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INTRODUZIONE
Sento doveroso quanto naturale, ammettere, fin da subito, la
sensazione di stupore e, al contempo, di forte interesse, provata
allorché, per la prima volta, mi accingevo alla ricerca della normativa,
dei testi utili e necessari ai fini della conduzione di un’analisi chiara
ed attenta delle tematiche relative alla evoluzione storica del nostro
sistema di previdenza complementare, nonché, come vedremo di
seguito, di quelle legate al trattamento fiscale dello stesso.
La sensazione di interesse è facilmente intuibile nei suoi motivi, ma
perché, accanto a questa, quella di stupore?
In effetti, come alcuni autorevoli studiosi della disciplina hanno
sottolineato, l’estensione della materia, se rapportata ad altre, non è
poi così ampia (PERSIANI M.).
Tuttavia, non possiamo non riconoscere, come, nell’arco di quasi un
ventennio, la stessa è stata oggetto di una serie di complessi interventi
legislativi che ne hanno modificato l’assetto, comportando l’insorgere
di ardue problematiche. Problematiche alquanto singolari, che
confermano non solo la complessità dell’organizzazione e del
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funzionamento della previdenza complementare, bensì, quanto, forse,
costituisca essa stessa un problema, fungendo da punto di confluenza
tra la previdenza privata vera e propria e la previdenza pubblica.
Confluenza che a sua volta determina quelli che, attualmente,
appaiono i più delicati problemi teorici del nostro sistema
previdenziale.
Trovandomi, così, di fronte un quadro complessivo qual è quello
appena descritto, ho ritenuto necessario, innanzitutto, cercare di
comprendere quali fossero i punti sui quali sarebbe stato più
opportuno soffermarmi al fine di rendere, perché no, piacevole e
scorrevole la lettura della presente trattazione, evitando, per quanto
possibile, il rischio di dilungarmi su aspetti che avrebbero potuto
rendere il tutto poco nitido ed estremamente complesso.
“Regime fiscale della previdenza complementare”.
Poche parole, un semplice titolo, per riassumere quello che è il tema
da me affrontato nelle pagine di seguito.
È proprio il regime fiscale, più di preciso la “deducibilità dei
contributi”, il cuore del mio lavoro.
Questo in ragione di due motivi.
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Il primo, legato all’evidente necessità di “evitare la perdita
dell’orientamento” che al contrario si avrebbe affrontando per intero e
nei dettagli di ognuna le novità introdotte dal D.lgs. 5 dicembre 2005,
n. 252, in materia di “Disciplina delle forme pensionistiche
complementari”.
Il secondo, legato all’interesse suscitato in me dai vari autori che,
nell’ambito delle loro analisi, hanno più volte ribadito il ruolo di
rilievo rivestito, per l’appunto, dalla deducibilità dei contributi
nell’impianto normativo del D.lgs. 252/2005.
Andiamo, però, con ordine.
Ogni intervento normativo, infatti, ogni istituto giuridico, ogni
Riforma, ha alle sue spalle una propria storia, una propria evoluzione.
Non è possibile, in altri termini, affrontare un discorso così complesso
– quello della disciplina fiscale della previdenza complementare – se
non si conoscono prima i percorsi che ad essa hanno portato.
Da qui la mia scelta. Quella, cioè, di far partire il tutto
dall’approfondimento delle tematiche legate all’evoluzione storica
della disciplina della previdenza complementare.
Fermiamoci un attimo su quest’aspetto.
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Come ho accennato all’inizio, gli interventi più incisivi in materia
possiamo circoscriverli entro l’ultimo ventennio. Si pensi al D.lgs. 21
aprile 1993 n. 124 (c.d. Decreto Amato) che detta, per la prima volta,
una disciplina completa delle forme pensionistiche complementari,
piuttosto che all’introduzione del c.d. “metodo contributivo” operata
dalla Legge n.335/1995. Oppure ancora al D.lgs n. 47/2000,
giungendo, infine al Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252:
“Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, senza
dimenticare le modifiche ad esso apportate dalla Legge n. 296 del
2006, c.d. Legge Finanziaria 2007.
