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I.1 LA FORMA PERFETTA: IERI ED OGGI
Il fisico delle donna è cambiato nel corso dei secoli, a seconda delle mode: si è
passati dalla Venere di Willendorf, a donne malaticce, si è passati poi negli
anni del 1830 a donne grassottelle e poi, di nuovo, a donne sempre più magre
tanto da vedere in giro donne scheletriche.
La donna del nuovo millennio, in particolare, sembra non essere mai stata
così magra e attiva! Deve saper far tutto perfettamente: deve lavorare,
stirare, accudire la casa, essere una perfetta madre e moglie, e magari
ritagliarsi qualche momento per andare in palestra.
E’ questo il messaggio che i mass media propongono ogni momento della
giornate con le varie pubblicità: la donna magra avrà successo, quella grassa
no!
La paura del grasso è una paura con cui le ragazzine del nuovo millennio
crescono; bisogna tener conto che è nell’adolescenza che si ha la piena
accettazione di sé anche attraverso il raffronto con gli altri: una ragazzina a
cui venga inculcata la magrezza, è probabile che avrà in seguito problemi
alimentari. In un periodo in cui il benessere economico è al massimo siamo
tartassati dal dovere di rimanere magri consumando quanto più possibile.
La città che meglio rappresenta tale modello è Las Vegas
16
: supermercati
stracolmi di cibo ipercalorico, snack e dolci zuccherosi; dall’altra parte
signorine che ricercano la magrezza estrema (Lorin, 2007). Tutto ciò è
deleterio per le adolescenti che imitano i modelli tv e che sono in uno stato
piuttosto confusionario dato che devono mantenere la magrezza nutrendosi
di cibi spazzatura.
16
Il modello è un valido esempio della società consumistica: supermercati pieni di cibi
ipercalorico, in un luogo dove (paradossalmente) vige la regole dell’essere magri.
19
I primi teorici che si interessarono della moda dal punto di vista sociale,
Georg Simmel e Thorstain Veblen, hanno rilevato che le donne venivano a
porsi, anche attraverso la moda, come oggetti da esibire. I due autori hanno
sostenuto che la moda potesse fornire alle donne una compensazione per la
loro mancanza nella struttura sociale patriarcale e maschilista e dunque
moglie e figli venivano usate dall’uomo borghese come simbolo di ricchezza e
prestigio (Kawamura, 2005).
La societ{ dell’apparire non nasce nel XX secolo: prima del XIX secolo uomini
e donne dell’alta borghesia preferivano abiti sfarzosi in quanto l’abito aveva
innanzitutto la funzione di significare la classe sociale: quanto più era
elaborato, tanto più elevata era la posizione sociale di chi lo indossava,
dunque la moda non era questione esclusivamente femminile ma ne
usufruivano anche gli uomini. E’ nel XX secolo che assistiamo ad una
femminilizzazione della moda; negli ultimi vent’anni troviamo la donna
esclusiva protagonista dell’apparenza infatti
alla fine del XVIII secolo, l’uomo borghese ha compiuto quella che è stata definita << la
grande rinuncia maschile>> […..]. Gli uomini dell’ élite hanno rinunciato alle forme di
ornamento più sgargianti, più varie e fantasiose, lasciandole interamente alle donne: hanno
[…..] mirato unicamente a essere razionali e pratici (ivi, p. 19).
Una delle ragioni per cui la moda è definita come futile è da ricondursi ai suoi
legami con tutto ciò che a che fare con l’aspetto esteriore delle donne. La
moda quindi agisce solo ed esclusivamente come ornamento esteriore e è
priva di contenuti intellettuali (ibidem).
L’uso della donna e della bellezza femminile nella moda è stato affrontato da
molti sociologi: Joanne Finkelstein
17
illustra come per la moda sia stata usata
la figura femminile per distrarla dagli interessi economici e politici; il suo
approccio è dunque negativo in quanto la moda è vista come un meccanismo
per confinare la donna in un ordine sociale inferiore riducendo anche il loro
livello intellettuale.
