Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
6
CAPITOLO I
L’ITALIA DALL’ABISSO DELLA GUERRA
ALLA RICOSTRUZIONE POLITICO-ISTITUZIONALE
1. I “quarantacinque giorni”
L’Italia era entrata in guerra il 10 giugno del 1940, al fianco della Germania
e del Giappone e contro Polonia, Inghilterra e Francia in un primo momen-
to, e Stati Uniti e Unione Sovietica piø tardi. Tra la fine del 1941 e l’inizio
del 1942, le sorti della guerra, fino ad allora favorevoli alle potenze
dell’“Asse”, cominciavano ad arridere alle forze angloamericane e a quelle
sovietiche. Con il passare dei mesi, man mano che le vicende della guerra
volgevano a grave danno del nostro Paese, ripetutamente fiaccato dalle in-
cursioni aree alleate, appariva sempre piø inevitabile la necessità di scindere
i destini dell’Italia da quelli della dittatura fascista.
Il 10 luglio 1943 gli Angloamericani sbarcavano in Sicilia e iniziava-
no la risalita della Penisola. Eravamo giunti alla svolta decisiva.
L’occupazione dell’Isola era avvenimento di tale portata che, unitamente al
bombardamento di Roma del 19 luglio, spingeva il re Vittorio Emanuele III
ad accelerare gli sviluppi della crisi istituzionale che, come egli stesso ebbe
a dichiarare dopo la fine della guerra, era già in programma dal mese di
febbraio dello stesso anno.
Tra il gennaio e il luglio del 1943 molti erano stati gli esponenti del
periodo prefascista a passare per lo studio del re al Quirinale. E tutti ebbero
a che fare con un uomo che agiva per conto del sovrano, teneva i contatti,
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
7
prendeva informazioni, riferiva e consigliava: il Ministro della Real Casa, il
conte e poi duca Pietro d’Acquarone. Questo aristocratico genovese era
probabilmente il principale personaggio della congiura antimussoliniana,
l’unico a conoscere realmente ogni segreto del re
2
.
Un incontro molto importante avveniva ai primi di giugno. Un espo-
nente di spicco del mondo politico liberale, Ivanoe Bonomi, tornava per la
prima volta al Quirinale dopo tantissimi anni, introdotto da Acquarone.
L’incontro con Vittorio Emanuele III era stato abbastanza lungo, ma non
aveva soddisfatto Bonomi. Questi, dopo aver consigliato al sovrano un go-
verno militare e fatto i nomi di Enrico Caviglia, Pietro Badoglio e Vittorio
Ambrosio, sosteneva la necessità di passare in pochi giorni a un nuovo go-
verno e denunciare l’alleanza con i Tedeschi. La risposta del re era negati-
va, contrario com’era a una soluzione di forza. Mancava, infatti, una seria
preparazione militare e quella diplomatica era del tutto inesistente. Ci si av-
vicinava così verso una decisione di estrema importanza senza che il mo-
narca avesse avviato tutto quanto fosse necessario per prepararla in tempo.
Di sicuro, Vittorio Emanuele non voleva al potere i principali espo-
nenti dell’antifascismo e si era deciso per un governo di militari e funziona-
ri. A dare la spinta decisiva sopraggiungevano alcuni avvenimenti di stam-
po politico-militare. Innanzitutto lo sbarco angloamericano in Sicilia, che
mostrava chiaramente come le sorti dei nazifascisti fossero ormai segnate.
In secondo luogo, ma certamente non meno importante, Roma veniva bom-
bardata per la prima volta. Un evento che destava una grande impressione
su tutti, compreso il re, che, inoltre, si rendeva conto, forse per la prima vol-
ta, di quanto fosse divenuto impopolare. Visitando il quartiere del Verano,
2
D. Bartoli, La fine della Monarchia, Arnoldo Mondadori, Milano, 2006, p. 202.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
8
infatti, vide che la gente lo accoglieva in silenzio, quasi in maniera ostile,
mentre Papa Pio XII era talmente acclamato che sembrava quasi prender
possesso della città. Lo stesso giorno, infine, Mussolini, incontrandosi a
Feltre con Hitler, non ebbe il coraggio di ammettere l’incapacità italiana di
continuare la guerra, fatto che dimostrava chiaramente che era impossibile
chiedere un armistizio agli alleati con l’accordo del Duce e dei Tedeschi.
