1
INTRODUZIONE
Quanto trattato in questa mia dissertazione, potrebbe sembrare uno di quei temi
“vecchi quanto il mondo”, un argomento che risale ancora all‟antichità, a quando gli
esseri umani hanno cominciato a dar voce, e poi a mettere per iscritto, i propri
pensieri inerenti all‟esistenza o meno di un essere trascendente la natura umana. Da
un certo punto di vista, in effetti, è così, nel senso che l‟ambito della ricerca continua
ad essere quello religioso. Ma dobbiamo ammettere che, con Alvin Plantinga, la
novità è lampante. Da sempre ci si è occupati di verificare la questione de facto, la
verità della credenza religiosa, soprattutto in seguito alla comparsa e all‟enorme
diffusione del monoteismo, in particolare del Cristianesimo. Ora, invece, si tratta di
affrontare la questione de jure, si tratta di capire se e in che termini, la fede teistica
sia razionale. Sempre più spesso al giorno d‟oggi, infatti, la fede viene ritenuta una
mera illusione, un prodotto della nostra mente atto a soddisfare il nostro bisogno di
protezione o il nostro desiderio di dare un senso alla vita. Il credente, quindi, diviene
semplicemente una persona superstiziosa, che prende in giro se stessa, oppure una
persona le cui facoltà cognitive presentano delle disfunzioni tali da non permettergli
di vedere la realtà dei fatti – che cioè non esiste alcun Dio – oserei dire quasi un
pazzo. Dimostrare che, invece, il credente è perfettamente razionale nel sostenere il
teismo, è un salto in avanti di enorme importanza grazie al quale non sarà più
possibile sostenere che, indipendentemente dalla verità o meno della fede teistica,
essa è da considerarsi comunque irrazionale!
Ma da dove trae origine questa „rivoluzione‟?
All‟inizio degli anni ‟80 del secolo scorso, nel contesto filosofico statunitense
dominato dalla filosofia analitica giunta ormai al suo apice, nasce una nuova corrente
filosofica denominata, dagli stessi autori che le diedero vita, “Epistemologia
riformata”. La proposta in essa contenuta prevedeva la riapertura del dialogo fra fede
e ragione attraverso l‟uso sistematico degli strumenti concettuali della filosofia
analitica, più precisamente dell‟epistemologia analitica. I tre autori che, più di tutti,
hanno elaborato questa proposta, sono Nicholas Wolterstorff, William Alston, ma
soprattutto, Alvin Plantinga.
Nato il 15 Novembre del 1932 nel Michigan, da genitori di forte tradizione
2
calvinista che perdurava da generazioni, Alvin Plantinga
1
è cresciuto sotto le ali del
neocalvinismo olandese, e precisamente della Chiesa Riformata Olandese. Suo
padre, Andrew, era un professore di filosofia e psicologia, e fu proprio lui a
trasmettere al figlio l‟amore precoce per la filosofia. A causa degli spostamenti del
padre dovuti al lavoro, Plantinga frequenta le scuole medie e quasi tutte le superiori
nel North Dakota; poi, su consiglio del padre, si iscrive al Jamestown College, ma
dopo neanche un anno deve trasferirsi al Calvin College di Grand Rapids, nel
Michigan, dove al padre era stata offerta una grande occasione lavorativa. In realtà,
tra gli studi a Jamestown College e quelli al Calvin College, Plantinga, grazie ad una
borsa di studio, frequenta due semestri ad Harvard. Questa esperienza non va
sottovalutata nel tentativo di comprendere lo sviluppo del pensiero plantinghiano, in
quanto è proprio qui che il nostro filosofo incontra, per la prima volta, un serio e
profondo pensiero non cristiano. Finora, infatti, aveva avuto modo solamente di
leggere alcune critiche al Cristianesimo e al teismo nei testi di Russell e di altri
filosofi. Ad Harvard, invece, l‟enorme varietà di opinioni intellettuali e spirituali, lo
conduce a porsi inevitabili domande sull‟esistenza di Dio e sulla verità del
Cristianesimo, a chiedersi, cioè, se ciò su cui aveva sempre creduto era
effettivamente vero
2
. I dubbi però durano poco, perché, tornando nel Michigan per
fare visita ai suoi genitori, ha occasione di frequentare alcune lezioni del professor
William Harry Jellema. Plantinga rimane profondamente colpito dal suo
insegnamento e dalla sua risposta alla moderna critica filosofica del cristianesimo
tanto da definirlo “il maestro di filosofia più dotato che abbia mai incontrato”
3
. Per
questo motivo decide di far ritorno al Calvin College, scelta della quale non si pentirà
mai. Quella al Calvin, infatti, sarà la tappa che influenzerà maggiormente il suo
futuro filosofico. Sotto la direzione degli insegnanti Jellema e Henry Stob, Plantinga
e suoi compagni di classe (fra cui Dewey Hoitenga e Nicholas Wolterstorff)
spendono molto del loro tempo sulla storia della filosofia, in particolare su Platone,
Aristotele, Agostino, Tommaso d'Aquino, Cartesio, Leibniz e Kant. Per leggere
alcune delle opere di questi filosofi in lingua originale – al Calvin College la
1
Per una completa ricostruzione biografica di Alvin Plantinga, cfr. J.E. Tomberlin – P. van Inwagen
(ed. by), Profiles. Alvin Plantinga, D. Reidel Publishing Co., Dordrecht-Boston-Lancaster 1985, pp.
