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Capitolo 1
L’organizzazione come cultura
1.1
Origini dell’approccio culturale
Con l’espressione “cultura organizzativa” si fa riferimento ad un insieme di credenze e di significati
che sono condivisi dai membri di un’organizzazione e che orientano i loro atteggiamenti e
comportamenti nei contesti organizzativi.
Schein (2000) afferma che le decisioni prese senza avere la consapevolezza delle forze culturali in
atto possono produrre conseguenze inattese o indesiderate. Nel corso della realizzazione di
determinati progetti strategici ed organizzativi è ritenuto di fondamentale importanza conoscere il
sistema di principi e di valori che orienta il comportamento degli attori sociali, in quanto tali valori
possono ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo o, al contrario, essere sfruttati come risorsa su
cui ancorare il progetto.
L’ interesse per gli aspetti culturali e simbolici delle organizzazioni emerge implicitamente negli
anni Trenta negli esperimenti condotti dall’èquipe di Mayo (1933) presso gli stabilimenti
Hawthorne della Western Electric Company di Chicago.
Gli studi presso la Hawthorne, iniziati nel 1924 e legati alla scuola statunitense Human Relations
nata tra gli anni Quaranta e Cinquanta, hanno in principio cercato di rilevare il grado di connessione
tra intensità dell’illuminazione e produttività. Il tipo di studio ed il metodo adottato, che prevedeva
oltre alle interviste anche osservazioni dirette, erano influenzati dalle proposte dell’antropologo
W.Lloyd Warner (1898-1970).
Quest’ultimo aveva suggerito di osservare e studiare il gruppo come una piccola società, di usare
tecniche di analisi sul campo di matrice antropologica e di comprendere come la cultura di un
gruppo di lavoro influenzi il comportamento degli individui.
Gli studi alla Hawthorne hanno rilevato che l’aumento della produttività non era attribuibile alla
variazione dell’illuminazione ma all’influenza sociale: questi lavoratori divennero più produttivi a
causa dell’attenzione che gli sperimentatori avevano rivolto loro nel periodo di svolgimento dell’
esperimento.
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Sebbene implicitamente emersa negli anni Trenta, è tuttavia alla fine degli anni Settanta che l’enfasi
sugli aspetti culturali e simbolici dell’organizzazione si afferma come una rottura radicale nei
confronti del pensiero organizzativo allora dominante e del paradigma razionalista ad esso sotteso.
Le ragioni che contribuiscono all’affermazione e allo sviluppo degli studi organizzativi in una
prospettiva culturale sono molteplici.
Innanzitutto, la crescente insoddisfazione di numerosi studiosi nei confronti del “paradigma
sostanzialmente neopositivista” (Benozzo e Piccardo, 2009, p.78) allora dominante e della
proliferazione di ricerche empiriche condotte con metodi quantitativi, approccio che molti
ricercatori giudicano “arido ed infruttuoso poiché dipendente da un modello razionale del
comportamento umano, da un approccio strutturale ai problemi di corporate strategy, e da una
passione per l’analisi numerica” (Martin, Frost, e O’Neill, 2006, p.729).
La prospettiva culturale permette loro l’impiego e l’esplorazione di nuove metodologie volte alla
comprensione e all’ interpretazione dei contesti e dei comportamenti organizzativi secondo modelli
descrittivi olistici (Benozzo e Piccardo, 2009).
In secondo luogo, l’attenzione ai fattori culturali viene favorita dal desiderio di manager e studiosi
di organizzazione di trovare una chiave interpretativa per spiegare la competitività del modello di
produzione giapponese (Peters e Waterman, 1982; Turner, 1990).
Due eventi, rispettivamente negli Stati Uniti e in Europa, appaiono particolarmente importanti
relativamente all’esplosione dell’interesse per lo studio dei fenomeni culturali nelle organizzazioni
(Gagliardi, 1986). Il primo evento è la pubblicazione nel 1979 di un articolo di Pettigrew, “On
studying organizational cultures”, in Administrative Science Quarterly, sui metodi qualitativi nella
ricerca organizzativa. Il secondo è la fondazione nel 1981 dello SCOS - Standing Conference on
Organizational Symbolism - all’interno dell’EGOS - European Group for Organizational Studies.
L’idea dei fondatori è che l’organizzazione, considerata come un fenomeno umano e sociale, debba
essere studiata con un approccio interdisciplinare. L’assunto di base è che, prendendo in
considerazione un solo paradigma, si restringa la possibilità d’interpretazione creativa dei fenomeni
organizzativi e sociali e che il progresso della conoscenza organizzativa possa essere favorito da
uno scambio intellettuale (Gagliardi, 1986).
A partire da quegli anni si sono sviluppate diverse prospettive per lo studio della cultura
organizzativa, intesa come insieme di significati condivisi dai membri di un’organizzazione.