Il 21 luglio il re incontrava Mussolini, dicendogli chiaramente che so-
lo la sua persona ostacolava la necessaria ripresa interna e della situazione
militare. Il Duce, tuttavia, pur avendo capito che Vittorio Emanuele III in-
tendeva far uscire l’Italia dalla guerra, non aveva colto le allusioni alla sua
persona. Il sovrano si rendeva conto, pertanto, che per giungere
all’armistizio era necessario liberarsi di Mussolini. Così, il mattino del 24
luglio, il maresciallo Pietro Badoglio veniva informato in modo definitivo
che di lì a breve avrebbe assunto l’incarico di Capo del Governo. Il re pre-
tendeva che Badoglio, per il momento, seguisse una linea politica ben pre-
cisa, che simulasse la continuazione della guerra e la fedeltà all’alleato te-
desco, trattando segretamente con gli Angloamericani la firma
dell’armistizio. Quella stessa sera si svolse la riunione del Gran Consiglio
del Fascismo che, attraverso l’Ordine del Giorno recante il nome di Dino
Grandi, votava la sfiducia a Benito Mussolini, estromettendolo dalla carica
di Capo del Governo, e affidava a Vittorio Emanuele III tutti i poteri pre-
centemente nelle mani del Duce. Il sovrano ebbe la conferma della sfiducia
a Mussolini alle 5 del mattino del 25 luglio 1943, informato dal Ministro
della Real Casa, che aveva incontrato Grandi due ore prima
3
. Il monarca,
benchØ ripudiasse l’arresto di Mussolini, si decise a permetterlo, perchØ sa-
3
Bartoli, La fine della Monarchia, cit., pp. 213-214.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
9
peva bene che, con Mussolini libero, la sua decisione di preparare l’uscita
dell’Italia dalla guerra sarebbe stata subito minacciata. L’incontro tra il re e
il dittatore avvenne alle 5 del pomeriggio del 25 luglio. Il Duce fu arrestato
dentro la cinta del parco di Villa Savoia, nonostante la disapprovazione del-
la regina Elena, e trasportato in una caserma dei carabinieri in
un’autoambulanza fatta venire a questo scopo, con l’inganno di farlo uscire
dalla villa attraverso un mezzo sicuro.
Con questo colpo di forza, la Monarchia tornava momentaneamente al
centro della vita politica italiana. Il suo primo obiettivo era quello di disso-
ciarsi dal passato regime, sottolineando che il Paese, senza l’intervento del
sovrano, non si sarebbe mai potuto liberare del Duce. Inoltre, eliminando in
un sol colpo tutte le sovrastrutture istituzionali che il regime aveva imposto
allo Statuto Albertino e affermando che questo non era stato mai espressa-
mente abrogato dalla dittatura, Vittorio Emanuele III sperava di poter assi-
curare, terminata la guerra, la continuità istituzionale. Si trattava, però, di
una speranza difficilmente realizzabile, vista la drammatica situazione in
cui il fascismo aveva fatto piombare il Paese. E gli Italiani non avrebbero
potuto dimenticare le responsabi-
lità avute dalla Corona
nell’ascesa e anche nel manteni-
mento del regime al potere.
In questo clima cominciava
il cosiddetto periodo dei “quaran-
tacinque giorni”, dal 25 luglio
all’8 settembre 1943, data in cui
Figura 1: 25 luglio 1943: la folla per le strade di Roma fe-
steggia la caduta di Mussolini
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
10
veniva annunciato l’armistizio con gli Angloamericani
4
. L’obiettivo prima-
rio del nuovo governo, dunque, era scindere le responsabilità della Corona
da quelle del fascismo. Già nella prima riunione del governo Badoglio, te-
nutasi il 27 luglio, venivano decisi alcuni provvedimenti, che erano ratifica-
ti in due decreti legge del 2 agosto 1943, n. 704 e n. 705, atti a liquidare il
regime: lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista
5
, la soppressione del
Tribunale speciale, la liberazione dei detenuti politici, lo scioglimento della
Camera dei Fasci e delle Corporazioni, la chiusura della XXX legislatura.
Soprattutto il dl n. 705 decretava che entro quattro mesi dalla cessazione del
conflitto si sarebbe pro-
ceduto all’elezione di
una nuova Camera dei
Deputati
6
e al riordina-
mento del Senato e di
tutte le guarentigie sta-
tutarie.
La Monarchia puntava, dunque, ad assicurare la continuità istituziona-
le, orientandosi verso una sorta di ritorno allo Statuto Albertino, per cui non
ci sarebbe stato bisogno di mutamenti della forma istituzionale. Alla fine
4
Per un quadro generale degli avvenimenti connessi alla crisi del 25 luglio e al successivo periodo
dei “quarantacinque giorni” si veda L. Salvatorelli – G. Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista,
Einaudi, Torino, 1964; G. Bianchi, 25 luglio, crollo di un regime, Mursia, Milano, 1963; C. Scor-
za, La notte del Gran Consiglio, Cappelli, Milano, 1969; F. W. Deakin, Storia della Repubblica di
Salò, Einaudi, Torino, 1963; I. Bonomi, Diario di un anno, 2 giugno 1943 – 10 giugno 1944, Gar-
zanti, Milano, 1947; R. Zangrandi, 1943: 25 luglio – 8 settembre, Feltrinelli, Milano, 1964; P.
Permoli, La Costituente e i partiti politici italiani, Cappelli, Rocca San Casciano, 1966, pp. 13-46;
C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia 1848-1994, Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 389-430;
M. Toscano, Dal 25 luglio all'8 settembre, Le Monnier, Firenze, 1966, AA. VV., L’Italia dei qua-
rantacinque giorni, Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia, Milano, 1969.
5
Da qui in avanti PNF.
