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CAPITOLO PRIMO
COS’E’ LA TORTURA
A AB BU U G GH HR RA AI IB B E E L LA A T TO OR RT TU UR RA A N NE EL L
M MO ON ND DO O C CO ON NT TE EM MP PO OR RA AN NE EO O
“Che sistema è questo, che ti storpia, che ti mutila? Non
dico solo fisicamente: ti spezza completamente ogni
resistenza, ti risucchia come un tritacarne e ti sputa fuori a
pezzetti”
i
1 1. .1 1 L Le e T To or rt tu ur re e d di i A Ab bu u G Gh hr ra ai ib b
Nella primavera del 2004 hanno avuto luogo casi di tortura presso il
sistema carcerario di Abu Ghraib in Iraq per mano di militari americani.
Tale avvenimento- che spiegherò in dettaglio
ii
- ci fornisce solo un
esempio di “tortura”, pratica che continua ad essere attuata in ogni parte
del mondo, anche da parte di Stati “democratici”.
Ad Abu Ghraib, in Iraq, si trovava il carcere più famoso ai tempi di
Saddam Hussein, la cui dittatura è durata fino al 2003, dove le torture e
le esecuzioni erano all‟ordine del giorno e le condizioni di vita dei
detenuti erano pessime. Al crollo del regime è seguito un saccheggio
durante il quale il carcere è stato spogliato di tutto, perfino delle porte e
delle finestre. Poi la prigione è stata ristrutturata dalle forze della
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Coalizione diventando così un carcere militare americano. Ma la nuova
“gestione” non ha portato con sé grandi cambiamenti: le condizioni di
vita dei prigionieri continuano ad essere precarie e le torture vengono
ancora praticate, questa volta, però, sotto l‟egida di Stati democratici,
come quelli della Coalizione.
La maggior parte degli arresti ha luogo durante le retate dei militari e ai
posti di blocco a danno, soprattutto, di civili. I detenuti di Abu Ghraib
possono rientrare grosso modo in tre categorie: i delinquenti comuni, le
persone fermate perché sospettate di crimini contro la Coalizione e i
sospetti di “alto valore” del movimento d‟insurrezione contro le forze
occupanti.
Tutti i prigionieri, durante l‟interrogatorio, possono subire forme di
coercizione fisica e psicologica che possono ricondursi a forme di tortura
vera e propria; in particolare i “prigionieri di rilievo” che corrispondono
alle ultime due categorie, continuano a subire, anche durante la
detenzione, maltrattamenti, come essere tenuti per 23 ore al giorno in
celle di cemento prive di luce naturale.
Le torture si verificavano durante la fase dell‟interrogatorio in quanto
strumento per estorcere informazioni ai prigionieri, informazioni
importanti per le forze della Coalizione che stanno controllando l‟Iraq.
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Forse, a questo punto, per poter comprendere meglio la questione delle
torture ai detenuti iracheni e il clima sociale in cui hanno avuto luogo, è
necessario inquadrare la situazione “storicamente” partendo dall‟attacco
terroristico alle Twin Towers del 2001.
Dall‟11 settembre, è iniziata nel mondo una “guerra globale” ad un
nemico invisibile che prende il nome di “terrorismo” e, in questo
contesto, tutto diventa lecito per salvaguardare la sicurezza nazionale
degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Per raggiungere questo scopo, diventa
essenziale raccogliere informazioni, battere il nemico sul tempo e anche
la tortura diventa lecita se facilita le cose.
Esiste, infatti, un legame tra i sistemi usati presso il carcere di
Guantanamo, la base militare di Bagram- in Afghanistan- e le prigioni
irachene, nello specifico, quelle di Abu Ghraib.
Possiamo partire dal 2002, da quando, dopo una visita alla base militare
di Guantanamo, un analista della CIA stilò un rapporto nel quale
criticava le condizioni in cui vivevano detenuti, molti dei quali erano
prigionieri afgani catturati in Afghanistan nella campagna contro i
talebani (S. Hersh, 2004a). Venivano considerati da Bush enemy
combatants, cioè combattenti nemici e per questo non godevano di
alcun diritto, né in base alle leggi federali né in base alle Convenzioni di
Ginevra.
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Questo rapporto diceva che tali prigionieri vivevano in condizioni
pessime e poiché tra loro c‟erano individui molto anziani o che
mostravano segni di demenza senile, si chiedeva se fossero davvero
terroristi. Definì, insomma, il modo di procedere del carcere
“scandaloso” e, soprattutto, inefficace, perché gli interrogatori effettuati
non portavano a risultati soddisfacenti.
