VI
PREFAZIONE
Il calcio professionistico ha assunto negli anni sempre maggiore
rilevanza, registrando un seguito crescente e, di conseguenza,
convogliando livelli sempre maggiori di denaro. Ormai sono lontani i
tempi delle formazioni dall’1 all’11, delle partite tutte alla stessa ora e
delle squadre composte da un numero limitato di giocatori stranieri.
Ormai siamo nell’era della tv via satellite, delle partite a tutte le ore in
tutti i giorni della settimana, del merchandising, della globalizzazione,
del folle calcio – mercato, degli agenti e dei calciatori come star e,
infine, del “creative accounting”. In sintesi, siamo nell’era della ragione
economica e dello “star system”, avendo abbandonato da molto quella
della passione.
Tuttavia, l’evoluzione del calcio professionistico non è avvenuta
in maniera indolore e, benché sia il risultato di un lento fluire di eventi, è
segnata da tre tappe fondamentali corrispondenti ad altrettanti interventi
normativi da parte del legislatore. La prima tappa, risalente al 1966, con
due Delibere del Consiglio Federale portò alla trasformazione delle
associazioni sportive in società di capitali e diffuse il professionismo
sportivo “di fatto”. La seconda nel 1981 segnò il riconoscimento
giuridico del professionismo sportivo e l’eliminazione del vincolo
sportivo con l’introduzione della “Indennità di Preparazione e
Promozione” (IPP). La legge n. 91/81 rimane il primo, e ad oggi unico,
provvedimento che disciplina in maniera organica lo sport
professionistico in Italia. Infine, la terza ed ultima tappa è quella del
1996, spartiacque tra quello che possiamo definire il vecchio calcio e
quello moderno, caratterizzato da un nuovo sistema di regole che ha
trasformato radicalmente il profilo del settore sportivo italiano ed
europeo.
In seguito alla sentenza della Corte di Giustizia europea C-
415/93 (Sentenza Bosman) e alla Legge n. 586/1996, infatti, due fattori
VII
hanno cambiato la prospettiva del calcio professionistico: il
riconoscimento del fine di lucro e la crescita del potere contrattuale dei
calciatori.
L’avvento del calcio moderno non ha modificato solo il calcio
giocato, ma ha esteso l’ottica anche ai “numeri” del calcio. Se da un
lato, infatti, il calcio professionistico è divenuto un vero e proprio
fenomeno economico in grado di raggiungere un giro d’affari inferiore
solo a quello di pochi altri settori, dall’altro ha mostrato l’insufficiente
cultura d’impresa presente nel management di queste società.
Infatti, l’iniziale divieto del fine di lucro e le ridotte dimensioni del
settore calcistico portarono in secondo piano le analisi economico –
finanziarie delle società di calcio professionistiche, che avevano come
unico obiettivo l’indiretto ritorno pubblicitario. Con l’avvento del calcio
moderno e con un sistema più rigido di controlli, invece, anche la
stabilità patrimoniale e la redditività di queste società ha assunto
importanza, implicando una necessaria crescita del management alla
guida dei club.
Tuttavia, la mancanza di un quadro normativo specifico per le
società di calcio, inteso come quello del settore bancario, ha
comportato l’applicazione di diverse politiche contabili ai problemi
caratteristici di tale settore, non sempre idonee e corrette. Da ciò deriva
il termine “creative accounting” ad indicare pratiche contabili “creative”
per far fronte ad esigenze di equilibrio economico.
È, quindi, l’epoca delle plusvalenze gonfiate, del “doping
amministrativo” (ossia del falso in bilancio) e dei conseguenti crack di
alcune società sportive. L’esigenza di garantire maggiore stabilità,
equilibrio e correttezza ai campionati, tuttavia, porta all’introduzione di
regole e indici per controllare l’andamento dei club prima che sia troppo
tardi.
È proprio in questi anni, alle soglie del 2000, che ci si accorge
come sia critica la situazione di questo settore. Solo il “decreto salva –
VIII
calcio” nel 2003 permette a molti club di sopravvivere.