6
G. Ambrosini, Costituzionalismo italiano, in AA. VV., Studi per il ventesimo anniversario
dell’Assemblea Costituente, Vallecchi, Firenze, 1969, vol. I, La Costituente e la democrazia ita-
liana, pp. 431-432.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
11
della guerra si sarebbero sì scelti nuovi rappresentanti politici e nuovi go-
verni, ma non nuove forme di governo e nuove istituzioni, si sarebbe essen-
zialmente tornati indietro di quasi 21 anni, al periodo precedente la “marcia
su Roma” del 28 ottobre 1922. Per dar corpo a questa idea, la Corona a-
vrebbe dovuto dissociare definitivamente il proprio destino da quello
dell’ormai passato regime. Vittorio Emanuele era convinto che questa scis-
sione era stata in gran parte realizzata con la rimozione di Mussolini dalla
carica di Capo del Governo e, muovendo dal presupposto
dell’irresponsabilità del sovrano per gli atti del “suo” governo, sperava di
poter sottrarre totalmente la Corona «alle polemiche sulle cause della ditta-
tura e sulle colpe della tragedia italiana attribuendone la responsabilità solo
al fascismo e ai suoi esponenti […], dichiarandola non responsabile per i
fatti susseguitisi in Italia durante il ventennio mussoliniano»
7
.
Ma la realtà era ben diversa. Di fronte ai tragici sconvolgimenti della
guerra e al crollo di un regime ventennale che aveva di fatto distrutto il va-
lore dello Statuto Albertino, pur non alterandolo nella forma e nel contenu-
to, la Monarchia avrebbe potuto far dimenticare il passato alla maggioranza
del popolo italiano solo se fosse riuscita a condurre il Paese fuori dalla
guerra senza forti contraccolpi. Bisogna, del resto, rilevare che, dal punto di
vista giuridico, era praticamente impossibile trovare nello Statuto elementi
che permettessero di individuare una responsabilità diretta del sovrano per
gli accadimenti del ventennio, soprattutto per le modifiche in senso autorita-
rio introdotte dal Duce. Infatti, in nessun punto lo Statuto recitava che la
Monarchia dovesse essere garante dello stesso. Si trattava, dunque, di una
7
Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 390.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
12
libera interpretazione degli antifascisti, che non si rendevano conto di quan-
to fosse
«quantomeno ingenuo, se non addirittura illusorio, ritenere che la Corona
potesse avere la funzione di garanzia e di salvaguardia delle libertà statutarie
quando non fossero state contestate nel Paese o negate dagli altri pubblici
poteri o pensare che essa avesse da sola la forza e la possibilità di mantenere
inalterata la facies liberale dello Stato»
8
.
Ma il comportamento del re, che aveva permesso la scalata di Musso-
lini al potere e piø volte ne assecondò l’operato anche laddove avrebbe po-
tuto fermarlo, era per gli antifascisti assolutamente da condannare sul piano
politico. Il discorso sulle responsabilità politiche di Vittorio Emanuele III
non poteva, pertanto, piø essere eluso e l’evolversi degli avvenimenti non
poteva portare a un ritorno tout court al passato. Così, ben presto, le speran-
ze del sovrano di essere considerato esente da colpe per la mancata tutela
del sistema liberale e per la carente difesa delle guarentigie liberali vennero
progressivamente meno di fronte alla messa in moto di forze nuove, che a-
vrebbero impresso al corso degli avvenimenti una spinta sostanzialmente
progressiva e riformatrice.
Queste nuove forze erano i partiti politici, alcuni dei quali ritornavano
a nuova vita dopo la soppressione fascista, altri, invece, nascevano ex novo.
L’unico partito che tornava alla luce mantenendo il nome originario e
che aveva svolto durante la dittatura una continua attività sovversiva era il
Partito Comunista Italiano (PCI). La sua ricostituzione fu, proprio per que-
sto motivo, piø facile degli altri gruppi politici. Esso, infatti, raccolse i frutti
di un’ininterrotta presenza nella cospirazione interna, in quanto poteva con-
8
Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia, cit., p. 391.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
13
tare su nuclei e legami clandestini di una certa saldezza e capillarità, nonchØ
su un diffuso prestigio
9
.
Tutt’altro che agevole fu, invece, la ricostruzione dell’altro partito del-
la classe operaia, il Partito Socialista. Infatti, contro il vecchio PSI vi erano
riserve e ostilità profonde all’interno degli stessi ambienti socialisti. La pro-
va tangibile di tale stato d’animo fu la creazione, nel gennaio del 1943, a
Milano, del Movimento di Unità Proletaria (MUP), ad opera di Lelio Bas-
so
10
. A Roma, invece, risorgeva, per volontà di Pietro Nenni, il Partito So-
9
L. Lotti, I partiti della Repubblica. La politica in Italia dal 1946 al 1997, Felice Le Monnier, Fi-
renze, 1997, p. 16.
