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CAP. I INTRODUZIONE
1) CENNI STORICI SULLA RESPONSABILITA’ CIVILE
La lex Aquilia
L’attuale art. 2043 cc, la stessa nozione di ingiustizia del danno, nonchØ il ricorrente
aggettivo “aquiliana” spesso accostato alla responsabilità di tipo civile o
extracontrattuale, possono essere fatti risalire storicamente alla Lex Aquilia de damno,
una legge romana del III sec. a.C. cui si attribuisce una prima individuazione delle
figure tipiche di illecito civile.
Tale legge si presentava suddivisa in tre capi, il primo dei quali imponeva l’obbligo di
rifusione al dominus del valore piø alto raggiunto dalla res distrutta nell’arco
dell’ultimo anno da parte del danneggiante (equiparata l’uccisione di schiavi od animali
domestici). Il secondo capo prevedeva che l’acceptilatio fraudolenta del credito
dovesse essere risarcita al creditore inconsapevole o non concorde da parte
dell’adstipulator. A regolare i conti in caso di danneggiamento fisico di una res
inanimata stava un terzo capo, in ossequio al principio di rifusione del valore piø alto
acquisito dalla res nell’ultimo mese.
E’ tutto sommato semplice scorgere l’ingente portata dei fondamenti del diritto romano
in merito alla responsabilità civile, non appena si intraprende il percorso storico che,
attraverso i secoli, porta fino ai giorni nostri: l’influenza dei principi, unitamente alla
solidità dei brocardi di Roma, emerge in tutto il suo vigore specialmente negli ambienti
del Giusnaturalismo, quando si comincia ad avvertire che l’alterum non laedere di
Ulpiano può utilmente rispondere all’esigenza di una definizione unitaria in grado di
abbracciare le varie figure di illecito tradizionali. Un’altra fondamentale eredità del
pensiero antico di cui i giuristi seicenteschi si sono giovati è certamente quella della
centralità della persona nel diritto, assieme all’imprescindibile riflessione giuridica che
muove dalla contrapposizione tra ciò che per natura risulta essere giusto od ingiusto.
Da cui l’immancabile concetto odierno di ingiustizia, la necessità di un intervento
riparatore di un danno che risulterà tanto piø odioso quanto ingiusto per l’offeso,
attraverso il danneggiamento di un suo diritto. Si arriva così in seguito all’elaborazione
storica del c.d. neminem laedere che, ancora oggi, illustra la norma dell’art. 2043 cc.
14
Il Code NapolØon
L’evoluzione dei suddetti principi accelera nel periodo rivoluzionario, riuscendo a
tradursi in concreto, seppur in forma attenuata, nei primi anni dell’800, in concomitanza
con la nascita del primo e piø rappresentativo dei codici civili europei: il Code
NapolØon del 1804. L’impasto degli elementi di culpa, damnum e iniuria alla base
dell’illecito descritto dal codice francese sarà agevolmente trasportato oltralpe e
convogliato a distanza di sei decadi nel codice civile unitario dello Statuto Albertino
(1865), il quale ricalcherà in buona parte l’esperienza napoleonica.
Per quanto il processo di industrializzazione abbia fatto registrare l’emersione di un
conflitto fra libertà di produzione e sicurezza individuale, che la responsabilità
aquiliana si trovò costretta a mediare, il sistema non entrò in crisi, ma riuscì piuttosto a
plasmarsi con successo in base alle nuove esigenze di protezione. Il successo della
codificazione ottocentesca venne confermato dalla stesura del codice civile del 1942, il
quale si limitò ad adottare il termine “illecito” in luogo di “delitto” e ad unificare dolo
e colpa nel 2043 cc, trasformando tale articolo nel pilastro portante dell’intera materia
della responsabilità civile ed integrando l’elemento dell’ingiustizia.
