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INTRODUZIONE
La storia del libro è la storia degli uomini di tutti i tempi. Esso
rappresenta l‟espressione materiale dello sforzo senza fine compiuto
dall‟uomo lungo il corso della storia nella sua affannosa ricerca di
prospettive nuove e di paradigmi di significati sempre più esaurienti.
Da sempre è stato il fedele compagno dell‟uomo, un elemento che ha
svolto e svolge tuttora un ruolo di primaria importanza nell‟affermarsi
della diffusione della cultura e nello sviluppo del patrimonio culturale
dell‟umanità. Se consideriamo il libro in termini generali come la
forma del contenitore che custodisce la tradizione scritta del pensiero
umano, a prescindere dalla materia o dal tipo di scrittura utilizzata,
possiamo affermare che le sue origini risalgono a epoche lontanissime.
Sin dai tempi più antichi gli uomini hanno sentito il bisogno di rendere
tangibili i propri pensieri, per fare ciò si sono ingegnati servendosi dei
materiali più disparati, dapprima hanno usato foglie, cortecce, pietre,
poi, il papiro, la pergamena e infine la carta. L‟esigenza di comunicare
ai propri simili idee, avvenimenti ed emozioni risulta essere una
costante nella storia dell‟uomo sicché si può dire che alla fin fine tutta
la nostra vita non è altro che una forma di comunicazione, una
continua ricerca di dialogo in cui il libro ha giocato un ruolo decisivo:
esso rappresenta lo strumento primo con cui l‟uomo è riuscito a
rendere corporeo e duraturo il proprio pensiero. Nella forma di
comunicazione del libro è connaturata una tensione allo scambio e alla
condivisione, un‟inclinazione fondamentale che figura come
un‟apertura della soggettività e dell‟esperienza individuale verso il
mondo esterno.
Attualmente anche la lettura è considerata un‟attività fondamentale
per l‟uomo, la sua importanza risiede nel fatto che è un‟operazione
che interessa sia lo sviluppo dell‟intelligenza cognitiva che quella
emotiva. Leggere un testo stimola l‟immaginazione e la produzione di
conoscenze, consente la sperimentazione di sentimenti, favorisce
l‟acquisizione di una maggiore consapevolezza delle proprie
emozioni, della facoltà di riconoscerle e comprenderle in se stessi, e di
6
riflesso, anche negli altri. Attraverso la lettura di un testo possiamo
venire in contatto con molteplici vite “altre”, o ancora, possiamo
intraprendere un viaggio che ci conduce nelle direzioni più disparate,
che ci porta a conoscere paesi, luoghi e culture lontane. Leggere
trascende il tempo e lo spazio.
Nell‟epoca contemporanea il ruolo svolto dal libro e dalla lettura nella
costruzione del sapere umano ha assunto un peso ancora maggiore. Da
quando la riflessione epistemologica ha scoperto tra le scienze sociali
e la letteratura notevoli analogie, prossimità e complementarietà si è
compreso che tutte le caratteristiche che erano state a lungo ritenute
ascrivibili a un discorso “scientifico” sull‟uomo come la neutralità,
l‟oggettività e l‟universalità erano in realtà alquanto inconsistenti e
ambigue ed è emerso in modo lampante come sia impossibile non
ammettere che tra questi due ambiti non esistano confini certi.
