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INTRODUZIONE
Pensare alla comunicazione umana significa spesso associarla automaticamente
al linguaggio. Esso risulta indispensabile per riflettere su noi stessi in quell’attività
emotiva, ricca e difficile, che è l’introspezione, lo utilizziamo anche per esprimere le
nostre emozioni, per apprendere nuove conoscenze; in una prospettiva piø psicosociale
la sua funzione peculiare è sicuramente racchiusa nella possibilità che ci dà di
comunicare con gli altri (De Beni, Bommassar, Grossele, 1995).
La comunicazione umana peraltro non avviene solo tramite il linguaggio: è noto
come nell’interazione tra due o piø interlocutori si manifesti una serie di elementi non
verbali (mimica, tono di voce, movimenti, gesti) che nel contesto comunicativo sono
strettamente intrecciati con quelli verbali. Gli ormai acquisiti studi di Watzlawick,
Beavin e Jackson (1967) hanno evidenziato che all’interno di un sistema interattivo sia
addirittura impossibile non comunicare: ogni comportamento, anche il silenzio o
l’inattività, ha valore di messaggio.
Parlare di linguaggio e di comunicazione significa parlare anche di relazione, di
legame, di un qualcosa che tende a realizzare una situazione di “intersoggettività” (De
Beni, Bommassar, Grossele, 1995). Se il linguaggio presuppone che le persone
interagiscano tra loro, si può sostenere che l’obiettivo principale di una comunicazione
sia rendere efficace la relazione comunicativa stessa, e far comprendere all’interlocutore
i pensieri ed i sentimenti che si vogliono trasmettere.
Tale prospettiva risulta fondamentale in un gruppo di lavoro (Quaglino,
Casagrande, Castellano, 1992), per il quale la comunicazione diviene un processo
chiave che permette il suo funzionamento e garantisce lo scambio di informazioni,
finalizzandolo al raggiungimento dei risultati. Ma la comunicazione in un gruppo di
lavoro non si rivela essenziale solo da un punto di vista di “trasmissione di
informazioni”, essa è anche il terreno in cui può nascere un’elaborazione comune e una
condivisione di significati all’interno di un contesto dotato di senso (Galimberti, 1994).
Una tale visione del processo comunicativo induce a pensare che un gruppo di lavoro in
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cui si realizza una valida comunicazione, potrà trarne dei vantaggi in efficienza ed
efficacia, e di riflesso in una maggiore soddisfazione da parte dei membri che lo
compongono.
Si è voluto mettere alla prova questa ipotesi creando una newsletter mensile di
cui un’azienda potesse disporre per raccontare se stessa, uno strumento di condivisione
tale da coinvolgere gli attori organizzativi in un dialogo proficuo sulle problematiche o i
traguardi raggiunti, e che ha voluto essere anche un modo per accrescere la coesione, il
senso di appartenenza al gruppo, l’identità aziendale.
Si è scelto di attuare questa sperimentazione in una cooperativa sociale, e ciò ha
comportato l’esigenza di un’attenta analisi al mondo dell’imprenditorialità sociale, che
presenta caratteristiche peculiari proprie rispetto ad altri modi di “fare azienda”, anche
se tutti i sistemi di gestione hanno in comune quell’aspetto fondamentale che consiste
nella necessità di promuovere una piena realizzazione, espressione e valorizzazione
della risorsa umana. Tramite interviste somministrate a tutti i soggetti facenti parte
dell’organico è stato possibile valutare se, e quanto, la newsletter sia riuscita a
raggiungere gli scopi per i quali è stata creata.
Il progetto è durato sette mesi e si è inserito nel piø ampio programma delle
“Borse di Perfezionamento per l’Imprenditorialità Sociale”, finanziate dalla Compagnia
di San Paolo e promosse dalla società “Sviluppo Italia” (l’Agenzia nazionale per lo
sviluppo economico e imprenditoriale del Mezzogiorno e delle aree svantaggiate del
nostro Paese) come unico progetto, fra diciannove in tutta Italia, scelto per raccontare la
realtà della cooperazione sociale in Sardegna. Per il prossimo anno è previsto un
convegno nella città di Roma durante il quale sarà presentata la pubblicazione di questo
e degli altri progetti.