10
Lelio Basso nacque a Varazze, in provincia di Savona, il 25 dicembre 1903. Nel 1921 prese la
sua prima tessera socialista, aderendo al gruppo studentesco del Partito. Partecipò alla lotta antifa-
scista e nel 1927 entrò nella “Giovane Italia”, un'organizzazione clandestina di ispirazione repub-
blicana. All'inizio dell'anno successivo gli vennero inflitti cinque anni di confino (poi ridotti a tre)
all'isola di Ponza. Tornato a Milano nell'aprile 1931, riprese l'attività professionale ma si rifiutò di
iscriversi al Partito Fascista e al sindacato fascista avvocati e procuratori e venne messo sotto stret-
ta sorveglianza dalla polizia. Nel 1934 partecipò alla costituzione del “Centro interno”, l'organiz-
zazione clandestina dei socialisti. Nell'estate del 1939 venne nuovamente arrestato, rilasciato e an-
cora rinchiuso, nel 1940, nel campo di concentramento di Colfiorito (Perugia) e poi trasferito al
confino sull'Appennino marchigiano, a Piobbico. Tra il 1941 e il 1942 Basso riprese i collegamenti
con i gruppi socialisti clandestini. Egli voleva costituire un partito socialista nuovo, classista e uni-
tario, rivoluzionario e intransigente. Così, nel gennaio 1943, fondò a Milano, con altri esponenti
antifascisti, il Movimento di unità proletaria, che agisva in collegamento con il gruppo romano di
Unità proletaria. Quando il MUP si unì al ricostituito PSI, Basso venne eletto nella direzione del
nuovo partito, ma le sue idee non trovarono consonanza con il gruppo dirigente. Critico nei con-
fronti della direzione di Pietro Nenni, in ottobre fondò a Milano il giornale e il gruppo di «Bandie-
ra Rossa» e in novembre uscì dalla direzione e si allontanò dal Partito. Ma una valutazione realisti-
ca lo convinse a rientrare nel maggio 1944. Venne così eletto nell'Esecutivo e nominato prima re-
sponsabile dell'organizzazione socialista per la Lombardia e poi per l'Alta Italia. In questi ruoli
diede un importante contributo alla lotta di Resistenza contro il nazifascismo. Fu tra i principali
organizzatori e dirigenti dell'insurrezione milanese del 25 aprile 1945. Al Congresso di Roma del
Partito socialista, nel gennaio 1947, venne eletto segretario generale. Il periodo piø buio dei rap-
porti con la direzione socialista si ebbe nel 1956, dopo il XX congresso del Partito Comunista So-
vietico e la condanna dello stalinismo. Il difficile rapporto con il PSI si sciolse definitivamente alla
fine del 1963 quando, con la formazione del primo governo di centrosinistra con voto e con mini-
stri socialisti, Basso pronunciò alla Camera un discorso che negava la fiducia all'esecutivo. Negli
ultimi anni della sua vita si dedicò per lo piø a diverse questioni internazionali. Morì a Roma la
mattina del 16 dicembre 1978. Cfr. La vita, in “Lelio Basso. Un protagonista del Novecento”,
http://www.leliobasso.it/vita.htm. Sull’attività politica di Lelio Basso, si vedano, tra gli altri, F.
Ajmone et al., Lelio Basso nel socialismo italiano, Franco Angeli, Milano, 1981; S. Dalmasso, Le-
lio Basso nella storia del socialismo italiano: a trent’anni dalla fondazione del Psiup, Punto Ros-
so, Milano, 1995; E. Giovannini, Lelio Basso e la rifondazione socialista del 1947, Lerici, Cosen-
za, 1980; G. Monina (a cura di), Il Movimento di unita proletaria, 1943-1945: con due contributi
su Lelio Basso e il PSI nel dopoguerra, Carocci, 2005; L. Bimbi, Lelio Basso, ERI, Torino, 1986;
L. Basso, Il pensiero di Lelio Basso: materiale per un'analisi, Fondazione C. Calzari Trebeschi,
Brescia, 1981.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
14
cialista Italiano (PSI). La forza di una tradizione pluridecennale e la libera-
zione di molti dirigenti giocavano a favore del partito di Nenni, e, a seguito
della svolta del 25 luglio, il MUP confluiva nel PSI. Il partito unificato as-
sumeva il nome di Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP),
denominazione che avrebbe mantenuto fino al 1947.
Con un nome diverso ri-
nasceva anche il partito di ispi-
razione cattolica. I cattolici
non erano riusciti a mantenere
all’estero, durante il periodo
fascista, un’organizzazione che
potesse farsi risalire al Partito
Popolare fondato da Don Luigi
Sturzo nel 1919. Lo stesso
Sturzo, nel periodo dell’esilio,
si era sempre mantenuto su una
posizione autonoma, estranea a qualsiasi gruppo politico, e tutti gli altri e-
sponenti popolari si erano ritirati a vita privata. Qualsiasi attività politica,
inoltre, era condizionata dai rapporti tra la Santa Sede e il fascismo, sanciti
dai Patti Lateranensi del 1929. Solo con il graduale distacco della Chiesa
dal regime, avviato nel 1938 in seguito all’emanazione delle leggi razziali,
aveva inizio l’azione politica antifascista del laicato cattolico. Il grande van-
taggio che questo aveva rispetto agli altri partiti era quello di avere già
un’organizzazione autonoma, che era rimasta molto efficiente anche duran-
te la dittatura: l’Azione Cattolica, specie nei suoi organismi piø attivi, come
la FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e il Movimento dei
Figura 2: Don Luigi Sturzo
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
15
laureati cattolici. Per gettare le basi del nuovo partito, dunque, era sufficien-
te fare appello ai nuclei già esistenti e alla grande leva dell’Azione Cattoli-
ca. Il nuovo partito, fondato nel 1943, non riassumeva la denominazione di
“popolare”, ma, quasi a voler simboleggiare l’impegno democratico con cui
i cattolici volevano ritornare nella vita politica italiana, prendeva il nome di
Democrazia Cristiana (DC)
11
.
