5
la corruzione dilaga di pari passo con la criminalità; furti
clamorosi vedono coinvolti perfino elementi della Questura; una
mafiosità diffusa svolge opera di protezione e mediazione anche
nei bassi strati della popolazione, nelle transazioni, per il
recupero della refurtiva, nella prostituzione con i ricottari
2
;
associazioni di categoria esercitano forme criminali di sindacato
e di monopolio; l’ozio alimenta la criminalità, come testimoniano
le statistiche giudiziarie, nelle quali sono evidenziati i vistosi
aumenti del numero dei reati nei giorni festivi di cui è zeppo il
calendario locale; lo scalo marittimo, al quale confluiscono i
prodotti del circondario e dell’interno, alimenta il contrabbando
che si avvale della protezione dei ladri di campagna, come è
denominata l’organizzazione mafiosa almeno fino al 1864.
Una miriade di piccole aziende agricole a coltura intensiva,
orti e giardini, costella tutta la Conca d’Oro fino alle pendici
delle colline circostanti. E’ il regno delle cosche, dei guardiani,
dei curatoli imposti dalla mafia ai proprietari.
Nel processo di espansione della mafia di campagna, la
lotta per il controllo del territorio provoca talvolta scontri
sanguinosi.
Al cospetto delle dimensioni e delle peculiarità del
fenomeno criminale siciliano i primi funzionari piemontesi sono
esterrefatti, sconcertati, indignati, si scoraggiano, talvolta
chiedono il trasferimento
3
o addirittura si dichiarano impotenti
4
.
Palermo è il centro direzionale dei movimenti politici
radicali e sovversivi, dell’azionismo repubblicano e garibaldino,
della cospirazione borbonica, del clericalismo reazionario: forze
2
A. Cutrera, i ricottari, ed. Il Vespro, Palermo 1979.
3
“Il Governo di S. M. […] è venuto nella determinazione di prendere l’occasione in
cui (aderendo alle replicate sue istanze) sarà mandato costì un nuovo Luogotenente
Generale…” Il Ministro dell’Interno al Luogotenente del Re in Sicilia (Montezemolo),
Torino addì 29 marzo 1861, in G. Scichilone 1952, p. 72.
4
“Mentre lo stato della sicurezza è il tema della discussione […] un giornale ha
pubblicato tal dichiarazione in nome del Prefetto di Palermo che ha sparso lo
sconforto su tutte le classi perché la pubblica autorità si dichiara impotente a
distrurre la setta dei ladri di campagna. Sorpresi da questo documento che toglie
anche la speranza di un lontano miglioramento…”, in Mauro Turrisi – Grifeo (a cura
di), N. Turrisi Colonna, Pubblica sicurezza in Sicilia nel 1864, ILA Palma , 1988 Palermo
p. 19.
6
conservatrici e progressiste, che nei primi anni del Regno d’Italia
trovano un punto d’incontro nella comune avversione per il
Governo della Destra storica e per lo Stato liberale.
Ma soprattutto Palermo è la sede del baronaggio politico,
che deluso nelle sue pretese di speciali prerogative che gli
garantiscano la perpetuazione in chiave liberale dei privilegi
feudali per molti versi sopravvissuti all’eversione della feudalità,
fa la fronda, e strumentalizza il disordine in funzione
antigovernativa.
E’ un’opposizione scorretta, insidiosa, distruttiva, dalle
motivazioni egoistiche che si ammantano di sicilianismo.
Il nerbo dell’opposizione regionalista è costituito da quella
che era stata l’ala azionista, la Sinistra del partito liberale, a suo
tempo chiamata da Garibaldi nel Governo dittatoriale. Ormai,
staccata dall’azionismo e inserita nel sistema, prende le distanze
dall’opposizione eversiva.
Il baronaggio politico, nel timore di favorire con la propria
azione le spinte eversive, modera l’opposizione al Governo fino a
quando, repressa la rivolta del settembre 1866 e disperso il fronte
rivoluzionario, riprenderà l’iniziativa con l’opposizione mafiosa.