17
Joanna Finkelstein, After a Fashion, Carlton, Melbourne University Press, 1996
20
Per le femministe contemporanee (che si schierano contro l’uso del corpo femminile e contro
il fenomeno che vede le donne ossessionate dall’aspetto esteriore) preoccuparsi dell’aspetto
fisico e dei vestiti finisce per svilire le altre possibilità espressive della donna. Già alla fine del
XVIII secolo quella che viene convenzionalmente indicata come la prima femminista, Mary
Wollstonecraft
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giudicava che un eccessivo interesse per gli ornamenti esteriori implicasse
capacit{ intellettuali ridotte e un’inclinazione alla frivolezza (Kawamura, 2005, p. 20).
La moda e i suoi simboli, quali il corpo della donna, vengono oggi diffusi nella
società attraverso la pubblicità mediatica e attraverso le sfilate di moda.
Il corpo della donna del XX secolo è molto magro, scheletrico ma la magrezza
non è esclusiva degli anni recenti: gi{ nell’ 800 era attributo di eleganza nelle
signore altolocate. Negli anni più lontani i greci, e più tardi le matrone
romane, erano contrarie ad un aspetto massiccio.
Da questo punto di vista diverse culture sono andate un tantino troppo in là nella loro
reazione contro l’obesità. Sappiamo per esempio che gli antichi Greci invidiavano i loro
predecessori, i Cretesi, che si diceva conoscessero una droga che permetteva loro di
mangiare tutto quello che volevano e di restare magri. Tanto gli Spartani quanto gli Ateniesi
avevano un atteggiamento intransigente nei confronti del grasso (Socrate danzava ogni
mattina per tenersi in forma) ed è noto che le matrone romane dell’epoca imperiale
accettavano di soffrire pur di rimanere sottili come giunchi. Ha scritto Montaigne che nel
sedicesimo secolo, le donne per ottenere una carnagione pallida arrivavano fino al punto di
inghiottire sabbia per rovinarsi lo stomaco (Vincent, 1979, p. 31).
La bellezza fisica nella Grecia antica non aveva dei canoni precisi: bello è ciò
che piace e che suscita ammirazione e appagamento dal punto di vista
sensoriale in particolare per l’occhio e l’orecchio. Nel caso del corpo umano
la bellezza è connotata soprattutto nell’anima e del carattere. Nel fisico la
bellezza è basata sull’armonia e sulla simmetria delle varie parti del corpo;
nel tempio di Delfi è espressa la bellezza greca nei quattro motti : “ Il più
giusto è il più bello”, “Osserva il limite”, ”Odia la tracotanza”, “Nulla in
eccesso”. Sono queste le quattro regole della bellezza greca concordi agli
ideali di armonia e ordine del mondo contro il caos e la sfrenata infrazione di
ogni regola del Dio Dioniso (Eco, 2004).
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Mary Wollstonecraft è nota soprattutto per il suo libro A Vindication of the Rights of
Woman, nel quale sostenne che le donne non sono inferiori per natura agli uomini,
anche se la diversa educazione a loro riservata nella società le pone in una condizione di
inferiorità e di subordinazione.
21
Un’antitesi dunque tra la bellezza apollinea armonica e quella dionisiaca
provocante e sensuale incarnata dai cigni Odette e Odin.
Per Platone la bellezza non è vincolata all’estetica ma è nell’anima in quanto il
corpo è una caverna buia che imprigiona l’anima. Platone dedica due suoi
dialoghi al tema dell’amore e della bellezza: il Simposio e il Fedro. Il primo
considera l’oggetto dell’amore cioè la bellezza, il secondo considera l’amore
nella sua soggettività come aspirazione verso la bellezza ed elevazione
dell’anima al mondo delle idee, al quale la bellezza appartiene. Il medico
Erissimaco, interlocutore del dialogo, vede nell’amore una forza cosmica che
determina le proporzioni e l’armonia; Aristofane propone il mito degli esseri
primitivi androgini: all’inizio l’umanit{ comprendeva tre sessi cioè maschio,
femmina e androgino (corpi di uomo e donna assemblati); anche la forma
degli esseri umani era diversa, infatti era tutto pieno, la schiena e i fianchi a
cerchio, quattro braccia e quattro gambe una sola testa su due volti. Questi
esseri possedevano vigore e perciò tentarono di scalare il cielo e Zeus per
punirli li divise tagliandoli in due per renderle più deboli. Ognuno di noi è
quindi incompleto ed è sempre in cerca della propria metà per ricostituire
l’essere primitivo, esprimendo quindi uno dei caratteri principali dell’amore:
l’insufficienza e l’incompletezza. L’amore desidera qualche cosa che non ha
ma di cui ha bisogno ed è quindi mancanza. Il mito vuole che Amore sia figlio
di Povertà (Penìa) e Ricchezza (Poros): non ha la bellezza ma aspira a
possederla. L’amore è dunque desiderio di bellezza.