Smircich (1983) distingue cinque differenti approcci:
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Cross Cultural Management
Corporate Culture
Organization Cognition
Organization Symbolism
Structural Psychodynamic Model
Nei primi due approcci (prospettive funzionaliste) la cultura viene considerata una variabile
organizzativa (dipendente o indipendente), avente una funzione strumentale o adattiva rispetto alla
struttura considerata e che contribuisce alla definizione dell’organizzazione stessa (Avallone e
Farnese, 2005).
Nelle altre tre prospettive (prospettive interpretative) la cultura assume invece valore di metafora;
in questo caso l’organizzazione stessa è cultura, non possiede o ha una cultura come avviene nei
precedenti approcci (Smircich, 1983).
La cultura come metafora fondamentale promuove una visione delle organizzazioni intese come
forme espressive, manifestazioni della coscienza umana, da studiare nei loro aspetti simbolici,
concettuali ed espressivi.
L’adesione ad una prospettiva simbolico-interpretativa implica l’assunzione di una visione
costruttivista della realtà, tale per cui la cultura deriva da processi di negoziazione e da dinamiche
d’interazione che producono, riproducono e rivisitano significati condivisi (Riley, 1983; Giddens,
1984) e va dunque vista “come un processo - continuativo ed attivo - di costruzione della realtà
[…] Un fenomeno attivo e vivo attraverso il quale la gente crea e ricrea i mondi in cui vive”
(Morgan, 1986, p.161).
La distinzione tra approcci funzionalisti ed approcci interpretativi nello studio della cultura
organizzativa rimanda alla duplice valenza semantica del termine “cultura” notata da Alvesson e
Berg (1993). Il concetto di cultura racchiude infatti due diversi significati: per un verso, può essere
intesa come elemento di ordine, capace di introdurre stabilizzazione e controllo nella realtà sociale;
per un altro verso, può essere associata al significato originario di “coltivazione” (dal latino
“colere”), sottolineandone il potenziale evolutivo, in quanto “forza trainante dello sviluppo
sociale” (Alvesson e Berg, 1993, p.78).
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1.2
Definizioni di cultura organizzativa
Le prime definizioni di cultura compaiono con la nascita della disciplina antropologica e della
disciplina sociologica (Hatch, 2006).
In antropologia, il termine cultura è stato prevalentemente utilizzato per comprendere ciò che
distingue e rende unici i membri di un gruppo di persone rispetto agli altri. In questo senso la
cultura viene assimilata all’identità di una collettività (Avallone e Farnese, 2005).
Il concetto di cultura distingue la condizione umana da quella delle altre specie viventi, rappresenta
“il modo principale nel quale i gruppi umani variano l’uno dall’altro” (Marks, 1995, p.200) e si
riferisce ai processi di costruzione della realtà che permettono di leggere e comprendere oggetti,
eventi, situazioni, azioni e comportamenti in maniera distintiva e significativa.
L’assimilazione dei gruppi alle culture consente di estendere la metafora culturale alle
organizzazioni, in quanto costituite da gruppi, e permette l’acquisizione di termini e concetti
antropologici all’interno degli studi organizzativi.
Nella prospettiva culturale, le organizzazioni sono forme espressive, cioè insiemi di significati
condivisi e socialmente costruiti, all’interno dei quali sistemi strutturati di simboli condizionano
comportamenti, azioni, pensieri ed emozioni dei membri e, più in generale, la vita organizzativa
(Gagliardi e Monaci, 1996).
L’applicazione del concetto di cultura alle organizzazioni consente quindi di spiegare sia la varietà
dei pattern di comportamento organizzativo, sia i livelli di stabilità nel comportamento di gruppo ed
organizzativo (Schein, 1985).
Numerose sono le definizioni e le interpretazioni di cultura organizzativa proposte dai vari autori.
Come sottolineano Avallone e Farnese (2005), nella maggior parte delle definizioni il concetto di
cultura è associato al gruppo e all’insieme di significati da questo condivisi.
Per Jaques (1951) ad esempio “la cultura della fabbrica sta nel suo modo solito e tradizionale di
pensare e di fare le cose, che è condiviso in misura maggiore o minore da tutti i suoi membri; ogni
membro la deve imparare, o almeno accettare parzialmente, se vuole essere accettato nell’ambito
dell’impresa […] La cultura di uno stabilimento consiste di mezzi e tecniche che sono a
disposizione dell’individuo per gestire le sue relazioni e da cui esso dipende per operare tra e con
altri membri e gruppi” (Jaques, 1951, p.251).
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Jaques è il primo autore ad utilizzare in modo esplicito il termine “cultura” nel contesto aziendale;
egli (Jaques, 1953) conduce ricerche presso il Tavistock Institute di Londra ed è il principale
esponente di una delle linee di pensiero rintracciabili nell’ambito di questa scuola, che sostiene
l’esistenza di un legame tra strutture sociali e psichiche e considera la vita dell’azienda basata su
una continua interazione fra struttura, cultura e personalità, cosicché i cambiamenti che avvengono
in un settore producono effetti anche sugli altri.