Numerosi studiosi sono giunti così a considerare che se è vero che
entrambe le discipline possiedono un‟unica radice comune, vale a dire
l‟intelligenza dell‟uomo che si pone come proposito l‟intento di
indagare e dare un senso al mondo, è altrettanto vero che nella
sostanza alcune delle loro diversità appaiono come il prodotto di un
insieme complesso di contingenze storiche e culturali che tendono a
resistere nel tempo. Per questo motivo oggi uno scrittore può guardare
alle scienze sociali come a un immenso deposito di conoscenze che
possono essere tradotte in temi narrativi e uno scienziato può ritenere i
testi narrativi come veri e propri strumenti d‟indagine della ricerca
antropologica. Tuttavia per arrivare a tale concezione in antropologia
è stato necessario scardinare e ripensare profondamente i principali
paradigmi di riferimento della disciplina e rivedere a fondo anche il
concetto di letteratura. L‟aspetto maggiormente evidenziato da tale
riflessione è stato il denominatore comune che agisce alla base di
entrambe le discipline corrispondente a un comportamento umano
universale: il bisogno di raccontare per dare un senso alla vita e al
mondo, una necessità profonda che si tramuta in un racconto senza
fine che si dipana nel tempo assumendo strutture, forme e movenze
sempre nuove e differenti. Con la messa in discussione dei presupposti
metodologici ed epistemologici della disciplina antropologica, e nello
specifico, della scrittura come condizione pratica della produzione del
sapere, si è giunti a pensare che probabilmente anche la scienza è uno
7
dei possibili modi di raccontare. Una volta caduta la certezza della
stabilità dei confini interposti tra antropologia e letteratura è emerso in
modo evidente come al di là dei codici e delle forme discorsive
proprie di ciascuna disciplina sia celata una stessa sostanza che le
figura come due forme di racconto dell‟esperienza dell‟uomo nel
mondo, una volta due forme di narrazione molto diverse ora non più
così dissimili. A dimostrazione di ciò vi sono il cospicuo numero di
antropologi che hanno coltivato parallelamente al loro lavoro anche la
scrittura narrativa, divenendo dei veri e propri antropologi romanzieri,
e la grande quantità di scrittori che impiegano abitualmente gli
strumenti e le conoscenze della disciplina antropologica per scrivere le
loro opere letterarie. C‟è chi ritiene che il motivo alla base di questo
reciproco scambio di ruoli sia il fatto che antropologia e letteratura
sono entrambe fatte di narrazioni, o meglio ancora, di narrazioni di
narrazioni, e cioè di racconti di realtà a loro volta già narrate. Altri
sostengono che la ragione fondamentale provenga principalmente da
una necessità personale, vale a dire, da quell‟inquietudine soggettiva
vissuta da scrittori e antropologi nei loro percorsi di ricerca che li
induce a pensare che la piena espressione dei significati appresi sia
possibile solo attraverso quella scrittura asistematica e frammentaria
che può rendere ragione della complessità e della contraddittorietà
della vita umana: la scrittura romanzesca. Le ambiguità e le incertezze
relative al rapporto tra antropologia e letteratura, confluite poi in un
vero e proprio dibattito, hanno “catturato” e stimolato a tal punto la
mia attenzione e la mia curiosità da divenire l‟argomento di ricerca del
presente lavoro.
Un giorno mentre stavo leggendo il testo d‟esame Terra incognita.
Antropologia e cooperazione: incontri in Africa
1
di Gabriella Rossetti,
un volume che mi aveva particolarmente appassionato, sono rimasta
profondamente colpita da alcune frasi dell‟autrice; in quelle parole
c‟era scritto che l‟antropologa si sentiva al centro di un dilemma
personale che la vedeva divisa tra la necessità di immergersi nella vita
della cultura che si era posta come oggetto di ricerca e la
consapevolezza dell‟impossibilità di riuscire a rimandare in modo
1
Rossetti G., Terra incognita. Antropologia e cooperazione: incontri in Africa, Rubettino Editore,
Soveria Mannelli, 2004.
