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INTRODUZIONE
A partire dagli anni „60 i distretti industriali hanno apportato un contributo rilevante in
termini di produzione, occupazione ed esportazioni all'economia italiana. Il primo ad
introdurre il concetto di distretto in Italia fu Giacomo Becattini che lo definì come un entità
socio - territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un‟area circoscritta,
naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una
popolazione di piccole e medie imprese specializzate in una o più fasi di una stessa filiera
produttiva. Il successo del modello distrettuale è dovuto a vari fattori, ma il ruolo centrale è
sicuramente svolto dal territorio, il quale rappresenta un potente mezzo di relazione e di
scambio di informazioni e risorse tra le diverse imprese distrettuali. Altri fattori
identificativi dei distretti sono: la diffusione del know-how, che favorisce i processi
innovativi e può diventare un traino per lo sviluppo dell'intero sistema industriale; l‟elevata
specializzazione produttiva, ossia le imprese che formano un distretto sono specializzate in
differenti fasi della produzione e sono collegate tra loro da intensi rapporti di sub-
fornitura; la forte concentrazione spaziale di imprese; l'elevata divisione del lavoro tra le
imprese locali e la conseguente forte interdipendenza tra le stesse ; infine l'esistenza di un
mix di complesse relazioni di cooperazione tra le imprese distrettuali. I distretti italiani,
circa 200 su tutto il territorio nazionale, vantano un posto significativo nella storia e nella
vita economica del nostro Paese. Contano un numero di circa 2.200.000 dipendenti, che
costituiscono il 42% dell'occupazione manifatturiera italiana. Negli ultimi anni molti
distretti industriali, anche se in misura diversa, stanno attraversando un periodo di crisi e
trasformazioni le cui cause sono abbastanza comuni. Si tratta fondamentalmente di
problematiche legate da un lato alla piccola e media dimensione d'impresa e quindi di non
essere in grado di sviluppare economie di scala adeguate, di essere orientati ancora su
settori troppo tradizionali e all‟incapacità di disporre di risorse da investire in funzioni
immateriali, come la progettazione ed il design, la ricerca e lo sviluppo, il marketing ed i
servizi post-vendita; dall'altro lato nell'ultimo decennio si sono verificati rapidi
cambiamenti in ambito economico e tecnologico, favorendo l'ingresso di nuovi paesi
competitori spesso capaci di realizzare prodotti simili a costi molto contenuti. Data
l'importanza che il sistema distrettuale italiano ricopre nell'economia italiana, è dunque
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urgente pensare a delle possibili soluzioni per rigenerare i vantaggi competitivi che hanno
permesso ai sistemi locali di piccola impresa di ottenere successi in tutto il mondo.
Questo lavoro ha lo scopo di mostrare che le imprese distrettuali per superare la forte crisi
degli ultimi anni hanno attuato strategie di innovazione.
Nel 2° capitolo verrà introdotto il concetto di innovazione in cui si possono comprendere
elementi più istituzionali e formali, come la presenza di un laboratorio di R&S, numero di
brevetti presentati, a cui si associa anche la capacità di attivare reti di collaborazione con
centri di ricerca, quali università, parchi scientifici, ecc…! A questi elementi fondamentali
se ne possono aggiungere altri che fanno riferimento a modalità specifiche attraverso cui la
Pmi italiana ha interpretato l‟innovazione e le modalità attraverso cui sviluppare e
mantenere la propria capacità competitiva sul mercato. Si parla soprattutto di aspetti legati
al gusto e all‟estetica del prodotto, sintetizzati nel concetto di design, attraverso cui sono
stati costruiti brand di successo. Si vedrà come la conoscenza sia l‟elemento principale per
accrescere l‟innovazione all‟interno dei distretti, poichè nell‟economia dei nostri tempi la
crescita economica ed il posizionamento competitivo delle imprese dipendono dalla
partecipazione a processi di apprendimento per la produzione di nuovi saperi e dall'accesso
alle conoscenze distribuite nelle reti locali e globali. Successivamente si elencheranno le
diverse dinamiche di apprendimento distrettuale: apprendimento interno (imprese),
cooperativo (reti di imprese) e collettivo (territorio). Un osservatorio TeDIS ci mostrerà
che le innovazioni più utilizzate dalle imprese distrettuali sono: innovazione di prodotto,
struttura dedicata alla R&S, design e progettazione, brevetti e collaborazioni di ricerca;
tuttavia solo il 20% delle aziende distrettuali sceglie l‟innovazione come leva competitiva,
invece il restante 80% presenta un atteggiamento non molto attivo rispetto alla tecnologia ,
in quanto la subiscono adeguandosi alle innovazioni.