Il rapporto finì nelle mani del vice consigliere per la sicurezza nazionale
che, insieme ad alcuni colleghi, decise di presentarlo a Condoleeza Rice,
consigliere per la sicurezza nazionale. Quest‟ultima indisse una riunione
alla quale partecipò anche Rumsfeld, il segretario della Difesa.
L‟incontro si concluse con tante promesse e nessun risultato (S. Hersh,
2004a).
Nel frattempo, proprio Rumsfeld aveva assunto nei confronti dei soldati
un atteggiamento che li stimolava a mostrarsi “duri” con i prigionieri.
E, nel corso del 2002, si stavano verificando varie proteste a proposito
dei sistemi di interrogatorio a Guantanamo da parte dell‟FBI, poiché i
detenuti venivano denudati, presi a schiaffi, spogliati, gli veniva gettata
addosso l‟acqua fredda; altri rapporti furono inviati da un avvocato che
aveva prestato servizio a Guantanamo. Queste proteste non ebbero
risposta.
Poi, nel 2003, ebbero luogo le visite del Comitato Internazionale della
Croce Rossa che criticava le condizioni del complesso di detenzione di
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Guantanamo e il generale Miller che lo dirigeva, perché considerato
poco adatto.
In realtà dietro questa situazione c‟era qualcosa di cui erano a conoscenza
solo pochissime persone: il presidente Bush, tra la fine del 2001 e l‟inizio
del 2002, aveva approvato il SAP, Special Access Program, cioè
“Programma di accesso speciale”, un programma segreto usato anche nel
periodo della guerra fredda (S. Hersh,2004a).
Inizialmente fu varato in Afghanistan: nelle operazioni per scovare i
terroristi molte azioni erano fallite perché rallentate da ostacoli legali.
Attraverso questo programma, invece, gli agenti operativi avevano già
un‟autorizzazione generica anticipata per l‟eliminazione, la cattura e
l‟interrogatorio di obiettivi di alto valore. Le operazioni e anche il
programma erano segreti, c‟erano delle regole ben precise, come l‟uso
di una terminologia convenzionale; gli agenti furono reclutati tra i
commando e i reparti speciali americani, i Seal della marina, la Delta
Force dell‟esercito e gli esperti paramilitari della CIA.
Bush, nella direttiva che istituiva il SAP, autorizzava
il dipartimento della Difesa a istituire un reparto di forza speciale e altri
elementi, incaricato, a dispetto delle finezze diplomatiche e del diritto
internazionale, a rapire- o assassinare se necessario- agenti identificati di
„alto valore‟ di al-Qaida in qualsiasi parte del mondo. Centri di
interrogatorio dovevano essere costituiti nelle Nazioni Alleate in cui
avvenivano questi duri trattamenti, senza limitazioni legali né denunce
pubbliche (Ivi, pag. 30).
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Quindi, il SAP, che incoraggiava la violenza fisica, era il frutto dei
desideri di Rumsfeld che, insoddisfatto di alcuni generali riluttanti a
comportarsi in maniera aggressiva, li incoraggiava a correre maggiori
rischi; era insofferente nei confronti del protocollo militare soprattutto
per quanto riguardava il trattamento dei prigionieri catturati, infatti, più
volte, aveva mostrato, in pubblico, il suo disprezzo nei confronti delle
Convenzioni di Ginevra.
Dalla fine del 2003, il SAP fu applicato anche in Iraq: la guerra andava
male, mancavano le informazioni.
Nel carcere di Abu Ghraib e probabilmente anche altrove, cominciarono
ad operare specialisti durissimi che non seguirono più le vecchie regole,
da questi la CIA cominciò a prendere le distanze, dicendo che non
voleva che i suoi uomini fossero usati per interrogare gente prelevata
dalle strade, la stessa cosa la fece l‟FBI che ordinò ai suoi agenti di evitare
di essere presenti agli interrogatori dei sospetti terroristi.
