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Capitolo 1
L’OSTEOPOROSI: GENERALITÀ
L’osteoporosi, che è una condizione caratterizzata da aumentata fragilità del tessuto
osseo, è comune fra le donne in menopausa, ma che si può riscontrare anche negli
uomini e nelle donne in periodo pre-menopausale che presentano condizioni o fattori
di rischio associati alla demineralizzazione ossea. Le manifestazioni principali
dell’osteoporosi sono le fratture vertebrali e femorali. Negli Stati Uniti più di 10
milioni di persone sono osteoporotiche, ma solo nel 10-20% di questi soggetti
l’osteoporosi è diagnosticata e trattata.
1.1 Definizione
L’osteoporosi è definita come un’osteopatia metabolica conseguente alla riduzione
della massa ossea e sovvertimento della microarchitettura scheletrica. Nel tessuto
osseo questa riduzione di massa si accompagna a un deterioramento dell’architettura
del tessuto scheletrico che porta un aumento marcato del rischio di frattura.
Convenzionalmente la diagnosi di osteoporosi è posta quando la densità minerale ossea
(Bone Mineral Density, BMD) è di 2,5 deviazioni standard (DS) al di sotto del valore
medio di BMD del giovane adulto sano, che è definito valore di picco. I soggetti che
presentano un T-score compreso tra -2,5 e -1 DS sono definiti osteopenici (a bassa
massa ossea) e sono considerati soggetti a rischio di sviluppare l’osteoporosi.
1.2 Regolazione metabolismo osseo
Gli osteoblasti (cellule che producono la matrice organica dell'osso e quindi la
mineralizzazione ossea) e gli osteoclasti (cellule che riassorbono l'osso) sono
controllati dagli ormoni sistemici, dalle citochine e da altri fattori locali (p. es.,
l'ormone paratiroideo [PTH], la calcitonina, gli estrogeni, la 25-idrossivitamina D). Il
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deficit di estrogeni è una significativa causa di accelerata perdita ossea in epoca
perimenopausale e si ripercuote sui livelli circolanti di specifiche citochine (p. es.,
l'interleuchina-1, il tumor necrosis factor-, il fattore stimolante le colonie di
granulociti-macrofagi, l'interleuchina-6). I livelli di queste citochine si elevano con la
perdita di estrogeni e potenziano il riassorbimento osseo attraverso l'aumento del
reclutamento, la differenziazione e l'attivazione degli osteoclasti. Sebbene i livelli di
calcitonina siano diminuiti nelle donne a paragone con gli uomini, il deficit di
calcitonina non sembra essere importante nell'osteoporosi correlata all'età.
L'attività fisica tende ad aumentare la massa ossea, mentre l'immobilizzazione la
diminuisce ulteriormente. L’obesità è associata con una massa ossea maggiore;
i pazienti con osteoporosi tendono a pesare meno e hanno una massa muscolare più
bassa. L'insufficiente apporto dietetico di Ca, P e vitamina D è associato con la perdita
ossea correlata all’età. L'equilibrio acido-base è anche importante; per esempio,
l'alcalinizzazione del plasma con HCO
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ritarda la perdita ossea. Il menarca tardivo e la
menopausa precoce, la nulliparità, l'ingestione di caffeina, l'uso di alcol e il fumo di
sigaretta sono anche importanti determinanti di diminuzione della massa ossea. I neri e
gli ispanici (americani di origine latino-americana) hanno una massa ossea maggiore
dei bianchi e degli asiatici e gli uomini hanno una massa ossea maggiore delle donne.
Così, sebbene i neri e gli ispanici possano sviluppare l'osteoporosi questo, per loro,
generalmente accade in età più tardive rispetto ai bianchi e agli asiatici. I fattori
genetici sono importanti nello sviluppo dell'osteoporosi; le donne in età
postmenopausale con una storia familiare di fratture incontreranno probabilmente
futuri problemi (Figura 1).
Figura 1: Regolazione del metabolismo osseo.