Nell’elaborare il primo capitolo di questa tesi, si è partiti dalla constatazione che
per una buona qualità della vita è necessario che l’uomo sia capace di instaurare
relazioni comunicative appaganti con i suoi simili. Sono state in seguito esaminate le
principali teorie che hanno affrontato la problematica della comunicazione: la
prospettiva meccanica, linguistica, psicosociologica, interlocutoria, e viene mostrato
come si sia giunti alla visione della comunicazione come fatto “totale” in cui si
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inscrivono i bisogni e le aspettative dei soggetti interagenti, il loro bagaglio culturale ed
esperenziale, il contesto che li circonda.
Il secondo capitolo apre uno squarcio sulla comunicazione nei gruppi, in
particolare nel gruppo di lavoro, esaminando il ruolo del manager nella costruzione di
processi di comunicazione efficienti e soddisfacenti per i membri.
Il terzo capitolo entra nel vivo del tema sulla comunicazione all’interno
dell’azienda analizzando i piø importanti filoni di studi che di questo si sono occupati:
dalle teorie organizzative classiche (Taylor, 1911; Weber, 1922; Fayol, 1949), fino alla
teoria dell’impresa rete (Butera, 1990; Nohria e Eccles, 1992). Vengono in seguito
passati in rassegna i piø rilevanti strumenti tramite i quali si attua la comunicazione
organizzativa e la loro funzione.
Il quarto capitolo espone la descrizione del progetto che ha dato vita ad una
newsletter per la cooperativa sociale “Primavera 83”. In primo luogo sono considerate
le caratteristiche anagrafiche e strutturali dell’impresa, gli scopi ispiratori del progetto e
la sua successiva messa in opera, per poi concludere con la valutazione dei risultati di
un questionario somministrato a soci e dipendenti allo scopo di stimare l’efficacia del
progetto realizzato.
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1. LA COMUNICAZIONE
1.1 Linguaggio e comunicazione
Gli studi sul comportamento umano hanno segnalato che le strategie messe in
atto dall’uomo nell’organizzazione dei suoi rapporti con la realtà, mirano a stabilire un
rapporto significativo con gli elementi appartenenti al mondo esterno. Il comportamento
umano è infatti definito simbolico: crea connessioni sempre nuove tra le cose e in tal
modo conferisce loro un nuovo senso. L’azione umana dunque “non si risolve negli atti
di conservazione e adattamento dell’individuo e della specie, ma riveste un ruolo di
continuo evento trasformativo” (Cundo, 1997, p.37) che crea nuove connessioni e
modifica la realtà tramite l’interazione col mondo esterno.
La capacità di interazione di una persona con il contesto è verificata dal grado in
cui riesce a rapportarsi agli altri in una “attribuzione congiunta di senso” al mondo
esterno: si parla infatti di “costruzione sociale” della realtà. Sebbene vi siano numerose
forme di interazione tra individui, bisogna ammettere che la gran parte di esse ha luogo
tramite lo scambio verbale.
Il linguaggio, oltre ad essere una “prerogativa fondante specie–
specifica”(Amerio, 1995, p.317) dell’essere umano, è anche considerato come
l’elemento che connette la sua soggettività e la sua socialità (Amerio, 1995),
permettendogli di esprimersi, etimologicamente premersi fuori di sØ e dunque “esporsi”
(Cundo, 1997), cioè di inserirsi in un racconto condiviso che arricchisca l’esperienza
individuale e quella collettiva. Il linguaggio rappresenta forse la manifestazione piø
elevata e complessa dell’essere umano (De Beni, Bommassar, Grossele, 1995): gli
consente di guardare non solo al mondo esterno ma anche a quello interno tramite
l’introspezione, ma senza dubbio la sua funzione fondamentale è quella di essere il
principale strumento di contatto diretto tra le persone.
¨ opportuno sottolineare che una buona qualità della vita per l’uomo dipende in
gran parte da una comunicazione soddisfacente con gli altri: essa favorisce l’instaurarsi
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di relazioni appaganti e produttive, e si rivela un requisito indispensabile in ogni ambito
della vita di ciascun individuo. Le ricerche mostrano che gran parte dei problemi nelle
relazioni di coppia, nel rapporto genitori - figli, nei gruppi di lavoro, sono riconducibili
a difficoltà nella comunicazione, che nei casi estremi possono portare gravi
conseguenze sul benessere fisico e psicologico degli individui (Hewstone, Stroebe,
Stephenson, 1988).
