Introduzione
La scintilla che ha acceso e motivato il seguente lavoro, è germogliata sul fascino che
il rischio, prima in un contesto generale e poi in uno specifico ambito economico, genera per
sua natura. Nella vita quotidiana di ognuno, ogni giorno, qualsiasi tipologia di rischio
contraddistingue le nostre scelte, alimenta i nostri timori, rafforza quelle certezze che
utilizziamo come scudo per fronteggiare le avversità. Così in un ambito marcatamente più
economico, il rischio e la volatilità che contribuisce a qualificarne la gravità, giocano un ruolo
essenziale sulle strategie degli operatori economici, sui piani di sviluppo futuri di questi
ultimi, nonché sullo stato di salute attuale e prospettico che gli stessi possono vantare. Il
rischio, da un certo punto di vista, può essere letto sia come virus infettivo che minaccia il
punto di “equilibrio relativo”, raggiunto da un determinato sistema socio-economico, sia
come opportunità di crescita e di sviluppo per lo stesso, in quanto puro condensato di
variabilità sistemica. Come le forze più significative che ci circondano quindi, presenta questa
netta dualità, derivante principalmente dall’alto grado di reattività informativa che lo connota.
Il rischio e la volatilità che lo qualifica, posso preannunciare periodi di crisi; ma nel contempo
anche opportunità evolutive in un ottica sistemica; non è un caso che nella cultura cinese,
l’ideogramma che sta ad indicare la crisi, è composta da wei che significa pericolo (indicato
col simbolo del fuoco) e da ji, che indica opportunità:
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Vedremo quindi, come in letteratura fin dai primi del Novecento, il concetto di rischio
è stato sempre strettamente connesso a quello di incertezza. Si vedrà come, solo in un contesto
sistemico caratterizzato da incertezza, può scaturire la nozione di rischio; e di conseguenza
come quest’ultimo faccia riferimento essenzialmente a quel grado di “’incertezza misurabile”
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che si riesce a rilevare dallo sfondo. “Incertezza misurabile” che va distinta da quella “tout
court” che, non si riesce a staccare dalle pareti informative, dentro cui i ricercatori operano. Si
passerà poi ad analizzare le varie definizioni di “rischio”, nonché le relative tipologie ed
infine a definire la volatilità vera e propria, come variabilità nel tempo della componente di
rischio. La volatilità è una misura del rischio che l'investimento in attività finanziarie
comporta per l'investitore. Esprimendo l’ampiezza delle variazioni subite dal prezzo di un
titolo; va a definire la minore o maggiore facilità con cui tale prezzo varia al variare del
rendimento richiesto. Anche qui si è provveduto a distinguere le cause e le varie tipologie di
volatilità comunemente identificate dagli operatori ed ad analizzare come quest’ultima incida
sul rendimento dei prodotti finanziari.
Per lo studio della volatilità, si è fatto ricorso a diversi modelli
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che nella pratica
economico-finanziaria sono tenuti in considerazione per la misurazione della stessa. L’analisi
è stata incentrata sul sentiero evolutivo tracciato dallo S&P/Mib, uno dei più significativi
1
Sulla base, degli strumenti scientifici in dotazione dei ricercatori, nel frangente storico considerato.
2
Preannunciamo, che scopo di qualsiasi modello è quello di ridurre la complessità sistemica che
caratterizza la grandezza oggetto di indagine. La loro natura perciò è essenzialmente riduttiva e parziale, in
quanto presuppongono che solo alcune grandezze, siano significative per la spiegazione completa del fenomeno.
Il tipo di interpretazione da attribuire agli stessi perciò, non può prescindere da tali considerazioni.
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indice azionari del mercato finanziario italiano
1
; e da qui, si è partiti analizzando da prima la
serie storica dei rendimenti dello stesso
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e quindi ad applicare il metodo storico, per lo studio
della volatilità. Ottenendo, come risultato un tasso di variabilità giornaliera assai ridotto, pari
allo 0,014%. Misura che si assottiglierà ulteriormente passando al modello che incorpora
informazioni aggiuntive (massimi e minimi di prezzo durante la seduta d’asta, presenza di
open jumping, etc), per attestarsi attorno al valore dello 0,01%. Il modello più robusto per la
stima della volatilità, contemplato nel presente lavoro, è pero rappresentato dai modelli
GARCH, che includono nella loro struttura di base, una volatilità
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che dipende da un numero
di ritardi infiniti. Mediante quest’ultimo modello si è pervenuti ad un stima della varianza di
lungo periodo che si attesta sul valore dello 0,01%.
