II
caratterizza per una forte valenza politico-ideologica che interessò
l'intero arco delle interpretazioni storiche e che raggiungerà il suo
culmine in occasione del Decennale. La ricerca storica del periodo,
così, e massimamente quella avente per oggetto il fenomeno
resistenziale, risultò pesantemente condizionata da esigenze di
carattere squisitamente politico.
Il legame tra storia e politica, quindi, è un dato che ha attraversato
costantemente l'intera nostra esposizione. Già anni fa Pietro Scoppola
ebbe a "difendere" il carattere fecondo dell'incontro tra ricerca storica e
analisi delle condizioni politiche.
"Il rapporto storia-politica -osservava nel suo intervento in occasione
del Convegno di Studio del 1982 sull' età del centrismo- non è che un
aspetto di quel rapporto presente-passato che è la sostanza stessa
della conoscenza storica; non si progredisce, per quanto è possibile,
sulla via della obiettività storica ignorando che questo legame esiste,
ossia demonizzando la politica e il suo rapporto con la storiografia, ma
assumendo questo rapporto a oggetto di riflessione, portandolo cioè
III
alla luce e guardandoci dentro, in tutte le sue pieghe"
3
.
Scoppola si riferisce qui all'"anomalia" dell'epoca centrista la cui storia
fu scritta dai "vinti assai più e prima dei vincitori", ma il suo
ragionamento sulla rilevanza storica degli eventi politici può essere
sostenuto anche a proposito dell'episodio resistenziale, in cui una
componente importante, quella cattolica, che pure a quell'episodio
aveva partecipato, lascia ad altri, in un primo momento, il compito della
sua chiarificazione ed interpretazione. Per chiarire le ragioni di questo
fenomeno, come anche quello della "riscoperta" cattolica della
Resistenza, nonchè delle fortune delle ipotesi storiche di diversa
provenienza, è necessario quindi prestare attenzione all'evoluzione
dello scenario politico; dalla collaborazione tripartitica dei primi anni
repubblicani alla rottura del '47, dalla conseguente sostituzione del
paradigma antifascista con quello anticomunista alla fase
maggiormente interlocutoria seguita al fallimento dell'esperimento della
3
P. Scoppola, Per una storia del centrismo, in De Gasperi e l'età del centrismo (1947-
1953), atti del Convegno di Studio organizzato dal Dipartimento Cultura Scuola e
Formazione della Direzione Centrale della DC, Lucca, 4-6 marzo 1982, a cura di G.
Rossini, Roma, Edizioni Cinque Lune, 1984, p. 23.
IV
legge truffa e segnata dai primi timidi accenni di apertura socialista alla
DC.
E proprio alla luce del nesso storia-politica il mondo della stampa
assume a nostro avviso un ruolo assai significativo. Esso, difatti, come
avremo modo di vedere nel corso dell'esposizione, nella sua opera di
diffusione e volgarizzazione delle varie letture storiografiche, non si
limiterà a ripetere "senza mediazioni le parole d'ordine dei partiti"
4
, ma
si distinguerà anche per una capacità di selezione e di "adeguamento"
dei risultati storiografici alle mutevoli esigenze politiche (ed in questa
operazione non fu estranea anche la cosiddetta stampa indipendente).
Ricercare ragioni e modalità di tale processo è stato quindi uno dei
nostri obiettivi. Non solo. Forse proprio anche attraverso la forte
valenza "monopolistica" che avevano le diverse rappresentazioni della
Resistenza nel mondo della carta stampata, quest'ultima, soprattutto
ad opera dei periodici, fu capace di affermare la fragilità di una comune
matrice culturale e di comuni obiettivi delle forze resistenziali oltre
quello meramente indipendentistico e patriottico. Così, l'universo della
4
G. Quazza, Resistenza e storia d'Italia. Problemi ed ipotesi di ricerca, Milano,
Feltrinelli, 1976, p. 11.
V
stampa fu capace di offrirsi come luogo di incontro e soprattutto di
scontro tra le diverse interpretazioni, che altrimenti non avrebbero
avuto modo di confrontarsi, giungendo anche ad anticipare, sebbene in
modo embrionale, alcuni temi che saranno centrali nel dibattito
storiografico posteriore. Quest'ultimo elemento, insieme a quelli
precedenti, fa della carta stampata del periodo, a nostro avviso, uno
strumento prezioso per comprendere appieno la storiografia "politica"
del Decennale, e le diverse utilizzazioni cui essa fu sottoposta.
