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diversità, si ritrovano, attualmente, a dover trovare soluzioni comuni essendo entrambi
afflitti da questi problemi. Restano tuttavia profonde differenze, determinate dal fatto
che la Francia ha assunto nel tempo una politica assimilazionista, naturalizzando i suoi
stranieri e concedendo loro pari diritti civili e politici; l'Italia, invece, reduce da un
lungo passato di paese d'emigrazione, ancora non sicuro della sua potenza economica,
ha tentennato nell'attuare politiche d'integrazione anche se, negli ultimi anni, sembra
aver intuito le enormi potenzialità che vi sono dietro all'afflusso degli stranieri.
Le analisi dei flussi migratori che riguardano questi due paesi rivelano il
profondo cambiamento che è avvenuto, dall’immediato dopo guerra in poi.
L’Italia assieme agli altri paesi dell’Europa mediterranea, come la Spagna e la
Grecia, è diventata paese d'immigrazione; le recenti ondate migratorie hanno trovato in
questi paesi facili sbocchi per la carenza di normative relative all’immigrazione.
La storia della Francia e dell'Italia, inoltre, s’intreccia in due periodi storici: il
primo, negli anni Cinquanta e Sessanta, in cui la Francia è il principale paese d’arrivo
degli emigranti italiani; il secondo, negli anni Settanta, in cui, invece, in seguito alla
chiusura delle proprie frontiere, la Francia diventa uno dei punti di partenza degli
stranieri che si riversano in Italia.
La Francia, insieme alla Germania, è stata luogo d’approdo in un momento in
cui l’economia conosceva uno dei suoi apogei attraverso il modello fordista e, quindi,
richiedeva manodopera straniera per accrescere la sua potenza industriale e compensare
i gravi squilibri demografici. A tale scopo ricorrendo all’uso di una politica
d’accoglienza volta alle naturalizzazioni, ha visto l’installazione nel proprio territorio di
7
stranieri provenienti da paesi geograficamente vicini, prevalentemente di sesso maschile
e impiegati nella grande industria.
L’Italia, invece, è stata caratterizzata dall’arrivo di immigrati non tanto perché
attirati dal suo sviluppo economico ma perché spinti da diversi fattori relativi ai loro
paesi d’origine, in un contesto post-fordista, caratterizzato dalla segmentazione e dalla
flessibilizzazione del mercato del lavoro. Avviene che così in Italia gli immigrati non
arrivano solo da paesi vicini ma, anzi, soprattutto da paesi lontani e in numero di gran
lunga maggiore rispetto alle migrazioni degli anni Cinquanta e Sessanta; inoltre, si
registra l’arrivo delle donne che s’inseriscono nel mercato del servizio alle persone.
Il presente lavoro, dunque, intende mettere a confronto, anche se in maniera
indiretta, le politiche migratorie attivate nei due paesi e, inoltre, soffermarsi su alcuni
aspetti relativi all’inserimento degli immigrati nel tentativo di individuare le principali
aree problematiche, che scaturiscono dall’attuazione delle diverse leggi in materia.
Le politiche migratorie sono lo strumento che consente di regolare e, non di
subire, le migrazioni; purtroppo, entrambi i paesi hanno tardato a formularle
determinando, in questo modo, un afflusso disordinato e non protetto da nessun diritto
né, tantomeno, regolato da alcun dovere. Si è creato così il problema degli afflussi
irregolari che hanno causato gli allarmi sociali nelle diverse società.
Oggi, fortunatamente, alla luce di entrambe le esperienze si nota un
miglioramento del trattamento degli stranieri, soprattutto per quel che riguarda i minori.
Il campo in cui sono più evidenti gli sforzi per una progressiva integrazione è, infatti,
proprio quello scolastico; tanta strada resta da fare, invece, in campo abitativo, sanitario
e del trattamento dei rifugiati.
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Ecco, nello specifico, quali argomenti sono stati trattati. Nel primo capitolo si è
delineato un quadro storico delle migrazioni internazionali che si sono susseguite in
fasi, direzioni e tipologie diverse, si sono individuate le cause delle migrazioni e, infine,
si sono tracciate le differenze tra le "vecchie" migrazioni e "le nuove" attraverso le
analisi di alcuni autori.