All’introduzione di tale requisito fece seguito un ampio dibattito che sfociò, in ultima
istanza, in una prima estensione dell’area del danno risarcibile: era ormai chiaro che,
col passare del tempo, sarebbe stato sempre piø difficile attuare una tipizzazione delle
figure di illecito (infra).
Dal codice civile del 1865 al codice attuale. Questioni di costituzionalità
L’ultimo macroscopico passo dell’epoca fu certamente quello occorso con il varo della
Costituzione italiana del 1948: si trattava di 139 articoli estremamente esigenti, che non
avrebbero esitato a scalzare principi e norme di diritto civile non concordi con la veste
protettiva e garantistica insita nella ratio della Carta stessa. Tra gli apporti innovativi
del secolo scorso l’avvento della Costituzione fu probabilmente il piø considerevole e
poderoso: esso, oltre a rivedere l’intero assetto istituzionale e normativo del Paese
causò, attraverso l’introduzione di un nuovo sistema di valori e garanzie, un impatto
generale che ebbe ripercussioni anche sui rapporti tra i privati. Diretto in proposito il
riferimento alle disposizioni sulle libertà di iniziativa economica, della solidarietà
politica e sociale, dell’uguaglianza formale e sostanziale, della proprietà privata ed in
genere dei diritti inviolabili dell’uomo (artt. 2-3-41-42 Cost.); nelle relazioni tra privati
penetra anche l’art. 32 Cost., costruttore del diritto alla salute; doveroso, infine, uno
15
sguardo alla materia della Pubblica Amministrazione, non tralasciata dall’art. 38 Cost.
L’intervento della Carta in materia civile e privata è dunque ben visibile ed è
sicuramente opportuno ricordare come, nel corso dei diversi decenni che ci separano
dalla sua nascita, la Costituzione sia stata con estrema frequenza richiamata ed attinta
dalle corti: prima su tutte, la Cassazione ha ribadito a gran voce come <<la
Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali, impone una
lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2043 c.c.>> in una sentenza del 2000
1
.
In conclusione, pare si possa agevolmente affermare come la Costituzione si presti, a
tutti gli effetti, ad essere <<mezzo o ausilio ermeneutico per l’interpretazione della
legge ordinaria>>
2
.
2) LA RESPONSABILITA’ CIVILE DAL ‘900 AD OGGI
Natura e fonti della r.c.
Si potrebbe asserire, con una venatura di pessimismo nei confronti di ogni tentativo
sistematico, che della r.c. una univoca ed unitaria definizione non esista. Per converso,
sono molte le possibili letture e qualificazioni dell’istituto: prime su tutte, la r.c. quale
responsabilità regolata dal diritto privato attraverso gli artt. 2043 ss. cc. e quale
responsabilità extracontrattuale (o aquiliana). Sulla base di quanto accennato sopra, si
potrebbe inoltre identificare l’illecito civile quale trasgressione del neminem laedere,
adoperando una chiave interpretativa tanto antica e discussa quanto florida e tuttora
accreditata da buona parte di dottrina e giurisprudenza.
In richiamo al discorso costituzionale da poco affrontato, si dedichi una breve ma
attenta riflessione all’articolata regolamentazione cui la r.c. è sottoposta: in primo
luogo infatti, essa mostra di adagiarsi sulle norme degli artt. 2043-2059 cc., i quali
offrono un’apprezzabile seppur breve continuità di trattazione del fenomeno; ma vi
sono altri singoli articoli degni di menzione all’interno del codice (artt. 2087, 2600,
2236). In aggiunta si trovano disposizioni di altri codici (procedura civile e penale),
congiuntamente ad un ampio coacervo di leggi speciali, disposizioni legislative e
regolamentari, non infrequentemente di origine comunitaria.
1
Cass. 7/6/2000, n° 7713, in Danno e resp., 2000, 835, n. Moanteri e Ponzanelli.
2
P.G.Monateri, Manuale della responsabilità civile, Milano, UTET, 2001, p. 8.