Da ultimo segnaliamo i criteri che ci hanno guidato nell'opera di
selezione degli organi di stampa. Essi derivano ovviamente dall'oggetto
della nostra ricerca; così, pur avendo dato largo spazio ai quotidiani
indipendenti, agli organi dei partiti maggiori ed ai periodici di "area",
non abbiamo disdegnato quelli dei partiti minori allorché abbiano offerto
dei contributi significativi ai fini del nostro lavoro. Rimane invece
certamente eslusa tutta quella stampa gravitante intorno a forze
politiche o posizioni che, rifiutando il portato e l'eredità resistenziale o
rifacendosi addirittura al regime fascista, non poterono certo prendere
parte alla polemica storica (e politica) del Decennale, sviluppatasi all'
insegna della lotta per i "monopoli".
1
CAPITOLO 1
IL DIBATTITO STORIOGRAFICO NEI PRIMI ANNI DEL
DOPOGUERRA.
1.1 Assenza di una interpretazione unitaria della Resistenza
Prima di dare inizio al presente capitolo riteniamo necessario
premettere che non ci si è posto in questa sede l'obiettivo di fornire un
quadro esauriente della storiografia resistenziale del primi anni del
dopoguerra (ché un tale scopo esula dalla nostra ricerca), bensì quello
più limitato di evidenziare quei nodi interpretativi che ricorrendo nel
dibattito storico e sulla stampa in occasione del Decennale esigono fin
da ora un attento esame per comprenderne le successive evoluzioni.
Dopo la conclusione della guerra di Liberazione la prima pubblicazione
che tenta di offrire una ricostruzione articolata della storia degli ultimi
anni è rappresentata dal numero speciale della rivista "Mercurio", del
2
dicembre 1945, dal significativo titolo Anche l' Italia ha vinto
1
. Dedicato
all' insurrezione della Toscana e dell' Italia del Nord, vi scrivono i
componenti del comando del CVL e del CLNAI, i comandanti delle
maggiori forze partigiane, oltreché semplici scrittori e giornalisti. Frutto
della collaborazione di oltre settanta autori essa veramente fornisce,
come scrive Parri nel primo intervento, "un panorama del movimento
idealmente completo seppure,come è naturale, incompleto dal punto di
vista documentario"
2
.
Questi contributi, carattere comune alla prima ondata memorialistica,
offrono spaccati fedeli di vita partigiana; costituiscono una
ricostruzione sofferta della tragicità di quei momenti, spesso sono
asciutti, scarni, non indugiano nella retorica, ma nella loro secchezza
sono rivelatori di un'autenticità innegabile. Scritti per lo più dai
protagonisti stessi della vicenda resistenziale, rivelano appieno
l'esigenza degli autori di narrare fatti, episodi, cui essi sono stati
partecipi. In questo contesto è evidente come sia carente un'analisi
complessiva della Resistenza, della sua natura, delle sue forze motrici,
1
"Mercurio", numero speciale, a. II, n.16, dicembre 1945.
2
F. Parri, L'Italia partigiana, "Mercurio", cit.
3
dei suoi fini, della sua "eredità" nel nuovo regime democratico. Eppure
è possibile rintracciare in alcune pagine un avvio di discussione su
alcuni temi che saranno centrali nelle analisi storiche degli anni '50 e
che sfoceranno nella stampa di partito e non in polemiche
particolarmente virulente. Basta prestare attenzione alle righe con cui
esordisce Corrado Bonfantini, comandante generale delle Brigate
Matteotti;
Il caso vuole che io debba scrivere delle Brigate Matteotti
[... ] e in un momento in cui la situazione del nostro paese,
dal punto di vista politico sociale ed economico, è grave,
confusa, incerta e piena di pericoli per la democrazia
nascente: certo ben lontana da quell' ideale di completo
rinnovamento per il quale i patrioti hanno combattuto per
venti mesi. Tuttavia chi scrive [... ] può con conoscenza di
causa affermare che i migliori dei matteottini, pur nel
disgusto per il pantano nel quale si è trasformata molta
nostra politica che ambiziosi ed interessati diguazzanti
hanno monopolizzato mettendo in disparte quelli della
4
lotta clandestina [... ]continuano malgrado tutto, fissi al
loro sogno, la lotta per il nuovo risorgimento d'Italia.
3
Fin dal 1945 viene così posto, sebbene in nuce, la questione del
"tradimento" della Resistenza, che per ora si limita alle critiche relative
alla scelta della nuova classe dirigente ed all' emarginazione e al
progressivo esautoramento dai loro incarichi degli "uomini" della
Resistenza, e successivamente si tradurrà in una appassionata accusa
del mancato rinnovamento sociale ed economico. Gli anni
dell'immediato dopoguerra, infatti, erano stati costellati da una serie di
interventi miranti a facilitare l'inserimento dei partigiani nella vita civile,
ma gran parte di essi erano rimasti largamente inattuati
4
. Nel 1945 era
stato istituito il ministero dell'Assistenza post-bellica con il compito di
"coordinare e dirigere le forme di assistenza morale e materiale e di
attuarne nuove, a favore di coloro che han fatto la guerra e ne sono
rimasti duramente colpiti"
5
. Nell'agosto del 1945, con una serie di
3
C. Bonfantini, Le "Matteotti", "Mercurio", cit.
4
E. Piscitelli, Da parri a De Gasperi. Storia del dopoguerra 1945-1948, Milano,
Feltrinelli, 1975, pp. 61-84.