Un altro esempio di definizione in cui il concetto di cultura viene associato al gruppo ed all’insieme
di significati da questo condivisi è quella proposta da Pettigrew (1979), per cui la cultura consiste in
un “sistema di significati accettati pubblicamente e collettivamente, che operano per un certo
gruppo in un certo momento. Questo sistema di termini, forme, categorie e immagini aiuta le
persone a interpretare le situazioni in cui si trovano ad essere” (Pettigrew, 1979, p.574).
Anche nella definizione proposta da Siehl e Martin (1984), secondo i quali “la cultura
organizzativa può essere vista come una colla che tiene insieme l’organizzazione attraverso la
condivisione di schemi di significato. La cultura consiste nei valori, nelle credenze e nelle
aspettative che i membri si trovano a condividere” (Siehl e Martin, 1984, p.227), il concetto di
cultura viene chiaramente associato al gruppo ed alla condivisione di schemi di significato tra i suoi
membri.
In modo simile, per Van Maanen (1988) “la cultura si riferisce alle conoscenze che si pensa che i
membri di un certo gruppo condividano in misura maggiore o minore; [è] il tipo di conoscenze che
si dice informi, incarni, formi, e giustifichi le attività, di routine e non, svolte dai membri della
cultura […] Una cultura è espressa (o costituita) soltanto attraverso le azioni e le parole dei suoi
membri e deve essere interpretata da, non consegnata a, il ricercatore […] La cultura non è
visibile in sé, ma è resa visibile soltanto attraverso la sua rappresentazione” (Van Maanen, 1988,
p.3).
Infine, anche la definizione di cultura proposta di Trice e Beyer (1993) richiama i concetti di gruppo
e di insieme di significati da questo condivisi. Per gli autori (Trice e Beyer, 1993) “le culture sono
fenomeni collettivi che incarnano le risposte della gente alle incertezze e al caos intrinseci
all’esperienza umana. Ci sono due principali risposte. La prima è la sostanza di una cultura - quei
sistemi di credenze condivise e cariche di emotività che noi chiamiamo ideologie. La seconda
risposta sono le forme culturali - quelle entità osservabili attraverso cui i membri di una cultura
esprimono, affermano e comunicano l’uno all’altro la sostanza della propria cultura (Trice e
Beyer, 1993, p.2).
Altri autori, come Selznick (1957), principale esponente della prospettiva istituzionalista che
considera le istituzioni come dei fenomeni integrati e condizionati storicamente, costituite da un
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insieme di regole che delimitano lo spazio d’azione e basate su idee, concetti e valori generalmente
accettati da tutti i membri, utilizzano invece il termine cultura per spiegare differenze nel
“carattere” e nelle scelte delle organizzazioni. Il “carattere” rappresenta l’insieme degli assunti di
base della cultura organizzativa (Avallone e Farnese, 2005).
Attualmente, il concetto di cultura è spesso interpretato come l’insieme unitario dei valori, delle
credenze, delle norme esplicite ed implicite, dei modelli di comportamento e dei significati
condivisi che caratterizzano un’organizzazione (Avallone e Farnese, 2005) e che vengono
trasmessi ai nuovi arrivati come elementi fondanti delle attività del gruppo.
In questa prospettiva Schein (1985) definisce la cultura come “un insieme di assunti di base -
inventati, scoperti o sviluppati da un gruppo determinato quando impara ad affrontare i propri
problemi di adattamento con il mondo esterno e di integrazione al suo interno - che si è rivelato
così funzionale da essere considerato valido e, quindi, da essere indicato a quanti entrano
nell’organizzazione come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei
problemi ” (Schein, 1985, p.35).
L’autore (Schein, 2000) considera la cultura come un insieme di forze potenti, nascoste e spesso
inconsce, che orientano il comportamento individuale e collettivo, le modalità percettive, lo schema
del pensiero ed i valori.
Schein (2000) ritiene che la cultura organizzativa in particolare sia importante in quanto questa
determina le strategie, gli obiettivi e le modalità d’azione.
Altri autori invece prendono in considerazione alcuni fattori al fine di individuare, in termini
definitori della cultura organizzativa, il complesso di significati comuni e condivisi che
caratterizzano un’organizzazione e la differenziano rispetto alle altre. Tali fattori riguardano
(Avallone, 1994):
L’ambito e i limiti di autonomia individuale;
Le modalità di presa di decisione;
Il sistema premiante;
La tolleranza del conflitto,della diversità e dell’innovazione;
Le caratteristiche dello stile gestionale e di controllo.
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1.3
Il modello di cultura di Schein
In questo paragrafo verranno delineati alcuni aspetti salienti del modello teorico proposto da Schein
(1980, 1984, 1985, 2000), uno dei maggiori esperti nel campo della cultura d’impresa.