La rivolta del Sette e mezzo segna uno spartiacque fra due
periodi per la diversa caratterizzazione del problema dell’ordine
pubblico nel Palermitano.
Dopo la repressione dei moti si fa strada l’opinione che
l’epoca delle rivoluzioni sia tramontata. E’ una novità che
influenza l’ordine pubblico laddove toglie al mondo del crimine
la prospettiva dell’apertura delle prigioni. Il pericolo eversivo
perde consistenza, e dopo la meteora dell’Internazionale
anarchica l’estremismo repubblicano e garibaldino rientra nella
legalità, confluendo nel Socialismo e nei movimenti democratici
ed operai.
Venuto meno il pericolo rivoluzionario, l’opposizione
sicilianista acquista la libertà di manovra di cui mai aveva potuto
disporre in precedenza.
I fatti del settembre 1866 presentano più di un lato oscuro.
7
E’ stato posto l’accento sull’estraneità della classe
dirigente siciliana, ma vari indizi la coinvolgono, insieme alla
mafia, anche se inducono ad ipotizzare una regia mirata
esclusivamente al conseguimento di risultati dimostrativi, quali
saranno di fatto gli unici risultati conseguiti dalla rivolta. Ed è
una dimostrazione di forza della classe dirigente siciliana e della
mafia, accreditatesi come poteri capaci di manovrare e tenere
sotto controllo le masse popolari.
Sintomatico a questo riguardo l’atteggiamento del
Governo, che dalle precedenti posizioni di contrapposizione e di
netta chiusura passa alle profferte di collaborazione, per altro
prive di contropartita e perciò lasciate cadere dall’opposizione
sicilianista. Si rinnova più aspro lo scontro. Con la prefettura
Medici il Governo tenta di ridurre le cause economiche e sociali
del dissenso popolare e di riacquistare prestigio con una decisa
azione di polizia; l’opposizione mafiosa strumentalizza la
straordinaria recrudescenza della criminalità verificatasi all’inizio
degli anni Settanta, attribuendone la responsabilità alla politica
della Destra storica. Si rinnovano ed aggravano le precedenti
situazioni di ingovernabilità dell’ordine pubblico. Da tutti i
settori della società monta la protesta per lo stato disastroso della
pubblica sicurezza; esplode l’emergenza mafia mentre il
brigantaggio domina incontrastato nelle contrade dalla Val
Demone alla Val di Mazara.
L’ambiente in cui si sviluppa l’opposizione mafiosa nella
prima metà degli anni Settanta riproduce perfettamente quello
descritto da Nicolò Turrrisi Colonna nel 1864, quando “Cittadini
d’ogni condizione, d’ogni colore politico, rappresentanze
municipali, camere di commercio ed altri corpi costituiti fanno
ogni giorno animate rimostranze al governo […] ogni giorno la
cronaca della provincia di Palermo registra furti, omicidi,
grassazioni d’ogni genere commessi sulle pubbliche vie e nelle
campagne: eppure quelli che la stampa e la cronaca pubblicata
dal questore della città e circondario di Palermo notano, non è
che una frazione debolissima d’un numero assai maggiore di reati
di questo genere che si commettono […] coloro che li soffrono
8
non possono denunciarli senza timore di nuovi e più gravi
mali.”
5
.
Il Governo sembra deciso ad intervenire con l’adozione di
misure legislative eccezionali, per far fronte all’emergenza mafia,
ma dopo la sconfitta elettorale subita ad opera del sicilianismo
nelle elezioni politiche del novembre 1874 ogni iniziativa è
rinviata. Rimaneva soltanto la legge istitutiva di una
commissione parlamentare d’inchiesta. Nel 1876, dopo la caduta
del Governo della Destra e la formazione del primo Governo
della Sinistra, i lavori di quella commissione annunciavano le
linee entro le quali si muoverà l’intesa tra la borghesia
latifondista siciliana e quella imprenditoriale del Nord Italia: non
esisteva una questione sociale in Sicilia, non esisteva una
emergenza mafia. L’ordine pubblico sarebbe stato assicurato
entro i limiti indispensabili per non esporre il Governo alle
critiche dell’opinione pubblica interna ed internazionale.
