1
Premessa
La normativa antiriciclaggio italiana ha da poco raggiunto la “maggiore età”: dalla
l. 5 luglio 1991, n. 197 che, per prima, ha disciplinato organicamente la materia, si sono
susseguiti una molteplicità di provvedimenti, i quali hanno contribuito ad arricchire il
sistema di prevenzione del riciclaggio di denaro “sporco”; è proprio nell’ultimo
ventennio, infatti, che la comunità economica ha progressivamente preso coscienza
della pericolosità di un fenomeno che, se non adeguatamente contrastato, rischia di
inquinare irreversibilmente la corretta allocazione delle risorse nel mercato, mettendone
a repentaglio la stabilità attraverso la presenza di competitori che, finanziandosi “a costo
zero”, alterano il meccanismo della libera concorrenza a favore, evidentemente, dello
sviluppo della criminalità organizzata.
L’evoluzione del sistema normativo di contrasto al riciclaggio, peraltro, si è
concretizzata in provvedimenti legislativi non sempre caratterizzati da organicità,
essendo gli stessi spesso nati come reazione a problemi di ordine pubblico e di
criminalità che tradizionalmente affliggono il nostro Paese, soprattutto in alcune aree
geografiche
1
. Solo recentemente, mediante l’approvazione del d.lgs. 21 novembre 2007,
n. 231, si è addivenuti a una revisione sistematica della normativa, che ha permesso agli
“addetti ai lavori” di chiarire una serie di dubbi interpretativi che la stratificazione di
norme aveva contribuito ad alimentare. Tali perplessità hanno recentemente riguardato
soprattutto il coinvolgimento, nella lotta al fenomeno, di soggetti estranei al settore
bancario, ai quali sono stati progressivamente estesi alcuni obblighi che si pensava
1
Cfr. A. URBANI, Disciplina antiriciclaggio e ordinamento del credito, Padova, 2005, pag. 13.
2
fossero riservati esclusivamente agli intermediari finanziari; si tratta dei professionisti
del settore legale e contabile che, da qualche anno, sono diventati protagonisti del
sistema di prevenzione del riciclaggio dei proventi illeciti; quest’ultimi hanno
inizialmente accolto con estrema diffidenza gli adempimenti posti a loro carico e non
hanno perso occasione per esprimere il loro pressoché unanime disappunto nei confronti
di alcuni obblighi, considerati eccessivamente onerosi e non rispettosi del rapporto
professionista/cliente. Lo stato di recepimento della disciplina antiriciclaggio negli studi
professionali, dunque, risulta ancora lontano da un risultato apprezzabile; i seguenti dati
“parlano da soli”: nel 2008, delle oltre 14.000 segnalazioni di operazioni sospette
inviate all’Unità di Informazione Finanziaria, quelle provenienti dai professionisti (e da
operatori non finanziari) sono ferme a quota 173
2
. Tali numeri obbligano chiunque si
avvicini allo studio della materia ad una serie di riflessioni: perché i professionisti sono
così restii a segnalare i sospetti di riciclaggio? E’ davvero necessario coinvolgerli nella
lotta ad un fenomeno che, apparentemente, non li riguarda da vicino? E’ possibile
apportare qualche miglioria alla disciplina in modo da renderli partecipanti attivi e non
meri spettatori?
Lo scopo del presente lavoro è quello di cercare di rispondere a tali questioni e di
capire quale sia la ratio sottostante ad ogni adempimento imposto dalla legge. Dopo una
prima parte introduttiva, dedicata all’analisi dei caratteri peculiari con i quali si
manifesta il riciclaggio dei proventi derivanti da attività illecite e finalizzata a rendere
edotto il lettore circa l’estrema pericolosità del fenomeno, si proseguirà con un ampio
excursus storico, volto a ripercorrere le tappe fondamentali che la Comunità
2
Si fa riferimento ai dati ufficiali diffusi dall’ UNITÀ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA DELLA
BANCA D’ITALIA, Rapporto annuale 2008, pag. 38 ss., pubblicato in www.bancaditalia.it nel mese di
marzo.