Schein (1985) propone una definizione di cultura organizzativa che non si limita a recepire l’idea
che la cultura è un insieme di significati condivisi che permettono ai membri di un gruppo di
interpretare il proprio ambiente e di agire su di esso, ma che va oltre, cercando di comprendere
quelle che sono le forze dinamiche che regolano il modo in cui la cultura evolve e si modifica
(Schein, 1984).
L’autore (Schein, 1980, 1985), sottolineando che l’errore più comune che si possa commettere nello
studio della cultura di un’organizzazione sia quello di semplificarla troppo, parte dal presupposto
che la cultura esiste a diversi “livelli” e che per arrivare ad una vera comprensione di essa è
necessario capire e saper gestire quelli più profondi.
Di seguito, verranno dapprima illustrati i differenti livelli culturali proposti da Schein (1980), per
poi passare ad analizzare le cinque dimensioni prospettate dall’autore (Schein, 1985, 2000) per lo
studio degli assunti più profondi e radicati alla base della cultura. Si passerà quindi ad esaminare
quelle che sono le funzioni assolte dalla cultura organizzativa secondo Schein (1985) e si terminerà
illustrando le conseguenze dei fenomeni culturali sul funzionamento dell’azienda e sulla
soddisfazione dell’individuo (Schein,1985), dal momento che secondo l’autore (Schein, 2000) la
cultura di un’organizzazione influenza tutti gli aspetti del funzionamento organizzativo.
1.3.1 Comprendere la cultura a diversi livelli
Schein (1980) distingue tre livelli di analisi della cultura organizzativa, che corrispondono a livelli
diversi di profondità: gli artefatti, i valori e gli assunti di base.
Gli artefatti rappresentano l’aspetto visibile e superficiale della cultura, le espressioni tangibili,
visibili e udibili - anche se spesso difficilmente decifrabili in termini culturali - di essa.
Questa categoria comprende strutture e processi organizzativi visibili, oggetti fisici, espressioni
verbali e manifestazioni comportamentali. Ne sono esempi la struttura fisica e sociale degli
ambienti di lavoro, l’architettura degli edifici, le creazioni e le espressioni artistiche, le cerimonie e i
rituali, i racconti, il linguaggio scritto e parlato, i comportamenti manifesti dei membri, le
tecnologie utilizzate.
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“A livello di artefatti la cultura è molto chiara e ha un immediato impatto emotivo” (Schein, 2000,
p.26). Tuttavia gli artefatti, per la loro stessa natura, si prestano a molteplici interpretazioni e
possono dar luogo ad inferenze non corrette e non coerenti con gli altri livelli culturali.
I valori dichiarati rappresentano il secondo livello di analisi della cultura ed includono strategie,
obiettivi e filosofie, ovvero giustificazioni dichiarate, che definiscono ciò che sta a cuore ai membri
di un’organizzazione. Essi costituiscono la base del giudizio riguardo ciò che è giusto o sbagliato e
la loro traduzione in comportamenti è regolata da norme esplicite e da ideologie.
Il livello degli artefatti e quello dei valori sono da considerarsi come “emanazioni” di un livello più
profondo, quello degli assunti di base.
Quest’ultimo livello costituisce l’essenza della cultura di un’organizzazione, rappresenta ciò che i
membri di una cultura considerano come verità indiscussa e condivisa ed include convinzioni
inconsce e date per scontate, percezioni, pensieri di base e sentimenti.
Gli assunti dati per scontati sono molto potenti poiché sono meno discutibili e confrontabili dei
valori dichiaratamente accettati (Schein, 1984).
Gli assunti hanno origine da valori e da credenze inizialmente proposti dal fondatore, che dando
luogo ad esperienze di successo, vengono successivamente accolti e condivisi tra gli altri membri
trasformandosi in assunti impliciti, che vengono sempre più dati per scontati, sfuggendo alla sfera
della consapevolezza. Non tutti i valori tuttavia subiscono questa trasformazione, ma solo quelli che
si dimostrano efficaci nel tempo e proprio questi svolgono l’importante ruolo di porsi come base
necessaria al mantenimento del gruppo (Schein, 1985, 2000).
Gli assunti, una volta scoperti, sono in grado di spiegare la gran parte dei comportamenti osservabili
a livello di artefatti.