Il Prefetto Malusardi, incaricato fra l’altro di ristabilire
l’ordine in Sicilia, procederà con metodi sommari, con l’uso
spregiudicato dell’ammonizione e del domicilio coatto, senza
suscitare la minima protesta, anzi sostenuto dalla generale
approvazione.
Il brigantaggio, che avvalendosi di una vasta rete di
complicità a tutti i livelli imperversava nelle provincie di
Palermo, Trapani, Girgenti e Caltanissetta rimaneva
improvvisamente nel più assoluto isolamento. Braccati dalle
forze di polizia coadiuvate da squadriglie armate dai
“proprietari”, alla fine del 1877 i pochi briganti scampati agli
scontri concludevano la loro carriera consegnandosi alla
Giustizia.
5
Ibidem, p. 17.
9
Qualcosa è cambiata nella politica. Le decisioni del
Governo trovano puntuale attuazione in Sicilia, non danno più
luogo a polemiche. Un oscuro processo di normalizzazione mette
la sordina al caso Sicilia, che alla fine del secondo decennio del
Regno d’Italia non figura più tra le principali emergenze
nazionali.
Sarebbe quello il risultato di una transazione intercorsa tra
le forze conservatrici siciliane e quelle espresse dallo Stato
liberale. Una tenebrosa transazione, i cui diversi aspetti
problematici costituiscono altrettante questioni pendenti per la
storiografia.
10
PARTE PRIMA
L’ingresso della Sicilia nello Stato liberale
11
CAPITOLO PRIMO
L’eredità borbonica
1.1. Condizioni della pubblica sicurezza in Sicilia dopo
la rivoluzione del 1848.
L’ultimo decennio del regime borbonico fu caratterizzato
in Sicilia dal progressivo miglioramento della situazione
dell’ordine pubblico; fu, quello, un successo notevole della
gestione Maniscalco
6
, dovuto in gran parte all’efficienza del
sistema giudiziario e di polizia .
Certo, le cause di perturbazione dell’ordine pubblico, le
radici profonde del dissenso popolare e della criminalità in
Sicilia, non erano state rimosse, ed anzi i metodi illiberali della
repressione poliziesca avevano accresciuto l’odio contro il
6
Salvatore Maniscalco operò a Palermo dal 1849 al 1860, personificando la dinastia
borbonica nell’Isola. Giunse a Palermo come capitano dei carabinieri nella spedizione di
Filangeri, fu nominato Direttore di tutta la Polizia della Sicilia il 27 ottobre 1851.
Ebbe il merito di aver riorganizzato le forze di polizia del regime borbonico, introducendo i
Militi a cavallo, che erano compagnie composta soprattutto da uomini reclutati in ambienti
criminali o con individui compromessi nell’insurrezione del 1848, che anzicchè reprimere
attrasse nell’orbita degli interessi borbonici. Oltre che grande poliziotto fu anche un geniale
osservatore politico-militare. Dopo la capitolazione di Palermo si trasferì a Napoli dove
entrò in contrasto con le idee della nuova ed inetta classe politica, fu così che scelse
spontaneamente di assistere alla caduta della dinastia dei Borboni da Marsiglia dove si
trasferì con la moglie e i suoi sette figli. Dall’esilio si astenne dall’attività cospirativa e si
oppose ad ogni tentativo di restaurazione manu armata dei Borboni. Morì a Marsiglia nel
giugno 1864. Tra il maggio 1862 e il maggio 1864 intrattenne un intenso rapporto
epistolare sotto lo pseudonimo A. Frangipane con l’amico cav. Salvo dei Marchesi di
Pietraganzili, Procuratore regio a Girgenti in periodo borbonico ed in seguito rifugiatosi a
Malta (Lelio Rossi, Un carteggio di Salvatore Maniscalco, in La Sicilia nel Risorgimento
italiano (periodico), fasc. I – II, luglio – dicembre 1932 – XI.).
