1 INTRODUZIONE
Il presente lavoro di tesi si propone di offrire un'analisi delle influenze dei concetti
fondamentali del filosofo Henri Bergson sul pensiero e sulle teorie psicopatologiche
dello psichiatra Eugène Minkowski.
Bergson, il filosofo antipositivista, aveva toccato i nodi centrali della crisi del pensiero
filosofico e scientifico: la libertà dell'uomo, i rapporti mente e corpo, l'evoluzione della
specie, questioni fondamentali a cui la psichiatria ottocentesca aveva risposto con il
determinismo e il parallelismo psicofisico. Partendo dalla tesi del cervello non più come
organo dal quale origina il pensiero ma bensì solamente di azione e coordinazione
motoria, Bergson aveva infatti messo in discussione la pretesa della psichiatria
materialista di ricondurre gli stati di coscienza a fatti cerebrali, separando quindi vita
fisiologica e mentale. Ad avvicinare a Bergson alcuni psicopatologi francesi, tra i quali
Eugène Minkowski, sembrava dunque essere l'estrema necessità di ricostruire una
visione dell'uomo diversa da quella positivista, nella quale molti psichiatri ormai non si
riconoscevano più. Un'intensa esigenza di rinnovamento, che fece del campo della
psichiatria un terreno fecondo alla fruttificazione del pensiero bergsoniano.
Autori come Minkowski, appartenenti alle discipline psicologiche, sembravano infatti
cogliere il cuore del bergsonismo ancora prima dei suoi interpreti, nel suo profondo
intento di definire l'umano come continua possibilità di creare e crearsi: mi è sembrato
dunque interessante tentare di comprendere, attraverso questa analisi, come la filosofia
possa offrire il suo prezioso apporto nell'incoraggiare quella comprensione più umana
dell'individuo, malato e non, che caratterizza alcuni orientamenti della psichiatria
moderna, come quello fenomenologico, a cui lo stesso Minkowski apparteneva. Una
psichiatria moderna che, a differenza di quella di matrice positivistica, abbia come
2 punto di partenza e come obiettivo antropologico il valore dell'attenzione e della cura
per la persona-umana-sofferente, considerata nella globalita' del suo essere e dei suoi
significati vissuti, e alla quale ricondurre autenticamente ogni possibile tensione
conoscitiva e ogni conseguente scelta di ordine pratico e terapeutico.
Il presente lavoro è suddiviso in due parti, la prima delle quali è incentrata su un
percorso che sviluppa i temi fondamentali del pensiero di Henri Bergson. Ripercorrendo
le sue principali opere, ho dato particolare rilievo alla riflessione sul tempo in cui
fondamentale è la distinzione tra temporalità spazializzata e vissuta, soffermandomi poi
su concetti come "durata" e "slancio vitale", entrambi motivi che hanno fortemente
influenzato Minkowski.
La seconda parte verte propriamente sul pensiero di Minkowski: ho compiuto un
percorso che va dalle prime riflessioni, appartenenti all'opera del 1927 intitolata La
schizofrenia, percorrendo poi l'evoluzione del suo pensiero e delle sue teorie riguardanti
la genesi della psicopatologia, fino all'opera che ebbe maggior successo, Il tempo
vissuto, pubblicata nel 1933, in cui l'autore espone la sua peculiare concezione del ruolo
del tempo nella vita psichica e nella psicopatologia, inteso non più come tempo
spazializzato ma come tempo vissuto.
3
Parte Prima
LA FILOSOFIA DI HENRI BERGSON:
TEMI E MOTIVI BERGSONIANI
4 Capitolo primo
CRITICA AL POSITIVISMO E ALLA FILOSOFIA TRADIZIONALE:
GLI ERRORI DELLA PSICOFISICA
L'esordio filosofico di Henri-Louis Bergson avviene nel 1889 con la pubblicazione del
Saggio sui dati immediati della coscienza. In quello stesso anno, insieme con il trattato
L'idea di luogo in Aristotele, il Saggio era stato presentato alla Sorbona come tesi di
dottorato. La commissione esaminatrice, in cui figuravano anche Paul Janet e Emile
Boutroux, ne apprezzò in particolare il serrato confronto con la psicologia sperimentale
dell'epoca. Oltre alla rigorosa pertinenza filosofica, le opere di Bergson mostravano
infatti una conoscenza degli studi scientifici rara nel mondo filosofico, soprattutto in
quello di formazione non positivistica. Alcune pagine di Materia e Memoria, con degli
espliciti riferimenti ai dibattiti scientifici sulle afasie o sulle localizzazioni cerebrali,
risultavano di grande richiamo per un pubblico conoscitore di fisiologia e patologia del
sistema nervoso, come pure per molti neurologi e psichiatri, che, come Eugène
Minkowski, si rifecero poi alle tesi espresse nelle opere di Bergson utilizzandole come
spunto per proprie riflessioni.