Se è vero che i distretti rappresentano una componente importante del sistema industriale
italiano – il 40 % degli addetti alla manifattura,il 50 % dell‟export dei beni, che arriva al
70% per i settori del made in italy - è vero anche che presentano segnali di debolezza; Uno
dei più importanti è sicuramente un sistema di specializzazione settoriale e dimensionale
che molti non ritengono più idoneo alla competizione moderna. Quindi resta da capire se il
modello distrettuale può contribuire, oggi e nel futuro, a mantenere forte il sistema
produttivo italiano. Per capirlo si utilizzerà una nuova prospettiva di analisi dei distretti
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che li vede come sistemi locali dell‟innovazione, attraverso questa analisi si possono
considerare alcuni fattori di modernità economica che rientrano nei processi di
cambiamento degli asset competitivi dei distretti. L‟innovazione è importante anche per
permettere alle imprese facenti parte del distretto di ottenere un maggiore vantaggio
competitivo, non solo a livello Nazionale, ma anche quello Internazionale, in quanto il
fenomeno dell‟internazionalizzazione/globalizzazione ha contribuito fortemente ai processi
di cambiamento dei distretti industriali, mettendo, allo stesso tempo, in dubbio il futuro
degli stessi. La capacità dei distretti di presidiare il mercato estero può essere misurata
considerando due dimensioni: il grado di internazionalizzazione produttiva ed il grado di
presidio dei mercati di sbocco, che ci permettono di costruire una matrice che ci
rappresenta il processo di internazionalizzazione delle imprese distrettuali. Da questa
matrice emerge su tutte una tipologia di imprese, dette a rete aperta, in misura del 12,5%;
si tratta di imprese che hanno fondato la strategia aziendale sull‟innovazione, sulla ricerca
del design e comunicazione, e che hanno saputo supportare tali strategie con soluzioni
gestionali più innovative e complesse. Si può quindi affermare che le imprese a rete aperta
sono imprese innovative in senso sia produttivo, sia commerciale, sia tecnologico, per
questo possono essere definite Leader.
Nel3° capitolo si analizzerà un interessante rapporto di Intesa Sanpaolo (dicembre 2010),
che si concentra sulle strategie adottate da 3 filiere distrettuali: calzaturiero, tessile-
abbigliamento e legno-arredo. Innanzitutto il rapporto mostra come, rispetto alle imprese
distrettuali tradizionali, le imprese a rete aperta investono in marchi proprietari,
credono nell‟innovazione di prodotto e investono nel design e nella ricerca e
sviluppo e, infine, dispongono di brevetti propri. Le reazioni strategiche delle 3 filiere
hanno in comune un comportamento d‟attacco mirato a rafforzare il loro posizionamento
competitivo. Per i distretti calzaturieri si rilevano investimenti in innovazione e l‟attenzione
alla qualità dei prodotti; I distretti del tessile- -abbigliamento si contraddistinguono,
sempre per la ricerca dell‟ innovazione, e per l‟investimento in attività pubblicitarie. Infine
i distretti del legno – arredo hanno una forte propensione ad investire in qualità, dopo
l‟innovazione, in particolare con la diffusione di certificazioni aziendali. Successivamente si
vedrà quale impatto hanno avuto le strategie sulle performance di queste imprese, in
quanto alcune delle politiche non hanno effetti immediati, ma piuttosto devono essere
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guardate nel medio – lungo termine . L‟obiettivo è evidenziare come le imprese che hanno
adottato strategie di innovazione siano state quelle che meglio sono riuscite ad affrontare la
crisi.