5
Ibidem, p. 76.
5
decreti luogotenenziali, fu parificata la condizione dei reduci e delle
vittime della guerra di Liberazione a quella dei reduci e dei congiunti
dei caduti in guerra relativamente ad alcuni benefici, fu deciso un largo
numero di assunzioni nelle file della pubblica amministrazione e nel
settore privato nonché l'arruolamento straordinario di sottufficiali e
guardie di pubblica sicurezza tra partigiani e combattenti della guerra
di Liberazione. L'attuazione solo parziale di questi provvedimenti è da
ricercare in molteplici fattori, di natura politica e "burocratica". Ancor
prima di essi, però, è necessario rifarsi a uno stato d'animo collettivo
che trae origine dalla terribile esperienza di anni di conflitto e che
aveva portato la popolazione a veder sconvolte "radicalmente le
abitudini quotidiane" e a nutrire "ostilità verso ogni e qualsiasi
uniforme", senza contare il dissolvimento delle "giunture dei rapporti
fiduciari più elementari"
6
In questa situazione si trovò ad operare il gabinetto Parri che, nato nel
giugno del 1945, aveva visto la partecipazione dei partiti di tradizione
"ciellenistica". Il presidente del Consiglio era stato uno dei massimi
6
S. Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana, Venezia, Marsilio, 1993 (I ed. 1992), p. 14.
6
protagonisti del fenomeno resistenziale; vicecomandante del CVL, era
unanimamente conosciuto come una persona di grandissima dirittura
morale; il suo è "il primo, non soltanto in ordine di tempo, governo
postliberazione a porre le basi e a fondare il costume di una
fondamentale unità antifascista e democratica difficilmente eliminabile
dalla vita dell'Italia contemporanea"
7
. L'antifascismo per Parri e per
coloro che avevano inteso il fascismo non come un mero "accidente",
ma come l'inevitabile portato di una contrapposizione irrisolta tra
strutture socio-economiche immodificabili e una realtà sociale in
continua evoluzione , doveva essere considerato non un dato storico
ormai superato nel nuovo regime democratico ma la linfa vitale e il
fondamento culturale su cui erigere il nuovo edificio statale ( della
Resistenza come "intreccio di processi storici le cui conclusioni sono
bel lontane dall' essere definite"
8
ne parlava il Battaglia nel '48 e "crisi di
maturità"
9
non solo della società italiana, ma di quella europea in toto
la defiva il Vaccarino in uno dei primi numeri de "Il Movimento di
7
E. Piscitelli, op. cit., p. 63.
8
R. Battaglia, Il problema storico della Resistenza, "Società", a. IV, n.1, gennaio 1948.
9
G. Vaccarino, La Resistenza è storia di ieri?, "Il Movimento di Liberazione in Italia"
(da ora in poi citato come "MLI"), a.II, n. 4, gennaio 1950, p. 41.
7
Liberazione in Italia"). Tale impostazione da dare alla vita pubblica del
paese incontrò, come dicevamo, forti resistenze di carattere politico e
"burocratico".
"Concretamente, infatti, -scrive Antonio Gambino- ogni forma di
sovvertimento radicale della situazione italiana era esclusa da molte
circostanze: la caduta del fascismo per opera quasi esclusiva della
monarchia e dell'esercito; il carattere sussidiario del movimento
partigiano, e anche la sua limitata rilevanza numerica, [... ] il potere
economico non scalfito dei grandi gruppi industriali e finanziari; l'azione
frenante svolta a tutti i livelli dalla Chiesa; infine la presenza
dell'esercito anglo-americano"
10
. Gran parte, poi, della Democrazia
Cristiana, del Partito liberale e l'Uomo Qualunque erano fin dai primi
anni del dopoguerra orientati verso un disegno di pacificazione
nazionale che, pur nella condanna del passato regime fascista,
lasciava intendere come l' antifascismo dovesse essere considerato un
fenomeno contingente e quindi sorpassato con l' affermazione della
democrazia. Tale disegno si dispiegò nella sua pienezza all'indomani
10
A. Gambino, Storia del dopoguerra dalla Liberazione al potere DC, Roma-Bari,
Laterza, 1975, p. 102.