3
internazionale ha attraversato negli ultimi trent’anni nel tentativo di definire alcune
regole comuni per contrastarne la diffusione.
Il passo successivo sarà l’esame della c.d. “via italiana all’antiriciclaggio”: dalla l.
n. 197/1991 al d.lgs. n. 231/2007, passando per gli articoli del codice penale, si cercherà
di comprendere l’evoluzione normativa delle strategie antiriciclaggio, prima di
concentrarsi esclusivamente sugli obblighi posti a carico dei professionisti del settore
contabile, al cui approfondimento si rivolgerà la parte centrale del presente lavoro; la
scelta di tale categoria professionale è giustificata dall’interesse di chi scrive per la
professione di dottore commercialista e revisore dei conti.
L’ultima parte si soffermerà sul punto di vista del Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili: l’analisi non solo delle lamentele sollevate,
ma anche delle proposte offerte dall’organo di autoregolamentazione delle professioni
dovrebbe permettere al lettore di “calarsi” direttamente nella realtà del singolo studio
professionale e di comprendere quali siano le maggiori criticità riscontrate nella corretta
applicazione della disciplina.
Il “viaggio” si concluderà offrendo una serie di spunti di riflessione, basati sul
convincimento che soltanto lasciando da parte un atteggiamento egoistico e “utilitarista”
sarà possibile per i professionisti entrare in simbiosi con l’intento del legislatore e
raggiungere l’auspicabile obiettivo della creazione di un fronte comune nella lotta al
riciclaggio del denaro “sporco”.
L’epilogo, infine, sarà dedicato alle novità legislative: innanzitutto si proporrà un
riassunto delle principali modifiche apportate dal d.lgs. 25 settembre 2009, n. 151,
recante disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 231/2007; da ultimo, si renderà
conto dei profili di interconnessione tra la recente normativa sullo “scudo fiscale” e gli
4
obblighi antiriciclaggio, non risparmiando giudizi di merito in ordine all’opportunità di
tale scelta legislativa.
5
CAPITOLO PRIMO
IL RICICLAGGIO DEI CAPITALI ILLECITI : ASPETTI GENERALI
1.1. Definizione e funzione economica del riciclaggio
Il termine “riciclaggio” viene usato per descrivere l’attività di “ripulitura” dei
proventi illeciti, al fine di separarli dalle attività criminose che hanno permesso di
conseguirli e di reintrodurli nel mercato, facendone apparire legittimi l’acquisizione e il
possesso
1
.
L’indicazione del fenomeno mediante l’efficace metafora del lavaggio del denaro
“sporco”
2
proviene dal mondo anglosassone (macchiato dal reato: tainted) ed oggi
oramai appartiene al linguaggio giuridico di ogni paese
3
. Tuttavia, tale metafora può
risultare fuorviante, se si considera che «il denaro nella sua duplice natura astratta di
misura dei valori e mezzo di pagamento, moneta sotto forma di contanti, non è, non può
essere, sporco né pulito, non olet né profuma, non è lecito né illecito: è semplicemente
1
Cfr. O. CUCUZZA, Segreto bancario, criminalità organizzata, riciclaggio, evasione fiscale in
Italia
2
, Padova, 2007, pag. 276.
2
Probabilmente l’aggettivo “sporco”, associato al denaro, deriva da quei proventi di attività
criminose che mantengono segni indelebili della propria matrice. Ad esempio nel caso dei sequestri
di persona, il riscatto è spesso rappresentato da banconote appositamente “segnate”, in modo tale da
rendere possibile una successiva identificazione da parte delle autorità. Così L. MAGISTRO, in
Riciclaggio dei capitali illeciti, Milano, 1991, pag. 3 ss.
3
« Money laundering, Gheldwäscherei, blanchiment de capitaux, lavado de activos,
penningtvätt sono espressioni che indicano lo stesso fenomeno»: così A. SCIALOJA, M. LEMBO,
Antiriciclaggio
2
, Santarcangelo di Romagna, 2009, pag. 26.