1.3.2 Scoprire gli assunti alla base della cultura
Tra gli assunti di base da cui si origina la cultura alcuni sono più profondi e generali, relativi a
questioni determinanti, mentre altri sono più superficiali e possono essere dedotti da quelli più
profondi. Entrambi i tipi di assunti sono importanti, ma per comprendere in profondità una cultura
bisogna scoprire quelli più radicati. Schein (1985, 2000), a tale scopo, partendo dalla sua esperienza
personale e dallo studio comparato di alcune culture della parte sud-occidentale degli Stati Uniti ad
opera di Kluckhorn e Strodtbeck (1961), prospetta le seguenti cinque categorie logiche per lo studio
degli assunti:
I rapporti del genere umano con la natura. Questa prima dimensione è relativa al
tipo di rapporto (dominante, sottomesso o armonico) che l’organizzazione ha con il
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suo ambiente. Nel momento in cui le aziende analizzano la loro strategia, cercano di
confermare gli assunti sull’ambiente prima di decidere in merito agli obiettivi e ai
mezzi. La salute dell’azienda, infatti, è legata alla sua abilità di controllare gli assunti
iniziali, valutando se essi continuano ancora ad essere validi in funzione
dell’evoluzione dell’ambiente e dell’organizzazione stessa. L’azienda deve riuscire
ad ottenere dall’ambiente valide informazioni, trasmetterle alle persone giuste al suo
interno, elaborare le necessarie informazioni relative alla strategia, agli obiettivi e ai
mezzi e misurare i risultati. Il rapporto tra organizzazione e ambiente non riguarda
solo il dominio e la sottomissione ma anche il considerare alcuni aspetti come la
tecnologia, la politica o l’economia che possono essere rilevanti per la gestione
(Schein, 1985, 2000).
La natura della realtà e della verità. Si deve considerare che esistono diversi livelli
di realtà e diverse concezioni di verità. La realtà può riguardare diverse aree: a) la
realtà fisica esterna, determinata con verifiche obiettive e scientifiche (un pezzo di
vetro si rompe con il martello); b) la realtà sociale, quella su cui concorda il gruppo
ma che non è verificabile all’esterno (come le opinioni politiche e religiose); c) la
realtà individuale, data dall’esperienza del singolo che non può essere condivisa con
nessuno (Schein, 1985, 2000).
Secondo Van Maanen (1979), essa è a sua volta il prodotto dell’apprendimento
sociale e quindi, per definizione, una parte di cultura data.
Hall (1977), a questo proposito, distingue culture di “alto consenso”, nelle quali il
significato delle parole e delle azioni dipende da chi sta parlando e dalle condizioni
in cui lo sta facendo e quelle di “basso consenso”, in cui non esiste tale distinzione.
Weber (1947) parla di sei dimensioni: 1) il puro dogma basato sulla tradizione e/o
religione; 2) il dogma rivelato, basato sulla fiducia in uomini saggi, leader formali,
profeti o re; 3) la verità derivata da un processo razionale-legale, non basato sulla
verità assoluta ma socialmente determinata; 4) la verità data da ciò che resiste al
conflitto e al dibattito; 5) la verità basata su ciò che funziona; 6) la verità stabilita
con metodi scientifici.
Molto interessante è anche l’analisi sugli assunti di tempo e spazio, che sono “i più
difficili da decifrare, ma anche i più decisivi nel determinare quanto a proprio agio
ci si sente in ogni dato ambiente” (Schein, 2000, p.58).
Per quanto riguarda gli assunti sul tempo, secondo Hall (1959, 1966), le culture
variano nel grado in cui considerano il tempo come una risorsa lineare, che una volta
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speso non può più essere riguadagnato. In ogni data unità di tempo può accadere una
sola cosa. Hall (1977) afferma che negli Stati Uniti molti manager considerano il
tempo “monocronico”, cioè rappresentabile su una linea divisibile all’infinito, sulla
base della quale si può fare una cosa per volta. In altre culture invece, come quelle
dell’Europa Meridionale e Medio Orientali, il tempo è più ciclico e viene considerato
“policronico”, non scandito dalle ore ma in funzione di quanto si realizza, all’interno
del quale si possono svolgere più attività contemporaneamente (Schein, 1985, 2000).
L’essere puntuali o in ritardo può avere significati diversi in differenti contesti
culturali. Mentre nei Paesi Latini essere in ritardo può essere giudicato consueto ed
appropriato, un simile comportamento nei Paesi dell’Europa del Nord viene
considerato come un insulto (Schein, 2000).
Anche lo spazio, come il tempo, ha importanti significati simbolici. La collocazione
di una persona in rapporto agli altri riflette la distanza sociale e l’appartenenza al
gruppo. In alcune culture lo spazio sociale è definito da indicatori fisici quali
divisori, pareti, barriere acustiche, il contatto visivo, la posizione del corpo ed altri
modi che servono a garantire il rispetto della privacy. All’interno delle
organizzazioni, la divisione degli spazi può costituire un importante indicatore della
cultura sottostante. Ad esempio, di solito gli uffici più grandi e con una vista
migliore sono riservati alle persone con status più elevato (Schein, 1985, 2000).
La natura della natura umana. Ogni società ha una propria concezione dell’uomo.