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I Capitolo:
IL DISTRETTO INDUSTRIALE
1.1 NASCITA E CARATTERISTICHE
All’inizio degli anni ’60 si avvertivano i primi sintomi della crisi delle grandi imprese
Italiane causata dal venir meno delle condizioni di crescita espansiva della domanda
del mercato, dell’abbondanza delle risorse e della stabilità monetaria sulle quali si era
basato lo sviluppo industriale di quegl’anni. Molte imprese intrapresero, così, una
profonda riorganizzazione sia avviando azioni di decentramento produttivo, sia
sfruttando le potenzialità della specializzazione e della divisione del lavoro tra
imprese di uno stesso settore. Contemporaneamente si cominciò a sviluppare un
tessuto di piccole imprese di origine artigiana, fortemente radicate con la produzione
di aree geografiche ristrette, che raggiunse gradualmente rilevanti quote di mercato in
produzioni di nicchia
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. Ed è proprio così che in Italia si è cominciato a sviluppare il
modello del DISTRETTO INDUSTRIALE. Una prima definizione venne coniata da
Alfred Marshall (1972), nella seconda metà del XIX sec., in riferimento alle zone
tessili di Lancashire e Sheffield. La definizione che Marshall diede, industrial
districts, diceva: “Quando si parla di distretto industriale si fa riferimento ad un’entità
socio-economica costituita da un insieme di imprese, facenti parte generalmente di
uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è
collaborazione ma anche concorrenza”. Dunque gli elementi individuati
dall’economista inglese erano:
Individuazione di una specifica realtà sociale, oltre che economica
La specializzazione in una precisa categoria di prodotti
Concentrazione in un’area geografica
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NAPOLI F. (2010): imprese distrettuali, Franco Angeli, Milano
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Il particolare rapporto tra le imprese: collaborazione e concorrenza
Alfred Marshall nei suoi “Principles of Economics” sottolineò il ruolo delle
economie esterne quale elemento fondamentale grazie al quale piccole imprese
possono conseguire i vantaggi tipici della produzione su grande scala, in virtù di una
forte concentrazione in un'area geografica ben delimitata. Per ciò che riguarda l’Italia,
negli anni Settanta il primo a parlare di distretto fu Giacomo Becattini, che propose di
usare tale termine per descrivere l’emergere nelle regioni del Nordest e Centro Italia
di sistemi manifatturieri specializzati nella produzione di beni differenziati per la
persona e per la casa, oltre che nella meccanica strumentale. Eravamo, così, già nel
pieno sviluppo dell’economia della piccola impresa, anche se non erano in molti ad
essersene accorti. Per diverso tempo infatti gli economisti impedirono di
comprendere un fenomeno che sfuggiva ai canoni dello sviluppo moderno dominato,
come molti pensavano, dalla grande impresa manageriale. Solo la forza dei numeri
(relativi a demografia aziendale, produzione, occupazione, export) riuscì a convincere
gli attori politici che il successo dei sistemi imprenditoriali non costituiva un
fenomeno transitorio, ma era destinato a incidere sullo sviluppo nazionale. Oggi, la
definizione di distretto industriale data proprio da Becattini dice che: “è un’entità
socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale
circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di
persone e di una popolazione di piccole e medie imprese specializzate in una o
più fasi di una stessa filiera produttiva”
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. E proprio grazie a Becattini che prende il
via in Italia un filone di studi che restituisce alle PMI un ruolo fondamentale nelle
economie moderne. Successivamente anche studiosi americani, (M.Piore, C.Sabel)
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,
misero in rilievo negli anni 80’ una via di sviluppo diversa dalla produzione di massa
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BECATTINI G. (2000) :il distretto industriali, Torino, Rosenberg & Sellier
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CORO’- MICELLI (2009): I nuovi distretti produttivi Ed.Marsilio