12
Borbone. Cosicché il male endemico sopravviveva allo stato
latente, pronto a riesplodere.
Nella criminalità, costretta all’impotenza, crebbe un odio
profondo, di cui nel 1860 subiranno le tragiche conseguenze gli
uomini più compromessi del regime abbattuto e soprattutto i
componenti delle Compagnie d’armi, dimostratesi fedeli fino
all’ultimo
7
.
Nicolò Turrisi Colonna, che nel 1848 era stato deputato al
Parlamento siciliano, membro del governo provvisorio e, nel
1849, presidente del Comitato di guerra, con la competenza che
non si può non riconoscergli, descrive lo stato della pubblica
sicurezza in Sicilia negli ultimi anni del Regno borbonico ed
indica le ragioni degli ottimi risultati conseguiti; tra i fattori del
successo, egli considera determinante quella sorta di DIA ante
litteram che fu la Direzione generale di polizia, dimostratasi
capace di coordinare l’azione delle forze dell’ordine in tutta la
Sicilia e di armonizzare l’attività esecutiva con quella
giurisdizionale:
“…quest’uomo (Maniscalco) che non mancava d’intelligenza, di energia
militare, di conoscenza particolare dell’isola […] comprese che doveva servirsi delle
compagnie d’armi […] Maniscalco qual direttore generale di polizia per tutta l’isola
ne prendeva il comando e la direzione. In poco tempo dall’unità d’azione e reciproco
aiuto che le compagnie d’armi si prestavano, si ottennero i più soddisfacenti effetti e
puossi dire che nel terribile decennio dal 1849 al 1859 malgrado che un’amnistia
generale dei reati comuni aveva riabilitato tutti i prevenuti e i condannati, pure, la
sicurezza delle strade pubbliche, delle fattorie, delle campagne in generale, fu in
Sicilia in quello stato che solo possono godere i civili paesi d’Europa; […] In
quest’epoca la giustizia punitrice funzionava con molta energia perché in tutta l’isola
erano i giudici di circondario (oggi mandamento) investiti dell’ufficio di ufficiali di
polizia ordinaria col quale mezzo non avevano limiti nelle indagini, e poi come ufficiali
di polizia giudiziaria istruivano i processi e condannavano i rei convinti di reati
portati ad una data pena. Oltre i 175 giudici di circondario era un numero
considerevole di istruttori […] Commesso un reato, l’azione della polizia e della
magistratura era così sollecita e concorde che difficilmente le prove sfuggivano […]
Un’alta commissione di magistrati scrutinava la condotta dei giudici di circondario, di
questa faceva parte principale il direttore generale di polizia, il quale con questo
mezzo teneva a se dipendenti tutti i giudici istruttori, e li spingeva poi alla massima
energia nell’istruzione dei processi.”
8
.
7
Mauro Turrisi Grifeo (a cura di ), N. Turrisi Colonna – “Pubblica sicurezza in Sicilia nel
1864” – ILA PALMA – Palermo – 1988 – p. 40.
8
Ibidem, pp. 32-33-34.
13
Il problema dell’ordine pubblico nell’isola comincia ad
essere affrontato con determinazione nell’ambito del progetto di
ammodernamento politico voluto da Ferdinando II all’inizio
degli anni trenta dell’ottocento. E’, infatti, in questo periodo che
in Sicilia si cerca di abbattere realmente il regime feudale, solo
formalmente abolito nel 1812, di introdurre un moderno sistema
amministrativo civile e giudiziario e di avviare lo sviluppo
industriale. Tuttavia i primi risultati positivi in materia d’ordine
pubblico si registrano a seguito della repressione messa in atto
dal ministro di polizia Del Carretto, “che divenne proverbiale per
la efficienza e la ferocia dimostrata nell’espletamento delle sue
funzioni…”
9
.