E proprio contro gli esponenti del positivismo e della scienza rivolgeva le sue principali
critiche il filosofo, cercando di portare l'attenzione ai limiti teorici del determinismo e
dell'analisi scientifica in quanto metodo: rivolgendosi invece ai suoi colleghi filosofi,
indicava come il compito della filosofia fosse quello di andare più in profondità,
laddove la scienza si muoveva in superficie. Si trattava per Bergson di scardinare il
pensiero tradizionale, di uscire dalle diatribe filosofiche per approntare le basi di un
rinnovato rapporto con la realtà stessa, che ne seguisse le istanze intrinseche, evitando
di imprigionarla in astratti schemi intellettuali.
5 La filosofia di Bergson restituiva inoltre un ruolo centrale al tema della libertà
individuale, tema a cui è dedicato il terzo capitolo del Saggio, in quanto la liberava dai
vincoli soffocanti del determinismo.
Né l'intelletto né la ragione sono da considerarsi causa dell'atto libero, come sosteneva
la filosofia tradizionale: la libertà, secondo Bergson, è piuttosto continua invenzione e
creazione di se.
1
E proprio per difendere l'esperienza della libertà come uno dei dati immediati della
coscienza, Bergson nelle sue opere confuta da un lato i deterministi, e dall'altro instaura
un confronto con le impostazioni metodologiche tanto delle scienze dello spirito, quanto
di quelle naturali. L'immediato non è il dato empirico, né il dato della scienza
psicologica ma ciò che si presenta alla coscienza una volta liberata dai filtri intellettuali
che ne condizionano il responso: perciò ad esso ci si potrà avvicinare solamente
attraverso una disanima di quelle che Bergson definisce le "illusioni" della scienza e
della coscienza.
In una lettera del 1903, indirizzata a Giovanni Papini, Bergson afferma la centralità
della nozione di tempo nel suo pensiero e poi dichiara come il Saggio sia nato poiché
"[...] all'inizio la metafisica ed anche la psicologia mi attraevano molto meno delle
ricerche relative alla teoria delle scienze, soprattutto alla teoria delle matematiche. Mi
ero proposto, per la mia tesi di dottorato, di studiare i concetti fondamentali della
meccanica. E' così che fui indotto ad occuparmi dell'idea di tempo. Mi accorsi, non
senza sorpresa, che in meccanica e in fisica non si tratta mai di una durata propriamente
detta, e che il "tempo" di cui si parla è tutta un'altra cosa. Mi chiesi allora dove fosse la
durata reale, e in che cosa potesse consistere, e perché la nostra matematica non avesse
presa su di essa. E' così che fui gradualmente condotto dal punto di vista matematico e
1
Cfr. V. Babini, La vita come invenzione, motivi bergsoniani in psichiatria, Il Mulino, Bologna, 1990,
pp. 28-29.
6 meccanicistico, in cui mi ero dapprima posto, al punto di vista psicologico. Da queste
riflessioni è nato il Saggio sui dati immediati della coscienza, in cui ho cercato di
praticare un'introspezione assolutamente diretta e di cogliere la pura durata. "
2
E, nella
premessa al Saggio, Bergson indica così il carattere esemplare del tema affrontato:
"Abbiamo scelto, tra i problemi, quello che è comune alla metafisica e alla psicologia, il
problema della libertà. Noi cerchiamo di stabilire come ogni discussione tra i
deterministi e i loro avversari implichi una preliminare confusione tra la durata e
l'estensione, tra la successione e la simultaneità, la qualità e la quantità: una volta
dissolta questa confusione, si vedranno forse svanire le obiezioni sollevate contro la
libertà, le definizioni che se ne danno, e, in un certo senso, il problema stesso della
libertà."
3
Bergson vuole provare dunque come certe categorie, feconde nel campo delle ricerche
fisiche, impediscano invece di cogliere gli aspetti qualitativi della vita psichica,
fondamento dalla stessa scienza psicologica, rendendo così impensabile e indicibile ciò
di cui tuttavia ognuno di noi ha esperienza diretta.
Il filosofo aggiunge poi come il condizionamento epistemologico conduca
irrimediabilmente ad un condizionamento linguistico, che supera i confini della
disciplina psicologica e coinvolge l'intera cultura dell'epoca, indotta ad usare termini
che finivano con il negare la libertà anche quando sembravano apparentemente
esprimerla.