6
denaro
4
». Quindi il denaro non possiede di per sé provenienza o destinazione
5
, ma sono
i soggetti che intervengono nella sua circolazione a conferirgli una matrice lecita
piuttosto che criminosa. Ed è proprio nell’individuazione dei comportamenti di questi
soggetti, nella fase di circolazione dei mezzi di pagamento, che si concentra la lotta al
riciclaggio.
E’ evidente che l’interesse primario a dissimulare la provenienza delle proprie
disponibilità economiche spetta alla criminalità organizzata. Anzi, secondo alcuni
6
la
possibilità di ripulire denaro “sporco” costituisce la finalità principale del crimine (nelle
sue forme più complesse); infatti l’ingente quantità di ricchezza accumulata da questi
soggetti diviene utile solamente nel momento in cui è impiegata in attività legali,
reinvestita. Questa connessione inscindibile tra riciclaggio e criminalità permette di
presentare una nuova interessante definizione del fenomeno: «consiste nella “lecito-
vestizione” dei proventi dell’economia criminale, al fine di consentirne l’impiego in
4
B. INITZARI, Adempimento delle obbligazioni pecuniarie e disciplina antiriciclaggio, in
Contratto e impresa, 1993, p. 928.
5
«Si immagini il mare che sembra tutto uguale, ma all’interno ci sono le correnti e solo stando
dentro ci si accorge se l’acqua è più o meno fredda: il riciclaggio è un po’ così, nel senso che i soldi
“sporchi” sono uguali agli altri e dall’esterno non si possono riconoscere». Questa è l’interpretazione
interessante e fantasiosa del fenomeno che propongono U. DI NUZZO e A. CARANO in Gli
adempimenti giuridico-contabili per i professionisti nella prevenzione del riciclaggio, ne Il fisco,
2005, pag. 3261.
6
Cfr. M. THIONE, Money laundering. Analisi del fenomeno, normativa di riferimento e progetti
in corso per l’introduzione del reato di “autoriciclaggio”, ne Il fisco, 2008, pag. 8259; lo stesso
Autore, assieme a M. SILVARI, sostiene che «ove non esistesse la possibilità di riciclare denaro
“sporco” verrebbe meno la stessa ragione di esistenza della criminalità organizzata», in Le nuove
frontiere del riciclaggio, ne Il fisco, 2006, pag. 3531.
7
forma apparentemente legittima nel mercato e pertanto al fine di “legittimare” quale
operatore economico indistinguibile dagli altri lo stesso criminale organizzato
7
».
Tuttavia, solamente un’analisi prettamente economica del riciclaggio permette di
comprenderne la fondamentale importanza pratica per alcuni soggetti. Il riciclaggio si
può configurare come l’attività tramite cui la criminalità trasforma i capitali di
provenienza illecita, o potere d’acquisto potenziale, in potere d’acquisto effettivo,
utilizzabile per le scelte economiche di consumo, risparmio, investimento. Un’accurata
attività di riciclaggio permette, infatti, di abbattere i costi di transazione, legati al fatto
che l’utilizzo dei proventi illeciti aumenta la probabilità di scoperta del reato e di
conseguente incriminazione. Qualunque reato che produca un provento, quindi, è
interessato dalla materia in questione
8
.
Poter riciclare i propri proventi diventa quindi un punto cruciale per l’impresa
criminale, la cui attività è diretta essenzialmente al compimento di reati. Non bisogna
dimenticare, infatti, che soggiace anch’essa alle leggi dell’economia: i profitti devono
essere reinvestiti, alla ricerca di nuove opportunità e di guadagni sempre più ampi. E il
reinvestimento nell’attività criminale (una sorta di autofinanziamento) deve essere
accompagnato da un reinvestimento nel sistema economico legale, così da poter
ottenere i frutti leciti che offre il mercato
9
. Queste operazioni nascondono un altro
7
Così M. ZANCHETTI, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Milano, 1997, pag. 39-40.
