 Ibid. 
3
 Ibid. 
4
 Cfr. R. L. Rutsky, High Technè. Art adn technology from the Machine Aesthetic to the Posthuman, 
Universty of Minnesota Press, Minneapolis 1999. p. 5.
11 
utilizzato in sostituzione della mancata percezione della metropoli. In 
particolare mi riferisco al cinema americano commerciale e spettacolare 
destinato a un‟ampia distribuzione. Il tipo di ricezione richiesta da film come 
Avatar, The Bourne Ultimatum (Paul Greengrass, 2007) o Resident Evil (Paul 
Anderson, 2002) è la stessa che l‟esperienza estetica della metropoli 
richiederebbe: le caratteristiche salienti del linguaggio utilizzato in questi film 
(e nella stragrande maggioranza dei videoclip commerciali) sono il massiccio 
utilizzo di un montaggio molto veloce, di angoli di ripresa „impossibili‟, di 
spettacolari evoluzioni della m.d.p. e di una esibita contaminazione con altri 
generi come la pubblicità o, per l‟appunto, i video musicali. Questi testi filmici 
sottopongono il loro spettatore a un flusso di dati difficilmente governabile e 
assimilabile nella sua pienezza. 
La fruizione dei film spettacolari si pone come un‟esperienza ludico-
estetica dai connotati conformi all‟esperimento dell‟ambiente in cui viviamo: il 
cinema, allora, non ci presenta ciò che potremmo essere (l‟eroe/eroina su 
schermo), poiché, come affermato da Jullier, i testi postmoderni giocano meno 
sull‟identificazione secondaria; ci presenta invece il modo in cui potremmo 
percepire/sentire/vedere: “How does it feel to feel?”, “come ci si sente a 
sentire?”
5
. Il linguaggio che caratterizza questi film, connotato da velocità, 
aggressività ed eccesso, a mio parere risulta tanto efficace in quanto dona allo 
spettatore l‟illusione di poter padroneggiare la nostra epoca e il nostro spazio: 
c‟è immersione nell‟azione e l‟esplorazione dello spazio scenico è 
completamente a carico del fruitore
6
. 
Il tipo di fruizione suggerita dai film postmoderni è perfettamente 
attuabile anche nell‟inevitabile stato di distrazione che caratterizza il soggetto 
contemporaneo, che come abbiamo visto è chiamato a divenire superfice per 
proteggersi dall‟iperstimolazione esterna. Tale distrazione stabilisce un velo 
                                                 
5
 Laurent Jullier, L‟ecran post-moderne. Un cinema de l‟allusion e du feu d‟artificie (1997), tr. it. Il 
cinema postmoderno, Kaplan, Torino 2006, p.120. 
6
 Ibid., p. 98.
12 
tra noi e le cose che, nonostante la sua apparente leggerezza, non riusciamo a 
sollevare. Così come l‟individuo è distratto nell‟osservazione dell‟ambiente in 
cui vive, è distratto anche nel momento in cui visiona un film. Secondo 
Benjamin il cinema sarebbe in grado di raccogliere la sfida della distrazione 
meglio di qualsiasi altra arte: 
 
      La ricezione nella distrazione, che si fa sentire in modo sempre più insistente in 
tutti i settori dell‟arte e che costituisce il sintomo di profonde modificazioni 
nell‟appercezione, trova nel cinema lo strumento più autentico su cui esercitarsi. 
Grazie al suo effetto di shock il cinema favorisce questa forma di ricezione. Il cinema 
svaluta il valore cultuale non soltanto inducendo il pubblico a un atteggiamento 
valutativo, ma anche per il fatto che al cinema l‟atteggiamento valutativo non implica 
attenzione. Il pubblico è un esaminatore, ma un esaminatore distratto
7
. 
 
Il filosofo tedesco considera il pubblico cinematografico in grado di 
emettere un giudizio, una valutazione, a dispetto della distrazione in cui è 
immerso. Permane quindi la covinzione che l‟effetto shockante del medium 
non comprometta la formulazione di un pensiero critico. 
Nel contesto postmoderno nel quale viviamo questa convinzione è venuta 
certamente meno: il fatto che i testi filmici contemporanei siano il risultato di 
pratiche produttive dispendiose e sofisticate ha portato i più pessimisti ad 
interrogarsi sulla reale possibilità di „pensare ancora‟ mentre si visiona un 
film, inducendo costoro a ritenere il prodotto postmoderno soltanto ludico
8
. Lo 
spettatore postmoderno, principalmente interessato a provare sensazioni forti, 
deve soltanto apprezzare una grande mole di lavoro, e questo potrebbe 
equivalere a dispensarsi dalla formulazione di un giudizio estetico
9
. Alla 
sospensione del giudizio contribuiscono l‟incapacità/inadeguatezza 
dell‟immagine postmoderna di fornire un punto di vista sul mondo e la 
                                                 
7
 Walter Benjamin, L‟opera d‟arte nell‟epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., p. 46. 
8
 Laurent Jullier, Il cinema postmoderno, cit., p. 20. 
9
 Ibid., p. 148.