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1.3 Classificazione dell’osteoporosi
1.3.1 Osteoporosi primaria
L’osteoporosi si divide in due principali categorie:
A. Osteoporosi di tipo I (osteoporosi postmenopausale): si verifica tra i 51 e i 75
anni. Sebbene sia sei volte più comune nelle donne, essa si verifica anche negli
uomini che abbiano subito la castrazione o che abbiano bassi livelli di testosterone
sierico ed è direttamente correlata alla perdita di funzione gonadica. La perdita di
estrogeni conduce a elevati livelli sierici di interleuchina-6 e forse di altre
citochine, che si pensa portino a un aumento del reclutamento e dell'attività dei
precursori degli osteoclasti nell'osso trabecolare (spugnoso), che risulta in
aumento del riassorbimento osseo. Il tipo I è in gran parte responsabile delle
fratture delle ossa nelle quali è predominante l'osso trabecolare, come per esempio
i crolli vertebrali e le fratture di Colles (radio distale).
B. Osteoporosi di Tipo II (osteoporosi involutiva o senile): è associata con i
normali processi di invecchiamento, con un graduale declino del numero e
dell'attività degli osteoblasti e non primariamente con un aumento dell'attività
degli osteoclasti. Si verifica principalmente in persone >60 anni ed è due volte più
frequente nelle donne rispetto agli uomini. Il tipo II colpisce sia l'osso trabecolare
che quello corticale, dando luogo spesso a fratture del collo del femore, vertebrali,
dell'omero prossimale, della tibia prossimale e pelviche. Essa può essere provocata
dalla riduzione di sintesi di vitamina D che si verifica con l'invecchiamento o da
una resistenza all'azione di questa stessa vitamina (probabilmente attraverso una
diminuzione o una non responsività dei recettori della vitamina D in alcuni
pazienti). Nelle donne più anziane si possono spesso verificare
contemporaneamente sia l'osteoporosi di tipo I che di tipo II.
1.3.2 Osteoporosi secondaria
È responsabile di < 5% di tutti i casi di osteoporosi. Le cause possono includere
malattie endocrine (p. es., ipersurrenalismo, iperparatiroidismo, ipertiroidismo,
ipogonadismo, iperprolattinemia, diabete mellito), farmaci (p. es., corticosteroidi,
etanolo, dilantina, tabacco, barbiturici, eparina) e condizioni varie (p. es.,
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immobilizzazione, insufficienza renale cronica, epatopatia, sindrome da
malassorbimento, broncopneumopatia cronica ostruttiva, artrite reumatoide,
sarcoidosi, patologie neoplastiche maligne, prolungata assenza di gravità come si
verifica nei voli spaziali).
Nell’osteoporosi secondaria indotta dai glucocorticoidi le fratture osteoporotiche sono
una frequente conseguenza dell’ipercoticosurrenalismo associato alla sindrome di
Cushing. Comunque, la forma più comune di osteoporosi secondaria a glucocorticoidi
è quella iatrogena. I corticosteroidi sono diffusamente impiegati nel trattamento di
patologie croniche polmonari, dell’artrite reumatoide e di altre connettivopatie, delle
patologie infiammatorie intestinali e nei trapianti d’organo. L’osteoporosi, con le
conseguenti fratture da fragilità, è una grave conseguenza del trattamento con
corticosteroidi, che spesso aggrava gli effetti sullo scheletro dell’età e della
menopausa; pertanto non sorprende che proprio le donne e gli anziani siano i soggetti
più frequentemente colpiti. La risposta scheletrica ai corticosteroidi è quanto mai
variabile e anche nei giovani, se trattati con corticosteroidi nella fase di crescita, è
possibile riscontrare fratture osteoporotiche. Il rischio di fratture dipende dalla dose e
dalla durata della terapia steroidea. In particolare è la dose cumulativa il fattore più
importante nel determinare il rischio di frattura. La perdita di massa ossea è più rapida
nei primi mesi della terapia corticosteroidea e il tessuto osseo trabecolare risulta
maggiormente colpito rispetto a quello corticale. La prevalenza di fratture vertebrali
nei soggetti asmatici trattati per un anno con corticosteroidi è dell’11% e un aumento
del rischio di frattura è stato riscontrato anche soggetti trattati con corticosteroidi per
altre patologie.
1.4 Epidemiologia
Negli Stati Uniti circa 8 milioni di donne e 2 milioni di uomini sono osteoporotici
(T-score <-2,5); inoltre altri 18 milioni di soggetti hanno una massa ossea ridotta
(T-score <-1 e -2,5 DS) che li pone a forte rischio di sviluppare l’osteoporosi.