Gli studi sulla comunicazione vantano una lunghissima tradizione, fino a
giungere ad una visione del saper comunicare come “competenza sociale”, cioè come
capacità degli individui di leggere correttamente il comportamento altrui e controllare il
proprio, sulla base della conoscenza di norme che regolano l’arte del know how, il saper
stare al mondo, ovviamente in relazione con gli altri.
Prima di giungere ad una prospettiva “sociale” della comunicazione, numerosi
modelli hanno interpretato la problematica dai punti di vista piø svariati. In questa sede
si intende fare un breve accenno a tali approcci per inquadrare il panorama in cui sono
inseriti i piø importanti studi sui processi comunicazionali (Galimberti, 1994).
1.2 Approcci teorici allo studio della comunicazione
• Prospettiva meccanica
Il modello sicuramente piø noto ed universalmente diffuso sulla comunicazione
umana è quello che Shannon e Weaver hanno proposto nel 1949. I due studiosi hanno
interpretato la comunicazione come il processo con il quale un’informazione è
trasmessa, attraverso un canale, da una “fonte”, che codifica il messaggio, ad un
“destinatario”, che lo decodifica: un output del messaggio parte dall’emittente e un
input dello stesso perviene al ricevente in un processo di feedback.
Il passaggio dell’informazione può avvenire attraverso uno o piø canali che
fungono da veicolo per il messaggio stesso: cognitivo, affettivo, emotivo, secondo la
risonanza e la modalità con la quale esso è costruito ed inviato dall’emittente.
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Il modello di Shannon e Weaver ha rappresentato per decenni il riferimento
fondamentale per la pedagogia della comunicazione, presentando indubbiamente il
vantaggio di proporre una generale formalizzazione dei processi comunicativi. In questo
modello l’efficacia del processo di comunicazione può essere misurata facendo
riferimento alle sue caratteristiche fisiche, quali ad esempio la quantità di informazioni
che il canale può trasmettere, la completezza e fedeltà del messaggio giunto a
destinazione, la velocità di trasmissione e così via (Costa, Nacamulli, 1997).
Il modello è denominato “tecnico” o “cibernetico”, e deriva dallo studio dei
processi di telecomunicazione, anche se l’analogia tra questi e la comunicazione umana
ha presentato innegabilmente dei limiti, rintracciabili principalmente in un messaggio
dal significato che sembra inesistente o comunque implicitamente dato negli
interlocutori. Nella nozione di comunicazione di tipo meccanico è contenuta l’idea che
il messaggio, se formulato con chiarezza e corrispondente alle intenzioni dell’emittente,
viene correttamente compreso dal destinatario e questo è certamente un requisito
indispensabile per una comunicazione efficace. Nonostante questo il modello appare,
per molti versi, approssimativo e parziale, incapace di rendere conto della specificità del
linguaggio verbale, anche nella sua l’ambiguità, fattore peculiare per le lingue naturali
che i linguaggi artificiali non possiedono.
• Prospettiva linguistica
Le numerose rivisitazioni al modello di Shannon e Weaver hanno voluto
soffermarsi sulla natura linguistica della comunicazione umana, aspetto che i due
studiosi avevano trascurato. Nel 1958, al convegno dell’Università di Indiana, Jakobson
ha proposto un modello che intendeva fornire una visione della comunicazione umana
in tutta la sua complessità. Egli riteneva che per realizzare un processo comunicativo, il
messaggio inviato dall’emittente al destinatario necessitasse di:
- un contesto al quale rinviarsi;
- un codice comune tra i due soggetti;
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- un contatto, vale a dire “un canale fisico ed una connessione psicologica tra
emittente e destinatario- che permetta loro di stabilire e mantenere la
comunicazione” (Jakobson, 1963, p.213-214).