Alcune lo considerano fondamentalmente cattivo, altre fondamentalmente buono e
altre ancora in grado di essere sia buono che cattivo. In questo quadro, McGregor
(1960) distingue il modo in cui il singolo considera i suoi simili. La teoria X ritiene
che la gente sia fondamentalmente pigra e quindi debba essere motivata e
controllata; la teoria Y, al contrario, pensa alle persone come a esseri motivati e
quindi non da controllare, ma da guidare. In ogni cultura esistono anche assunti
relativi ai rapporti del singolo rispetto al gruppo. Nella maggior parte delle
organizzazioni sia il sistema di incentivi che il sistema di controllo sono basati sugli
assunti che riguardano la natura umana e se questi assunti non sono condivisi dai
membri di un’organizzazione diventa difficile pianificare un sistema coerente
(Schein, 1985, 2000).
La natura dell’attività umana. Ogni cultura possiede assunti diversi su come operare,
che riflettono gli assunti sulla natura umana e sul rapporto del gruppo con
l’ambiente. Ad un estremo c’è la “tendenza ad agire”, legata all’assunto secondo cui
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la natura può essere controllata e manipolata, ad un atteggiamento pragmatico verso
la natura della realtà e alla fiducia nella perfettibilità della natura umana. All’
estremo opposto c’è la “tendenza ad essere”, collegata alla tesi secondo cui l’umanità
è sottomessa al potere della natura. Questa tendenza implica un certo fatalismo sulla
base del quale, non potendo influenzare la natura, si deve accettare quanto ci viene
dato. La terza tendenza, collocata tra i due estremi, è relativa all’ “essere nel
divenire” secondo cui l’individuo, attraverso il distacco, la mediazione, ed il
controllo di ciò che è gestibile (per esempio, emozioni e funzioni corporali), deve
raggiungere l’armonia con la natura (Schein, 1985, 2000).
La natura delle relazioni umane. Ogni gruppo possiede degli assunti sulle relazioni
tra i suoi componenti affinché risultino stabili ed armoniose. Gli assunti relativi ai
rapporti devono risolvere i problemi di potere, influenza e gerarchia, di intimità,
amore e rapporti tra pari grado, riflettendo in questo modo gli “assunti sulla natura
della natura umana”. Se si ipotizza, ad esempio, che l’uomo sia fondamentalmente
aggressivo, si avrà un tipo di relazione tra i membri basata sulla difesa
dall’aggressività; al contrario, se si ipotizza che l’uomo sia portato a cooperare, gli
assunti relativi ai rapporti indicheranno come cooperare per conseguire gli obiettivi
esterni (Schein, 1985, 2000).
1.3.3 Funzioni della cultura organizzativa
Dalla definizione di cultura proposta da Schein (1985) emergono due funzioni fondamentali della
cultura organizzativa: la gestione dei problemi di adattamento alla realtà esterna e l’integrazione
delle risorse interne rispetto a valori, missioni, visioni, obiettivi, modalità operative comuni.
I problemi di adattamento esterno
Questi riguardano la definizione data dal gruppo e dal leader all’ambiente esterno ed il modo in cui
sopravvivere ad esso; essi si basano sul corso di attività che ogni sistema deve svolgere per gestire
l’ambiente esterno in continua evoluzione. Schein (1984, 1985, 2000) individua cinque problemi
essenziali:
1. Il consenso sulla missione centrale, sul compito primario, sulle funzioni manifeste e latenti.
Ogni gruppo, per poter sopravvivere, deve concordare sulla sua missione, che è lo scopo
principale della sua esistenza. La missione centrale o il compito primario possono cambiare
se cambia l’ambiente interno e/o esterno, ma in ogni momento esiste sempre una questione
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prioritaria di sopravvivenza, la soluzione della quale diventa potenzialmente un elemento
culturale decisivo. Ogni missione ha degli obiettivi, i quali devono comunque essere comuni
al gruppo (Schein, 1984, 1985).
2. Il consenso sugli obiettivi operativi derivanti dalla missione. Per ottenere il consenso sugli
obiettivi, il gruppo deve avere un linguaggio condiviso e degli assunti sulle operazioni
logiche fondamentali, tramite i quali si passa da qualcosa di generico o astratto, come il
senso della missione, allo scopo concreto del suo lavoro. Avere degli obiettivi comuni non è
sufficiente però per svolgere il compito primario, occorre un chiaro consenso sui mezzi
attraverso i quali raggiungere tali obiettivi (Schein, 1984, 1985).
3. Il consenso sui mezzi. I mezzi utilizzati (tecnologia, capacità e conoscenze acquisite)
diventano parte integrante della cultura se c’è accordo sul loro utilizzo e se il gruppo ha alle
spalle una storia condivisa. Possono quindi essere considerati un tramite attraverso il quale
si passa dalla missione agli obiettivi concreti. Il raggiungimento degli obiettivi aziendali,
anche se diretti verso l’esterno, richiede la creazione di una struttura interna al gruppo, la
quale, insieme al modo in cui sono distribuiti i ruoli, le risorse ed i compiti, riflette sia le
intenzioni dei fondatori rivolte all’esterno che le dinamiche interne dei membri
dell’organizzazione (Schein, 1984, 1985).