Il percorso che è stato seguito in questo capitolo, sarà la linea guida dello
svolgimento del resto del lavoro. Si cercherà, quindi, di tracciare un quadro storico, poi,
si evidenzieranno gli elementi caratteristici del flusso migratorio specifico del paese e,
infine, si analizzeranno gli strumenti o meglio, le politiche migratorie, utilizzate per
favorire o impedire l'afflusso degli immigrati.
Nel secondo capitolo si ripercorrà l’evoluzione del flusso migratorio in Francia
che, grazie al processo di naturalizzazione adoperato nei primi anni, ha determinato lo
sviluppo di ben tre generazioni di stranieri.
Nel terzo capitolo si analizzeranno le specifiche politiche migratorie francesi,
alternate tra quelle d’accoglienza e quelle di chiusura con particolare riferimento al
fenomeno dei sans papiers, ancora in via di risoluzione e determinato proprio dalle
politiche di chiusura attuate negli ultimi anni.
Nel quarto capitolo, invece, si rileveranno le peculiarità della corrente migratoria
italiana, che si è evoluta da quell’emigratoria a quell’immigratoria. Si evidenzieranno,
in questo capitolo, alcuni dati riguardanti la consistenza del fenomeno e, in particolare,
si delineerà l’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro. Il lavoro rappresenta,
infatti, uno dei fattori di maggiore importanza per l’integrazione e l’acquisizione dei
diritti sociali, politici e civili. Gli immigrati, nel mercato di lavoro locale, possono
9
essere elemento di sostituzione, di concorrenza o di complementarità; sarà sottolineato
come, in ognuna di queste ipotesi, essi si collochino all’interno del settore secondario
dove occupano posizioni lavorative dequalificate e precarie. Si fornirà, infine, una
“carrellata” di tutti i lavori che gli immigrati svolgono, con particolare attenzione al
lavoro autonomo che tende sempre più a diffondersi.
Nel quinto capitolo è analizzata la normativa italiana riguardante l’immigrazione
a partire dal periodo fascista, in cui vigeva il Testo Unico di Polizia del 1931, fino
all’ultima legge emanata, la L. 40, del 1998, da cui provengono le linee di politica
intraprese in campo abitativo, sanitario, educativo e, infine, relative alla partecipazione
politica e ai rifugiati.
In generale, si può affermare che l’Italia è stata caratterizzata da interventi di
prima accoglienza e non da politiche integrative nel tempo, con forti differenze
all’interno della penisola e sottovalutando il fenomeno crescente dei rifugiati. L’ultima
legge ha in sé elementi nuovi che mirano ad un’integrazione definitiva; sarà compito
delle diverse regioni attuarla tempestivamente (ancora non sono state soddisfatte delle
disposizioni a distanza di tre anni) e in modo completo.
Infine, per provare a definire il quadro complessivo in cui sia l'Italia che la
Francia si muovono, è stato fatto riferimento alle tappe che hanno portato alla
costituzione dell’Europa Unita e alle conseguenti politiche migratorie intraprese in tale
ambito. Attualmente, infatti, si è entrati in un periodo in cui le migrazioni sono al centro
delle riflessioni politiche internazionali, oltre che di quelle nazionali, in quanto
costituiscono fattori importanti e ineliminabili nella costituzione delle diverse società. Si
è, infatti, diffusa la consapevolezza che l’immigrazione è un fenomeno che continuerà a
10
svilupparsi anche se contrastato ma, in questo caso, con il rischio che possa degenerare
nell’illegalità e possa essere inglobato nei sistemi della criminalità organizzata.
L’obiettivo che l’Europa si prefigge, negli ultimi anni, è quello allora di
costituire società aperte e multiculturali per la costruzione della cosiddetta “Europa dei
popoli”, in grado di soppiantare la “Fortezza Europa” operando, allo stesso tempo, una
strenua lotta all’immigrazione clandestina.