3-33.
2
Cfr. A. Plantinga, Spiritual Autobiography, http://www.calvin.edu/125th/wolterst/p_bio.pdf,
pubblicato anche in Thomas V. Morris (ed. by) God and the Philosophers, Oxford University Press,
New York 1994.
3
J.E. Tomberlin – P. van Inwagen (ed. by), Profiles. Alvin Plantinga, op. cit., p. 9.
3
competenza filologica ed esegetica era notevolmente apprezzata – Plantinga spende
una notevole quantità di tempo anche per studiare il francese, il tedesco e il greco (il
latino gli era già stato insegnato dal padre, mentre frequentava la scuola superiore).
Consegue la laurea in filosofia nel 1954; poi, sotto la guida di insegnanti quali
William Alston, docente di filosofia della religione, Richard Cartwright, e William
K. Frankena, consegue il Master of Arts presso l‟università del Michigan nel 1955.
Infine, presso l‟università di Yale a New Haven, nel 1958 ottiene il dottorato in
filosofia.
La sua carriera come insegnante, comincia nel 1957, proprio a Yale, ma l‟anno
successivo viene chiamato alla Wayne State University di Detroit come Assistant
Professor, e lì rimane per un quinquennio. Si tratta di un periodo importante per la
formazione del suo pensiero, soprattutto se si considera la collaborazione piuttosto
stretta con epistemologi importanti, quali Edmund Gettier e Keith Lehrer. Nel 1963,
poi, Plantinga accetta di trasferirsi al Calvin College dove viene assunto come
successore del professor Jellema: un compito che lo entusiasmava e lo terrorizzava
contemporaneamente, data la venerazione che aveva sempre provato per Jellema.
Ascoltiamo la principale motivazione di questa scelta direttamente dalle parole di
Plantinga:
Sono stato un cristiano entusiasta fin dall‟infanzia e un cristiano riformato
entusiasta fin dai giorni del college. Ho avvallato l‟opinione calvinista per
cui né la cultura né la formazione sono religiosamente neutrali; ho quindi
ritenuto importante che ci fossero college e università cristiani. Ho voluto
contribuire a questa impresa e il Calvin mi è sembrato un luogo eccellente
per farlo
4
.
La sua permanenza al Calvin, college della Chiesa Cristiana Riformata, si rivela
particolarmente fruttifera, in quanto è proprio di questo periodo la nascita della
„reformed epistemology‟, elaborata insieme all‟amico e collega Nicholas
Wolterstorff e grazie alla collaborazione di William Alston. Il ventennio al Calvin,
inoltre, vede la pubblicazione di una parte piuttosto importante della produzione
plantinghiana, a partire da God and other minds (1967) – testo che impone Plantinga
all‟attenzione dei più importanti e riconosciuti pensatori contemporanei – The nature
4
J.E. Tomberlin – P. van Inwagen (ed. by), Profiles. Alvin Plantinga, op. cit., p. 30.
4
of necessity (1974) – dove il nostro filosofo espone il risultato del suo lungo e
proficuo confronto con la metafisica modale – fino alla pubblicazione di Faith and
rationality (1983), considerato il manifesto dell‟epistemologia riformata.