Ma se questo è vero è altresì più corretto riconoscere come già sul
finire del 1800 la nostra previdenza, e non solo quella italiana, avesse
intrapreso il suo lungo (a volte tortuoso) cammino originato
dall’iniziativa privata esercitata in forma collettiva mutualistica. Senza
dubbio, pur riconoscendo l’importanza di questi anni, non hanno certo
essi “partorito” la prima manifestazione della previdenza (pubblica)
ma, tuttavia, è grazie proprio al loro fermento che si è giunti al D.lgs.
n. 603 del 1919 attraverso il quale, per la prima volta, venne istituita
una forma di tutela previdenziale. Una tutela ancora giovane, riservata
soltanto ad alcune categorie di lavoratori, ma pur sempre un utile
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punto di arrivo e, al contempo, di partenza, verso le successive
riforme.
Chiusa la necessaria quanto utile parentesi storica, scalino successivo
è quello rappresentato dalla analisi concreta del D.lgs. n. 252 del
2005.
Perché, viene naturale chiedersi, così tanta importanza a questa
Riforma?
Essenzialmente per un motivo. Attraverso tale intervento normativo,
infatti, il trattamento fiscale della previdenza complementare ha
subìto, a partire dal 1° gennaio 2007, con l’anticipo dell’entrata in
vigore del decreto, ampie ed incisive modifiche che hanno riguardato
principalmente la deducibilità dei contributi versati e il trattamento
delle prestazioni erogate.
Una Riforma breve, ma molto intensa, mi verrebbe da dire. Non a
caso, oltre ai vari articoli che la compongono, una risorsa
fondamentale ai fini della sua più corretta comprensione è stata
rappresentata dalla “Relazione illustrativa al decreto legislativo”.
Grazie ad essa, articolo per articolo, ho avuto l’opportunità di
scorgere, nell’ambito del decreto, tutti quei piccoli aspetti che, forse,
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non avrei potuto cogliere in un modo così chiaro e diretto da una
semplice lettura delle singole norme.
Certo, pur guardando e trattando complessivamente la normativa non
ho potuto non soffermarmi sugli aspetti di maggior rilievo di essa.
Aspetti legati anche alla disciplina dello stesso passaggio dal vecchio
al nuovo sistema, con i problemi suscitati dal “regime transitorio”, o
ancora dalla disciplina fiscale per i “vecchi iscritti a fondi
preesistenti”.
Ed è così che giungiamo al, come sopra definito, cuore del mio
lavoro: “La deducibilità fiscale dei contributi versati alla previdenza
complementare”.
Ai fini dell’approfondimento di questo aspetto della Riforma sono
stati fondamentali due elementi. Il primo, di carattere normativo: il
testo del Decreto Legislativo. Il secondo, di carattere sistematico. Su
quest’ultimo sarà opportuno fornire i dovuti chiarimenti.
Sono tre le parti entro cui ho ritenuto essenziale trattare queste
tematiche. E sono queste tre parti, quelle che costituiscono lo schema
del terzo, fondamentale, capitolo del lavoro.
Osserviamole brevemente.
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La prima è riservata alla disciplina generale della deducibilità fiscale
dei contributi, attraverso cui è stato possibile rilevare una palese
continuità fra vecchia e nuova disciplina, seppur con le necessarie
modifiche.
La seconda, invece, descrittiva del regime di deducibilità fiscale dei
contributi versati nell’interesse delle persone fiscalmente a carico. Ed
anche qui, il raffronto tra vecchie e nuove prospettive si è reso
necessario.
La terza, infine, a chiusura del discorso, finalizzata a tracciare il
quadro del regime di deducibilità fiscale agevolata dei contributi per i
lavoratori di prima occupazione successiva al 1° gennaio 2007.
L’attenzione è stata qui focalizzata, in modo specifico, su alcuni
problemi applicativi nonché su alcune carenze delle nuove
disposizioni.