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Ambito applicativo della responsabilità civile. Responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale
La macrodistinzione piø rilevante è certamente quella che vede r.c. e contratto come
mondi paralleli. In realtà, la moltitudine di potenziali incroci e sovrapposizioni tra essi
lascia immaginare come tali accadimenti siano piø che mere eccezioni.
La funzione precipua della r.c. emerge chiaramente quando si ricordi che <<tutte le
risorse su cui i soggetti vantano dei diritti o delle aspettative sono sottoposte a dei
rischi>>
3
. A scopo pratico è possibile suddividere in tipologie le piø comuni situazioni
di danno:
a) il soggetto può accidentalmente veder sfuggire il vantaggio atteso: la lesione in questo
caso si rivelerà una semplice delusione di aspettativa e ad essa non potrà conseguire
alcuna pretesa di risarcimento, data l’assenza di una qualunque modificazione nella
situazione del soggetto.
b) In previsione dell’ottenimento del vantaggio suddetto è però possibile che il soggetto
arrivi appositamente a modificare la propria situazione, sostenendo spese o rinunciando
ad opportunità allettanti. La violazione in questo caso sarà rivolta, oltre che
all’aspettativa, anche all’interesse non soddisfatto il quale, se giuridicamente rilevante,
dovrà essere risarcito.
c) In terzo luogo, muovendo dal punto b), possiamo considerare in aggiunta un
peggioramento da parte del soggetto della propria situazione a vantaggio della
controparte. La privazione finale del servizio potrebbe condurre alla restituzione di
quanto offerto od effettuato a favore della controparte, qualora giuridicamente rilevante.
d) Infine, si consideri un peggioramento dello status quo provocato involontariamente
dalla controparte.
Si noti che nella totalità delle situazioni descritte, l’intervento riparatore della r.c. si
concretizzerà in un “ritorno al passato”, attraverso un ripristino della situazione
soggettiva antecedente alla delusione piuttosto che al fatto lesivo.
Tornando alla distinzione della responsabilità nei suoi due ambiti principali, si possono
delineare i contorni di entrambi con l’ausilio di definizioni basilari: se la responsabilità
contrattuale è sostanzialmente mirata alla sola assicurazione dell’adempimento
contrattuale, attraverso l’esecuzione della prestazione concordata, la piø vasta
protezione aquiliana interviene contro qualunque violazione o lesione di un interesse
3
P.G.Monateri, op. cit., p. 9-10
17
giuridicamente rilevante, determinando storicamente una progressiva ed inarrestabile
estensione dell’area del danno risarcibile.
Si contempla inoltre un terzo ambito di formazione della responsabilità, che prende il
nome di “responsabilità quasi-contrattuale”, che riguarda il fenomeno del cosiddetto
arricchimento ingiusto, ristabilendo l’equilibrio iniziale mediante la restituzione
all’attore dei benefici indebitamente ottenuti dalla controparte.
Fra le differenze maggiormente evidenti e rilevanti tra i due principali regimi di
responsabilità vi sono:
i) l’onere probatorio: l’art. 2043 c.c. prevede che sia la vittima della lesione a
doverlo sostenere nei confronti del danneggiante; viceversa esso ricadrà sul debitore in
ambito contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c. (ad eccezione delle presunzioni di colpa).
ii) La costituzione in mora (1219 c.c.) non ricorre necessariamente nell’illecito
aquiliano.
iii) Il danno risarcibile è presente ogniqualvolta si verifichi un danno illecito secondo
le prescrizioni del 2043 c.c., ma anche l’assenza di dolo in un rapporto contrattuale
obbliga a rispondere dei soli danni ‘prevedibili’ al sorgere dell’obbligazione (1225 cc.).
iv) La prescrizione dell’azione di risarcimento del danno da fatto illecito avviene
normalmente dopo cinque anni (2947 cc.); si avrà invece precrizione ordinaria (dieci
anni) in relazione al risarcimento del danno contrattuale (inadempimento) (2946 cc.);
v) L’imputabilità del fatto dannoso: << l’incapacità incolpevole di intendere e volere
[...] non rileva in ambito contrattuale >>
4
;
vi) La solidarietà è proporzionata alla colpa in ambito extracontrattuale (2055 cc.),
mentre risulta equiripartita tra i contraenti (1298 cc.).