8
Cfr. D. MASCIANDARO, ne Il riciclaggio di capitali illeciti. Profili di analisi economica, in
Gnosis, 2007, n. 3, in www.sisde.it consultato nel mese di ottobre 2009. Si rimanda a quest’opera per
un’accurata analisi macro e microeconomica del riciclaggio. Dello stesso Autore, si veda anche
Banche e riciclaggio. Analisi economica e regolamentazione, Milano, 1994, pag. 37 ss., per l’analisi
del fenomeno attraverso un modello macroeconomico reddito-spesa.
9
« (...) per il criminale, un euro “pulito” ha maggior valore di un euro “sporco”, in quanto il
primo può essere investito con maggior profitto e/o minori rischi di incriminazione. Il criminale deve
8
importante obiettivo dell’impresa criminale: legittimare la provenienza delle enormi
somme di denaro di cui essa dispone, in modo tale da non attirare l’attenzione delle
autorità fiscali e mettersi al riparo da possibili accertamenti sulla provenienza del
reddito. E’ interessante notare come in un’ipotetica situazione di assenza di regolazione
antiriciclaggio, o di mancanza di controlli, il denaro sporco potrebbe essere utilizzato
tranquillamente all’interno del circuito economico legale (come si è detto prima,
pecunia non olet), e diventerebbe nulla la profittabilità relativa del denaro pulito nei
confronti di quello sporco; il fenomeno del riciclaggio, quindi, sarebbe molto limitato
perché non profittevole e redditizio
10
.
Ed è proprio nel momento in cui avviene il passaggio dei proventi illeciti «dalle
mani sporche del crimine alle mani pulite del mercato legale
11
», che il sistema mostra il
suo punto debole e l’economia criminale emerge, diventando più facilmente visibile; le
difficoltà per questo tipo di organizzazioni diventano tanto più grandi, quanto più i
canali utilizzati per far confluire la ricchezza sul mercato globale sono controllati. Si
assiste dunque ad una continua evoluzione delle forme di riciclaggio e a una costante
diversificazione delle aree di investimento dei capitali illeciti, per allontanare i capitali
dalle rispettive fonti di produzione
12
; di contro anche le autorità deputate
dunque decidere, per ogni euro di reddito illecito, se ripulirlo o meno». Così D. MASCIANDARO, Il
riciclaggio di capitali illeciti. Profili di analisi economica, cit.
10
Questo interessante ragionamento, che dimostra come anche l’impresa criminale non possa
sottrarsi a obiettivi di economicità, è proposto da S. COSTA, in La nuova regolazione antiriciclaggio
in Italia: prime valutazioni e questioni aperte, estratto dal Rapporto ISAE del giugno 2008 – Priorità
nazionali. Infrastrutture materiali e immateriali, in www.isae.it consultato nel mese di novembre
2009.
11
Cfr. A. SCIALOJA, M. LEMBO, op. cit, pag. 25.
12
Cfr. U. DI NUZZO, M. QUERQUI, I professionisti giuridico-contabili nella prevenzione del
riciclaggio e profili di connessione con gli adempimenti fiscali, ne Il fisco, 2006, pag. 3051.
9
all’antiriciclaggio devono stare al passo con l’evoluzione del fenomeno. «Ecco perché la
legislazione antiriciclaggio varia nel tempo, le norme si susseguono, a volte
accavallandosi, spesso appaiono tecnicamente carenti, incerte nella loro ratio, risultando
anche per questo scarsamente efficaci
13
».
A questo punto, si impone una precisazione: oggi il riciclaggio riguarda anche
denaro “pulito”; negli ultimi anni, infatti, gli strumenti pensati per combattere tale
fenomeno sono stati estesi alla lotta contro il finanziamento del terrorismo
internazionale. Perciò, attualmente viene assimilato a un’ipotesi di riciclaggio di denaro
anche il comportamento di chiunque finanzi un gruppo terroristico con denaro
proveniente da un’attività del tutto lecita. «In questo caso si ha tendenzialmente una
procedura di money dirtying tesa, cioè, a convogliare mezzi finanziari verso un’attività
illecita, in linea di massima contraria a quella di money laundering che mira a
trasformare in fondi leciti flussi finanziari di origine illecita
14
».