8
pieno per mezzo delle sue pubblicazioni scientifiche i significati
appresi. Le sue parole sottolineavano acutamente l‟inquietudine
vissuta dall‟antropologa e la prossimità percepita da lei stessa tra
scrittura etnografica e scrittura romanzesca. Ho riposto tutto ciò in un
cassetto della mia mente e l‟ho custodito lì fino a quando non ho letto
il romanzo Antigua, vita mia
2
di Marcela Serrano. Appena terminata la
lettura di questo libro ero rimasta da subito profondamente affascinata
dalla lucidità con cui trattava e narrava alcuni aspetti del nostro vivere
contemporaneo, ma più di tutto, quella lettura aveva riportato alla mia
mente la frase che avevo letto nel testo di Gabriella Rossetti. Così ho
deciso di approfondire le mie conoscenze in merito al rapporto tra
antropologia e letteratura e di analizzare accuratamente il testo di
Marcela Serrano per constatare se tale testo poteva essere realmente
una fonte significativa di considerazioni antropologiche inerenti la
nostra epoca definita postmoderna, e poi, per formulare una mia
opinione personale in merito all‟apporto che può portare la letteratura
all‟antropologia.
Prima di soffermarmi sull‟analisi concettuale del testo di Marcela
Serrano, nel primo capitolo ho tracciato un quadro generale del
dibattito epistemologico che ha coinvolto le scienze sociali in
generale, ma soprattutto l‟antropologia, e ho descritto come tale
discussione abbia segnato la svolta retorica-letteraria in tali discipline.
Nella prima parte ho voluto riportare alcuni passaggi storici
fondamentali che evidenziano come da una riflessione critica sulla
presenza di una dimensione soggettiva nei processi di strutturazione e
rappresentazione scritta della conoscenza antropologica si è giunti a
dare vita a sperimentazioni che hanno prodotto nuove forme testuali, e
di come queste nuove opere siano l‟espressione di una nuova
concezione del testo equivalente a uno spazio discorsivo creativo in
cui ricerca scientifica e mezzo letterario si incontrano. Dopodiché nel
secondo capitolo ho introdotto il tema del rapporto tra uomo e
territorio, e nello specifico, prima ho esposto il significato importante
contenuto nel processo di significazione messo in atto dall‟uomo che
ha per conseguenza l‟“umanizzazione” di uno spazio naturale, poi mi
sono soffermata a tratteggiare i caratteri fondamentali che
2
Serrano M., Antigua, vita mia, Feltrinelli, Milano, 1995.
9
contraddistinguono la differenza tra un luogo antropologico e un non
luogo postmoderno. Infine, nel terzo e ultimo capitolo ho esaminato a
fondo il romanzo di Marcela Serrano con l‟intento di dimostrare come
in tale testo siano presenti delle indicazioni importanti sul nostro
vivere contemporaneo, e in particolare, sul rapporto tra gli uomini e i
luoghi e sul ruolo decisivo che giocano questi ultimi in relazione alla
nostra identità, al nostro benessere psico-fisico e al senso della vita.
Inoltre attraverso quest‟analisi concettuale ho voluto mostrare come
questa autrice ispanoamericana tanto elogiata per le sue capacità di
raffigurazione dell‟identità femminile sia altrettanto encomiabile per
la sua capacità di raccontare i luoghi, e in particolare, la stretta
relazione identitaria che lega l‟uomo al territorio. Spero altresì con
questo lavoro di essere riuscita a dischiudere una nuova visuale per
tutti coloro che parlano di questo libro sempre e solo citandolo come il
racconto della vita di due donne e della loro profonda amicizia e di
essere stata capace di portare in primo piano come Antigua, vita mia
3
sia più di tutto un‟opera sui luoghi, sugli uomini e sul loro dialogo
all‟interno del villaggio globale.
3
Serrano M., Antigua, vita mia, op. cit.
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CAPITOLO PRIMO
12
IL ROMANZO ANTROPOLOGICO: UN NUOVO
SPAZIO DISCORSIVO TRA ANTROPOLOGIA E
LETTERATURA
“L‟uomo non ha che le parole
per dire anche quello che le parole
non sanno dire, - disse Estina
Bronzarlo. – Solo le parole per esistere.”