Tra i nuovi nati, spiccava certamente il Partito d’Azione (PdA), fonda-
to a Roma nel luglio del 1942, anche se il nome veniva scelto nel gennaio
del 1943 da Mario Vinciguerra
12
. Il partito, all’interno del quale confluiva-
no vari filoni, si ricongiungeva idealmente a “Giustizia e Liberta”
13
, che era
11
Lotti, I partiti della Repubblica, cit., pp. 16-17.
12
Mario Vinciguerra aveva dato vita nel 1930, insieme a Lauro De Bosis, ad “Alleanza Naziona-
le”, un movimento antifascista, interno e clandestino, di matrice liberale, che auspicava il rove-
sciamento del fascismo da parte delle forze tradizionali (Monarchia ed esercito) con l’appoggio
della Chiesa. Dopo la fine dell’iniziativa di “Alleanza Nazionale”, stroncata dopo poco tempo da-
gli arresti della polizia fascista, Vinciguerra divenne una sorta di “girondino” nell’ambito
dell’azionismo, quindi sostenitore, negli anni 60, del movimento di Pacciardi per una Repubblica
presidenziale. Fascismo e bolscevismo erano per lui le due facce della stessa medaglia: «Ambedue
– diceva – dominio di una minoranza armata sopra un popolo passivo ed inerte; ambedue basati
sulla soppressione di ogni critica e sull’isolamento dal mondo». Nel secondo dopoguerra fu uno
dei pochi critici del partito di massa, che non gli sembrava affatto un’evoluzione rispetto al partito
notabilare. Cfr. M. Griffo, Mario Vinciguerra tra storia e politica, in “L’Acropoli. Rivista bime-
strale diretta da Giuseppe Galasso”, a. VII, n. 3, http://www.lacropoli.it/articolo.php?nid=67. Su
Vinciguerra, inoltre, risultano di utile consultazione P. G. Grasso, Mario Vinciguerra e la critica
della Costituzione, s. n., s. l., 1972 e A. Carrannante, Un intellettuale “scomodo”: Mario Vinci-
guerra (1887-1972), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005.
13
“Giustizia e Libertà”, fondato da Rosselli poco dopo il suo arrivo in Francia, inizialmente non
voleva essere un nuovo partito, ma un “movimento rivoluzionario” volto a creare un’unità
d’azione fra repubblicani, socialisti e democratici per combattere il fascismo con le armi, in un
moto insurrezionale. L’obiettivo di Rosselli era quello di superare i vecchi schemi per rinnovare la
vita sociale e morale dell’Italia. Vi era la tendenza a propugnare un programma politico totalmente
innovativo, teso a conciliare libertà e socialità (non è casuale che il piø noto libro di Rosselli, scrit-
to proprio in questi anni, si intitolasse Socialismo liberale). Fu così che anche gli altri partiti ini-
ziarono a riconoscere a “Giustizia e Libertà” la preminenza nelle attività cospirative e nel 1931 il
nuovo movimento aderiva alla “Concentrazione di azione antifascista”, nata nell’aprile del 1927
dall’accordo tra Partito Socialista Italiano, Partito Socialista Unitario, Partito Repubblicano, Con-
federazione del Lavoro e Lega italiana dei diritti dell’uomo. Ma i contrasti tra il movimento di
Rosselli e gli altri partiti si acuirono nuovamente subito dopo. Agendo in Italia in nome della Con-
centrazione, infatti, “Giustizia e Libertà” avrebbe dovuto propugnare i punti comuni ai vari pro-
grammi, non il proprio. Invece, nel gennaio del 1932, enunciava il proprio programma nel suo
primo Quaderno. In esso si affidava alla rivoluzione il compito di fondare le basi del nuovo Stato e
a un’Assemblea Costituente di consacrare l’opera della rivoluzione, che doveva portare alla Re-
pubblica, al ristabilimento delle libertà pubbliche, all’espropriazione con indennizzo della terra e
gestione in parte collettiva e in parte a piccola proprietà, e alla socializzazione di determinate cate-
gorie di industrie. I contrasti sorti tra i partiti portarono, così, allo scioglimento della Concentra-
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
16
stato fondato in Francia nel 1929 da Carlo Rosselli
14
. Oltre ai gruppi che
avevano partecipato alle iniziative rosselliane, all’interno del partito azioni-
zione e alla rottura tra giellisti e socialisti. “Giustizia e Libertà” si trasformava in un vero e proprio
partito, rimanendo tuttavia isolato. Da tempo, infatti, Rosselli sosteneva che ci si stava avviando a
una guerra per la fascistizzazione dell’intera Europa e invocava un’azione concreta delle democra-
zie, fino a prefigurare una guerra preventiva. L’occasione per mettere in pratica tali idee gli si pre-
sentò con la Guerra Civile Spagnola, nella quale Rosselli vedeva, per la prima volta, la possibilità
di un urto frontale, aperto tra fascismo e antifascismo. Così, pochi giorni dopo l’inizio del conflit-
to, Rosselli propose ai rappresentanti dei partiti esuli l’intervento immediato. Ma PSI e PCI so-
stennero che al momento era opportuno seguire la via delle pressioni sui governi. Al leader gielli-
sta una simile impostazione ricordava l’inerte attesa degli aventiniani e così partì subito per la
Spagna col proposito di condurre in linea una colonna di volontari italiani. Il 9 giugno del 1937, a
Bagnoles de l’Orne, in Francia, i sicari della “cagoule” lo uccidevano insieme al fratello Nello.