In seguito agli eventi a cavallo del 2000, emerge, quindi, una
reale preoccupazione per le politiche di bilancio. Sono molti, infatti, i
punti controversi nella gestione delle società di calcio e l’iniziale
abbandono a se stesse non poteva non portare ad una tale situazione
di crisi. Tuttavia, ancora oggi, le condizioni economico – finanziarie dei
club non sono delle più rosee, nonostante la realizzazione di una
politica di maggior controllo, finalizzata a limitare la discrezionalità di
management impreparati o, cosa ancora peggiore, fraudolenti.
Alla luce di tali considerazioni, lo studio dei bilanci delle società
sportive realizzato nelle pagine successive presenta un duplice
obiettivo. Il primo si sostanzia nella discussione dei criteri di rilevazione,
valutazione ed esposizione in bilancio adottati nella prassi ed emanati
dalle stesse federazioni, al fine di verificare la loro rispondenza ai criteri
previsti dai principi contabili riconosciuti a livello nazionale, che
interpretano l’attuale normativa civilistica in materia di bilancio. Il
secondo, invece, è volto a ricercare gli effetti derivanti dall’applicazione
dei principi contabili internazionali (IAS/IFRS) nella redazione dei bilanci
delle società sportive professionistiche.
Alla luce di tali premesse, il presente lavoro è strutturato come di
seguito sinteticamente riportato.
Il primo capitolo ricostruisce, in chiave storica, le principali
vicende che hanno caratterizzato il settore del calcio professionistico,
dedicando un’attenzione prevalente all’impatto che le stesse hanno
prodotto sulla gestione delle società sportive. Inoltre, una parte è
dedicata al sistema dei controlli sulla gestione delle società di calcio
operati dalla Federazione, prendendo in analisi le principali disposizioni
riportate nelle Norme Organizzative Interne della FIGC (NOIF) e nel
Manuale delle Licenze UEFA. Infine, il capitolo si sofferma sulle
Raccomandazioni contabili, senza dubbio la principale raccolta di regole
e indicazioni contabili emanate da una federazioni sportiva nazionale.
IX
Nel secondo capitolo prende il via l’analisi delle voci di bilancio
peculiari delle società di calcio, analizzando le poste più rilevanti di
queste realtà costituite, principalmente, dai “Diritti alle prestazioni
sportive dei calciatori” (DPC), dai “Costi del vivaio” e dai “Diritti di
partecipazione ex art. 102 bis delle NOIF”.
Nel terzo capitolo si prendono in esame le medesime
problematiche valutative relative alle voci di bilancio peculiari delle
società di calcio secondo i paradigmi contabili ed i criteri di valutazione
previsti dai principi contabili internazionali. In tal senso, si potranno
apprezzare i principali cambiamenti che derivano dal passaggio agli
IAS/IFRS per le società che operano in questo settore.
Il quarto capitolo, infine, analizza il caso A.S. Roma S.p.A. per
mostrare le principali difficoltà che si trova ad affrontare una società di
calcio, in che modo questa venga valutata e le opzioni che le si
presentano per uscire da una crisi. L’analisi per indici (studiando anche
quelli esplicitamente richiesti dalla Covisoc) e per flussi pone in
evidenza le voci critiche di un bilancio e gli eventuali punti di forza e
debolezza di una società sportiva.
A conclusione del lavoro, desidero ringraziare il prof. Fabio
Fortuna per la fiducia fin da subito accordatami, accettando questo
argomento di tesi, per la continua disponibilità e per aver contribuito alla
mia formazione e crescita. In modo particolare, gli sono riconoscente
per avermi fatto capire l’importanza della passione nell’insegnamento, e
più in generale in qualsiasi cosa si faccia.
CAPITOLO PRIMO
IL SETTORE DEL CALCIO: ORGANIZZAZIONE,
SVILUPPO ECONOMICO ED EVOLUZIONE GIURIDICA
2
1. CENNI STORICI
Le origini del calcio non sono simili a quelle di un qualsiasi
settore economico: ebbe inizio come un gioco, che era interessante per
la possibilità che offriva di formare il carattere dei partecipanti, cioè la
disciplina personale e la consapevolezza di far parte di una squadra. Il
calcio, quindi, come altre discipline, nasce come attività ludica per poi
trasformarsi nella seconda metà dell'Ottocento in sport inteso come
attività organizzata e regolata, uno dei massimi simboli della cultura del
XX secolo. Per quanto diverso, inizialmente il calcio era un gioco, e per
i fondatori del gioco una concezione del calcio come impresa era
deplorevole; questo rimase un sentimento comune tra gli appassionati
di calcio fino a tempi piuttosto recenti. E allora, in che modo il calcio è
diventato un business?