Questi i piø significativi momenti in cui i due ambiti di responsabilità prendono
distanza l’uno dall’altro. Si è affermato nondimeno che le occasioni di intersezione e
fusione dei due ambiti si registrano con una frequenza sempre maggiore, in funzione
alla crescita esponenziale delle esigenze di protezione dei contraenti, tra i quali sempre
piø spesso è ben visibile una sproporzione (in particolare tra le c.d. part debole e forte,
quando ad es. il contratto viene stipulato tra un cittadino ed una società di servizi, una
banca o altro...). Questo tipo di attenzione ed interesse da parte del sistema nei
confronti del consociato è connotato tipico dello Stato sociale, prodotto evoluto delle
tendenze liberali dell’Ottocento europeo; l’orientamento odierno è quindi fortemente ed
4
P.G.Monateri, op. cit., p. 14
18
opportunamente garantistico, a vantaggio del singolo individuo esposto alle tentazioni
e ai rischi propri di una società sempre piø politropa e complessa.
Struttura e funzioni della r.c.
La struttura del 2043 cc., ugola dell’intera materia della responsabilità civile, viene
comunemente identificata dalla dottrina in base a due ordini di fattori: il primo dei due
racchiude al suo interno elementi a carattere soggettivo (colpevolezza ed imputabilità);
il secondo ne include altri a carattere oggettivo (nesso causale, danno, ingiustizia).
Andando ad analizzare in specie le funzioni attribuibili alla r.c., è possibile scorgerne
varie:
1) Funzione compensativa: alla r.c. è affidato l’importante compito di << determinare
quando una compensazione è reputata necessaria. Essenzialmente la r.c. è infatti un
meccanismo sociale per la traslazione dei costi. >>
5
.
2) Funzione sanzionatoria: tale trasferimento di responsabilità vede questo secondo
soggetto sobbarcarsi i costi per la riparazione del danno occorso al primo, costi che si
potrebbero considerare quale sanzione del comportamento scorretto adottato.
3) Funzione preventiva: permette di adottare una <<visione economicistica>>
6
del
problema che si attaglia ad una buona parte di casi. Un potenziale danneggiante avrà di
fatto tutto l’interesse a cautelarsi nei confronti di terzi, adottando opportune misure di
sicurezza che consentano di evitare incidenti.
4) Funzione satisfattiva e punitiva: <<quando i danni siano di natura non
patrimoniale>>
7
[Sella]
5) Infine è possibile considerare una funzione c.d. organizzativa della r.c., in relazione
alla capacità di coordinamento di tutte quelle attività che, seppur implicitamente
aleatorie, non si intendono vietare a seguito di una positiva valutazione costi-benefici
delle stesse da parte delle istituzioni.
5
P.G.Monateri, op. cit., p. 31
6
P.G.Monateri, op. cit., p. 33
7
M.Sella, La responsabilità civile nei nuovi orientamenti giurisprudenziali, Milano, Giuffrè, 2007, p. 15
19
La r.c. odierna come prodotto della storia intellettuale novecentesca
Tralasciando l’apprezzabile eccezione costituita dal Chironi
8
, si potrebbe affermare che
durante la prima metà del Novecento il diritto della r.c. si è incarnato in gran parte nelle
sentenze dei giudici, potendo contare, per il resto, su poche, timide pagine di dottrina.