4. Il consenso sui criteri per valutare i risultati. L’azienda deve essere in grado di valutare il
lavoro per rilevare e correggere eventuali varianze. I canoni che definiscono un lavoro
svolto correttamente sono alla base della valutazione e devono essere accettati da tutti, in
quanto una diversa valutazione dei risultati non può condurre a misure correttive
appropriate. Per lo stesso motivo, il consenso deve essere raggiunto anche con riferimento
ai mezzi attraverso i quali raccogliere le informazioni in modo che tutti lavorino in base agli
stessi parametri (Schein, 1984, 1985).
5. Il consenso sulle strategie correttive. Nel momento in cui la politica attuale non garantisce
più i risultati attesi, bisogna adottare strategie correttive. Le situazioni di crisi evidenziano
importanti elementi della cultura ed in particolare elementi legati all’integrazione interna.
Nelle aziende di prima generazione, le crisi rivelano alcuni degli assunti più profondi dei
fondatori e nel momento in cui questi saranno noti, potranno diventare la base sulla quale
elaborare la cultura del gruppo (Schein, 1984, 1985).
I problemi d’integrazione interna
Essi sono relativi alla creazione di relazioni positive e di un’atmosfera piacevole all’interno del
gruppo. Il sistema di integrazione interna sarà influenzato ed influenzerà a sua volta il sistema di
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adattamento esterno. Le questioni interne che vanno affrontate da ogni gruppo che vuole funzionare
come sistema sociale, sono le seguenti (Schein, 1984, 1985, 2000):
1. Lo sviluppo di un linguaggio comune e di categorie concettuali comuni. Ogni gruppo deve
possedere un sistema di comunicazione ed un linguaggio che permette ai membri di
comprendersi. Il problema della comunicazione è legato al fatto che ogni soggetto, nel
momento in cui entra a far parte di un gruppo, ha delle categorie di significati diverse da
quelle degli altri membri. Lo sforzo comune sarà teso a creare delle categorie condivise. In
genere, i gruppi sviluppano sistemi linguistici non solo per costruire il consenso e per
sopravvivere, ma anche per difendersi e darsi un senso d’identità con un gergo, solitamente
tecnico, che solo gli interni possono comprendere (Schein, 1985, 2000).
2. Confini del gruppo e criteri per esserne inclusi ed esclusi. I criteri per entrare a far parte di
un gruppo sono inizialmente stabiliti dal leader o dal fondatore, ma nel momento in cui i
membri interagiscono, tali criteri sono verificati e si crea consenso solo su quelli che
superano tale verifica. È possibile rilevare assunti e valori dall’analisi dei requisiti che i
soggetti devono possedere per entrare a far parte del gruppo ed attraverso la storia delle
carriere. Se non c’è consenso circa le caratteristiche da evidenziare, probabilmente il gruppo
non ha un’unica cultura, ma può possedere più “sottoculture” (Schein, 1985, 2000).
3. Il consenso sui criteri di differenziazione di potere e status. Per ogni gruppo, questo è uno
dei passi più importanti. I fondatori, inizialmente, influenzano questo processo attribuendo
maggior potere ai membri di loro fiducia, i quali garantiscono in un certo senso le loro idee.
È comunque vero che, anche nella fase iniziale, le norme che poi verranno condivise sono il
risultato di colloqui fra i membri circa ciò che il fondatore vuole imporre. Ogni volta che
verrà inserito un nuovo membro sarà necessaria una fase di aggiustamento per collocare il
nuovo arrivato al livello di stratificazione più adatto alle sue caratteristiche (Schein, 1985,
2000).
4. Le relazioni tra pari grado: consenso sui criteri di intimità, amicizia e amore. Ogni cultura
distingue chiaramente i ruoli sessuali, i legami di parentela e le regole di amicizia e amore
che servono a stabilizzare le relazioni esistenti e garantiscono i meccanismi di procreazione
e quindi la sopravvivenza della società. Le questioni riguardanti il sesso e la procreazione
sono irrilevanti solo se si considera un’ azienda familiare interessata a garantire la
successione. Per tutti gli altri tipi di rapporti, sono molto importanti le regole che si sono
apprese dalla famiglia d’origine; queste costituiscono il primo modello per trattare con
persone che hanno maggiore autorità e per instaurare rapporti tra pari grado (Schein, 1985,
2000).
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5. Il consenso sui criteri per distribuire ricompense e sanzioni. Il modo in cui sono assegnate
ricompense e punizioni è una delle caratteristiche distintive di un’ organizzazione. Alcune
organizzazioni si basano principalmente su ricompense simboliche (ad esempio,
approvazione da parte del capo), mentre altre su ricompense economiche (ad esempio,
aumenti di stipendio e bonus). Anche l’analisi del modo in cui si “premia” e si “punisce”
può mostrare quali sono gli assunti fondamentali sulla base dei quali si lavora. Quando si
riesce a stabilire quali siano le modalità premianti e quelle in base a cui si punisce, si può
dedurre quali siano le convinzioni e gli assunti che sottostanno a queste valutazioni (Schein,
1985, 2000).