Le società di calcio erano originariamente niente più che
associazioni di calciatori, strumenti organizzativi che offrivano alle
persone la possibilità di giocare a calcio. La primaria funzione della
società calcistica era quella di coordinare gli incontri, un'innovazione
che era essenziale per quanti desiderassero giocare con regolarità.
Appena il calcio divenne uno sport diffuso, fu necessario creare
dei servizi per i tifosi che implicavano determinate spese, che dovevano
essere coperte dalle entrate ottenute dalla vendita dei biglietti. In questo
modo, il calcio cominciò a divenire, seppur limitatamente, un business.
All'inizio, inoltre, i giocatori erano tutti dilettanti. Tuttavia, quando
cominciò a diventare più importante vincere piuttosto che partecipare, le
società più grandi cominciarono a offrire incentivi ai giocatori migliori:
rimborsi spese generosi, facilitazioni per trovare un impiego e così via.
Il denaro guadagnato dalla vendita dei biglietti era utilizzato per pagare i
calciatori e poiché i giocatori migliori attraevano gruppi di spettatori più
numerosi, ricevevano gli stipendi più alti. La trasformazione del calcio
da sport dilettantistico a sport professionistico è dunque funzionale
3
all'evoluzione del calcio da sport a business.
Tuttavia, mentre il gioco diventava sempre più popolare, i
dirigenti dovevano affrontare i problemi di gestione ordinaria che
sorgono in qualsiasi impresa. Aumentare al massimo le entrate divenne
una questione critica per il sostentamento finanziario delle società e il
miglioramento della loro performance sportiva. Ciononostante, nei primi
tempi, il calcio si curava poco delle questioni finanziarie finché i consigli
di amministrazione vennero occupati dai dirigenti più capaci negli affari
che stabilirono metodi precisi per rendere più efficiente la gestione delle
società.
Questi, dunque, sono gli elementi fondamentali del business del
calcio; elementi che sono rimasti tali sin dai primissimi giorni del gioco
professionistico: un prodotto (l'intrattenimento offerto dal gioco stesso)
venduto a clienti (i tifosi e altri spettatori), fornito da lavoratori (i
giocatori, gli allenatori, i consulenti tecnici) che usano terreni (i campi di
calcio), fabbricati (gli stadi) ed equipaggiamenti (palloni, scarpette,
indumenti da calcio) in cambio di uno stipendio, in un ambiente
competitivo, ma che necessita anche di un certo grado di cooperazione
con i concorrenti (nell'organizzazione delle competizioni, nella scelta di
accordi sulle regole di base, nello sviluppo di nuove iniziative).
Detto ciò, se si desidera studiare l'evoluzione di questo business
e cercare le motivazioni che hanno portato all'attuale situazione del
sistema calcio è fondamentale intersecare lo studio degli eventi a quello
delle principali fonti normative che nel tempo hanno contribuito a
disciplinare e modificare l'organizzazione e la gestione delle società
sportive e il loro rapporto con lo sportivo professionista.
Nel tentativo di ricostruire il percorso che ha portato all'attuale
configurazione economica del sistema calcio, è possibile ricondurre lo
studio degli eventi e delle fonti normative di riferimento a tre distinti
periodi storici:
• il primo riguarda gli anni '60 e '70 in cui sorgono e si
4
sviluppano le prime competizioni a livello internazionale
per club, aumenta la dimensione economica dell'attività
sportiva e si assiste alla trasformazione delle vecchie
associazioni sportive in società di capitali;
• il secondo che dal 1981, anno di approvazione della prima
legge italiana sullo sport professionistico, arriva alla metà
degli anni '90;
• il terzo che dal 1996, anno di emanazione della nota
“sentenza Bosman”, giunge fino ai giorni nostri.