Gli scenari cambiano continuamente, quindi sarà compito dei diversi paesi
adeguarsi senza lasciare spazio all’indeterminatezza, che nei decenni scorsi è stata causa
di afflussi irregolari che hanno fomentato fobie ingiustificate da parte delle società
ospitanti, attuando politiche che promuovano un’integrazione reale in tutti gli aspetti, da
quelli riguardanti la dignità degli immigrati a quelli sociali e demografici.
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Cap. I Le tappe del fenomeno migratorio
1.1 Le migrazioni internazionali in un quadro storico
In meno di 100 mila anni la specie umana è riuscita a popolare
l’intero pianeta, con la sola eccezione dell’Antartide. Ben prima della
rivoluzione neolitica e della nascita dell’agricoltura, verificatesi tra l’8000
e il 6500 a.C., l’homo sapiens sapiens era presente in ogni angolo del
globo.
La spinta alla mobilità territoriale e alla colonizzazione di nuovi
spazi va quindi considerata una caratteristica della nostra specie, la cui
riuscita dipende dalla capacità dell’uomo d’adattarsi socialmente e
culturalmente ai nuovi ambienti, superando i limiti e la lentezza
dell’adattamento biologico cui sono costrette le altre specie animali
27
.
La dislocazione da un luogo ad un altro in epoca preistorica,
protostorica ed antica, però, riguarda ristretti gruppi umani e si muove entro
spazi limitati; di conseguenza, gli studiosi cominciano a parlare di vere e
proprie migrazioni, vale a dire di grandi spostamenti di uomini, solo
dall’età moderna. In quest'epoca sono spinte da due eccezionali opportunità
27
Bonifazi C., L’immigrazione straniera in Italia, Bologna, Il Mulino, 1998
12
storiche che soprattutto l'Europa sfrutta e coglie: le colonie da sfruttare e i
nuovi mondi da popolare.
Saranno la conquista del Nuovo Mondo, lo sviluppo degli scambi
commerciali e della rete dei trasporti che, integrando la popolazione
mondiale in un unico sistema migratorio, apriranno una nuova fase.
I movimenti di popolazione hanno avuto scansioni diverse nel tempo
e nello spazio tanto che si possono individuare diverse fasi:
I) XIV-XVI secolo, espansione del potere monarchico. I governanti
accoglievano favorevolmente gli emigranti, per le capacità e i
capitali che portavano con sé. L’espandersi della popolazione era un
segno di rafforzamento del potere e i sovrani si compiacevano nel
vedere gli altri stati perdere sudditi.
II) tra il XVI e il XVIII secolo, a una debole mobilità interna dovuta a
motivi di lavoro, si contrappone una direttrice extraeuropea che si
convoglia in due grandi migrazioni transoceaniche: il trasferimento
di circa due o tre milioni di europei – in gran parte forzati – e lo
spostamento di circa 7,5 milioni di africani, deportati come schiavi,
dalla costa occidentale del loro continente, verso le colonie del
Nuovo Mondo. Tale fenomeno può essere considerato uno dei
maggiori movimenti migratori involontari che si siano mai realizzati.
13
III) Dalla fine del XVIII secolo, con le grandi rivoluzioni democratiche e
demografiche, fino a tutto il XIX secolo, vi è una grande ondata
migratoria di provenienza europea che si consolida sempre più verso
i nuovi continenti (America ed Australia)
28
.
La prima indagine ufficiale, denominata “questionario del 1811”,
sulle migrazioni europee legate al lavoro, risale agli inizi del XIX
secolo (1808-1813) e fu commissionata dall’esercito francese che
aveva bisogno di soldati per le guerre di conquista
29
.
IV) Fine del XIX secolo, i movimenti migratori all’interno dell’Europa
cominciano a superare quelli rivolti verso il Nuovo Mondo anche
perché i vari paesi smettono di incentivare l’emigrazione verso le
Americhe.
Con la nascita dell’industria pesante, infatti, gli stati avevano
bisogno di manodopera straniera per sopperire alle carenze di
quell’interna.