La bellezza ha diversi gradi: prima di tutti c’è la bellezza di un bel corpo che
attrae l’uomo, poi egli si accorge che la bellezza è uguale in tutti i corpi e così
passa a desiderare e amare tutta la bellezza corporea. Al di sopra di tale
bellezza c’è la bellezza dell’anima e infine al di sopra di tutto c’è la bellezza in
sé, eterna superiore alla morte fonte di ogni altra bellezza e origine della
filosofia.
Nel Fedro Platone pone l’emblema di come l’anima umana possa percorrere i
gradi fino ad arrivare alla bellezza suprema. La natura dell’anima si esprime
in un mito: è simile ad una coppia di cavalli alati guidati da un auriga. Il primo
cavallo, bianco, è eccellente mentre quello nero è pessimo. L’auriga cerca di
indirizzare i cavalli nel cielo nella regione dell’iperuranio che è la sede
dell’essere ma il procedimento è lungo e penoso a causa dei diversi cavalli.
Quando l’anima viene spinta dal cavallo nero in basso si incarna in uomini
che non ricercano la verità e la bellezza assoluta. Al contrario le anime che
hanno visto di più si incarneranno in uomini sapienti. L’anima incarnata
riconosce le sostanze ideali tramite la bellezza: l’uomo infatti riconosce
subito, attraverso il senso della vista, la bellezza. Dunque fa da mediatrice fra
l’uomo e il mondo delle idee.
22
Infine i greci inoltre attribuiscono all’armonica bellezza la perfezione delle
forme geometriche.
19
L’ideale della magrezza come simbolo di bellezza si trova verso il 1830
quando le donne cominciarono a sgranocchiare qualche pietanza nei
banchetti, fino ad inumidire solo le labbra. “La generazione del 1830 amava
quelle donne che dimostravano di possedere grazia e un aspetto fragile.
Tornò di moda essere pallide e svenire continuamente[….]” (Vincent, 1980, p.
35). La fanciulla dell’800 è fragile, eterea, angelicata. Il suo aspetto fisico la
vede molto magra con la vita molto sottile (viene chiamata “vita da vespa”).
La moda del XIX secolo vuole la donna debole, bisognosa di protezione,
incapace di camminare da sola. I piedi, chiusi in minuscole scarpe come
quelle delle bambole. La donna ottocentesca piange e sviene spesso
sopraffatta dall’emozione a dimostrazione della sua sensibilit{.
In coincidenza con la moda dell’epoca la tisi non sembra mai essere stata così
acclamata. La tubercolosi o tisi (in sigla TBC) è una malattia infettiva causata
da micro batteri che causa febbre, sudorazione, perdita di appetito, di peso e
pallore
20
. Le persone affette da tisi si stancano molto più facilmente in
concomitanza con la moda che vuole la fanciulla esile e malata (Mafai, 1998).
L’uso di un corsetto particolarmente stretto aiuta le fanciulle ottocentesche a
vedersi ancora più fragili. Il corsetto era un espediente dannoso per la salute,
anche se pratico dal punto di vista estetico.
19
TBC (sigla di tubercolosi). Malattia infettiva dell’uomo e dell’animale causata da una
delle numerose specie di mycobacteruium. I microrganismi penetrano nell’organismo
per lo più per inalazione o per ingestione. Nell’uomo la malattia generalmente è
prodotta dal M. tubercolosis. Nei tessuti si formano caratteristicamente dei tubercoli
che possono crescere e andare incontro a caseificazione o regredire e cicatrizzare. La
localizzazione primaria dell’infezione è quella polmonare, ma può essere interessato
qualsiasi altro organo o tessuto, compreso il sistema linfatico. La sintomatologia varia in
relazione con l’organo o il sistema interessato. La malattia può avere un decorso acuto
ma, generalmente, si tratta di un processo cronico.