Successivamente, si è cercato di integrare queste informazioni con l’andamento
generale dell’economia mondiale, selezionando le serie storiche sia dei principali indicatori
borsistici mondiali, sia di quegli indici che secondo noi potevano chiarire meglio l’andamento
dello S&P/Mib per ragioni di vicinanza geografia ed identità economica. Gli indici in
questione sono pertanto i seguenti:
1
Quotato dal 02/06/03 fino al 01/06/09, ha rappresentato il benchmark di riferimento per il mercato
borsistico italiano.
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Sono state registrate e analizzate, 180 osservazioni giornaliere dell’indice in questione. Come avremo
modo di approfondire in seguito infatti, siccome la volatilità cambia nel tempo dati troppo vecchi possono non
essere rilevanti per le stime dei suoi valori futuri. La scelta di aumentare la dimensione del campione, infatti,
costituisce un’arma a doppio taglio. Se da un suo aumento, migliora, a parità di altre condizioni, la precisione
delle previsioni; dall’altro introduce la possibilità che la serie storica si ritrovi “macchiata” da cambiamenti
strutturali.
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Intesa come errore di previsione, nella serie storica generativa del rendimento di un titolo.
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Da principio, si è misurata, la semplice correlazione esistente con lo S&P/Mib. In un
secondo momento invece, con il metodo delle componenti principali, gli indici sono stati
ordinati secondo un principio di variabilità informativa decrescente, al fine di poter
apprezzare i più significativi. Infine, con l’analisi fattoriale, siamo riusciti a proiettare, quelle
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forze “invisibili” che stanno alla base del fenomeno studiato; ma che per loro natura non
posso essere rilevate sul mercato. In questo veloce excursus introduttivo, sottolineiamo
innanzitutto una fortissima correlazione con i principali indici del mercato borsistico
nazionale, un buon legame con la realtà europea ed infine una connessione sostanzialmente
discreta con le vicende borsiste degli Stati Uniti d’America. Risultato se non banale,
assolutamente intuitivo. Con il metodo delle componenti principali però, si riesce ad
apprezzare il salto qualitativo, che da questa massa informativa indistinta, non si riuscirebbe
altrimenti a sottolineare. Ordinando la varianza, e quindi la reattività esplicativa presente nei
dati, si individueranno due componenti che, a ragion veduta saranno in grado di riassumere la
fenomenologia studiata. La prima componente contempla, informazioni a carattere economico
per lo più internazionale; la seconda invece, una rilevanza ambigua, che si divide fra due
indici, uno americano il Nasdaq e l’altro italiano le All Star. Ambiguità, che verrà infine
interamente dissolta con lo studio dei fattori. Partendo dai questi risultati, attraverso diverse
prove e riflessioni, si arriverà a dimostrare che vi sono due forze “invisibili” che trainano
l’andamento delle borse mondiali, che si sostanziano essenzialmente con le aspettative degli
operatori economici. La prima e la più importante, riguarda le aspettative sull’economia
mondiale, la seconda invece si ricollega alle aspettative economiche riguardanti la zona euro.
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VOLATILITA’:
natura e connessioni.
1.1 L’Incertezza ed il Rischio
Nel corso degli anni, il concetto di rischio è stato caratterizzato da mutevoli
configurazioni e interpretazioni da parte dei cultori delle materie socioeconomiche. Un
rischio, di per se, esiste sempre, nel momento in cui sussiste incertezza su quale stato tra gli
infiniti possibili in natura, si manifesterà in un dato momento nel futuro. La casualità con cui
si manifestano i diversi stati di natura, è condizione costitutiva ed imprescindibile di tutte le
ipotesi di decisioni, prese in condizioni di incertezza. De Finetti, sottolinea che, l’incertezza in
questione, costituisce lo sfondo, sul quale ogni individuo prende qualsiasi tipo di scelta e
dunque, compone la matrice di qualsiasi rischio. Di conseguenza, l’esistenza di un rischio è
un problema strettamente connesso a quello dell’esistenza dell’incertezza. Il quesito
definitorio, della differenza tra rischio ed incertezza, ha interessato la letteratura di carattere
teorico fin dai primi del Novecento. Gran parte degli studiosi, è concorde nel far risalire al
pionieristico lavoro del 1921
1
, dell’economista Frank Knignt dell’Università di Chicago, il
1
“L’Incertezza va considerata in un senso radicalmente distinto dalla nozione familiare di Rischio, dalla
quale non è mai stata propriamente separata[...]. Il fatto essenziale è che "rischio" significa in alcuni casi una
quantità suscettibile di misura, mentre altre volte è qualcosa distintamente non di questo tipo; e ci sono