SONY LABOU TANSI
in Le sette solitudini di Lorsa Lopez
1.1 Costruire mondi. Soggettività e letteratura nella riflessione
antropologica
La lingua parlata e scritta rappresenta il canale privilegiato
utilizzato dagli antropologi per riferirsi alle culture “oggetto” della
loro ricerca. La scrittura è un aspetto costitutivo del lavoro
antropologico e la testualizzazione, ossia la modalità di trasposizione
in un testo di tutti i discorsi tenuti durante la ricerca sul campo, è un
passaggio centrale. Il compito dell‟antropologo di rendere pubblica
l‟esperienza attraverso la stesura di un testo che comunichi ai lettori i
contenuti e i significati appresi dalla porzione di cultura oggetto della
sua riflessione si è concretizzato e declinato in pratiche di scrittura su
cui gli antropologi stessi hanno cominciato a interrogarsi dando vita a
un ampio dibattito epistemologico che ha travolto i paradigmi
consolidati della disciplina.
Fino ai primi anni del Novecento le principali fonti di conoscenza
occidentale di realtà politiche, economiche, sociali e religiose “altre”
13
lontane nello spazio erano i missionari e i viaggiatori mentre gli
studiosi lavoravano a “tavolino” sui materiali prodotti da loro. E‟ in
questo scenario che si sviluppò una nuova figura, l‟etnografo, che si
recava sul luogo, osservava e poi rappresentava la cultura studiata
elaborando un sistema generale di conoscenze, la monografia, sulla
base di un preciso concetto di cultura, oggetto di studio della
disciplina, elaborato preliminarmente e teoricamente in sede
antropologica. Tuttavia, la trasmissione del sapere sotto forma testuale
permetteva e garantiva all‟antropologo il suo inserimento nei settori
della conoscenza riconosciuta e accettata dal mondo occidentale solo
se il lavoro pubblicato veniva riconosciuto e convalidato attraverso un
accordo intersoggettivo dalla comunità scientifica. Nel primo
ventennio del Novecento la disciplina etnografica ha risentito degli
influssi dei paradigmi dominanti delle scienze naturali e dei relativi
generi letterari cosicché i principi di costruzione, organizzazione e
trasmissione del sapere in antropologia avevano le caratteristiche di
un‟epistemologia positivista. L‟impegno per conferire scientificità, e
quindi oggettività, al lavoro etnografico ha indotto gli antropologi a
imitare il modello della monografia delle scienze naturali. Neutrale,
disinteressato, onnisciente, l‟etnografo autore di questa forma di
scrittura è un professionista che scrive oggettivamente le cose così
come sono nella realtà, vuole essere sostanzialmente privo di un punto
di vista, di conseguenza:
“(…) la presenza nel testo del narratore in prima persona, in linea
generale la rappresentazione del contesto di osservazione, modalità
narrativa dei racconti di viaggio e dei resoconti missionari, potrebbe
essere un elemento incompatibile con la volontà di realizzare una
scienza positiva della cultura.”
4
I paradigmi epistemologici della conoscenza occidentale erano fondati
su un “sapere” che non lasciava spazio alla dimensione soggettiva, ai
pronomi personali, alla presentazione dell‟osservatore nel contesto
d‟osservazione o ad altri indicatori spazio-temporali che
caratterizzavano la situazione di ricerca sul campo. In un lavoro
4
Matera V., La scrittura etnografica, Meltemi, Roma, 2004.
14
etnografico “autorevole” tali elementi erano considerati fattori
disturbanti da trascendere, da eliminare, per la costruzione e la
rappresentazione di una comprensione oggettiva. In questo binomio
antitetico, descrizione impersonale e osservazione in prima persona,
risiedeva la tensione epistemologica fondamentale interna alla
disciplina antropologica:
“L’etnografo non riconosce la natura provvisoria delle sue
presentazioni. Sono definitive. (…) I suoi testi presuppongono una
verità autonoma, completa in sé (tutta la verità”), senza alcun
supporto retorico. Le sue parole sono trasparenti. Condivide la
sicurezza di Ermes. Ma quando Ermes divenne il messaggero degli
Dei, promise a Zeus di non mentire, non di dire tutta la verità. Zeus
ha capito. L’etnografo No.”