23
Corsetto
I primi busti che conosciamo comparvero nel XVI secolo ed erano in metallo
con una lunga punta davanti; i busti in ferro sparirono molto presto a causa
della loro dolorosa scomodità e vennero sostituiti dai corpetti aderenti con
due strati di tela cuciti per ottenere una maggiore rigidit{. Nel ‘500 fu
irrigidito dalle stecche di balena per creare un pannello frontale duro e
rigido. Durante il ‘700 diventò un indumento scollato e molto attillato.
Figura 8 Tipico corsetto ottocentesco con ossi di
balena che comprimeva il punto vita delle fanciulle.
E’ probabilmente nel XIX secolo che conobbe la sua massima diffusione per
ottenere la linea a vita stretta (la moda voleva circa 40 cm. di circonferenza)
tanto ambita dalle fanciulle dell’epoca. Furono riprese le stecche di balena di
fine rinascimento e inserite nella struttura di tessuto per rendere il corsetto
più rigido. Poteva essere allacciato anteriormente o posteriormente
all’altezza della vita con una serie di lacci che non richiedevano l’aiuto di
alcuno.
La fine del XIX secolo vide la produzione di un corsetto allungato oltre la vita
che stringeva anche una parte dei fianchi evidenziando il busto e dando al
corpo della donna la tipica forma ad “S”. Il corsetto fu oggetto di controversie
a partire dal 1850 quando riformisti europei e statunitensi, sostenuti dai
medici, si pronunciarono contro la stretta allacciatura che procurava danni
24
alla salute. Questo accessorio stringeva tutti gli organi interni, serrandoli,
deformando il fisico causando problemi respiratori e digestivi, aborti e
anoressia.
Figura 9 L’immagine mostra come il corpetto
modificava il torace comprimendo i polmoni
con conseguenze dannose per la respirazione.
Le stecche potevano rompersi e fratturare le
costole della signora che lo indossava, o peggio
perforare un polmone.
Figura 10 L’immagine mostra come,
oltre ai danni scheletrici sopra indicati, il
corsetto causava anche danni agli organi
molli quali stomaco, intestino e fegato
provocando gravi disturbi digestivi e la
diminuzione del cibo ingerito .Inoltre,
riducendo le dimensioni dello stomaco e
ovaie, era causa di anoressia e aborti.
25
Nei primi anni del XX secolo il corsetto venne sostituito con il busto, che
inglobava lo stomaco e i fianchi e sosteneva le calze; sprovvisto di stecche e
costruito con materiali elastici. E’ in questo periodo che lo stilista francese,
Paul Poiret, ha la sensibilità di capire che la moda e le esigenze della donna
stanno cambiando. Fu infatti responsabile della liberazione del corpo
femminile dalla silhouette formale imposta dall’epoca e ottenuta per mezzo
di massacranti busti, creando una linea più rilassata con l’estensione del
corsetto fino ai fianchi. Nel 1908 pubblicò un opuscolo intitolato “les robes de
Paul Poiret” in cui presentava abiti semplici, eleganti e dalle linee morbide.
Promosse la linea a kimono sostenuta da Isadora Duncan che amava i suoi
capi fluidi ed esotici. Nel 1909 presentò turbanti e pantaloni alla turca di
ispirazione dei ballets russes di Diaghilev
21
.
La vita per lo stilista francese, non è più il centro focale della figura
femminile: apre le gonne sul dietro facendo vedere, per la prima volta, le
caviglie delle signore.
Negli anni trenta il busto divenne progressivamente più leggero. Si trattava di
un bustino “liberty” introdotto da un’azienda inglese con allacciatura a
bottoni sul davanti e costituito da una serie di bande di morbido tessuto di
maglia cucite tra loro con nastri;
Dalla seconda metà del XX secolo il bustino è stato spesso sostituito dalla
panciera come rifiuto della rigida corsetteria che non permetteva alle donne
di svolgere i lavori manuali che in questo periodo cominciarono ad effettuare:
la concorrenza sul mercato era molto forte e le donne impiegate nelle
fabbriche andavano bene perché precise, sottomesse e sottopagate. Per
svolgere tali lavori era necessario un abbigliamento più comodo e non stretto
nella corsetteria; inoltre dall’America arrivavano notizie di abiti più pratici:
gonne più corte, giacche da uomo e camicette di cotone. Sembrava che la
donna americana avesse più libertà anche nel vestire.