1.1 PRIMO PERIODO: GLI ANNI '60 E '70. LA RIFORMA DEL 1966
“In questi anni la dimensione dell'attività sportiva appare in
continua e progressiva crescita, avendo già superato la fase di
transizione da attività sportiva svolta nel tempo libero e come momento
di svago, ad attività agonistica organizzata in tornei che prevedono la
comparazione dei risultati conseguiti e la formazione di una
graduatoria”
(1)
. L'attenzione al risultato sportivo e il nuovo contesto
socio/economico in cui si trovano ad operare queste società finiscono
con l'incentivare gli stessi club ad incrementare gli investimenti al fine di
competere per risultati sportivi sempre più prestigiosi. “In questa prima
fase della storia del calcio, la situazione di crisi che si estende ormai
all'intero sistema, può essere ricondotta a due cause, tra loro
interrelate: da un lato, l'inadeguatezza organizzativa dei sodalizi
sportivi, la cui forma associativa non può più considerarsi congrua alla
conduzione di un'attività economica che ha raggiunto dimensioni di un
1
Sino alle soglie degli anni ’60, infatti, <<Le spese di gestione sono modeste, si
limitano al sostenimento dei costi strettamente necessari per l’acquisizione dei beni e
delle attrezzature che permettono l’esercizio dell’attività. Gli atleti non sono
remunerati, così come gli allenatori e le altre persone che accompagnano la
squadra>>. A. TANZI, Le società calcistiche. Implicazioni economiche di un “gioco”,
Torino, Giappichelli, 1999, pag. 23.
5
certo rilievo; dall'altro lato, una gestione improntata spesso
sull'improvvisazione del management abituato alla gestione di
un'associazione sportiva della quale, viste le dimensioni ed i
cambiamenti in corso, rimane oramai solamente il nome”
(2)
. Questa
situazione spinge la FIGC nel 1966, a procedere all'approvazione di
una serie di provvedimenti, finalizzati a guidare la transizione dalla
forma associativa a quella societaria (nello specifico, a quella di S.p.A.),
elevandola a condizione necessaria per iscriversi alle successive
competizioni sportive.
Con la delibera del Consiglio Federale della FIGC del 16
settembre 1966 e con quella del 21 dicembre 1966 lo statuto tipo arriva
a configurare una nuova e particolare tipologia di società per azioni,
specificatamente costituita per le compagini professionistiche. Il profilo
e le peculiarità delle nuove società calcistiche che nascono dalla
riforma del 1966 possono essere riassunte nei seguenti punti:
• oggetto sociale. L'art. 3 dello statuto stabilisce che la
società ha per oggetto la formazione, la preparazione e la
gestione di squadre di calcio, nonché la promozione e
l'organizzazione di gare, di tornei e di ogni altra attività
calcistica in genere. Si esclude, pertanto, qualsiasi altra
finalità diversa da quella sportiva allo scopo di evitare che
lo sport da “fine” possa divenire “mezzo” per la
realizzazione di business alternativi;
• assenza dello scopo di lucro (soggettivo). Lo statuto all'art.
22 riconosce da un lato la legittimità da parte dell'impresa
di generare ricchezza attraverso l'esercizio di un'attività
sportiva (lucro oggettivo), ma al contempo ribadisce
l'inammissibilità di poterla distribuire tra i soci sotto
2
F. MANNI, Le società calcistiche. Problemi economici, finanziari e di bilancio,
Torino, Giappichelli, 1991, pag. 12.
6
qualsiasi forma (divieto di lucro soggettivo)
(3)
;
• rappresentanti esterni tra i soci e partecipazioni azionarie.
Questa clausola, contenuta all'art. 5, riconosce alla FIGC
la facoltà di acquisire una partecipazione azionaria nella
società sino ad un ammontare massimo del 5% del
capitale sociale. Nello stesso articolo lo statuto tipo vieta
ad ogni società professionistica l'acquisto di azioni o quote
in altre realtà con il medesimo oggetto sociale;
• controllo esterno sulle scelte di gestione. L'art. 19
stabilisce la preventiva approvazione, da parte degli
organi federali, di tutte le deliberazioni societarie
concernenti assunzioni di mutui, rilascio di fideiussioni,
creazioni di scoperti di conto corrente, e di ogni altra
forma di finanziamento, oltre ad operazioni concernenti il
rilascio di garanzie sui beni sociali e l'emissione di
cambiali.
In questo passaggio, emerge il tentativo del CONI, attraverso la
FIGC, di stringere le maglie dei controlli sulla gestione delle società.