La proclamazione dell’unità d’Italia, avvenuta nel 1861, e quella
dell’impero tedesco, nel 1870, contribuirono a far crescere il
28
Famoso N., “Movimenti migratori, diversità e convivenza”, in Brusa C., a cura di, Immigrazione e
multicultura nell’Italia di oggi. Il territorio, i problemi, la didattica, Milano, Franco Angeli, 1996
29
Sassen S., Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione di massa alla Fortezza Europa., Milano,
Feltrinelli, 1999
14
sentimento nazionalista anche se la presenza di molte minoranze
rappresentava una sfida all’integrità di molti stati nazione europei di
recente costituzione.
V) Fine del XIX secolo, inizio del XX (1881-1914) incominciano i
movimenti dei rifugiati; più di 2.250.000 ebrei andarono negli Stati
Uniti e più di 120.0000 in Gran Bretagna
30
.
Le politiche liberali cominciarono ad essere messe in discussione nei
paesi di accoglienza e incominciò un controllo dell’immigrazione.
Fino a quando gli ebrei lasciarono l’Europa per l’America, i paesi
d’asilo potevano permettersi politiche liberali ma, quando si
incominciò a diffondere l’antisemitismo e le porte americane si
chiusero, si iniziarono a pensare norme più severe; tutto questo fu
accelerato dalla prima guerra mondiale. Così, nel 1919, regolazioni
sistematiche dell’immigrazione e misure di controllo sugli stranieri
diventarono la norma. Nel periodo della crisi degli anni Trenta, poi,
il progresso tecnologico è molto rapido: all’uomo si sostituisce la
macchina. L’uomo cessa di essere il fattore di produzione meno
costoso. La disoccupazione pesa per lunghi anni sulle società
30
Collinson O., Le migrazioni internazionali e l’Europa, Milano, Il Mulino, 1994
15
industriali e, in primo luogo, sulla società americana. Il mondo
aperto del XIX secolo e dell’inizio del XX era cessato.
V) Dopo la Seconda Guerra Mondiale, invece, si apre una nuova fase;
tutta l’Europa centrosettentrionale diventa area d’immigrazione e,
quindi, importatrice netta di manodopera
31
. Il modello dominante era
rivolto ad un’immigrazione verso l’Europa nordoccidentale più che
verso l’emigrazione poiché la ripresa economica richiedeva, oltre a
quella locale, manodopera straniera. Da 25 a 30 milioni di persone si
spostarono verso Occidente
32
.
La nuova ondata di migrazioni che ci fu nell’Europa occidentale
ebbe un ruolo fondamentale sia sociale che politico; essa si può
suddividere in tre momenti che hanno interessato in maniera diversa i
vari paesi:
1) 1945-73 ricostruzione postbellica e espansione strutturale. Le
migrazioni rispondono ad una reale domanda di lavoro nelle aree
d’immigrazione, costituite da paesi dell’Europa centrosettentrionale.
In quel periodo si verificò, infatti, una straordinaria crescita economica:
il prodotto industriale europeo crebbe mediamente del 30%, con punte
31
Melotti U. “,La sfida dell’immigrazione: aspetti generali e problemi specifici del caso italiano”, in
Bergnach L. e Sussi E., a cura di, Minoranze etniche ed immigrazione, Milano, Franco Angeli, 1993
32
Harris N., I nuovi intoccabili. Perché abbiamo bisogno degli immigrati, Milano, Il Saggiatore, 2000
16
del 50% in Germania Occidentale, del 48% in Francia e del 40% in
Italia.
La Germania fu particolarmente coinvolta da questo movimento, che si
concretizzò nell’afflusso di otto o nove milioni di persone entro il 1956.
L’Italia, invece, partecipò solo come paese d’emigrazione anche se al
suo interno c’erano delle migrazioni dal sud verso il nord
33
.
2) 1973-82 crisi strutturale e nuova divisione internazionale del
lavoro. Nei paesi importatori di manodopera (Francia, Gran Bretagna e
Germania) le migrazioni subiscono il contraccolpo della crisi
economica; si introducono provvedimenti legislativi per ridurre gli
ingressi di manodopera straniera e favorire i rientri nei paesi d’origine.