Al netto miglioramento della situazione dell’ordine
pubblico nell’isola e all’introduzione delle riforme
ammodernatrici corrisponde l’acuirsi dell’opposizione
aristocratica isolana che avrà il suo culmine nella rivoluzione del
1848 e nei sedici mesi di anarchia e disordine che ne seguiranno.
Ma è proprio a questo evento che seguirà la reazione borbonica
che porterà ai risultati dell’ordine pubblico registrati nel 1850 e
che dureranno per tutto il decennio fino all’aprile del 1860. A
questa conclusione si è pervenuti esaminando dati estratti da
documenti dell’epoca, conservati nell’archivio di Stato di
Palermo
10
, che dimostrano la diminuzione dei reati commessi in
Sicilia e a Palermo in quel periodo e come la tranquillità
dell’ordine pubblico, conseguita negli anni cinquanta, sia cessata
con la rivoluzione del 1860, quando dalle carceri di Palermo
dell’Arsenale e dell’Ucciardone uscirono circa dodici mila
criminali, parte dei quali andarono ad ingrossare le fila dei
“picciotti”.
L’analisi di questi documenti ci svelerà l’organizzazione
della giustizia nel periodo borbonico, la tipologia dei reati,
l’importanza attribuita a questi ultimi dalle forze di polizia e
9
F. Renda – “Storia della Sicilia dal 1860 al 1970 ” – vol. I – Sellerio Ed. Palermo - 1987 -
p. 61.
10
Archivio di Stato di Palermo – Gancia - Fondo: Ministero Affari di Sicilia – Grazia e
Giustizia – busta: 2131.
14
dalla magistratura, ed altri elementi che rimarranno invariati
anche dopo l’Unità d’Italia e che, quindi, ritroveremo quando
parleremo delle statistiche giudiziarie del primo ventennio del
Regno d’Italia.
Le denuncie dei misfatti venivano catalogate in cinque
gruppi principali di reati:
-Misfatti contro la religione, che sostanzialmente era il reato di
bestemmia in luogo pubblico.
-Misfatti contro lo Stato, che comprendevano i misfatti contro la
sicurezza interna ed esterna dello Stato ed il reato di
conservazione di oggetti settari.
-Misfatti contro l’amministrazione e la fede pubblica, l’ordine e
l’interesse pubblico. In questo gruppo erano compresi i seguenti
reati: uso privato dei mezzi della pubblica autorità, oltraggi e
violenze contro i depositari della pubblica autorità e contro gli
agenti della forza pubblica, falsa testimonianza, concussione,
corruzione di pubblici ufficiali ed impiegati, malversazione di
funzionari pubblici, misfatti in materia di sussistenze pubbliche e
di pubblici incanti, esercizio abusivo di autorità contro l’interesse
pubblico e privato, violazione di pubblici archivi e luoghi di
custodia, falsità di moneta, di decisioni, di cedole, di sigilli e
bolli dello Stato e di pubbliche e private scritture, misfatti in
materia di stampa e di scritti, misfatti in materia di giuochi e di
azzardo e di private lotterie, misfatti in materia di commercio,
manifatture ed arti, infrazioni alle leggi sanitarie, misfatti in
materia di comitive armate, asportazione d’armi vietate.
-Misfatti contro la persona e l’ordine delle famiglie, dove
venivano registrati gli stupri violenti e i ratti, occultazioni,
soppressione e sostituzione di fanciulli, parricidi, omicidi
premeditati, venefici, omicidi volontari, ferite e percosse, aborti.
-Misfatti contro la proprietà, categoria comprendente furti
qualificati, frodi qualificate, incendi, guasti e danni.
15
1.2.