Per una reale presa di coscienza del problema è necessario attendere fino al 1960, anno
in cui autori storici quali Schlesinger e Sacco scrissero i primi articoli sull’ingiustizia
del danno, contrastando <<esplicitamente l’impostazione tradizionale a favore di una
posizione che prendendo sul serio l’atipicità dell’illecito portasse l’istituto al di là della
protezione dei diritti assoluti>>
9
. La svolta si fece ancora piø evidente quando nel 1967
vennero pubblicate le opere di Rodotà e Trimarchi che si proponevano di enucleare la
problematica del nesso causale, un criterio dal deciso sapore giuridico, destinato a
divenire imprescindibile nel creare la relazione soggetto-evento-danno, preferibile alla
semplice attribuzione naturalistica.
Nella medesima decade faceva capolino anche Busnelli, tra gli innovatori di maggior
spicco del secolo scorso. Egli interveniva sfruttando la scia rivoluzionaria in corso, a
proposito di una questione spinosa che era stata fino ad allora approcciata in maniera
alquanto sobria dalla dottrina: la lesione del credito da parte di terzi. L’opera omonima
dell’autore, pubblicata nel 1964, certamente contribuì a generare l’impatto violento e
tuttavia inaspettato che si sarebbe verificato tra dottrina e giurisprudenza a distanza di
soli sette anni, con il riconoscimento da parte della Cassazione di un principio generale
di risarcibilità del credito, vero e proprio tabø per gli studiosi dell’epoca
10
.
Nomi quali Fedele e Busnelli riecheggiavano a vuoto nel gelo degli anni ormai trascorsi,
continuando a rappresentare l’unico baluardo esistente in riferimento alla questione.
Il disagio nei confronti della problematica si cominciò a superare negli anni ’80,
durante cui studiosi già affermati (tra cui Galgano e Visintini) in concerto con la nuova
generazione (tra i quali Zeno-Zencovich) si prodigarono in riflessioni e dibattiti sul
tema. Dieci anni dopo iniziarono a comparire vari trattati specifici che, forti di quanto
costruito in passato, osarono effettuare le analisi e le introspezioni fino ad allora
mancate.
8
G.P.Chironi, La colpa nel diritto odierno, II, Colpa extracontrattuale, Bocca, Torino, 1906.
9
P.G.Monateri, op. cit., p. 43.
10
caso Meroni, Sent. Cass. 26/1/1971 n° 174.
20
3) IL DANNO INGIUSTO
La nozione di danno
Dobbiamo confrontarci con l’assenza di una definizione codicisticasul punto; si tratta di
un concetto basilare ed imprescindibilmente appartenente all’ambito aquiliano: il
“danno”. Si tenta di compensare tale assenza avvalendosi dell’ampia nozione
quotidiana ed extragiuridica, che ne descrive il carattere per lo piø naturalistico, ossia il
danno come generale <<nocumento o pregiudizio, annientamento od alterazione di una
situazione favorevole>>
11
.
E’ bene comunque fin da ora procedere ad una fondamentale distinzione della nozione
di danno nei suoi principali significati. La parola danno, infatti, ricorrente due volte
nella norma dell’art. 2043 cc., presenta in ciascuna una accezione diversa, descrivendo
una prima volta la fattispecie (<<che cagiona ad altri un danno ingiusto>>) e
prescrivendo invece, in secondo luogo, la necessaria conseguenza (<<obbliga colui che
ha commesso il fatto a risarcire il danno>>). Il significato di danno nella prima
citazione è quello di “danno ingiusto”, da discernere a priori rispetto al secondo tipo di
danno, il c.d. “danno risarcibile”. Le due tipologie di danno saranno riprese piø avanti;
per ora basti rilevare come l’impostazione prettamente patrimoniale dell’orientamento
tradizionale non fosse in grado di garantire <<un’efficace riparazione di tutte le lesioni
agli interessi protetti e, in particolare, agli interessi di ordine personale>>
12
, e questo
principalmente in quanto, pur non sussistendo la necessità che l’interesse leso avesse
carattere patrimoniale, ai fini della risarcibilità del danno era <<indispensabile che la
lesione avesse conseguenze negative di natura patrimoniale>>
13
. [vd. infra]
Tipicità ed atipicità dell’illecito. Il neminem laedere
Il problema posto dal dettato del 2043 cc. che piø impensierisce l’interprete è la scelta
tra tipicità o atipicità dei fenomeni generatori della r.c.
