2
amministrati da istituzioni religiose, che offrivano assistenza sociale e
sanitaria a soggetti indigenti; il loro patrimonio consisteva principalmente di
lasciti e donazioni. Una parte di esse sono tuttora operanti, ad esempio, le
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB)
2
.
A partire dagli anni '90 il legislatore italiano ha operato un reale
riconoscimento giuridico del cosiddetto "Terzo settore" o "Settore non profit",
che da molto tempo è largamente operante in ambito sociale.
Tale riconoscimento è iniziato attraverso due importanti leggi: la legge 11
agosto 1991, n. 266 e la legge 8 novembre 1991, n. 381, in materia
rispettivamente di volontariato
3
e cooperative sociali,
4
come risposta
all'inadeguatezza del quadro legislativo di fronte all'evoluzione delle imprese
non profit.
La prima è un tentativo di codificare e regolamentare la spontanea attività di
volontariato, concepita sostanzialmente come suppletiva ed integrativa alle
carenze statali.
La seconda ha riconosciuto il ruolo produttivo di organizzazioni non fondate
sull'obiettivo primario di realizzare un profitto, ma di perseguire uno scopo
sociale e solidaristico in forma d'impresa.
Questi interventi, relativi a categorie ben precise di enti, testimoniano la
recente presa di coscienza da parte del legislatore dell'esistenza e
dell'importanza delle attività non profit, ma indicano anche che la strada
2
Cfr., G. VITTADINI (a cura di), "Il non profit dimezzato", Milano, 1997, pp. 29 ss.
3
Il più completo Commentario alla legge è quello curato da L. BRUSCUGLIA, "Commentario alla
legge-quadro sul volontariato", in Le nuove leggi civili commentate, Padova, 1993, pp. 780 ss; V.
PANUCCIO, voce Volontariato, in V Appendice dell'Enc. Dir., pp 1081 ss.; P. OLIVELLI (a cura di), La
disciplina giuridica del volontariato e delle cooperative sociali, Ancona, 1995.
4
L. F. PAOLUCCI (a cura di), "Commentario alla disciplina delle Cooperative Sociali" (L. n. 381/91
come modificato dalla L. 6 febbraio 1996 n. 52), in Le nuove leggi civili commentate, 1997, pp. 1352
ss.; P. OLIVELLI, in op. ult. cit.
3
intrapresa non è quella di un intervento globale sull'intero settore. Il
legislatore italiano, infatti, sembra valorizzare non tanto il settore in quanto
tale, bensì alcune attività svolte dalle organizzazioni non profit e in particolare
quelle definite di solidarietà sociale cui lo Stato deve dare attuazione per
garantire i diritti riconosciuti dalle norme costituzionali.
Le due leggi, pur limitando fortemente l'ambito di attività delle due nuove
tipologie organizzative, hanno contribuito in modo determinante al loro
sviluppo.
Un successivo apporto legislativo è avvenuto con l'ormai noto Decreto
Legislativo n. 460 del 1997, "Riordino della disciplina tributaria degli enti non
commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale", che rivede
la disciplina fiscale e riconosce notevoli benefici alle organizzazioni non
profit. Da ricordare, inoltre, la legge n. 49 del 1987 sulle non organizzazioni
governative
5
e un gran numero di leggi regionali su volontariato, cooperazione
sociale, associazionismo e i provvedimenti contenuti in altre leggi, ma riferiti
sempre a soggetti del Terzo settore.
La categoria delle non profit organizations è nata e si è sviluppata soprattutto
negli Stati Uniti d'America e il confronto con questa realtà rappresenta quasi
un passaggio obbligato per comprendere meglio il ruolo di questi enti
Il termine "non profit" è la traduzione letterale di "not-for-profit"
6
(senza
scopo di lucro), che negli U.S.A. identifica una categoria normativa ben
precisa e regolamentata. Infatti, nell'esperienza nordamericana le non profit
5
Le organizzazioni non governative sono istituzioni private che operano nel campo della
cooperazione internazionale con i Paesi in via di sviluppo secondo quanto previsto dall'art.28 della l.
n. 49/87 recante la nuova disciplina in materia. In generale, cfr., L. ALBERTI, "Le organizzazioni non
governative ruolo e problematiche delle cooperative allo sviluppo", in Non Profit, 1994, pp. 63 ss.
6
Cfr., A. BERTOLOTTI "Normativa fiscale per il non profit: un'analisi comparata", in Non Profit,
1997, p. 63 ss.