20
Ballets Russes: serie di balletti ideati da Diaghilev in Russia all’inizio del novecento, in
cui per la prima volta l’allestimento scenografico, i costumi e la musica facevano parte
integrante della danza che si basava sul mimo. I colori, le stoffe e le fogge degli abiti di
scena influenzarono molto la moda del tempo: di ispirazione orientale, i costumi erano
di linea pulita e fluida e avevano colori vivaci, in contrasto con le forme rigidamente
costruite e le tinte pallide e delicate della fine dell’800. Molti motivi erano dipinti su lino,
e si usavano applicazioni su svariate stoffe, in particolare velluto. Ai ballets russes si deve
la tendenza a usare sempre più il satin e le sete ricamate, i pantaloni alla turca, i turbanti
e i gioielli appariscenti. Rappresentati per la prima volta a Parigi nel 1909 e l’anno
seguente a Londra, i balletti includevano “L’uccello di fuoco” e “Schéhérazade” in cui
Nijinsky, dipinto di nero, danzava nel ruolo di uno schiavo.
26
Inoltre le ragazze di buona famiglia incominciano a praticare sport e questa
era un’altra ragione per eliminare il corsetto che le ingabbiava. Il nuovo stile
di vita che vedeva la donna impegnata nella società fece abbandonare
definitivamente il corsetto e i vari espedienti per modificare il corpo, infatti
sparì definitivamente (O'Hara, 1986).
Il corsetto fu molto amato dalla moda degli anni cinquanta dell’800: il corpo
grasso, prerogativa di lusso, era solo per le donne di classe sociale elevata
dato che potevano permettersi il lusso di restare immobili. La nuova forma è
a “clessidra”: il seno e i fianchi ben formosi, mentre la vita più stretta
possibile.
Va ricordato qui che errori estetici di carattere mondano, dei quali tutte le donne sono
schiave, possono indurle a voler restare obese per essere in linea con la moda. Non c’è
dubbio che, per avere un decolté vistoso ogni donna si sente obbligata ad avere depositi di
adipe intorno al collo, sulle clavicole e sulle mammelle. Ma il fatto è che il grasso si accumula
in quelle regioni con gran difficoltà e, anche senza esaminare queste donne, possiamo essere
sicuri che addome, fianchi ed estremità inferiori sono irrimediabilmente grassi.[……]
22
Isadora Duncan fu una delle prime donne a liberarsi del corsetto
contribuendo a rendere l’abbigliamento delle donne meno restrittivo di
quello allora in voga, sostenendo la linea esotica e fluida dello stilista
francese Paul Poiret (O'Hara, 1986). Ballerina e coreografa con le sue veste
morbide , fluttuanti e con le sue danze a piedi nudi scandalizzò il pubblico di
S. Francisco, New York e Chicago.
Per la danzatrice il balletto era qualcosa di vecchio che doveva essere
rivoluzionato. Gli americani avevano perso il rapporto col proprio corpo e
con la terra decretato dall’uso delle scarpette da punta. E gli americani
avevano perso il contatto, anche loro, del corpo con l’uso del corpetto. La sua
era una danza libera e non tesa e impositiva come il balletto classico; per dare
queste sensazioni era necessario l’uso di una tunica morbida che vivesse coi
suoi movimenti fluidi.
Il corpetto e le scarpette da punta furono due oggetti abbandonati dalla
Duncan che con le sue performance a piedi nudi e le vesti morbidi e
fluttuanti, scandalizzò il pubblico americano.
21
Francis Heckel, Les grandes et petites obésités, Parigi, Masson et Cie, 19911. Cit. in
Vincent Lawrence M., 1979, Competing With the Sylph: Dancers and the Pursuit of the
Ideal Body Form, p. 31 della traduzione italiana.
27
Isadora Duncan
23
: la danzatrice del futuro
Agli inizi del ventesimo secolo l’America conosceva due modi di danzare: il
valzer nelle sale e il balletto classico da palcoscenico; il modo di danzare della
Duncan non apparteneva a nessuno dei due “rifiutando l’etichetta di ballerina
per dissociarsi da tutti i suoi predecessori e colleghi. Preferiva definirsi
un’artista” (Daly, 1995).