In conclusione, risulta difficile definire univocamente il riciclaggio, in quanto è
ormai diventato un fenomeno estremamente sofisticato, «una vera e propria “attività
finanziaria”, complessa e strutturata, che si avvale di professionisti del settore e degli
sforzi (forse anche coordinati) delle maggiori organizzazioni criminali nazionali
15
». Ci
troviamo oggi di fronte a un sistema di generalizzata copertura dell’intreccio tra attività
13
Così, A. SCIALOJA, M. LEMBO, op. cit, pag. 27.
14
Così D. MANCINI, Il contrasto transnazionale ai patrimoni di origine o destinazione illecita,
in Riv. Guardia di Fin., 2004, pag. 1144. Nell’ipotesi di finanziamento di terrorismo, dunque, rileva
la destinazione illecita del denaro, non la provenienza. Per le interconnessioni tra riciclaggio e
terrorismo si veda infra, par. 1.7.
15
Così, M. T. THIONE, M. SILVARI, op. cit., pag. 3531.
10
criminale e attività formalmente lecita, un sistema evoluto, che rappresenta il diretto
antecedente cronologico della presenza mafiosa nell’economia
16
.
1.2 Le fasi del money laundering
Abbiamo visto come il fenomeno di “lavaggio” del denaro possa assumere
caratteristiche molto differenziate e comportamenti eterogenei. Nonostante ciò, gli
organi investigativi dei Paesi coinvolti nella lotta al riciclaggio hanno elaborato un
modello a fasi
17
, oggi universalmente riconosciuto, che definisce le tappe fondamentali
del processo di “ripulitura”.
E’ possibile distinguere tre momenti differenti del processo, indipendentemente
dalle tecniche utilizzate:
fase del placement, che corrisponde al “piazzamento” o “collocamento”
materiale dei proventi da reato nel circuito economico/finanziario. Le operazioni
effettuate sono molteplici: si parte dal semplice deposito effettuato presso
intermediari tradizionali e non (come uffici postali, banche clandestine,
cambiavalute), passando per il trasferimento di denaro in altri paesi, fino ad
arrivare all’acquisto diretto di beni direttamente sul mercato. Uno degli obiettivi
è la trasformazione del contante nella “moneta scritturale”, fisicamente
impalpabile, rappresentata dai saldi attivi dei rapporti costituiti presso gli
intermediari finanziari. In tale ambito si sviluppa la tecnica dello smurfing,
16
Arriva a questa conclusione L. MAGISTRO, op. cit., pag. 8.
17
Per il presente paragrafo, nell’esposizione del modello a fasi si è operato un confronto tra i
contributi di M. THIONE, M. SILVARI, loc. cit., di M. THIONE, op. cit., pag. 8259 ss., di A. SCIALOJA,
M. LEMBO, op. cit, pag. 28 ss., e di M. ZANCHETTI, op. cit., pag. 10 ss.
11
attraverso la quale l’operazione viene frazionata in più tranche, in modo da
eludere i controlli antiriciclaggio. Si tratta di una fase delicatissima, in quanto il
riciclatore si espone in prima linea per entrare in contatto con la banca o, in
generale, con il mondo della legalità.
Fase del layering, o dissimulation, che corrisponde alla “stratificazione”, al
“lavaggio” vero e proprio del denaro attraverso il compimento di ulteriori
operazioni, per la maggior parte di natura finanziaria, volte a separare i proventi
illeciti dalla loro fonte. Attraverso questo strato di azioni, il riciclatore tenta di
ostacolare la ricostruzione della paper trail
18
da parte delle autorità
antiriciclaggio, cercando di rendere la ricchezza quanto più “anonima” possibile.
Le tecniche di layering sono infinite, in continua evoluzione; dalle indagini della
Guardia di Finanza, emergono ad esempio il trasferimento internazionale
elettronico di fondi (wire transfer), l’appoggio presso società con sedi in Paesi
offshore
19
, la creazione di false “piste di carta” per ingannare gli investigatori
20
.