4
organizations sono normalmente persone giuridiche (incorporated),
prevalentemente di diritto privato come le società commerciali, ma che da
queste si differenziano strutturalmente per l'assenza di un "profit"
7
. Questi enti
non possono esercitare attività commerciali tendenti al conseguimento di utili
da distribuirsi tra i loro membri. In tal modo, il fatto che non possa essere
distribuita alcuna somma a titolo di utile - non distribution constraint -
costituisce, nel sistema americano, l'aspetto centrale e l'elemento causale delle
non profit organizations.
In Italia il termine "non profit" non ha una precisa connotazione economica e
giuridica. Per scopo di lucro si deve intendere l'appropriazione individuale dei
risultati economici e non la semplice realizzazione di un utile che rimane non
solo possibile, ma anche auspicabile.
In generale, lo sviluppo del Terzo settore viene tradizionalmente giustificato
dai casi di "fallimento" dello Stato e del Mercato in quanto entrambi mancano
di soddisfare il cittadino e il consumatore: il primo non riuscendo più a
garantire la sfera di benessere promessa, il secondo non sfruttando
efficacemente le risorse.
A detta di alcuni
8
, questa non è una spiegazione sufficiente a cogliere i tratti
del fenomeno; sarebbe necessario ritagliare al Terzo settore uno spazio non più
meramente surrogatorio di Stato e mercato. In questo senso si può parlare di
7
L'assenza di un "profit" deve essere fatta coincidere con la nozione, propria del diritto italiano, di
lucro soggettivo: con la differenza che la distribuzione eventuale dell'utile conseguito a favore dei soci
costituisce l'elemento causale del contratta di società, la cui assenza determinerebbe la nullità dell'atto
costitutivo della società stessa. Invece nel diritto nordamericano, la presenza del lucro soggettivo
determinerebbe la trasformazione della non profit organizations in una società commerciale. Cfr., G.
PONZANELLI, Le non profit organizations, Milano, 1985
8
Cfr. S. ZAMAGNI, "Sulla filosofia di fondo del D. Lgs. N. 460/97", in AA.VV., F. CARINCI (a cura di),
"Non profit e volontariato", Milano, 1999, pp. 17 ss.
5
"economia civile", come una terza modalità di produzione di beni e servizi, al
pari dell'economia pubblica e privata.
L'economia civile riguarda la produzione e la distribuzione di un tipo di
beni che non possono essere inquadrati nelle consuete regole di mercato.
Rileva Zamagni: "La pluralità di beni oggi domandati dai cittadini […] esige
modi diversi di produzione e di distribuzione […] e dunque una società
autenticamente "liberale" non può limitarsi a garantire il pluralismo nelle
istituzioni, ma deve spingersi sino a rendere possibile il pluralismo delle
istituzioni economiche".
9
Se da un lato gli enti non profit hanno conosciuto il loro massimo sviluppo
nell'area del Welfare State, dall'altro è anche vero che si diffondono sempre
più anche in altri settori come quelli della cultura, dello sport e dell'ambiente.
Una delle ragioni risiede nel fatto che queste organizzazioni possono
avvalersi, piuttosto facilmente, di fonti di sostentamento sia pubbliche sia
private, a cui il settore pubblico difficilmente ha accesso.
Costituendo un'area abbastanza vasta di attività, le imprese senza scopo di
lucro operano in settori che spaziano da quelli convenzionalmente riservati
alle associazioni con scopo altruistico (come la beneficenza e l'assistenza) a
quelli tradizionalmente for profit, operanti nel ramo dell'industria, artigianato,
professioni mediche, arte e cultura
10
. E' opportuno verificare se è possibile
dare una definizione precisa di non profit
11
ed identificarne le componenti.
9
Cfr., S. ZAMAGNI, "La filosofia e l'architettura del progetto di legge sulle Onlus", in Non Profit,
1995, p. 421 ss.
10
Cfr., P. DE CARLI, "Il coinvolgimento degli enti non profit nei servizi sociali", in Non Profit, 1994,
pp. 7 ss
11
A comprova delle problematiche definitorie del settore, si consideri che oltre al termine "non
profit" esistono ben altri diversi modi per indicare la realtà di cui si sta parlando: terza dimensione,
privato sociale, organizzazione volontaria, economia civile.
6
Si è giunti all'elaborazione di una definizione strutturale-operativa
12
basata
sull'individuazione di alcune caratteristiche basilari delle organizzazioni del
Terzo settore.
La presenza o meno di queste caratteristiche comporterebbe l'attribuzione o
l'esclusione di una data organizzazione dal settore. I criteri sono:
1. La costituzione formale. Per poter affermare che l'organizzazione è
formalmente costituita deve essere dotata di uno statuto, di un atto
costitutivo che regoli l'accesso dei membri, i loro comportamenti e le
relazioni reciproche. Con questo criterio si tende a stabilire cioè una soglia
organizzativa minima al di sotto della quale gli enti non vengono
considerati.