Tuttavia, la necessità di capitali sempre crescenti per competere a
livello internazionale e l'impossibilità per gli azionisti di vedere
remunerato economicamente tale investimento portano alle seguenti e,
quasi naturali, conseguenze: ricerca di remunerazioni indirette da parte
dei presidenti (ritorni di immagine e popolarità)
(4)
, scarsa attenzione alle
3
Anche gli eventuali saldi attivi residui in caso di liquidazione, avrebbero dovuto
essere devoluti a favore del fondo di assistenza del CONI, dopo il rimborso ai soci del
capitale. I contenuti dello statuto tipo, del tutto singolari rispetto alle ordinarie imprese
costituite in forma societaria, determinarono forti discussioni in ambito giuridico in
merito alla sua validità, sollevando non poche perplessità soprattutto per l’assenza del
lucro soggettivo, elemento essenziale nella forma della società per azioni.
4
<<Gli azionisti di riferimento delle società di calcio sono di regola grandi
imprenditori che, quando intervengono nelle società calcistiche, lo fanno ben sapendo
di dover ripianare perdite. Trattasi di imprenditori che, dovendo rispondere di fronte ai
fattori produttivi della propria impresa, non possono correlare il costo dell’intervento
nel calcio alla passione o al mecenatismo, ma alla pubblicità e/o all’immagine. Il
7
condizioni di equilibrio economico e finanziario nella gestione (a causa
del divieto di lucro soggettivo) e rincorsa esasperata, e a qualsiasi
costo, del successo sportivo (in ragione dell'aumento del prestigio e
della visibilità che ogni vittoria è in grado di garantire a chi si trova al
vertice della società sportiva).
Per concludere, l'imposizione del divieto di lucro costituisce il
principale ostacolo all'affermazione della nuova società sportiva
professionistica e alla diffusione di un'effettiva cultura di impresa nella
conduzione di questi club. L'impossibilità di trarre remunerazioni
dall'investimento nelle società sportive ha ripercussioni non indifferenti
anche negli anni successivi dimostrando che la sola trasformazione in
società di capitali e il penetrante sistema di controlli esterni attivato
dalla federazione non costituiscono rimedi sufficienti per garantire una
gestione delle risorse ispirata ai criteri di economicità.
1.2 SECONDO PERIODO: DAL 1981 ALLA META’ DEGLI ANNI ’90. LA
LEGGE N. 91 DEL 23 MARZO 1981 E LA COMPLESSITA’ INTRODOTTA
DAL PROFESSIONISMO
L’approvazione della legge 23 marzo 1981, n. 91, “Norme in
materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” – il primo, e ad
oggi unico, provvedimento che disciplina in maniera organica lo sport
professionistico in Italia – introduce, sul fronte dei contenuti, una serie
di disposizioni volte a regolamentare i seguenti aspetti:
a) oggetto sociale e forma giuridica della società sportiva
professionistica;
b) sistema dei controlli federali;
c) rapporto tra atleta e società e relative modalità di trasferimento.
ritorno in termini di pubblicità e/o immagine è superiore a quello collegabile a canali
diversi da quello del calcio, quali la pubblicità commerciale o il mecenatismo culturale,
stante la enorme popolarità del calcio>>. A. GALEOTTI FLORI, La crisi del calcio e gli
aiuti contabili e fiscali, in <<Il Fisco>>, n. 9, 2003, pag. 1278.
8
a) Oggetto sociale e forma giuridica della società sportiva
professionistica
La legge 91/81 – nel Capo II della sua versione originaria, titolato
“Società sportive e Federazioni sportive nazionali” – fissa alcune
importanti regole che qualificano la società sportiva professionistica,
attraverso:
• la forma giuridica;
• l’oggetto sociale;
• il divieto di finalità di lucro.
Pur non introducendo novità di rilievo nell’assetto gestionale
delle società di calcio, la legge 91/81 ha avuto il grande merito di
risolvere le numerose perplessità che le previsioni contenute nello
statuto del 1966 avevano sollevato.
Per quanto concerne la forma giuridica, la legge 91/81 all’art. 10
comma 1 attribuisce la capacità di stipulare contratti con atleti
professionisti solo a società sportive costituite nella forma di società per
azioni o società a responsabilità limitata. Rispetto alla riforma del ’66,
pertanto, si allarga anche alle S.r.l. la possibilità di svolgere attività
sportiva professionistica, prima limitata alle sole S.p.A.