Ed è tramite l'introduzione del concetto di durata che Bergson risponde a quest'esigenza
di trovare nuovi termini per suggerire la peculiarità del vissuto interiore. Nello studio
della vita psichica è fondamentale, secondo il filosofo, conservare la differenza tra la
2
H. Bergson, Lettera a G. Papini del 21 ottobre 1903, in Melanges, textes publiés et annotés par A.
Robinet, avant-propos par H. Gouhier, Presses Universitaires de France, Paris 1972, p. 604.
3
H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, p. 3.
7 qualità e la quantità: egli contesta l'uso della nozione di intensità per descrivere gli stati
psicologici, in quanto utilizzata dalla psicologia sperimentale per definire i risultati
delle misurazioni nel campo dei mutamenti negli stati interni.
La psicologia sperimentale privilegia la nozione di quantità poiché tende ad interpretare
il mutamento della vita psichica in funzione delle cause esterne che ne sarebbero la
causa, o in riferimento alle concomitanti variazioni fisiologiche. Come osserva Pessina
invece la relazione tra qualità e quantità, tra interno ed esterno, non è poi così facile da
determinare, in quanto vi sono esperienze che non sembrano prestarsi a misurazione
alcuna.
4
Bergson stesso, proseguendo la sua argomentazione, scrive che "distinguere,
come si fa d'abitudine, due specie di quantità, la prima estensiva e misurabile e la
seconda intensiva [...] significa schivare la difficoltà. In questo modo infatti si riconosce
che tra queste due forme della grandezza vi è qualcosa di comune, dal momento che
vengono chiamate entrambe grandezze e si dichiara che entrambe possono crescere e
diminuire. Ma che cosa può esserci di comune, dal punto di vista della grandezza, tra
l'estensivo e l'intensivo, tra l'esteso e l'inesteso?"
5
Prendendo quindi in esame diversi
stati psichici, Bergson mostra come alcuni di essi siano solidali con aspetti fisiologici,
mentre altri, come il senso estetico, i sentimenti morali o le passioni, non si lascino
facilmente ricondurre ad un mutamento fisiologico quantitativo preciso. L'autore
sottolinea come le variazioni della coscienza siano sempre di natura qualitativa e
differiscano da quelle corporee che possono averle suscitate, o a cui sono legate: i due
fenomeni rimangono tra loro irriducibili e non vi sono ragioni sufficienti per applicare
alla coscienza i criteri con cui si analizzano e si misurano le realtà corporee.
4
Cfr. A. Pessina, Introduzione a Bergson, Laterza, Bari, 1994, pp. 6-7.
5
H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, p.6.
8 Capitolo secondo
CONFUSIONE TRA SOSTANZA E ATTO E ILLUSIONE
RETROSPETTIVA
All'interno della critica al positivismo e ai metodi sperimentali, Bergson parla quindi di
un sorta di "vizio" metodologico, l'applicazione cioè di un metodo meccanicistico a una
realtà di natura psicologica e quindi, più in generale, a una realtà spirituale. Si tratta
della sostituzione della sostanza all'atto, la cosa al movimento, il fatto al farsi : questo
fenomeno secondo l'autore è spiegabile in base alla tradizionale esigenza, da parte della
scienza e della ragione, di identificare un sostegno che possa giustificare a livello
teorico una realtà in continuo e inarrestabile movimento.
L'horror vacui che il divenire ha sempre suscitato doveva essere esorcizzato
dall'identificazione di elementi stabili e sicuri, dai quali poi partire per
un'interpretazione globale del mondo e del divenire stesso: come ricorda Migliaccio, ad
essere coinvolta nel rimprovero è in questo caso tutta la tradizione metafisica, da
Parmenide a Cartesio, da Aristotele a Kant, che viene da Bergson smascherata nel suo
intento nascosto, ossia il puro interesse pratico a controllare e dominare le cose e agire
conseguentemente nella realtà.
6
Riducendo la realtà ad elementi statici, lo sguardo dello scienziato può con maggiore
facilità dirigersi, a piacimento e senza esserne condizionato, in tutte le sue dimensioni
temporali: in questa maniera egli può agilmente interpretare un evento come
casualmente determinato da un altro e, in seguito, quando in futuro si ripresenteranno le
condizioni, applicare quel medesimo rapporto di causa-effetto, omologando ciò-che-
deve-venire con ciò-che-è-già-avvenuto.
6
Cfr. C. Migliaccio, Invito al pensiero di Bergson, Mursia, Milano, 1994, pp. 70-71.