“Giustizia e Libertà” veniva così guidata da Emilio Lussu e assumeva un carattere piø spiccata-
mente socialista. La seconda guerra mondiale, e soprattutto il patto tedesco-sovietico, che smentiva
tutta l’impostazione antifascista degli ultimi anni, mettevano in crisi il movimento, che, tuttavia,
continuava a lottare contro il nazifascismo. Diversi membri di “Giustizia e Libertà” si univano ai
movimenti di liberazione della Francia, altri agivano in Egitto con pubblicazioni politiche e tra-
smissioni radiofoniche, altri ancora si riunivano negli Stati Uniti, elaborando una teoria socialista
riformatrice. I frutti di questa intensa attività venivano raccolti nel 1942, quando, da una rilevante
parte del movimento giellista, prendeva vita il Partito d’Azione, che avrà, proprio grazie alle Bri-
gate di Giustizia e Libertà, un ruolo decisivo nella Resistenza. Da ricordare, inoltre, che, nonostan-
te le continue persecuzioni alle quali veniva sottoposto e gli incessanti e molteplici impegni di lotta
e di studio, Rosselli era riuscito anche a dare al suo movimento un importante periodico, dallo
stesso titolo, «Giustizia e Libertà», che nel 1936 era arrivato a tirare e distribuire in tutta Europa e,
clandestinamente, in Italia, oltre 30.000 copie. Cfr. Lotti, I partiti della Repubblica, cit., pp. 3-15.
Numerosi sono i volumi dedicati al movimento di “Giustizia e Libertà”. Tra gli altri, si vedano
AA. VV., Giustizia e libertà nella lotta antifascista e nella storia d’Italia: attualità dei fratelli
Rosselli a quaranta anni dal loro sacrificio, La Nuova Italia, Firenze, 1978; E. Aga Rossi, Il mo-
vimento repubblicano. Giustizia e Libertà. Il partito d'azione, Cappelli, Bologna, 1969; E. Mode-
na-Burkhardt, Von Giustizia e Libertà zum Partito d'Azione, Limmat Verlag, Zurigo, 1974; L. Va-
liani, Giustizia e libertà e Partito d'azione: rievocazioni e ricordi, Le Monnier, Firenze, 1995; S.
Fedele, Lo “Schema di programma” di “Giustizia e Libertà” del 1932, in «Belfagor», a. XXIX, n.
4, 31 luglio 1974, pp. 437-54; M. Giovana, Giustizia e Libertà in Italia. Storia di una cospirazione
antifascista. 1929-1937, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.
14
Carlo Rosselli nacque a Roma nel 1899, da una famiglia di antiche tradizioni repubblicane. An-
cora molto giovane iniziò a dedicarsi alla politica attiva, venendo a contatto con quasi tutti gli in-
tellettuali italiani che negli anni Venti e Trenta, da posizioni ideologiche diverse, si impegnarono
nella resistenza attiva o passiva contro il regime di Mussolini. Abbracciò il socialismo nell'imme-
diato primo dopoguerra e con Pietro Nenni fondò la rivista «Quarto Stato». Con Gaetano Salvemi-
ni, Piero Calamandrei ed Ernesto Rossi diede vita, invece, all'indomani dell'assassinio di Giacomo
Matteotti (1924), al foglio antifascista «Non mollare!», al quale collaborò anche suo fratello mino-
re Nello. Dopo la parentesi genovese, Carlo Rosselli intensificò ulteriormente l'attività politica e
sovversiva. Nel 1927 venne processato e condannato all'esilio nell'isola di Lipari per avere orga-
nizzato, insieme a Ferruccio Parri e Sandro Pertini, la fuga di Filippo Turati in Francia. Nel 1929
riuscì comunque ad evadere dall'isola con Emilio Lussu e Fausto Nitti e a raggiungere anch'egli la
Francia, per poi vagabondare anche in Svizzera e Germania. Tra il 1928 e il 1929 Rosselli, durante
il confino a Lipari, trovò il tempo per scrivere la sua opera piø significativa, Socialismo Liberale
(che venne poi pubblicata nel 1930, in lingua francese, a Parigi) e per fondare il movimento “Giu-
stizia e Libertà”. Le teorie politiche di Rosselli, condensate in Socialismo Liberale, influenzarono
e scossero almeno un paio di generazioni di pensatori italiani ed europei, che videro nel suo inse-
gnamento una nuova strada da seguire, o da contestare, nell'evoluzione del pensiero liberale, liber-
tario e socialista. Un uomo di tal fatta non poteva certo far dormire sonni tranquilli ai suoi avversa-
ri, che all'inizio del 1937 iniziarono ad organizzare nell'ombra l'attentato che avrebbe posto fine
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
17
sta erano presenti il “Movimento liberalsocialista”, che faceva capo alle
scuole filosofiche di Aldo Capitini e Guido Calogero, alcuni nuclei originari
del Partito Repubblicano, vari esponenti di spicco della cultura italiana in-
fluenzati dal pensiero di Benedetto Croce, e diverse singole personalità,
quali Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Piero Calamandrei ed Emilio Lussu. Il
Partito d’Azione, dunque, raccoglieva di fatto quasi tutta la cospirazione an-
tifascista non comunista, in un’organizzazione composita che comprendeva
molteplici tendenze, da quelle liberali a quelle socialiste.