2 La natura giuridica privata. L'organizzazione non deve far parte del settore
pubblico, ovvero essere indipendente dallo Stato.
3 L'autogoverno. L'ente deve essere in grado di autogovernarsi, cioè di
disporre di procedure di governo e di non essere controllata da entità
esterne.
4 Il divieto di distribuzione degli eventuali utili. L'organizzazione non deve
distribuire, in nessuna forma, ai propri soci, membri o dipendenti, i profitti
ottenuti. Ciò non vieta di ottenere un ricavo dallo svolgimento delle proprie
attività, ma semplicemente richiede che tale plusvalore sia interamente
reinvestito al fine di migliorare la propria capacità di perseguire il fine per
cui l'ente viene costituito.
12
Cfr., G. BARBETTA (a cura di), in "Senza scopo di lucro", Bologna, 1996, pp. 57 ss.
7
5 La presenza di una certa quantità di lavoro volontario, spontaneo e gratuito.
Sulla base del rapporto tra chi gestisce l'ente non profit e chi beneficia della
sua attività, invece, è possibile distinguere due categorie: quella delle
organizzazioni non lucrative mutual benefit, orientate cioè a promuovere
benefici per gli stessi associati (ad esempio le cooperative di consumo, le
cooperative di lavoro, un'associazione sportiva o un club ricreativo), e quelle
public benefit, orientate a perseguire interessi sociali esterni all'impresa, come
molte organizzazioni di volontariato (gli enti caritativi, gli enti per la tutela
ambientale, ecc…).
La definizione strutturale - operativa, ben lontana dall'essere quella ottimale,
consente tuttavia, grazie alla flessibilità e generalità dei suoi criteri, di essere
applicata in contesti normativi ed economici assai diversificati che vanno dalle
organizzazioni di maggior rilevanza economica a realtà economicamente poco
significative, ma altrettanto importanti nei contesti sociali e culturali nazionali.
8
1.2 La legislazione sulle non profit organizations
1.2.1 I principi costituzionali
La Costituzione italiana del 1948 non contiene appositi principi concernenti il
settore non profit. Tuttavia, si possono ricavare indicazioni significative per
valutare l'aspetto giuridico del settore in Italia.
L'ordinamento costituzionale presenta una concezione della società assai
diversa non solo da quella dello Stato fascista (in cui lo Stato da un lato
cercava di inquadrare le associazioni professionali negli organi dello Stato -
Stato corporativo - e dall'altro manteneva un atteggiamento diffidente verso
ogni forma di associazione), ma anche da quella dello Stato liberale
ottocentesco che considerava esclusivamente gli individui come i soli soggetti
rilevanti nei rapporti con lo Stato.
13
Sulla base di questo passato è possibile comprendere la portata innovativa
della Costituzione, la quale contiene un complesso normativo molto
favorevole alle società intermedie.
L'art.2 recita: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale". Ciò significa riconoscere l'esistenza di realtà
capaci di raggruppare i singoli individui per i più diversi scopi
14
.
13
Cfr., G. PONZANELLI, in Gli enti senza scopo di lucro, Torino, 1996, pp. 15 e ss.
14
Sulla svolta segnata dalla normativa costituzionale vedi in generale, L. MENGHINI, in "Nuovi valori
costituzionali e volontariato", Milano, 1989, pp. 120 e ss.
9
In questo modo i cittadini non sono solo utenti di servizi erogati dall'ente
pubblico, ma essi stessi, associandosi liberamente tra loro, possono rispondere
con iniziative autonome ai bisogni della società.
Al principio fondamentale dell'art.2 si ricollega l'art.18 dove si legge: "I
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini
che non sono vietati ai singoli dalla legge penale". A questa disposizione è
stato attribuito il valore di "norma base della disciplina delle libertà
associative"
15
, infatti, la costituzione sancisce la libertà di associazione e
ribadisce la volontà di garantire il pluralismo e l'autonomia delle formazioni
sociali.
Altro importante principio si ritrova nell'art.3: "E' compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana…". In esso è evidente l'impossibilità dello Stato di perdere
totalmente il suo ruolo nelle politiche sociali, delegando completamente tali
compiti a terzi.
Lo Stato, infatti, deve comunque garantire su un piano di uguaglianza
sostanziale
16
l'assistenza e la previdenza sociale (art.38), l'assistenza sanitaria
(art.32), l'istruzione (artt.33 e 34).
Se da un lato si vede l'immagine di uno Stato impegnato direttamente ad
assicurare un sistema sanitario e un sistema previdenziale che dovrebbe
tendere a soddisfare in modo pieno le esigenze di tutti i cittadini; dall'altro, la
15
Cfr., P. BARILE, voce Associazione (diritto), in Enc. Dir., vol. I, 1958, p. 837
16
Cfr., G. BARBETTA, in op. ult. cit.