Avrei potuto, in tal modo, una volta terminata l’analisi della nostra
normativa, quella interna, porre fine all’indagine fin qui condotta.
Tuttavia, nella consapevolezza dell’ormai sempre più ampio scenario
internazionale entro il quale va a porsi il nostro Paese, ho, da ultimo,
ritenuto doveroso porre l’accento su un ultimo aspetto: quello legato
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al cosiddetto dibattito internazionale. Solo brevi accenni, solo rapidi
riferimenti, ma tali da rilevare un fenomeno che ha attraversato, ed
attraversa ancora, i Paesi europei e, oltre i confini dell’Europa, gli
stessi Stati Uniti. Nel corso degli ultimi anni, in effetti, si è assistito ad
un iter di riforma dei vari sistemi previdenziali in numerosi Stati.
Un breve excursus, lo definirò allorché, nell’abito del capitolo quarto
della presente analisi avrò occasione di trattarlo da vicino, sulle
trasformazioni in atto e sulle loro motivazioni.
Non mi resta che lasciare spazio, dunque, alle questioni fin qui, per
sommi capi, presentate.
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Capitolo primo
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE TRA VECCHIE E
NUOVE PROSPETTIVE: PRINCIPI GENERALI ED
EVOLUZIONE STORICA
SOMMARIO: 1. Le origini e le fatiche della previdenza complementare. – 2. Previdenza privata e
previdenza pubblica: origini del sistema e aspetto corporativo. – 3. Dalla caduta dell’ordinamento
corporativo alla Costituzione Repubblicana. – 4. Le vicende post-costituzionali e le riforme degli
anni ’50. – 5. La legislazione degli anni ’60 e l’incremento delle funzioni del sistema
previdenziale pubblico. – 6. Il finanziamento dei regimi di previdenza aziendale e i nuovi attriti
tra previdenza pubblica e privata. – 7. Le riforme degli anni ’90 e il riequilibrio del sistema. – 8.
Segue: ulteriori innovazioni introdotte dal D.lgs n. 124/1993 e dalla Legge n. 335/1995. – 9. La
previdenza complementare nel sistema dell’art. 38, c. 2, Cost. – 10. Evoluzione della previdenza
complementare: utilizzo del T.F.R. e capitalizzazione. – 11. Rafforzamento delle pensioni
minime, fiscalizzazione dei contributi sociali e riassetto della previdenza complementare. – 12. I
più recenti interventi legislativi. – 13. Le forme di previdenza complementare e la libertà di
adesione individuale. – 14. Forme di previdenza complementare sindacali e forme di previdenza
complementare commerciali.
1. LE ORIGINI E LE “FATICHE” DELLA PREVIDENZA
COMPLEMENTARE
La struttura degli istituti giuridici è sempre influenzata dalle loro
origini e dall’evoluzione storica. Ma il senso e i percorsi di queste
influenze storiche non sono univoci; spesso presentano tratti tortuosi o
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addirittura paradossali. L’evoluzione della previdenza complementare
rappresenta un caso esemplare di questa complessità.
È noto come la nostra previdenza, e non solo quella italiana, abbia
origine dalla iniziativa privata esercitata in forma collettiva
mutualistica.
Eppure, nonostante i meriti iniziali di questa iniziativa e il forte
sostegno che le organizzazioni privato collettive hanno sempre avuto
la previdenza privata è stata circondata, per grande parte della nostra
storia, da una diffusa indifferenza polito-culturale. E tutt’oggi
riscontriamo quanto la previdenza complementare fatichi a diventare
un vero pilastro centrale del nostro sistema.
La normativa costituzionale che pure ha inciso profondamente su tutto
il nostro sistema di rapporti di lavoro e di welfare non ha modificato
questo quadro. Le applicazioni del nuovo assetto costituzionale per i
rapporti fra pubblico e privato nella previdenza non sono di facile
lettura. Ma il meno che si può dire è che esse sono state all’inizio
poco approfondite, a riprova della scarsa centralità attribuita al tema.