18
Con questo termine si indicano «le “tracce cartolari” che hanno lasciato i capitali nei vari
passaggi e che, ricostruite a posteriori dagli inquirenti, consentono di collegare le attività finanziarie
oggetto del riciclaggio con le attività illecite a monte». Cfr. M. THIONE, op. cit., pag. 8259, nota 4.
19
Con questa definizione ci si riferisce tecnicamente a isole “fuori dalla costa” che
costituiscono territori amministrativamente indipendenti, come Jersey o Man nel canale della
Manica, o veri e propri stati come le Isole Cayman o i Caraibi; si ricomprendono pure Stati come il
Liechtenstein o il Lussemburgo. Caratteristica comune di questi territori è l’assenza di risorse
economiche alternative rispetto all’afflusso di capitali stranieri, a causa dell’assenza di un potenziale
economico solido o di uno storico legame con i contributi delle nazioni colonizzatrici; inoltre trattasi
di Paesi stabili anche dal punto di vista istituzionale e politico, grazie alla sicurezza economica
acquisita. A questi Paesi viene universalmente riconosciuto lo status di “paradisi”, in quanto
garantiscono l’assoluto segreto bancario, la mancanza di accertamenti bancari, offrono una
legislazione fiscale assai vantaggiosa nonché la possibilità di costituire società di capitali
assolutamente anonime. Per questa breve descrizione dei paesi offshore si faccia riferimento a M.
ZANCHETTI, op. cit., pag. 12, nota 32, e a M. THIONE, M. SILVARI, op. cit., pag. 3531, nota 4. Per i
12
L’elemento che rende questa fase estremamente pericolosa e difficilmente
riconoscibile è sicuramente la velocità delle transazioni, ottenuta grazie ai mezzi
offerti dall’attuale tecnologia finanziaria (si pensi che, secondo alcuni calcoli,
nell’arco di una giornata è possibile compiere su una determinata somma oltre
settanta operazioni di trasferimento internazionale).
Fase di integration, durante la quale avviene l’”integrazione” definitiva del
denaro sporco con i proventi di provenienza lecita. Si tratta del fine ultimo del
riciclatore: il denaro, se le precedenti fasi di placement e layering hanno avuto
successo, diventa “pulito” in quanto frutto di un’operazione finanziaria
apparentemente legale. Per il reimpiego dei proventi il riciclatore si avvale
spesso di professionisti qualificati (notai, commercialisti, avvocati, ecc.), di
istituti finanziari, operatori di borsa, prestanome, insomma di soggetti che
possano maneggiare somme ingenti senza destare sospetti. Anche in questo
stage le tecniche sono disparate: si citano, a livello di esempi, l’acquisto o
vendita di complessi immobiliari, la concessione di prestiti a se stessi, la
compravendita di materiali preziosi. Inoltre, non sempre è necessario dare una
veste lecita all’intero provento sporco: tramite il commingling è possibile
mescolare in modo indistinguibile i profitti criminosi con quelli leciti
21
.
vantaggi offerti dall’allocazione del denaro in una piazza offshore si veda il contributo della Scuola
di polizia tributaria della Guardia di Finanza, Il contrasto patrimoniale alla criminalità organizzata,
2007, Lido di Ostia, pag. 53 ss. in www.gdf.it, consultato nel mese di ottobre 2009.
20
Per un interessante approfondimento riguardo ad alcune tecniche di layering, attuate
attraverso i canali finanziari, si permetta di rinviare a S. BOSCO, G. SANARIGHI, L’infiltrazione del
crimine organizzato nell’economia legale, in Riv. Guardia di Fin., 2000, pag. 2358 ss.
21
Si pensi alla mafia italiana, tradizionalmente legata al controllo di esercizi commerciali,
ristoranti, smaltimento dei rifiuti, o alle organizzazioni criminali cinesi, operanti nel controllo dei
ristoranti.