differenze cruciali e di vasta portata nell'influenza di questi fenomeni a seconda di quale dei due è realmente
presente ed operante[...]. Si comprenderà che un'incertezza misurabile, o propriamente "rischio", per come
useremo il termine, è così tanto differente da una non misurabile che in effetti non è un'incertezza affatto” (Risk,
Uncertainty and Profit; trad. it. 1960
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primo tentativo di definizione dei concetti di rischio e di incertezza. Secondo Knight, è
possibile distinguere tra “incertezza misurabile” ed “incertezza non misurabile”, dove si può
adottare il termine “rischio” per la prima e “incertezza” per la seconda. Questa
configurazione, riflette una costruzione logica, che permette di pervenire alla distinzione tra
un concetto di probabilità oggettiva (approccio soggettivista) e uno di natura soggettiva
(approccio soggettivista). Differenziazione, che è stata sorgente di un intenso dibattito
scientifico, non solo fra i matematici, ma anche fra illustri economisti. Kenneth Joseph Arrow,
per esempio, fa riferimento all’incertezza come condizione soggettiva. L’incertezza nelle
conseguenze di un dato evento perciò, è insita già, nella mente del soggetto che si presta alla
scelta, perciò quest’ultima, risulterà già presente nella sua testa. Introducendo così,
l'approccio ormai generalmente accettato, secondo cui, l'atto di prendere una decisione risulta
connatura da una assoluta relatività. Non solo perché, la decisione presa dipende dalle
condizioni soggettive e dalle preferenze di colui che la prende, ma anche perché si dimostra
funzione delle informazioni a disposizione del soggetto e della distribuzione di probabilità che
le distingue. Nel 1950 Abraham Wald associa il concetto di rischio, ad un problema di scarsità
di informazioni. Secondo questi, quando si utilizza una particolare funzione di decisione, il
rischio è la somma di costi di sperimentazione attesi e di perdite attese, dovute a decisioni
finali errate; mentre Pfeffer, un economista delle assicurazioni, affermava che “il rischio è una
combinazione di azzardo, ed è misurato: dalla probabilità di incertezza e dal grado di fiducia
individuale. Il rischio, quindi, è uno stato del mondo, mentre l’incertezza è uno stato della
mente”. Riassumendo, l’incertezza, fa riferimento, essenzialmente, ad una situazione in cui,
alcuni rendimenti e le relative probabilità non sono note; a differenza di quanto accade per il
rischio. In questo caso infatti, sebbene non si sia certi, del risultato dell’investimento, si è in
grado di prevedere, quanto sia probabile ogni singolo risultato. Da ciò, emerge come
l’incertezza, corrisponda a ciò che l’investitore tende naturalmente a fronteggiare. Tuttavia,
mentre il rischio, può essere agevolmente misurato con semplici strumenti statistici (dato che
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attorno allo stesso si è sedimentato un supporto teorico generalmente accettato); altrettanto
non può dirsi per l’incertezza, che sfugge ancora, ad una misurazione obbiettiva
1
.
In campo finanziario, il rischio assume un rilievo particolare dato che l’oggetto stesso
della produzione (ovvero tutte le voci dell’attivo e del passivo di qualunque intermediario)
sono rappresentate da strumenti che essendo proiettati nel futuro, presentano intrinsecamente
tutte le tipologie di rischio collegate all’incertezza. Di conseguenza la sua analisi, assume una
rilevanza fondamentale sia dal punto di vista strettamente aziendale e microeconomico; sia
dal punto di vista di dell’equilibrio e dell’efficienza del sistema finanziario
2
nel suo
complesso. La dottrina economico-aziendale, individua una configurazione di rischio, che si
discosta dall’insegnamento che invece viene comunemente impartito dall’economia degli
intermediari finanziari. Per la prima infatti, il rischio si manifesterà solamente se la variabile
oggetto di studio, estrinsecherà realizzazioni inferiori al valore previsto. Principi teorici
alternativi invece, sostengono come il rischio, si presenti esclusivamente in forma simmetrica:
ovvero come variazione positiva da un obiettivo di equilibrio prefissato. Quest’ultima
conformazione, scaturisce dall’analisi della gestione degli intermediari finanziari. Gestione,
che presenta di per se, tre vincoli inalienabili:
• vincolo monetario: inteso come la capacità di far fronte a richieste di rimborso
delle passività ed agli impegni assunti con le attività;
• vincolo economico: ovvero l’attitudine di fronteggiare le obbligazioni di
pagamento in condizioni di redditività;
• vincolo patrimoniale: ossia la capacità di far fronte alle obbligazioni di
pagamento mantenendo il seguente rapporto:
Capitale
Passivo
Attivo
- Proprio > 1
1
Nonostante questa radicale distinzione tra i due concetti, in seguito si utilizzeranno entrambi come
sinonimi per agevolare la comprensione dell’intero lavoro.