(5)
Con riguardo all’oggetto sociale, l’art. 10 comma 2 prescrive in
maniera inequivocabile che l’oggetto sociale delle nuove società
professionistiche si concentri nello svolgimento esclusivo dell’attività
sportiva e nella sua promozione. Di fatto, la normativa esclude la
possibilità di svolgere qualsiasi attività di natura commerciale attraverso
una società di calcio.
Infine, la legge 91/81 riconosce all’impresa sportiva la possibilità
5
Appare di particolare interesse anche la procedura di costituzione della stessa
società, dato che il medesimo art. 10 comma 3 impone <<l’affiliazione a una o più
federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI>> quale condizione preliminare al
deposito dell’atto costitutivo a norma dell’art. 2330 del c. c. e quindi condizione
necessaria per ottenere l’iscrizione al registro delle imprese.
9
di generare utili (lucro oggettivo) ma nega di poterli dividere tra i propri
soci (lucro soggettivo), analogamente a quanto stabilito nella
precedente riforma federale.
b) Sistema dei controlli federali
La legge 91/81 attribuisce al CONI e alle federazioni un obbligo
generale di vigilanza sulla gestione e sull’operato delle società sportive
con modalità e forme stabilite dagli stessi organi federali
(6)
. In
particolare:
• a norma dell’art. 12 comma 2, <<tutte le deliberazioni delle
società concernenti esposizioni finanziarie, acquisti o
vendita di immobili, o, comunque, tutti gli atti di
straordinaria amministrazione, sono soggetti ad
approvazione da parte delle Federazioni Sportive
Nazionali cui sono affiliate>>. Rispetto alla previsione
statutaria del ’66, sostanzialmente limitata alle sole
decisioni inerenti le scelte di finanziamento, la legge 91/81
estende i controlli anche a due altre categorie importanti di
atti di gestione: a) le operazione concernenti investimenti
immobiliari; b) le scelte inerenti alle operazioni di
straordinaria amministrazione;
• a norma dell’art. 13, <<la federazione sportiva nazionale,
per gravi irregolarità di gestione, può chiedere al tribunale,
con motivato ricorso, la messa in liquidazione della
società e la nomina di un liquidatore>>. Con tale
disposizione, la federazione assume il potere di decidere
non solo sugli atti più importanti di gestione ma addirittura
6
A norma dell’art. 12 comma 1, <<le società sportive […] sono sottoposte
all’approvazione ed ai controlli sulla gestione da parte delle Federazioni Sportive
Nazionali di cui sono affiliate, per delega del CONI e secondo modalità approvate dal
CONI>>.
10
sulla cessazione della società stessa.
Il quadro complessivo che si delinea nei primi anni ’80, pertanto,
vede le neonate società sportive professionistiche:
• da un lato, private, ex lege, di una piena “autonomia
economica”, non essendo consentita alcuna finalità di
lucro e nemmeno il diritto, in sede di liquidazione della
società, di vedere rimborsata la ricchezza prodotta nel
corso della loro intera vita;
• dall’altro, limitate anche sul versante della “autonomia
decisionale” – propria di una qualsiasi società di diritto
privato – e di fatto costrette a rendere conto,
esternamente e in via preventiva, di tutte le principali
scelte di gestione per le quali è richiesto il benestare della
federazione.
Il paradosso che emerge dal sistema di controlli così delineato è
che, benché sia stato istituito a salvaguardia dell’equilibrio economico e
finanziario del mondo del calcio, esso sia stato anche una delle
concause principali della crisi intervenuta successivamente. La forte
restrizione all’autonomia economica e decisionale cui sono sottoposte
queste società non ha certamente favorito lo sviluppo di un sano e
coerente senso di responsabilità nella gestione, impedendo di fatto la
crescita di una cultura di impresa nella conduzione di realtà la cui
dimensione economica è, ormai, in costante ed esponenziale ascesa.
L’errore di fondo commesso in questa fase della storia del calcio
professionistico italiano è stata quella di non accorgersi che le vere
ragioni della disastrosa situazione in cui versano questi club non è da
ascrivere alle scelte di natura straordinaria o estranee alla gestione
operativa, su cui si è focalizzato il sistema di controlli approvato con la
legge 91/81. La causa principale, al contrario, si può ricondurre allo