Il suo modo di danzare era del tutto lontano dal balletto classico
convenzionale; per esempio le scarpette da punta erano un attrezzo per
sfidare la gravità che la Duncan, al contrario, abbracciò come un partner.
Innanzitutto la danzatrice non concepiva il balletto ormai degradato a pura
forma di intrattenimento e divertimento, ma lo reputava vecchio e che
doveva essere rivoluzionato. Il balletto era tutto ciò che il XIX secolo aveva
portato di sbagliato: gli americani avevano perso il loro rapporto con la terra,
perdita decretata dalle scarpette da punta per librarsi in aria contrastando la
gravità.
La Duncan al contrario danza a piedi nudi perché la “volont{ dell’individuo si
esprime, nel danzatore, attraverso l’uso della gravit{” come viene riportato
da Ann Dely nel libro Done into Dance. La volontà di cui parla la Duncan è
ripresa da Nietzsche e Schopenhauer i quali concepivano il corpo come
oggettivazione della volontà. La volontà non potrebbe aspirare al cielo senza
un appoggio solido alla terra, cioè, senza la stabilità della forza di gravità.
22
Duncan Isadora (1877- 1927): danzatrice e coreografa americana. Nata a San Francisco
in una famiglia di 4 figli. Dal 1895 al 1900 danza nelle commedie musicali a Chicago e
New York, componendo delle poesie sulla sua danza pantomimica. Nel 1900 lascia gli
Stati Uniti per l’ Europa, al fine di realizzare le sue aspirazioni artistiche. Nel 1903
pubblica il suo manifesto “la danza del futuro”. Lo stesso anno il gruppo Duncan si piazza
in Grecia e tenta di far rivivere la tragedia Greca con la rappresentazione d’ Eschilo “Le
Supplicanti”. Nel 1905 apre a Berlino la sua prima scuola di danza. E’ in questa città che
incontra il regista Edward Gordon Craig con cui avrà un figlio. Lascia Berlino per Parigi. La
Duncan si lascia abbracciare dalla vita sociale e politica dell’ epoca (prima guerra
mondiale, rivoluzione in Russia, emancipazione della donna, affare Sacco e Vanzetti)
abolendo l’antagonismo tra l’essere danzatrice e l’essere donna, lei affronta la danza a
partire dal suo corpo. In Europa il suo stile si definisce: appare in semplice tunica, su una
scena senza decori davanti ad un fondo bianco, danzando in osmosi con la musica. La
sua daqnza è una tradizione artistica: la liberazione s’isprime dal “ depovillement des
contraintes vestimentaires” (piedi nudi, tunica) e dai “contraintes physique”
(spontaneità e percorsi nello spazio); ricorre a movimenti elementari in relazione con
quelli della natura come l’onda. La sua danza espone un gioco di dinamicità tra
l’abbandono e la resistenza alla gravità. (Dictionnaire de la danse; Larousse, 2008)
28
In questo la Duncan riprende il principio del filosofo Schopenhauer secondo
il quale la spinta gravitazionale è la forma più semplice di oggettivazione
della volont{. Rifiutando l’estrema leggerezza del balletto e l’uso delle punte
che sfidano la gravit{, la Duncan riteneva l’attaccamento alla terra
fondamentale. Il movimento del danzatore doveva corrispondere
armoniosamente e naturalmente alla linea e alla simmetria della forma
umana. Dunque contro la rigidità del balletto per i suoi movimenti artificiali
che considerava “un’offesa alla bellezza naturale del corpo umano” (Daly,
1995).
Da ciò ne derivano due corollari: il corpo di ogni individuo varia all’interno di
una forma generale e quindi ogni persona si muoverà in maniera diversa
secondo una propria individuale forma e visione. E, infine, che il corpo
cambia nel corso della vita di una persona e dunque movimenti cambieranno
di conseguenza. Al contrario del balletto, il cui movimento a scatti è
espressione di degenerazione, i suoi passi si succedevano ed erano legati; in
questo il movimento doveva fluire attraverso parti adiacenti del corpo e ogni
azione è l’evolversi di una precedente.
La performance della Duncan era diversa da qualsiasi altra danza: mentre le
danzatrici classiche erano danzatrici di passi e ciò che contava erano le
gambe, esibendo i loro virtuosismi e le pose, la danza della Duncan non si
conformava a queste convenzioni e il suo corpo si muoveva come un
tutt’unico, movimento e gesto erano legati tra loro.