Completamente diversa la vicenda del Patito Liberale (PLI), che non
aveva nØ creò un’organizzazione diffusa, rimanendo essenzialmente un par-
tito di dirigenti. Privi di organizzazioni efficienti già prima dell’avvento del
alla sua opera rivoluzionaria. Fu l'OVRA, la polizia segreta mussoliniana, che si mise a tessere la
tela entro la quale l'irriducibile dissidente sarebbe dovuto cadere. Arturo Bocchini, capo della poli-
zia, venne incaricato dallo stesso Mussolini e dal Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, di elimi-
nare fisicamente Rosselli, che allora risiedeva nella capitale francese dove, grazie ai suoi cospicui
mezzi economici, continuava ad infastidire in tutti i modi il regime. La trappola mortale scattò la
mattina del 9 giugno 1937, lungo la strada principale di un piccolo villaggio normanno, chiamato
Bagnolesde-l'Orne, dove Carlo Rosselli, assieme a suo fratello Nello, che lo aveva raggiunto da
Firenze tre giorni prima, si era recato per trascorrere in un albergo il fine settimana. Ad occuparsi
dell'esecuzione materiale del crimine fu un commando composto da risoluti militanti "cagoulards"
(gli avanguardisti francesi). Quattro o cinque sicari, dopo un accurato pedinamento e appostamen-
to, bloccarono l'auto sulla quale viaggiavano i due fratelli e, dopo averli trascinati fuori dalla vettu-
ra, li pestarono e li colpirono ripetutamente al petto e al collo con lunghi coltelli, lasciandoli privi
di vita sull'asfalto. Cfr. A. Rosselli, Rosselli, polemista scomodo: ucciso dai sicari di Mussolini, in
“Storia in network”, n. 69/70, luglio/agosto 2002, http://www.storiain.net/arret/num69/artic3.asp.
Sulla vita e l’operato di Carlo Rosselli si vedano, tra gli altri, G. Angelini, L'altro socialismo. L'
eredità democratico-risorgimentale da Bignami a Rosselli, Franco Angeli Editore, Milano, 1999;
S. Bucchi, Carlo Rosselli. Dizionario delle idee, Editori Riuniti, Roma, 2000; M. Degli Innocenti,
Carlo Rosselli e il Socialismo liberale, Ed. Piero Lacaita, Manduria-Roma-Bari, 1999; A. Garosci,
Vita di Carlo Rosselli, II ed., Vallecchi, Firenze, 1973; N. Tranfaglia, Carlo Rosselli dall'interven-
tismo a "Giustizia e Libertà", Laterza, Bari, 1968; E. Decleva, Le delusioni di una democrazia:
Carlo Rosselli e la Francia, 1919-1937, in «Nuova rivista storica», 1979, f. V-VI; F. Invernici,
L’alternativa di Giustizia e Libertà: economia e politica nei progetti del gruppo di Carlo Rosselli,
Franco Angeli, Milano, 1987; G. Spadolini, Carlo e Nello Rosselli: le radici Mazziniane del loro
pensiero, Passigli, Torino, 1990; A. Bechelloni (a cura di), Carlo e Nello Rosselli e l’antifascismo
europeo, Franco Angeli, Milano, 2001; P. Bagnoli, Carlo Rosselli: tra pensiero e azione, Passigli,
Firenze, 1985; S. Mastellone, Carlo Rosselli e la rivoluzione liberale del socialismo, L. S. Olschki,
Firenze, 1999; Z. Ciuffoletti, Contro lo Statalismo: il socialismo federalista liberale di Carlo Ros-
selli, Lacaita, Manduria, 1999; A. Garosci, Profilo dell’azione di Carlo Rosselli e di giustizia e li-
bertà, Ed. Partito D’Azione, Roma, 1944; E. R. Papa, Rileggendo Carlo Rosselli: dal socialismo
liberale al federalismo europeo, Guerini, Milano, 1999. Per gli scritti di Rosselli si vedano C. Ros-
selli, Scritti politici e autobiografici, Polis, Napoli, 1944; Idem, Oggi in Spagna, domani in Italia,
Einaudi, Torino, 1967; Idem, Socialismo liberale e altri scritti, Einaudi, Torino,1979.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
18
fascismo, gli esponenti del mondo liberale e democratico difficilmente riu-
scivano a svolgere un’azione capillare per la creazione di una base ben or-
ganizzata. Ma la loro debole consistenza organizzativa era superata dalla
forza e dal prestigio derivanti dalla presenza, tra le fila del partito, degli
uomini piø rappresentativi della vecchia Italia, da Vittorio Emanuele Orlan-
do a Ivanoe Bonomi, da Francesco Saverio Nitti a Enrico De Nicola e Be-
nedetto Croce. O-
biettivo dei liberali
era quello di restau-
rare le vecchie isti-
tuzioni democratiche
all’ombra della Mo-
narchia, e il loro ruo-
lo all’interno dello
schieramento politico diveniva, sin dalla caduta del regime, quello di fare
da trait d’union fra l’ansia progressista e rinnovatrice delle altre forze poli-
tiche e quella conservatrice dei fedeli alla dinastia, ma soprattutto porsi co-
me collante di tutte le forze moderate dell’opinione pubblica che non vede-
vano di buon occhio un rivolgimento delle istituzioni che assumesse i carat-
teri del sovvertimento sociale
15
.