La riunificazione delle famiglie diviene l’unico motivo ammesso che
consenta l’ingresso in un altro paese e, anche in questo caso, i controlli
divengono molto più rigorosi. La presenza di lavoratori stranieri in
Europa, infatti, si riduce di 250.000 unità.
Le migrazioni, in ogni caso, non si bloccano ma diventano illegali e si
estendono in altri paesi.
33
Ibidem
17
Questa fase è particolarmente importante perché vede i principali paesi
dell’Europa meridionale trasformarsi da aree d’emigrazione in aree
d’immigrazione.
3) 1982-90 crisi globale dei paesi sottosviluppati e ripresa delle
economie capitalistiche. Le migrazioni crescono sempre di più
espandendosi in molti più paesi senza essere, per altro, motivate da
domanda di manodopera dai paesi in cui giungono, ma dalle forze
espulsive dei paesi d’origine.
In questi ultimi venti anni, infine, il fenomeno migratorio è stato
caratterizzato da profondi cambiamenti, parallelamente alle trasformazioni
di una società mondiale entrata in un nuovo periodo della sua evoluzione,
quello postindustriale o postfordista o toyotista.
Con la caduta del muro di Berlino si è avuto il superamento dell’equilibrio
bipolare sancito dalla conferenza di Yalta, sostituito con un nuovo ordine
mondiale ancora in fase di definizione
34
. Una serie di fattori (espansione
del terziario, precarizzazione del lavoro, rivoluzione informatica e
esportazione di capitali dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo) ha
ridisegnato la geografia delle migrazioni internazionali: nuove destinazioni
si sono
18
aggiunte a quelle tradizionali e nuove aree d’esodo si sono sovrapposte o
hanno sostituito le vecchie. Le migrazioni tra paesi vicini diventano sempre
più a carattere temporaneo per desiderio reciproco dei migranti e dei paesi
d’immigrazione
35
.
E’ cambiata anche la funzione della forza lavoro immigrata nei paesi
d’arrivo: non più un ruolo di riequilibrio quantitativo dei mercati di lavoro
ma uno qualitativo per ricoprire i vuoti che, anche in una situazione di non
piena occupazione, si manifestano in specifici comparti lavorativi.
Conseguenza di ciò è il declino dell’immigrazione per lavoro nell’Europa
occidentale e la più frequente riunificazione delle famiglie dei lavoratori
immigrati: in altre parole, la perdita del carattere transitorio
dell’immigrazione con la progressiva formazione di minoranze etniche.
L’epoca moderna è caratterizzata, quindi, dalla comparsa sullo
scenario dell’economia mondiale di paesi e popoli rimasti finora estranei e
isolati (ad esempio “i dragoni” dell’Asia); si affermano o emergono poli
politici ed economici extraeuropei, come gli Stati Uniti, il Giappone e la
Cina, s’appanna l’egemonia dell’Europa, ora alla ricerca di una nuova
collocazione, e s’accresce la dimensione magmatica del Terzo Mondo. Si
34
Bonifazi C., L’immigrazione straniera, op. cit.
35
Pierre G., Le migrazioni internazionali, Roma, Editori Riuniti, 1978
19
sviluppa, quindi un processo di interdipendenza e di globalizzazione dove
s’accrescono i flussi migratori e si ristrutturano i circuiti entro cui essi si
muovono. L’unificazione e l’intercomunicabilità del mondo moderno ha
annullato tutte le distanze comportando una trasformazione epocale e
straordinaria ma non ha eliminato gli squilibri internazionali, anzi, secondo
quanto affermano le stime, il divario tra paesi ricchi e poveri è destinato ad
accrescersi. I flussi di popolazione, di conseguenza, sono inarrestabili;
qualcuno ha parlato di “sesto continente”
36
: un movimento che va dai paesi
della fame a quelli della ricchezza, un’emigrazione biblica e
inimmaginabile, simile a quella che un secolo fa riempì l’America di
europei.
36
Fmoso N., "Movimenti migratori, diversità e convivenza, in Brusa C., a cura di, op. cit.