2
Ove, per sistema finanziario, viene comunemente identificato, l’insieme di intermediari e mercati che,
hanno come finalità primaria l’esplicitazione della funzione di allocazione: ovvero la più opportuna connessione,
tra risparmi ed investimenti.
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Questi vincoli generano a loro volta tre rispettive configurazioni d’equilibrio, che
soventemente vengono identificate come relazioni di uguaglianza
1
, evitando così di mettere in
luce, tutte le giunture e le interrelazioni che i tre aspetti comportano
2
. Solo, abbandonando
questa limitata concezione di equilibrio, sostanzialmente ancorata nella staticità e nella
cristallizzazione di istanti, si potranno comprendere le motivazioni che stanno alla base della
simmetricità del concetto di rischio. Una configurazione che presenti maggiore dinamicità
nella identificazione dell’equilibrio, si può agevolmente riscontrare quando la relazione di
equivalenza, che lega i rispettivi argomenti, venga sostituita da un rapporto:
• equilibrio monetario:
Uscite
Entrate
• equilibrio economico:
Ricavi
Costi
• equilibrio patrimoniale:
Passività
Attività
In questo modo, si instaura un legame inscindibile tra i due concetti di equilibrio e rischio.
Quest’ultimo, sarà concepito, come variazione positiva o negativa rispetto all’equilibrio che
può concretizzarsi rispettivamente in una perdita o in un guadagno. Il rischio complessivo può
scomporsi così, nelle seguenti componenti principali:
• Rischio operativo: legato strettamente, allo svolgimento di qualsiasi attività
imprenditoriale e concretizzabile, nella possibilità che i ricavi risultino
insufficienti per la copertura dei costi e per un’adeguata remunerazione del
capitale proprio.
• Rischio di credito: collegato alla mancata prestazione di un soggetto
impegnato, nei confronti dell’intermediario.
1
L’equilibrio monetario si raggiunge, se le entrate pareggiano le uscite; quello economico, se il livello
dei ricavi coincide con quello dei costi; e l’equilibrio patrimoniale infine, si ha, se le attività coprono
completamente tutte le passività.
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Per completezza, non si può trascurare di osservare come, l’andamento del flusso di cassa condizioni la
redditività, che a sua volta incide sulla struttura patrimoniale dell’intermediario, la quale, chiudendo il circuito di
connessione, riflette i suoi andamenti, sulle dinamiche finanziarie ed economiche della gestione.
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• Rischio di controparte: collegato all’adempimento della controparte nelle
operazioni di pagamento e regolamento di titoli.
• Rischio di liquidità: collegato all’equilibrio fra entrate e uscite finanziarie.
• Rischio di mercato: collegato a variazioni nelle attività e passività finanziarie
dell’intermediario, per effetto di mutamenti delle condizioni di mercato (tassi
di interesse, tassi di cambio, e così via).
Per quanto concerne invece, la configurazione del rischio nell’ottica dell’economia d’azienda,
questa, non viene ad essere completamente abbandonata dagli analisti finanziari; che al
contrario utilizzano questa specifica conformazione del rischio, per una approccio alternativo
a quello tradizionale
1
.
Grazie a quanto è stato messo in luce fino a questo momento, si può pervenire, alla
definizione del concetto di volatilità. Questa, definisce, la variabilità nel tempo della
componente di rischio, legato al dato investimento. La volatilità è una misura del rischio che
l'investimento in attività finanziarie comporta per l'investitore. Esprimendo l’ampiezza delle
variazioni subite dal prezzo di un titolo; va a definire la minore o maggiore facilità con cui
tale prezzo varia al variare del rendimento richiesto. La volatilità di un titolo dipende
soprattutto da tre fattori:
dalla durata a scadenza, poiché quanto più lunga la durata di un titolo, tanto
maggiore è la sua volatilità. Dunque, a parità di cedola e rendimento richiesto,
la volatilità di un titolo decennale è maggiore di quella di uno quinquennale.
dalla cedola (se è un’obbligazione). La volatilità aumenta in funzione inversa
rispetto alla cedola: a parità di durata e rendimento, quanto più bassa è la
cedola, tanto maggiore è la volatilità.
dal livello del rendimento. La volatilità di un titolo è tanto maggiore, quanto
più basso è il livello del suo rendimento.
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Si veda il quarto paragrafo del presente capitolo, per approfondimenti.
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