Nel cambiamento delle regole, ha grande peso il rapporto stilato da
Miller, del 2003, ricco di suggerimenti per condurre gli interrogatori in
Iraq (S. Hersh, 2004a) che avevano come riferimento quelli effettuati a
Cuba. Secondo Miller, le prigioni militari dovevano essere organizzate
principalmente per gli interrogatori e la raccolta di informazioni
necessarie allo sforzo bellico; la polizia militare irachena di guardia alle
prigioni doveva considerare prioritario l‟appoggio della MI (Military
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Intelligence, il servizio informazioni militare). I consigli furono seguiti e
una brigata della MI assunse il controllo tattico della prigione. Il generale
credeva che se fossero stati adottati subito questi cambiamenti in Iraq,
nel giro di poco tempo si sarebbero ottenute informazioni strategiche
importanti per le operazioni di tutto il mondo. Non si rendeva conto che
i detenuti iracheni erano per lo più delinquenti comuni e non terroristi e
che per loro sarebbe stato più giusto che operasse la polizia militare e
non la MI.
Poi, verso la fine di marzo 2004, Miller assunse la gestione delle prigioni
di Abu Ghraib.
Tra l‟altro, ad Abu Ghraib operavano appaltatori di società private
come la Titan e la Caci che erano autorizzate a trattare vicende
“delicate”, anche se, secondo la dottrina militare ufficiale, tali compiti
devono essere svolti da personale interno.
iii
Quindi tali organizzazioni private sono state e sono strettamente
coinvolte nelle questioni militari in Iraq anche se in una maniera
“anomala” rispetto alle forze militari dell‟esercito regolare.
Ad Abu Ghraib, gli ufficiali del servizio informazioni militare, gli agenti
della CIA e gli appaltatori privati avevano chiesto con insistenza alla
polizia militare di “ammorbidire” i detenuti attraverso metodi coercitivi
che possono essere ricondotti a “torture”. Molti soldati della polizia
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militare si rifiutavano perché dicevano di non essere stati autorizzati a
farlo, mentre la maggior parte “eseguiva gli ordini” (S. Hersh, 2004a).
Dal giugno 2003, il complesso carcerario di Abu Ghraib fu diretto dal
generale americano Janis Karpinski che non aveva esperienza in merito e
non aveva saputo controllare al meglio la situazione: infatti, sotto la sua
gestione il carcere era affollato, le condizioni di vita al suo interno erano
carenti. C‟erano state segnalazioni ufficiali di incidenti a proposito di
evasioni e problemi riguardanti la sicurezza e i provvedimenti presi al
riguardo dalla Karpinski non furono supervisionati da lei. In questo
subbuglio, molti iracheni innocenti furono incarcerati a tempo
indeterminato e molti di loro non erano neanche registrati come
detenuti nel carcere.
Ad Abu Ghraib venivano commessi sistematicamente maltrattamenti ai
detenuti e la questione fu resa pubblica grazie alla denuncia dello
specialista Joseph M. Darby, un agente di polizia militare (Ibidem). Egli
venne a conoscenza degli abusi tramite un cd dove erano registrate le
fotografie delle torture e che girava da un computer all‟altro del
battaglione; rimasto profondamente disgustato dalle foto, decise di
intervenire. In un primo momento, infilò una lettera anonima sotto la
porta della Cid (Criminal Investigation dell‟esercito) e poi si presentò in
prima persona per una deposizione sotto giuramento. Le foto furono
consegnate nel gennaio 2004 e qualche giorno dopo il generale Antonio
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Taguba ebbe l‟ordine di redigere un rapporto su Abu Ghraib, dopo aver
effettuato indagini accurate.
In realtà già da prima il generale Ryder aveva ricevuto l‟ordine di
redigere un rapporto sul carcere, ma probabilmente si trattava di un
tentativo per mettere tutto a tacere. Ryder sosteneva che solo qualche
procedura era stata scorretta, poiché non aveva notato reparti della
polizia militare applicare in modo deliberato pratiche di detenzione
inappropriate.
Taguba dissentì con Ryder, descrivendo la maniera con cui venivano
condotti gli interrogatori e da chi. Criticò aspramente gli ufficiali del
servizio informazioni militare e gli appaltatori privati perché alcune di
queste persone avevano portato i detenuti a condizioni che non erano né
autorizzate né conformi al regolamento militare; sospettava, inoltre, che
questi individui fossero direttamente o indirettamente responsabili degli
abusi di Abu Ghraib e, per questo, propose per loro immediate sanzioni
disciplinari.
Tra ottobre e dicembre 2003 avevano avuto luogo, secondo il rapporto
di Taguba, vari episodi di «maltrattamenti criminali, sadici, vergognosi e
deliberati»(S. Hersh, 2004a, pag. 43) ai danni dei detenuti del
complesso carcerario di Abu Ghraib, commessi da soldati della polizia
militare e da elementi della comunità dell‟intelligence. Le prove erano
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fotografiche, c‟erano riprese con telecamere e dichiarazioni di testimoni
oculari.