L’osteoporosi è più frequente negli anziani dal momento che il tessuto osseo viene
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progressivamente perso con l’avanzare dell’età. Nelle donne la perdita della funzione
ovarica che avviene con la menopausa (tipicamente dopo i 50 anni) determina una
rapida perdita di massa ossea, tanto che la maggior parte delle donne di 70 anni rientra
nei criteri per la diagnosi di osteoporosi. L’epidemiologia delle fratture (figura 2)
segue il medesimo trend della riduzione della massa ossea. La frequenza delle fratture
di polso aumenta prima dei 50 anni, presenta un plateau fra i 50 e 60 anni e,
successivamente, solo un modesto incremento legato all’età. Al contrario, la frequenza
delle fratture femorali raddoppia ogni 5 anni dall’età di 70 anni in poi. Queste
differenze potrebbero essere spiegate dal diverso modo di cadere delle persone in
relazione all’età; infatti negli anziani sono meno frequenti le cadute a mani tese. Negli
Stati Uniti almeno 1,5 milioni di fratture avvengono ogni anno come conseguenza
dell’osteoporosi. Dal momento che la popolazione tende a invecchiare, il numero
totale delle fratture continuerà inevitabilmente ad aumentare. Negli Stati Uniti si
registrano ogni anno circa 300.000 fratture di femore che necessitano di
ospedalizzazione e intervento chirurgico. La probabilità che un soggetto bianco di 50
anni presenti una frattura di femore nel corso della vita è del 14% per le donne e del
5% per gli uomini, mentre il rischio per la popolazione afroamericana è di circa la
metà. Le fratture di femore sono associate a un’elevata incidenza di trombosi venosa
profonda ed embolia polmonare (dal 20 al 50%) e, inoltre, sono gravate da una
mortalità oscillante tra il 5% e il 20% nei mesi che seguono l’intervento chirurgico.
Negli Stati Uniti vi sono circa 500.000 fratture vertebrali ogni anno. Solo una piccola
percentuale di queste sono clinicamente evidenti, dal momento che molte sono
asintomatiche e vengono di solito diagnosticate casualmente durante un esame
radiografico eseguito per altri motivi. Le fratture vertebrali solo raramente
determinano l’ospedalizzazione del paziente, ma sono associate a un significativo
incremento della morbilità a lungo termine e a un moderato aumento della mortalità.
La presenza di fratture vertebrali multiple determina una riduzione di altezza (spesso
di diversi centimetri), cifosi e dolore persistente legato a un’alterazione della
biomeccanica della schiena. Le fratture vertebrali del tratto toracico possono associarsi
a una patologia polmonare restrittiva, mentre quelle del tratto lombare si associano più
spesso a sintomi addominali quali distensione, precoce senso di sazietà e stipsi.
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Negli Stati Uniti si registrano ogni anno circa 200.000 fratture di polso (fratture di
Colles). Nei pazienti osteoporotici si verificano fratture anche di altri segmenti ossei,
dato non sorprendente poiché l’osteoporosi è caratterizzata da una perdita sistemica di
massa ossea. Le fratture del bacino e del tratto prossimale dell’omero sono
chiaramente associate all’osteoporosi. Sebbene alcune fratture siano il risultato di un
trauma importante, la soglia di frattura risulta ridotta nell’osso osteoporotico.
Una precedente frattura, una storia familiare di fratture osteoporotiche e un basso peso
corporeo sono tutti fattori predittivi di frattura osteoporotica. Inoltre, il rischio di
frattura può essere incrementato da alcune patologie croniche che aumentano la
propensione alle cadute o la debolezza, come le demenze, la malattia di Parkinson e la
sclerosi multipla. Negli Stati Uniti e in Europa le fratture osteoporotiche sono più
comuni nella donna che nell’uomo, il che è probabilmente dovuto al fatto che le donne
sono caratterizzate da un picco di massa ossea più basso e da una perdita di massa
ossea più rapida dopo la menopausa. Comunque, questa differenza fra i due sessi, sia
per quanto riguarda la densità ossea sia per quanto concerne l’incidenza delle fratture
di femore, non è così evidente in altre popolazioni, forse a causa dell’influenza di altri
fattori quali il substrato genetico, l’attività fisica e la dieta.
Figura 2. Incidenza delle fratture vertebrali, di femore e di polso.