8
della rottura del maggio '47 e trovò un suo acceso sostenitore in quella
classe "media" fatta di liberi professionisti e di impiegati che a un
governo "politico" delle cose preferivano un semplice governo
"amministrativo". Questo "sentire" non poteva certo essere fatto proprio
da Parri, "l'uomo dei CLN", organismi guardati con profonda diffidenza
dagli apparati burocratici che temevano, con l'aumento della loro
influenza, di potere essere da essi esautorati. In verità se il Presidente
del Consiglio ricorreva a questi organismi, la ragione di ciò andava
ricercata nel fatto che essi erano quelli più "politici" perlomeno fino
all'entrata in attività della Consulta nazionale, stante la vacanza di un
organo elettivo rappresentativo della volontà popolare.
Che "lo spirito della Resistenza" fosse disatteso era d' altronde una
opinione diffusa tra coloro che avevano partecipato attivamente alla
guerra di Liberazione, al di là degli schieramenti politici, se anche in
una pubblicazione ufficiale quale "La Resistenza italiana", firmata dai
sei componenti del Comando generale del CVL, si poteva leggere che
"passato il tripudio, passata la moda e passata la paura che in certi
ambienti questo movimento aveva suscitato, l'ora successiva è stata, e
l'ora attuale è ancora, di reazione psicologica, intessuta in parte di
9
reazione politica, aggravata dalla frattura tra le regioni meridionali, non
toccate dall' esperienza della Resistenza ed il resto del paese"
11
.
D'altronde sarà proprio la necessità di dare una risposta alle "domande
ed invocazioni per la <<difesa dei valori della Resistenza>>" a
decidere la nascita, qualche anno più tardi, dell' "Istituto Nazionale per
la storia del Movimento di Liberazione in Italia", presieduto dallo stesso
Parri, con lo scopo non di coltivare uno spirito da "reducismo
professionale", né di concepire la Resistenza come un tema o una
battaglia di parte, bensì di fare dei suoi ideali un alimento vitale ed
attuale della coscienza collettiva del paese
12
.
Il governo Parri dovette poi affrontare il tema spinoso della
smobilitazione e del disarmo delle forze partigiane. Sebbene
dimostrasse severità ed obiettività nell'espletamento di questi compiti,
le forze moderate non mancarono di strumentalizzare alcuni episodi di
violenza commessi da ex partigiani per accusare il governo di non
11
Corpo Volontari della Libertà, La Resistenza italiana, Milano, Alfieri e Lacroix, 1947,
p. 79.
12
Consiglio Generale, Presentazione, "Mli", a.I, n.1, luglio 1949, p. 3.
10
essere capace di garantire l'ordine pubblico, non giustificando" gli
eccessi compiuti al Nord in una situazione rivoluzionaria, ma
vedendovi nefandezze, crimini efferati, attentati alla sicurezza dello
stato, insidie al normale svolgimento dell'ordine democratico e
tollerando, invece, o magari chiudendo un occhio su episodi analoghi
messi in opera dalleforze di destra, col concorso di fascisti o ex
fascisti"
13
.
Sebbene Parri avesse stigmatizzato questi atti di violenza, rivolgendo
un appello ai "partigiani autentici, diffamati da questi turbolenti venuti
fuori dopo la vittoria" e a tutti i partiti, nella considerazione che la
smobilitazione e il disarmo fossero anche un fatto politico, l'opinione
pubblica moderata gli rimproverava una eccesiva tiepidezza e
ravvisava in questi suoi appelli la prova della sua impotenza.
Ritornando all'edizione speciale del "Mercurio", Parri medesimo,
nell'intervento menzionato, aveva accennato al tema scabroso degli
"eccessi" del movimento partigiano che tanta parte occuperà nella
polemica storiografica e sulla stampa degli anni successivi;
13
E. Piscitelli, op. cit., p. 67.
11
Ci fu nel movimento partigiano il buono ed il cattivo, gli
eroi ed i saccheggiatori, i generosi ed i crudeli, ci fu un
popolo con le sue virtù ed i suoi vizi. Poi, è vero, una metà
delle armi non furono restituite; e rimangono ancora in
parte a costituire un pericolo per il paese. Poi sono venuti i
partigiani dell'ultima ora, pessima razza in generale .Poi
sono venuti gli sfruttatori ed i profittatori della
partigianeria [... ]. Ma basta un'oncia della fede che ha
animato in n'ora decisiva della sua storia il popolo italiano
per riscattare ogni scoria"
14
.
Gli interventi, poi, di Pietro Secchia
15
e Giancarlo Pajetta
16
pongono sul
tappeto in modo chiaro e deciso alcuni elementi fondanti tutta la
storiografia successiva di area comunista, e cioé lo spirito e la politica
unitaria perseguiti costantemente dal PCI, la funzione dirigente assolta
dalla classe operaia e dalla sua avanguardia, la critica all'"attesismo", al
compromesso, al patteggiamento con il nemico.
14
F. Parri, L'Italia partigiana, "Mercurio", cit.
15
P. Secchia, Non nacque in un giorno, "Mercurio", cit.
16
G. Pajetta, Brigate Garibaldi, "Mercurio", cit.