Taguba elenca così i trattamenti subiti dai prigionieri:
Rottura di torce chimiche, il cui liquido fosforico veniva versato sui
detenuti; secchi d‟acqua fredda gettati addosso a detenuti nudi; detenuti
percossi con manici di scopa e sedie; detenuti maschi minacciati di
violenza carnale; un agente di polizia militare fu autorizzato a suturare
la ferita di un detenuto che era stato sbattuto contro la parete della sua
cella; un detenuto sodomizzato con una torcia chimica e forse con un
manico di scopa; impiego di cani militari addestrati per spaventare e
intimidire detenuti con finti attacchi, e, in almeno un caso, conclusi con
morsi a un prigioniero (S. Hersh, 2004a, pag. 43).
Le fotografie ritraggono soldati americani che «sbeffeggiano
sghignazzando prigionieri iracheni nudi, costretti ad assumere posizioni
umilianti» (Ibidem).
I soldati inquisiti erano sette: il sergente maggiore Frederick II, lo
specialista Graner, il sergente Davis, lo specialista Ambuhl, lo specialista
Barman, il soldato semplice Sivits e il soldato semplice England.
Quest‟ultima era la soldatessa che, nella fotografia che ha colpito
maggiormente l‟opinione pubblica, è quella ragazza che con la sigaretta
tra i denti fa il gesto dell‟ “Okay”, indicando i genitali di un giovane
iracheno nudo che si masturba indossando un sacchetto in testa.
I capi d‟imputazione andavano dalla cospirazione all‟inosservanza del
proprio dovere, alla crudeltà nei confronti dei prigionieri, ai
maltrattamenti, all‟aggressione e al comportamento indecente.
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Tutti si sono giustificati dicendo di aver “eseguito solo gli ordini”
confutando quello che è stato affermato dai più alti generali e
dall‟amministrazione Bush che ha ricondotto tali comportamenti
all‟operato di “poche mele marce”.
La questione delle torture ad Abu Ghraib è diventata uno scandalo
mondiale dal 29 aprile 2004, quando è stata diffusa dall‟emittente
televisiva CBS (Columbia Bradcasting System) attraverso la trasmissione
televisiva 60 Minutes II che aveva in possesso le foto ma non il rapporto di
Taguba. In un primo momento la CBS aveva temporeggiato- su richiesta
del Pentagono- sulla messa in onda o meno del servizio.
Poi l‟emittente decise di mandarlo in onda quando era venuta a
conoscenza che il giornalista del New Yorker, Seymour Hersh, aveva
intenzione di pubblicare le foto ed era in possesso anche del rapporto del
generale.
Da allora l‟opinione pubblica internazionale è rimasta profondamente
scossa e tutte le testate giornalistiche hanno diffuso servizi sull‟accaduto.
Alla data del 28 settembre 2005, si sono conclusi i processi ai sette
riservisti accusati dello scandalo e le condanne a pene detentive sono
state: all‟ex caporale Charles Graner dieci anni di carcere, degradato a
soldato semplice, congedato con disonore e alla madre di suo figlio,
concepito ad Abu Ghraib, Lynddie England, la condanna a tre anni di
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carcere e alla radiazione dall‟esercito con ignominia, a Frederick otto
anni di carcere, a Sivits un anno.
Sono stati assolti i generali e gli altri ufficiali sotto inchiesta, compreso i
generali Sanchez e Miller mentre il generale Karpinski è stata rimossa dal
comando.
Sono stati, quindi, colpevolizzati gli autori materiali degli abusi, mentre
in Tribunale non è stato fatto alcun accenno alla catena di comando a cui
hanno fatto riferimento. Infatti i superiori sono stati considerati
colpevoli solo di mancata sorveglianza nei confronti dei sottoposti.
1 1. .2 2 L La a t to or rt tu ur ra a. . C Ce en nn ni i s st to or ri ic ci i
Per poter comprendere al meglio gli aspetti contemporanei della
tortura, una pratica della quale si è tornati a parlare dopo la diffusione
dello scandalo Abu Ghraib in Iraq, è necessario, a titolo introduttivo,
inquadrare la questione storicamente, anche se attraverso brevi cenni.
La tortura è un‟attività antica che non ha mai smesso di esistere,
malgrado i divieti di numerose leggi e convenzioni internazionali, sia
negli Stati autoritari dove la sua presenza è maggiore, sia in quelli
democratici, dove di solito opera clandestinamente o ha l‟alibi dello
stato di emergenza.