Jakobson ha in questo modo tentato di allontanarsi da una visione astratta e
meccanicistica della comunicazione, e ha attribuito un ruolo fondamentale al
“feedback”, sostenendo l’ipotesi di una complementarità tra produzione e fruizione del
messaggio, tra parola e ascolto. Egli riteneva però che la gerarchia di questi due
processi si capovolgesse passando dalla codificazione alla decodificazione: “Questi due
aspetti distinti del linguaggio sono irriducibili l’uno all’altro; entrambi sono essenziali
nello stesso modo e devono essere considerati complementari”(Jakobson, 1963, p.213-
214). Nonostante i meriti di Jakobson bisogna comunque osservare che egli non sia
riuscito a mostrare che queste attività, parola e ascolto, sono in realtà facce di un’unica
medaglia basate sul criterio dell’alternanza di ruoli tra emittente e ricevente.
I modelli linguistici come quello di Jakobson hanno introdotto nella nozione di
“contesto”, le condizioni sociali del processo comunicativo che comunque non ricevono
ancora un ruolo preciso, poichØ i linguisti non si sono interessati al contesto come
insieme di fatti sociali ma, appunto, linguistici. In un certo senso questa scelta è
legittima, data la prospettiva disciplinare entro la quale è inscritta, ma indubbiamente
interessarsi esclusivamente alla natura e alle caratteristiche del linguaggio parlato o
scritto, verbale o non verbale (Muti, 1989), non ha certo favorito la caratterizzazione
della comunicazione come processo interindividuale.
Solo alcuni tra i modelli linguistici hanno sostenuto l’importanza delle relazioni
sociali, della situazione sociale immediata e dell’ambiente piø vasto, nella
determinazione della struttura stessa delle enunciazioni.
Spetta a Gumperz e Hymes (1972) il merito di aver costruito un modello attorno
al concetto di situazione, di contesto, intesi per la prima volta come qualcosa in piø di
un insieme di elementi di natura linguistica (Gumperz, 1982). Il loro modello,
denominato “SPEAKING” ha proposto un approccio pragmatico dell’interazione
linguistica ricontestualizzata nella situazione sociale in cui si inscrive (Marc, Picard,
1989), che considera elementi quali: il contesto spazio–temporale e il contesto
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psicologico in cui avviene il processo di comunicazione, il tono, la forma e lo stile di
espressione del messaggio e le norme che regolano la sua trasmissione.
Senza dubbio i modelli linguistici hanno migliorato la comprensione degli
elementi in gioco in un’attività comunicativa, ma essa rimane comunque descritta come
un processo ideale cui sfugge la maggior parte delle difficoltà e degli incidenti di
percorso che caratterizzano nella realtà le relazioni umane, e che hanno poco a che
vedere con aspetti tecnici o linguistici, essendo dovuti in gran parte a fenomeni di
carattere interattivo (Galimberti, 1994).
• Prospettiva psicosociologica
Un altro filone di studi sulla comunicazione è rappresentato dai modelli
psicosociologici, fra i quali uno dei piø interessanti è stato proposto da Anzieu e Martin
all’inizio degli anni settanta (Anzieu, Martin, 1971). I due autori hanno cercato di dare
conto di una comunicazione intesa come “rapporto psicosociale”, intriso di
interpretazioni erronee, equivoci, incomprensioni, controsensi, tipici di ogni “rapporto
tra due o piø personalità impegnate in una situazione comune e che discutono tra loro a
proposito di significati”(Anzieu, Martin, 1971, p.133).
In questa prospettiva il processo comunicativo è concepito essenzialmente come
l’incontro tra due o piø campi di coscienza appartenenti a “soggetti caratterizzati da una
precisa identità psicosociale” (Galimberti, 1994, p.123). Il merito dei modelli
psicosociologici è aver individuato, nella struttura di un processo comunicativo,
elementi quali: situazione comune, significati ad essa attribuiti, personalità dei
partecipanti con la loro storia individuale, le motivazioni, le rappresentazioni e capacità
cognitive specifiche, lo status e ruoli psicosociali. L’intero profilo bio-psico-sociologico
degli interlocutori è considerato come una variabile interveniente nella spiegazione dei
vincoli che caratterizzano i comportamenti comunicativi.