6. Religione e ideologia. Ogni gruppo può trovarsi di fronte a situazioni che sfuggono al
proprio controllo e a fatti che sono misteriosi ed imprevedibili. In questo caso, quando non
si è in grado di spiegare un evento, si deve trovare un contesto significativo in cui questo
possa essere inserito per essere compreso. La religione può rappresentare questo contesto, in
quanto spiega ciò che non è spiegabile ed offre linee di condotta per sapere cosa fare in
circostanze ambigue, incerte e pericolose. Le linee di condotta creano l’ideologia, cioè un
insieme di valori che servono come regole di comportamento soprattutto in situazioni
difficili da comprendere e da gestire. L’ideologia sarà basata sulla religione o sulla scienza a
seconda dei principi su cui si basa la società; essa si forma in caso di situazioni difficili da
gestire ma che sono state superate con successo (Schein, 1985, 2000).
Oltre a risolvere i problemi di adattamento esterno e d’integrazione interna, la cultura secondo
Schein (1984, 1985) svolge anche una terza funzione, ossia quella di ridurre l’ansia che i soggetti
provano a fronte di situazioni incerte ed ambigue. In questo caso la cultura è in un certo senso il
punto fermo dell’organizzazione, dalla quale i membri traggono le informazioni necessarie alla loro
sicurezza. Gli assunti possono essere considerati come una serie di filtri attraverso i quali si possono
selezionare le informazioni dell’ambiente per ridurre la sensazione d’incertezza e di carico
eccessivo. È proprio per questo motivo che istintivamente ci si oppone ai cambiamenti culturali, in
quanto rinunciare agli assunti significa lasciare la stabilità in vista di una situazione ignota, a
prescindere dal fatto che i nuovi assunti potrebbero rivelarsi addirittura più funzionali.
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1.3.4 Conseguenze dei fenomeni culturali sul funzionamento dell’azienda e sulla soddisfazione
dell’individuo
L’analisi della vita organizzativa mette in evidenza come la cultura dell’organizzazione può
coinvolgere ed influenzare i diversi momenti, come può essere causa di problemi e come, allo
stesso tempo, possa essere in grado di risolverli.
Secondo Schein (1985) è necessario un esame delle questioni culturali a livello di azienda per
comprendere quanto succede all’interno delle aziende, come gestirle e come migliorarle.
Gli effetti della cultura sulla strategia. Le aziende cercano spesso di introdurre nuove strategie
funzionali dal punto di vista finanziario e del marketing, ma se queste non collimano con gli assunti
di base possono creare conflitti. È importante , quindi, che un’organizzazione conosca la sua cultura
e le sue sottoculture, per poter usare questa conoscenza come forza strategica. Allo stesso tempo, il
cambiamento per essere efficace deve modificare gli assunti più profondi. Se, ad esempio, si
trasforma la struttura organizzativa senza coinvolgere gli assunti sottostanti, si otterrà un
cambiamento riguardante solo gli artefatti ma non gli assunti di base della cultura. Quando
un’organizzazione ha una solida cultura alle spalle, non si possono modificare gli artefatti senza
variare gli assunti relativi, se non correndo il rischio di un cambiamento poco efficace e duraturo
(Schein, 1985).
Le fusioni, le acquisizioni e le diversificazioni non riuscite. Quando un’azienda decide di fondersi o
acquisirne un’altra, solitamente controlla la solidità finanziaria, la posizione sul mercato, la forza
del management, ma molto raramente va ad analizzare la sua cultura organizzativa. D’altra parte,
come precedentemente affermato, la cultura determina e definisce la strategia, quindi un’errata
combinazione culturale tra due aziende è un fattore di rischio così come un’errata combinazione a
livello finanziario, di prodotto o di mercato. Problemi analoghi si verificano quando le
organizzazioni si estendono in nuove aree geografiche o quando adottano nuove tecnologie, nuove
linee di produzione o penetrano in nuovi mercati. In tutti questi casi incontreranno sottoculture
professionali o regionali che richiederanno, per ottenere risultati, comportamenti manageriali
appropriati. È quindi necessario anteporre ad una fusione o acquisizione un’ attenta analisi culturale
che metta in evidenza gli assunti comuni e quelli discordanti per poter lavorare su quest’ultimi
(Schein, 1985, 2000).
I conflitti tra i gruppi all’interno dell’azienda. Un gruppo può crearsi per diversi motivi (vicinanza
fisica, stessa posizione lavorativa, ecc.) ed una volta che avrà costruito una sua storia avrà anche
acquisito una sua cultura. Spesso tra gruppi nascono dei conflitti dovuti proprio all’esistenza di più
culture, ma questi possono risultare utili, allo stesso tempo, per rafforzare la propria identità e
mantenere la cultura interna. Le difficoltà di comunicazione sono sicuramente tra i problemi