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Il termine tortura deriva dal latino torquere, cioè «torcere», intendendo
probabilmente, in questa maniera, l‟atto del torcere membra umane.
La tortura è stata definita in maniera diversa nelle varie lingue: per
esempio, in tedesco è denominata frage che significa «tagliente», il
francese antico la chiama gehine o jehine che vuol dire «confessare» (A.
Gianelli, M. Paternò , 2004).
Le pratiche riconducibili a tortura, come abbiamo detto in precedenza,
sono sempre esistite, ma applicate in maniera diversa con significati
differenti nelle varie epoche storiche e società.
Nel mondo antico, i Sumeri, gli Assiri, i Babilonesi e gli Egizi
praticavano la tortura come mezzo di punizione, invece poteva essere
definita anarchica la tortura esercitata presso gli Sciiti, i Medi e i
Persiani poiché originata da un sentimento misto fra vendetta,
sadismo e senso di giustizia (A. Frescaroli, 1970).
Presso i Parti e i Sassanidi la tortura inizia a diventare una questione
giuridica (Ibidem).
Anticamente gli Ebrei non facevano uso della tortura ma a questa
preferivano di gran lunga la pena di morte, invece i popoli
precolombiani in America
iv
concepivano la tortura come sacrificio agli
dei. Non erano dello stesso avviso i conquistadores spagnoli che a
questi si susseguirono, i quali praticavano le torture e le esecuzioni con
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lo scopo preciso di scoraggiare le ribellioni degli indigeni (A. Frescaroli,
1970).
In Grecia la tortura era politica o giudiziaria, invece nell‟antica Roma
ne esistevano svariate tipologie. Infatti qui la tortura costituiva la base
per gli interrogatori: non esisteva infatti, come accade oggi, la
presunzione d‟innocenza, ma di colpevolezza e a subire le torture erano
gli schiavi e non gli uomini liberi. Nel periodo imperiale molte torture
furono frutto di capricci degli imperatori attuate a scopo personale,
probabilmente per istinti sadici; invece, nelle arene, veniva praticata la
tortura per divertimento, quando si svolgevano le lotte fra i gladiatori,
costretti a farsi ammazzare anche da animali inferociti. Infine, esisteva la
tortura domestica, compiuta dal pater familias che aveva così tanto
potere sui suoi familiari da poterne fare ciò che voleva (B. Innes, 1999).
Dopo la caduta dell‟Impero Romano d‟Occidente (476 d.C.), i popoli
germanici che ivi si stanziarono non facevano uso della tortura, ma
dell‟ordalia, da loro chiamata «giudizio di Dio»
v
che, in seguito, sarà
usata nell‟Europa medioevale (Ibidem).
Dal Duecento con la nascita dei Comuni e in seguito delle Signorie,
quando si edificano le basi per la nascita dello Stato moderno, termina la
tortura anarchica, cioè le pratiche di tortura vengono regolamentate per
legge e non avvengono in maniera arbitraria.
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Nasce la figura del boia, che solo nel XVII sec. avrà un vero status
giuridico (A. Frescaroli, 1970).
In tutta l‟epoca storica definita Medio Evo in Europa la tortura viene
concepita come «punizione» per salvaguardare l‟ordine politico e
morale esistente. Le pene comminate erano, infatti, proporzionate alle
mancanze.
vi
Italia, Germania e Francia uniformarono la procedura in materia di
tortura e tra di loro si scambiavano informazioni a proposito degli
strumenti e dei metodi usati.
Fu ripreso l‟antico diritto romano anche se non rispettato pienamente:
se secondo tale diritto era ammessa una sola seduta di tortura della
durata di un quarto d‟ora e la confessione che da questa derivava non
veniva considerata valida, da questo momento in poi la tortura cominciò
ad essere praticata proprio con l‟intento di estorcere confessioni. E
poiché secondo la legge non potevano essere inflitte torture ad un
innocente, gli indiziati arrestati e torturati erano costretti a confessare
anche reati che non avevano commesso.
Dalla prima metà del Cinquecento si cercò di mettere ordine nella
procedura penale riguardante la tortura ma, malgrado ciò, anche le
nuove leggi continuarono a non essere rispettate.
L‟adulterio veniva punito con la tortura nel Medio Evo, perché
sconvolgeva fortemente l‟ordine morale e, per appurare la fedeltà delle