Che Palermo fosse, con il suo circondario, la città più
rappresentativa dei problemi dell’ordine pubblico nell’isola, è
dimostrato dalle cifre dei reati denunciati nel 1850, che, anche se
non rappresentano l’intero numero dei reati commessi, sono pur
sempre indice dell’attività dell’amministrazione della giustizia
nei vari distretti.
In quel periodo la Sicilia era divisa in sette Grandi Corti
giudiziarie; questa suddivisione rimase in vigore fino al giugno
1862, quando una nuova riforma ridisegnò i distretti, le
circoscrizioni e i mandamenti, eliminandone alcuni ed
introducendone altri.
Nel 1850 a Palermo furono commessi 1523 reati, a
Messina 898, a Catania 850, a Noto 458, a Girgenti 716, a
Trapani 937, a Caltanissetta 619. Questi dati confermano, anche,
il divario di reati commessi tra la parte occidentale dell’isola e la
parte orientale, mediamente più tranquilla, sia in periodo
borbonico che nel primo ventennio del Regno d’Italia. Tra la
massa enorme di cifre riportate sono state ritenute più
significative quelle relative ai furti qualificati, che vedono
Palermo in testa con 1072 denuncie contro le 578 di Messina,
560 di Catania, 293 di Noto, 443 di Girgenti, 702 di Trapani, e
429 di Caltanissetta; e quelle degli omicidi volontari dove
Palermo primeggia con 151 denuncie contro le 76 di Messina, 71
di Catania, 23 di Noto, 62 di Girgenti, 67 di Trapani e 62 di
Caltanissetta. Le proporzioni tra i gruppi di reati sono le seguenti:
i misfatti contro la religione, con 27 denuncie, rappresentano
l’uno per cento dei reati avvenuti nel 1850 in Sicilia; i misfatti
contro lo Stato, con 42 denuncie, sono l’uno per cento; quelli
contro l’amministrazione e fede pubblica, con 427 denuncie,
sono il sette per cento; quelli contro le persone, con 1114 sono il
diciotto per cento; i reati contro la proprietà, con 4391 denuncie,
rappresentano il settantatre per cento dei reati commessi
nell’Isola nell’anno preso in considerazione
11
.
11
Ibidem.
16
Premesso che in periodo borbonico ai reati contro la
proprietà veniva attribuita un’importanza minore rispetto a quella
attribuitagli in periodo unitario, c’è da osservare che
“…quantunque grave sembri la cifra de’ reati contro la proprietà
tuttavia è da riflettersi che attesa la responsabilità che hanno i
capitani d’armi di indennizzare de’ furti i derubati, veggonsi
denunciati alla giustizia moltissimi furti che poi col processo
svaniscono;”
12
.
Il trend positivo dell’ordine pubblico in Sicilia, negli anni
che vanno dal 1843 al 1846 e nel 1850, emerge dalle tavole
statistiche ricavate dai documenti redatti dal Generale in capo
Luogotenente Generale interino Duca di Taormina
13
:
Confronto quinquennale delle istruzioni
Anni Pendenti Disbrigati Residuali
1843 9787 8210 1577
1844 11453 9559 1894
1845 10212 8662 1550
1846 10160 8254 1906
1850 8732 7954 778
TAVOLA N. 1
12
Ibidem.
13
Ibidem.
17
Atti d’accusa degli agenti del Pubblico
Ministero
Anni Atti d’accusa Conclusioni in
pubblica
discussione
Totale
1843 1538 1488 11289
1844 1698 1566 21150
1845 1797 1660 23632
1846 1814 1814 22672
1850 1408 1408 19383
TAVOLA N. 2
Cause decise in camera di
consiglio
Anni Atti
d’accusa
Conclusioni
in pubblica
discussione
Totale
1843 1538 1488 11289
1844 1698 1566 21150
1845 1797 1660 23632
1846 1814 1814 22672
1850 1414 1408 19383
TAVOLA N. 3