In particolare è accaduto che i cultori della materia, che si sono
occupati di previdenza, ne hanno considerato a lungo esclusivamente
le forme pubblicistiche, quasi implicando che solo queste potevano
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annoverarsi fra gli istituti a pieno titolo previdenziali rispondenti a
interessi meritevoli di tutela specifica nell’ordinamento. Mentre le
forme privatistiche si sarebbero dovute includere nella generica
categoria del risparmio, oggetto di altra, e a dire il vero incerta, tutela
costituzionale.
Sarebbe opportuno partire, quindi, anzitutto dal tema dei rapporti, con
particolare riguardo all’evoluzione normativa e storica, tra previdenza
privata e previdenza pubblica.
2. PREVIDENZA PRIVATA E PREVIDENZA PUBBLICA: ORIGINI
DEL SISTEMA E ASPETTO CORPORATIVO
Ribadendo la scarsa passata attenzione per la questione, non possiamo
non già evidenziare come sia l’una che l’altra previdenza esistano
ormai da tempo
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.
È noto come le nuove realtà economiche e sociali determinate
dall’industrializzazione e, in particolare, il fenomeno
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Uno tra i più autorevoli studiosi della materia evidenzia da subito, nella sua relazione su “La
previdenza complementare”, questo aspetto sollecitando l’importanza dello studio, sia pure per
sommi capi, delle vicende che hanno caratterizzato nel tempo il rapporto tra previdenza privata e
previdenza pubblica.
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dell’inurbamento di grandi masse, unitamente ai bassi livelli salariali,
resero difficile, se non impossibile, la tradizionale solidarietà familiare
e inadeguata la beneficienza pubblica e privata. Al tempo stesso
l’abolizione delle corporazioni aveva eliminato, anche per chi
esercitava i mestieri tradizionali, ogni forma di solidarietà
professionale.
Per contro, l’ideologia liberale, allora dominante, riteneva che gli
stessi lavoratori avrebbero dovuto provvedere a far fronte, con il
risparmio, ai loro bisogni futuri. Pertanto, l’assistenza pubblica, in
ogni caso eventuale ed occasionale, era destinata a garantire più la
conservazione dell’ordine pubblico che la tutela di chi si trovava in
condizioni di bisogno.
Fu così, in tale contesto, che si sviluppò la prima forma di previdenza:
quella privata, basata, essenzialmente, su quella che possiamo definire
una “solidarietà mutualistica”
2
.
Con la Legge n. 3818 del 1886
3
, lo Stato, si limitò a favorire la
mutualità volontaria che ebbe di fatto, e nonostante fosse di necessità
2
I lavoratori, spiega Persiani ancora in “La previdenza complementare” (frutto dei lavori
presso il XIII Congresso dell’Associazione Italiana di Diritto del Lavoro e della Sicurezza Sociale
svoltosi a Ferrara nel maggio del 2000) liberamente istituendo società di mutuo soccorso, si
obbligavano volontariamente a finanziare con i loro contributi, prestazioni per malattia, per
infortunio o invalidità. A volte le mutuo soccorso erogavano anche una pensione ai soci divenuti
vecchi o, una tantum, ai familiari dei soci defunti.
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limitata a lavoratori che godevano di elevati trattamenti retributivi,
notevole diffusione.
Certamente non può considerarsi, per la ratio con essa perseguita, la
prima manifestazione della previdenza pubblica quella introdotta con
la Legge 17 marzo 1898, n. 80: l’istituzione dell’assicurazione contro
gli infortuni sul lavoro
4
.
Alla stessa conclusione, sia pure per ragioni diverse, si deve pervenire
con riguardo alla Cassa nazionale di previdenza, istituita con la Legge
17 luglio 1889, n. 350
5
.
È con il D.lgs. n. 603 del 1919 che, si può dire, venne istituita una
forma di tutela previdenziale.