Secondo Anzieu e Martin la comunicazione è sia un mezzo per provocare
un’evoluzione rispetto ad una situazione iniziale, sia un fatto che dipende da scopi e
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obiettivi dei partecipanti e dalle caratteristiche generali del contesto in cui avviene. La
connessione tra comunicazione e contesto è stata quindi per la prima volta precisata
anche in riferimento ad elementi di natura non esclusivamente linguistica, come
dimensione che condiziona fortemente tutto il processo comunicativo.
Un altro aspetto di rilievo è rappresentato dalla produzione di significati: gli
uomini, quando comunicano, non si limitano ad un semplice scambio di una certa
quantità di informazioni, ma scambiano significati. La comunicazione allora risulterà
facilitata se i soggetti “condividono lo stesso universo simbolico e gli stessi quadri di
riferimento che, con il sistema valoriale, costituiscono veri e propri filtri rispetto al
flusso della comunicazione stessa” (Galimberti, 1994, p.124).
Nel processo di comunicazione inoltre i ricettori dei messaggi sono partecipanti
attivi: filtrano le informazioni, le distorcono, le integrano, le sintetizzano. Quest’attività
dei soggetti opera a vari livelli e in momenti diversi nel corso della comunicazione
(Golfetto, 1993):
- prima di ricevere il messaggio, poichØ il ricevente può decidere di esporsi solo
alle informazioni cui è interessato e di tralasciarne altre;
- durante l’esposizione, in quanto mediante l’attenzione selettiva il soggetto è
portato ad accogliere prevalentemente stimoli nuovi o contenenti elementi di
sorpresa piuttosto che stimoli spiacevoli o incongruenti rispetto al suo punto di
vista;
- in fase di elaborazione, in quanto la cultura, l’esperienza acquisita, i valori e i
quadri di riferimento del soggetto fanno da filtro al messaggio stesso;
- in fase di ricordo, poichØ il soggetto può mettere in atto processi di difesa che
lo portano a dimenticare le informazioni che, per varie motivazioni, avrebbe
preferito non ricevere.
Un’ulteriore acquisizione dei modelli psicosociali è costituita dalla
consapevolezza della natura multicanale e pluricodice della comunicazione. Il processo
comunicativo è infatti inteso come sistema globale in cui i soggetti utilizzano, oltre alle
parole, una serie di elementi non verbali relativi al sistema cinesico (postura, sguardo,
mimica facciale, movimenti del corpo, delle mani, distanza interpersonale),
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paralinguisico (ritmo e velocità del parlato, pause, esitazioni), intonazionale (tono di
voce, uso di enfasi o sottolineature).
Certamente la novità dei modelli psicosociologici risiede nell’aver ampliato
l’oggetto di indagine degli studi sulla comunicazione: il linguaggio non viene piø
considerato come un mezzo di trasferimento di informazioni da una mente all’altra, ma
come fatto totale, “dimensione essenziale in cui si inscrivono la maggior parte dei valori
e delle rappresentazioni sociali su cui si fondano gli scambi e le pratiche collettive”
(Marc, Picard, 1989).
L’interesse viene spostato dai meccanismi tecnici di trasmissione di
informazioni, ai processi di elaborazione e condivisione di significati, e la
comunicazione arriva ad assumere un ruolo di primaria importanza per la comprensione
del processo di fondazione dei legami sociali.
Il superamento del modello di Shannon e Weaver, che riduceva la
comunicazione ad un semplice contatto tra emittente e ricevente, contribuisce ad
accrescere e stabilizzare la sua connotazione di rapporto psicosociale risultante
dall’incontro delle identità sociali distinte dei soggetti interagenti.
• Prospettiva interlocutoria
La successione delle prospettive fino ad ora evocate, dai modelli tecnici a quelli
psicosociologici, svela la progressiva messa a fuoco della dimensione interattiva della
comunicazione, processo che raggiunge la massima esplicitazione con i modelli
“interlocutori”, che trovano nel concetto di interazionismo comunicativo il loro
elemento cardine.
A metà degli anni ottanta Jacques (1986), ha proposto una visione della
comunicazione intesa come il luogo di fondazione dell’intersoggettività in cui si
esprime la reciprocità insita in ogni relazione umana. Nella comunicazione prende
forma un lavoro di cooperazione verbale, una vera e propria attività congiunta in cui gli
interlocutori si scambiano simboli e significati influenzandosi reciprocamente. Il