5
Oltre alla descrizione impersonale la monografia classica realista
6
era
caratterizzata dal presente etnografico: una modalità convenzionale di
rappresentazione concettuale del tempo in cui attraverso l‟uso del
presente veniva cancellata e annullata all‟interno dell‟organizzazione
semantica della lingua la dimensione temporale degli enunciati in
maniera tale da conferire loro un valore di invariabilità. Un altro tratto
strettamente connesso all‟a-temporalità delle asserzioni e all‟assenza
di mutamento era l‟utilizzo della generalizzazione induttiva, ossia, la
formulazione di un‟asserzione che oltrepassando i casi esaminati
assume il carattere generale di una legge. L‟insieme di queste strategie
stilistiche e retoriche erano volte a produrre effetti di realtà persuasivi,
espressione della pretesa implicita di rappresentare positivamente
l‟alterità in nome della costruzione di un sapere scientificamente
costituito ottenuto dall‟accumulo potenzialmente infinito di dati sulle
altre culture i quali, a loro volta, venivano organizzati secondo
determinati parametri di scientificità in un sistema generale di
conoscenze.
La pubblicazione nella seconda metà degli anni Ottanta dei libri
Scrivere le culture
7
e L’antropologia come critica culturale
8
segna
5
Clifford J., Marcus G.E., Scrivere le culture, Meltemi, Roma, 2001.
6
Matera V., La scrittura etnografica, op. cit.
7
Clifford J., Marcus G.E., Scrivere le culture, op. cit.
15
convenzionalmente la svolta retorica-letteraria avvenuta in generale
nelle scienze sociali, ma soprattutto in antropologia dove si è
concentrato con maggior forza il dibattito metodologico e
epistemologico sulla scrittura come condizione pratica della
produzione del sapere. Fu così che a partire dalla seconda metà del
secolo scorso la comunità degli antropologi si è trovata coinvolta in un
ampia discussione sulla scrittura etnografica. Gli esponenti di questi
“approcci letterari” delle scienze umane si sono interrogati sulla
presenza di una dimensione soggettiva nei processi di strutturazione
della conoscenza e sulla trasformazione cui sono soggetti i dati
raccolti sul campo una volta trasferiti in una rappresentazione grafica:
“La questione attuale per gli antropologi è sapere se la loro
disciplina possa pretendere ancora di “rappresentare” positivamente
la realtà dell’altro o, al contrario, se essa non si debba accontentare
di “evocare” nella ricostruzione di un’esperienza del sé. Essi si
domandano se l’osservatore sia un testimone neutrale o un attore
partecipante, se l’autentica natura dell’antropologia non sia alla fine
la produzione di finzioni narrative e il lavoro di scrittura, come in
letteratura.”
9
In queste due opere venne sostenuta la tesi secondo cui la scrittura non
è un mero strumento neutrale di trasmissione di conoscenze
indipendenti da essa ma al contrario la sua natura è prettamente
costruttiva difatti è proprio al suo interno che si definisce l‟esperienza
conoscitiva. La nuova prospettiva dischiusa ad opera dell‟antropologo
James Clifford, oltre che a indicare la possibilità di rivedere la storia
degli studi antropologici con un nuovo sguardo non più fatto di teorie
e metodi bensì di pratiche testuali o di generi di scrittura
10
,
incoraggiò anche l‟inizio di sperimentazioni di nuove forme di
testualizzazione e il superamento delle convenzioni classiche della
scrittura etnografica. Secondo questa visione tutte le modalità con cui
8
Marcus G., Fisher M., Antropologia come critica culturale, Meltemi, Roma, 1998.
9
Fabietti U., Il sapere dell'antropologia. Pensare, comprendere, descrivere l'Altro, Mursia,
Milano, 1993.
10
Dei Fabio, La libertà di inventare i fatti: antropologia, storia, letteratura, pubblicato in Il Gallo
Silvestre, n°13, 2000, p.p. 96-180.