Sulla scia di tale questione si sono schierate due formazioni contrapposte di studiosi: da
una parte i fautori ed i seguaci della c.d. impostazione classica, la quale attribuisce al
2043 cc. una funzione meramente sanzionatoria, che respinge in toto la stessa idea
dell’esistenza di un neminem laedere; dall’altra stanno coloro che all’opposto predicano
la natura di norma primaria del 2043. Irrompe tuttavia un’articolata osservazione del
11
R. Scognamiglio 1969; A. De Cupis 1979, 7; G. Alpa e M. Bessone 1982, 400.
12
M. Sella, op. cit., p. 250-251.
13
M. Sella, op. cit., p. 250.
21
Monateri, il quale sottolineare la pericolosità di una costruzione tanto audace, che
trasformerebbe senza esitazione il neminem laedere in un vero e proprio paradosso: non
è possibile prolungare la catena causale oltre il limite ragionevole, così come non è
accettabile un’imputazione di colpa sulla base del benchØ minimo pregiudizio (calzante
l’esempio suggerito dall’autore in ambito economico, secondo cui lo stesso avvio di
un’attività in un settore concorrenziale provoca uno storno di clienti agli operatori già
presenti, ma questo non rende di certo pensabile l’adozione del neminem laedere quale
regola operazionale, pena lo sfacelo della stessa economia)
14
.
Una corretta ricostruzione dell’alterum non laedere potrebbe essere quella effettuata
dal Pugliatti, che lo descrive come <<divieto di danneggiare il prossimo ledendo un suo
diritto soggettivo, interesse legittimo, o altra figura di situazione giuridica>>
15
protetta,
rilasciando al generico dovere di neminem ledere la qualifica di sintesi terminologica,
che sta ad indicare l’insieme delle fattispecie di lesione che autonomamente conducono
all’insorgenza di responsabilità aquiliana
16
.
Curioso assistere al mutamento prospettico della dottrina, speculare rispetto al
passaggio dal 1151 del vecchio codice civile al nuovo 2043 c.c: partiti dal tentativo di
soffocamento di una norma onnicomprensiva si arriva alla claustrofobia scatenata dal
nuovo dettato, piø restrittivo.
L’ingiustizia del danno in una prospettiva storica e di comparazione
Fino a poco piø di mezzo secolo fa, l’idea di garantire un’ampia risarcibilità del danno
avrebbe significato l’imposizione di un limite insopportabile ad un’economia in
risollevamento e, qualche decennio prima, ad un’epoca di sviluppo industriale. Un tale
freno sarebbe stato al tempo certamente interpretato come controproducente, destando
non poche preoccupazioni, in quanto, nella sostanza, tutt’altro che liberale. Ma si deve
prendere atto di come la società sia dinamica e mutevole e quindi breve il passo verso il
cambiamento: in questo modo, si comprende come nel tempo l’esigenza di protezione
del singolo possa arrivare a fagocitare l’interesse ad uno sviluppo economico senza
confini.
Il costante progresso tecnologico ha di fatto <<introdotto nella nostra società profili di
potenziale lesione di diritti prima scarsamente od affatto considerati>>
17
, da cui una
14
P.G.Monateri, op. cit., p. 149.
15
S.Pugliatti, Alterum non laedere, in Enc. Dir., II, Milano, Giuffrè 1958, p. 103-104.
16
L.Mengoni, L’oggetto dell’obbligazione, in Jus, 1952, p. 185.
17 M.Sella, op. cit., p. 259.