10
Costituzione proclama inviolabile la garanzia di un ambito di libertà dei
privati di agire con organizzazioni proprie.
Per fare solo due esempi rilevanti: l'art.38, sancito il diritto all'assistenza
sociale dei cittadini inabili al lavoro e il diritto alla previdenza sociale dei
lavoratori in caso di malattia e vecchiaia, afferma esplicitamente che a tali
compiti provvedono istituti predisposti dallo Stato. Tuttavia al comma
successivo garantisce la libertà dell'assistenza privata. Analogamente, l'art.33
prevede l'istituzione di scuole statali di ogni ordine e grado, ma soggiunge che
enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione.
La costituzione non pone vincoli sulla natura delle organizzazioni che si
propongono di realizzare tali obiettivi. Pertanto esse potranno essere pubbliche
o private e, nel secondo caso, "profit" o "non profit".
11
1.2.2 Le organizzazioni non profit nel Codice Civile
Nel sistema giuridico italiano non esiste una figura "tipica" delle
organizzazioni non profit. Per quanto riguarda le norme del codice civile che
possono contribuire ad individuare un quadro giuridico del settore è necessario
identificare quali siano le forme giuridiche compatibili con le caratteristiche
basilari delle non profit organizations
17
.
Nell'ambito della normativa civilistica, all'espressione "enti senza scopo di
lucro" è stata attribuita, in dottrina e in giurisprudenza, la stessa estensione
riconosciuta alle figure regolate nel Libro I, Titolo II "Delle persone
giuridiche", (artt.11 - 42). Le associazioni, le fondazioni e i comitati, sono
quindi le figure che più si avvicinano agli organismi designati come non profit
e che senza dubbio possono essere utilizzati per la gestione di attività senza
scopo di lucro
18
.
Le associazioni costituiscono un gruppo di persone organizzate per il
raggiungimento di uno scopo comune che deve essere non lucrativo. Possono
essere riconosciute o non riconosciute. Il riconoscimento, atto amministrativo
discrezionale dell'autorità che lo compie, secondo l'art.12 del cod. civ.
attribuisce all'associazione la personalità giuridica, ma non è necessario per
l'esistenza giuridica dell'ente stesso. Nella realtà, la maggior parte delle
associazioni, anche quelle socialmente più rilevanti come i partiti politici e i
sindacati, sono associazioni non riconosciute
19
.
17
Sull'argomento, in generale, vedi, G. PONZANELLI, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino,
1996; Id, Le non profit organizations, Milano, 1985
18
Cfr., AA.VV., G. PONZANELLI, (a cura di), "Gli enti non profit in Italia", Padova, 1994
19
Per un approfondimento sull'argomento, cfr., R. DI RAIMO, Le associazioni non riconosciute:
funzione, disciplina, attività, Napoli, 1996.
12
Le norme del codice civile relative all'organizzazione delle associazioni
riconosciute sono poche ed essenziali. Sono due soli gli organi necessari che
costituiscono la struttura minima dell'associazione: a) l'assemblea degli
associati (artt.20-23 c.c.); b) gli amministratori o consiglio di amministrazione
(artt.18-19 c.c.).
Le fondazioni, invece, la cui disciplina è contenuta negli artt.15, 25, 26,e 28
del c.c., sono enti dotati di personalità giuridica generale, che dispongono di
un proprio patrimonio per il conseguimento di uno scopo socialmente
rilevante.
Tradizionalmente, infatti, esse sono definite come "complesso di beni
stabilmente destinati alla realizzazione di uno scopo altruistico, o c.d. esterno
all'organizzazione, sempre ovviamente di natura ideale"
20
. Strutturalmente le
fondazioni si presentano come una massa patrimoniale, gestita da un
amministratore o da un consiglio di amministrazione per soddisfare le finalità
impresse dal fondatore. Questo modello organizzativo esalta, evidentemente,
l'elemento patrimoniale, e non quello personale, elemento caratteristico delle
associazioni.
Incertezze sembrano riguardare le società cooperative disciplinate nel Libro
V, Titolo VI del codice civile (artt.2551 - 2548), una forma ibrida che in
alcuni casi potrebbe essere assunta dalle organizzazioni non profit.
Esse vengono escluse dalla maggior parte degli studiosi perché non rispettano
il vincolo di non distribuzione dei profitti (art.2536 c. c.) ed operano per fini
mutualistici, cioè esclusivamente a favore dei propri soci.
20
D. VITTORIA, Gli elementi del primo libro del codice civile, in Le fondazioni in Italia e all'estero, P.
RESCIGNO (a cura di), Padova, 1989, p 57.