Per la prima volta, infatti, la tutela per l’invalidità, vecchiaia e
superstiti diviene obbligatoria ed è finanziata anche con contributi
posti a carico dei datori di lavoro, ai quali si aggiunge un concorso
finanziario dello Stato. In virtù del suo carattere obbligatorio, poi,
quella tutela tende a realizzare un interesse pubblico, non essendo più,
3
Legge 15 aprile 1886 n. 3818 “Costituzione legale delle Società di Mutuo Soccorso”.
4
La legge in questione, infatti, si limitava a prevedere l’obbligo dei datori di lavoro che
svolgevano attività pericolose ad assicurarsi per la responsabilità civile derivante dagli infortuni
sul lavoro dei loro dipendenti.
5
La Cassa erogava una rendita vitalizia di vecchiaia e, eventualmente, prestazioni per
l’invalidità. L’iscrizione alla Cassa, tra l’altro, era volontaria e, quindi, costituiva una semplice
alternativa alla mutualità privata. L’iscrizione, poi, era consentita soltanto agli operai. Solo per
questi si riteneva che, a ragione della precarietà dell’occupazione e dei bassi livelli retributivi,
dovesse essere favorito l’accesso a una tutela previdenziale.
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quindi, destinata a favorire semplicemente lo spirito individuale di
previdenza.
Fino al r.d.l. n. 1824 del 1935 e al r.d.l. n. 636 del 1939, questa tutela,
però, continuava ad essere limitata agli operai, venendo estesa agli
impiegati solo qualora, questi, si fossero trovati in condizioni
analoghe ai primi
6
.
Certo è che, nella vigenza dell’ordinamento corporativo, quella
limitazione consentì la coesistenza tra previdenza pubblica statale e
previdenza sindacale, separate tra loro, dal confine segnato dal livello
della retribuzione percepita. Coesistenza favorita, oltretutto, dall’idea
che l’una e l’altra previdenza differissero non già per essere destinate
a realizzare funzioni diverse, ma solo per una differente valutazione in
ordine alla necessità di dare soddisfazione agli interessi nell’una e
nell’altra coinvolti. Previdenza pubblica che nelle concezioni di allora
era, in via diretta, destinata a soddisfare non un interesse pubblico,
bensì gli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito di
una solidarietà limitata alla logica del rapporto di lavoro.
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Sottolinea Mattia Persiani in “La previdenza complementare” come, a suo avviso: “Il
mantenimento di questa limitazione dell’ambito soggettivo della tutela, trovava spiegazione da
un lato nella preoccupazione di non mortificare, per i lavoratori a più alto reddito, lo spirito di
risparmio individuale e, d’altro lato, in ciò che, per questi lavoratori, non si riteneva dovesse farsi
ricorso ad una tutela previdenziale pubblica, considerata ancora, come aveva teorizzato Bismark,
il mezzo migliore per combattere il socialismo”.
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3. DALLA CADUTA DELL’ORDINAMENTO CORPORATIVO
ALLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA
Facciamo un ulteriore passo in avanti.
Importante impulso nell’evolversi delle vicende fin qui esposte ebbe
la caduta dell’ordinamento corporativo. Nella la Carta Costituzionale,
infatti, i principi enunciati comportarono il superamento della
concezione corporativa della previdenza sociale. Questa, infatti, viene
destinata alla soddisfazione immediata e diretta dell’interesse
pubblico a che, mediante il ricorso alla solidarietà generale (art. 2
Cost.), siano garantite a tutti i cittadini le condizioni economiche e
sociali indispensabili per assicurare l’effettivo godimento dei diritti
civili e politici (art. 3, secondo comma, Cost.).
In realtà i principi costituzionali non vennero attuati immediatamente
dal legislatore ordinario e, in mancanza di un programma di riforma
organico, tutto ciò ha caratterizzato un andamento incerto ed ambiguo
dell’evoluzione della disciplina del nostro sistema previdenziale. In
ogni caso è indubitabilmente diversa la funzione che la legislazione
ordinaria assegnò alla previdenza pubblica, rispetto a quanto fece
l’ordinamento corporativo.