Le piø importanti forze politiche italiane del secondo dopoguerra era-
no, dunque, già all’opera, anche se clandestinamente, prima del 25 luglio e,
soprattutto, si presentavano unite. Già alla fine del 1942, infatti, esistevano
due comitati unitari: uno a Roma, composto da liberali, socialisti e cattolici
e guidato da Bonomi, e l’altro a Milano, formato da azionisti, comunisti e
15
Lotti, I partiti della Repubblica, cit., pp 14 e 17.
Figura 3: Da sinistra: Vittorio E. Orlando, Ivanoe Bonomi, Francesco S.
Nitti
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
19
membri del MUP. Pochi giorni prima della caduta del regime, questi due
comitati decidevano di unirsi in un’organizzazione congiunta e, il 4 luglio
1943, creavano un “Comitato di collegamento”, che comprendeva i partiti
democristiano, comunista, socialista, liberale e azionista. Era questo
l’embrione del futuro Comitato di Liberazione Nazionale. Occorre, tuttavia,
sottolineare che nessuna forza politica ebbe parte attiva nel sovvertimento
del 25 luglio.
Diversa la situazione nel corso dei “quarantacinque giorni”, quando le
correnti antifasciste cercarono in ogni modo di esercitare pressioni sul go-
verno Badoglio per la restituzione delle libertà civili e politiche, per il di-
stacco dalla Germania nazista e per la conclusione di un armistizio con gli
Angloamericani per il raggiungimento di una pace onorevole
16
. L’obiettivo
principale era il distacco dall’alleato tedesco ma Badoglio non riusciva a
percepire in maniera adeguata la gravità della situazione e continuava ad
aspettare. Un’attesa che si sarebbe rivelata fatale.
I Tedeschi, infatti, iniziavano ad affluire in maniera massiccia nel no-
stro Paese, schierandosi intorno a Roma per premere sulla corte e sul go-
verno. Il sovrano, conoscendo bene questo stato di cose, convocava al Qui-
rinale, in data 16 agosto 1943, il maresciallo Badoglio. Nel corso
dell’incontro venivano affrontate diverse problematiche: il rapporto di forza
tra il nostro esercito e quello tedesco, notevolmente pendente verso il se-
condo, lo stato d’animo della popolazione, il malumore dei fascisti, le agi-
tazioni dei partiti appena usciti dalla clandestinità. Proprio con questi ultimi
i rapporti si erano fatti sempre piø tesi, giungendo alla rottura dopo l’ordine
16
Permoli, La Costituente e i partiti politici, cit., pp. 22-23.
Capitolo I | L’Italia dall’abisso della guerra alla ricostruzione politico-istituzionale
20
del giorno del 12 agosto, con il quale «si invitava il governo a porre fine ad
una guerra contraria alle tradizioni, agli interessi, agli ideali dell’Italia»
17
.
L’orientamento del governo era riflesso in un appunto del Ministro
degli Esteri, Raffaele Guariglia, in cui sostanzialmente si diceva che l’Italia
«se fosse libera di decidere accetterebbe subito le condizioni imposte, ma
deve tener conto delle rappresaglie tedesche: perciò chiederà l’armistizio sol-
tanto quando la situazione militare sarà mutata in seguito agli sbarchi allea-
ti»
18
.
Ma l’isolamento di Badoglio da parte delle correnti antifasciste era
ormai un fatto compiuto e, da allora in avanti, la rottura diventava definiti-
va. Anche gli Angloamericani erano fermi nel proposito di firmare e annun-
ciare l’armistizio quanto prima.
Così, nel pomeriggio del 1° settembre 1943, il sovrano decideva di ac-
cettare le condizioni imposte dal generale Eisenhower. La firma avveniva il
3 settembre a Cassibile, in Sicilia, dopo che
«si era perso quasi un mese e mezzo, si erano fatte bombardare le piø impor-
tanti città d’Italia, tranne Roma, si era permesso ai Tedeschi di rafforzare le
loro truppe in Italia, col risultato di accettare le stesse condizioni che si pote-
vano ottenere senza difficoltà il primo giorno»
19
.
E tutto questo a causa della mancanza di un serio criterio direttivo che
ispirasse l’azione di governo. Le modalità di attuazione dell’armistizio fu-
rono, infatti, estremamente inadeguate. La catastrofe, a quel punto, diveniva
inevitabile. Nel pomeriggio dell’8 settembre 1943, il generale Eisenhower
dava improvvisamente per radio l’annuncio dell’armistizio. Badoglio e il re
17
Permoli, La Costituente e i partiti, cit., p. 25.
18
Bartoli, La fine della Monarchia, cit., p. 227.
19
Ivi, pp. 227-228.