Mente le braccia delle ballerine classiche incidevano figure geometriche,
quelle della Duncan scolpivano lo spazio tridimensionalmente e i suoi
movimenti invece di passare di posa in posa, erano fluidi, si trasformavano.
Anche il corpo non era più il prodotto del duro allenamento ma un processo.
Nella danza accademica la tecnica è un fine, fusa con lo stile mentre nella
danza moderna la tecnica è un mezzo. Il corpo danzante della Duncan era
allenato a muoversi in un modo molto particolare: il ginocchio era rivolto
verso l’esterno e i fianchi spinti in avanti e il respiro è il centro del ritmo. In
accordo col balletto classico la schiena deve essere forte e mobile.
La danzatrice moderna cammina sulle mezze punte rafforzando le caviglie. La
tecnica si serve al massimo del contrasto tra leggerezza della parte superiore
del corpo e forza del bacino, e contrazione rilassamento della colonna
vertebrale. La danzatrice Duncan è allungata ma mai in modo artificiale.
Gli esercizi inoltre produrranno un corpo scultoreo e aperto anziché piatto e
chiuso. La base della tecnica è il movimento (diversamente dal balletto le cui
fondamenta sono le cinque posizioni statice). La camminata non deve partire
dal piede ma dai muscoli della coscia; infine le scarpette da punta sono
rigidamente criticate sia per la questione della gravità, sia per un uso più
naturale della pianta del piede (ibidem).
29
La Duncan e il corsetto
Con la sua danza la Duncan esprime libertà. Libertà dal tecnicismo rigido del
balletto e libert{ dal vestiario dell’epoca. Gli americani avevano perso il
contatto col proprio corpo anche per l’ uso dei corpetti e il corpo che
proponeva la danzatrice moderna era un corpo libero; proponeva un filosofo
danzatore che punisce severamente coloro che disdegnano il corpo. La danza
è molto più che un’attivit{ fisica: per il corpo è ragione e spirito.
Il corpo secondo la Duncan è la prima concezione della bellezza e di ogni
estetica. Riforma l’abbigliamento secondo il principio che il corpo è una
costante eterna soggetta a cambiamento solo attraverso l’evoluzione e non
attraverso la moda.
“Indossare il corsetto non è solo moralmente e fisicamente degenerante, ma
anche esteticamente sgradevole”. Ann Daly propone uno scritto del taccuino
di Isadora Duncan riguardo la concezione del corsetto:
Ho davanti, sulla mia scrivania, un disegno fedele di uno scheletro femminile. La forma dello
scheletro è bella e il principale motivo di ciò sta nel fatto che le costole sono lievemente
separate. Ciò da alla forma leggerezza e forza. Io vedo da questo sul mio tavolo, qual è il
modo in cui il corpo femminile, come un fantoccio viene adattato ai vestiti e non riesco a
trovare alcuna analogia tra lo scheletro femminile e queste forme di fantocci, le cui costole
sono duramente pressate assieme. Rimango sconcertata dalla totale differenza di questo
fantoccio con lo scheletro [….]. Questo mi conferma che non esiste analogia tra la forma dello
scheletro femminile e quella di questi fantocci abbigliati, senza una deformazione della
bellezza dello scheletro- il dislocamento degli organi interni- e di una corruzione di almeno
una parte dei muscoli della donna.
Per la danzatrice il corsetto è deleterio per la salute della donna. Per la
Duncan “solo il movimento di un corpo nudo può essere perfetta,mente
naturale”. Anche se usa le parole nudo o spoglio, non danzò mai nuda e
probabilmente con questo termine non intendeva del tutto svestita ma
pensava ad un abbigliamento non fasciato (Daly, 1995).
La scrittrice spiega che per la Duncan “La danza deve esprimere i più bei
morali, belli e salutari ideali umani”, cioè riformare la vita umana per
abbracciare i discorsi di salute, moralità, femminilità, maternità e educazione
cercando di riformare la vita umana nei confronti dei costumi e del modo di
vivere.
La danza deve creare la bellezza sia del danzatore che nello spettatore; per
bellezza non intendeva esteriorità ma valore umano: deve dare uno stato di
armonia con lo spettatore che guarda, con gli altri e col mondo.