Dopo diciannove anni di permanenza al Calvin College, Plantinga decide di
accettare l‟offerta da parte della Notre Dame University, la prima università cattolica
degli Stati Uniti, dove ottiene la cattedra di filosofia della religione (intitolata a John
O‟Brien) e dove tuttora risiede. L‟idea di lasciare il Calvin College viene da lui
definita “preoccupante e di fatto veramente dolorosa”
5
, ma allo stesso tempo è
entusiasmante in lui la motivazione che lo conduce ad accettare il trasferimento:
l‟università di Notre Dame, pur avendo uno stampo fortemente cattolico, vanta una
grande concentrazione di laureati in filosofia che condividono lo stesso quadro di
credenze di Plantinga, e questo aumenta il desiderio del nostro autore di trasmettere,
a tali nuovi filosofi cristiani, quanto da lui appreso lungo il suo percorso.
Come si riesce ad intravedere da questa breve biografia, gli ambiti di maggior
interesse per Plantinga sono sempre stati la teologia filosofica e l‟apologetica. Il
connubio di questi interessi con le enormi capacità analitiche acquisite a livello
epistemologico durante la sua formazione – soprattutto durante la sua permanenza
alla Wayne State University – ha permesso al nostro filosofo, come ha ben rilevato
Margherita Di Stasio, di “riscattare la filosofia analitica della religione da quel ruolo
ancillare in cui alcuni cercavano di relegarla”
6
.
Il fatto, però, che il filo conduttore di tutto il pensiero plantinghiano sia lo sforzo
di difendere il teismo e, più specificatamente, il Cristianesimo, dalle varie obiezioni
rivolte loro nel corso della storia, non deve trarre in inganno il lettore: tutte le prime
produzioni di Plantinga, e in particolar modo il suo testo God and other minds
(1967), mostrano come il nostro autore sia fortemente convinto che il tentativo da
parte della teologia naturale di dimostrare l‟esistenza di Dio risulti assolutamente
fallimentare. In questo libro, Plantinga analizza le tesi dei tre argomenti classici a
favore del teismo – quello cosmologico, quello ontologico e quello teleologico – e le
maggiori critiche contro di esso – le due più note sono quelle relative all‟esistenza
5
Ivi, p. 33.
6
M. Di Stasio, Plantinga e l‟argomento teleologico: dalla critica a Hume al ruolo del concetto di
Proper Function, “Annali del dipartimento di filosofia”, XI, 2005,
http://www.fupress.net/index.php/adf/article/viewFile/2009/1931.
5
del male nel mondo e al libero arbitrio, temi che, come vedremo, il nostro autore
riprende più volte sia in testi e articoli a se stanti, sia come saggi in altri volumi –
dichiarando vani entrambi gli sforzi. L‟ultima parte del libro è dedicata ad una
tentata analogia fra l‟esistenza di Dio e l‟esistenza nelle altre menti, che si rivelerà
altrettanto fallimentare.
Questo non significa che il nostro autore escluda la legittimità e/o la validità della
teologia naturale: avremo infatti modo di vedere come la critica di Plantinga alla
teologia naturale sia da collegare soprattutto alla forte e costante critica
all‟evidenzialismo. Come sottolinea bene Albino Babolin, “la critica di Plantinga alla
teologia naturale, nel solco della tradizione calvinistica in cui si inserisce, è in realtà
da collegarsi ai presupposti dell‟evidenzialismo, ossia alla pretesa che le prove sono
la condizione necessaria sia per la verità sia per la stessa razionalità o accettabilità
razionale della credenza religiosa. Non significa che non sia possibile addurre
argomenti teistici”
7
. Il pensiero riformato si oppone all‟idea che la credenza in Dio
non sia giustificata o garantita se non c‟è evidenza che la supporti, se non ci sono
buoni argomenti a suo favore, si oppone, in buona sostanza, alle tesi su cui fa perno il
positivismo. Non a caso, secondo Mario Micheletti, “queste nuove tendenze nel
campo della filosofia analitica della religione sono sicuramente all‟origine del quasi
completo oblio in cui sono caduti gli argomenti positivistici”
8
. Ma da ciò non ne
consegue che l‟argomentazione teistica sia senza valore: anzi, il nuovo compito che
Plantinga affida alla teologia naturale, sarà proprio quello di sostenere il credente
nella lotta contro le obiezioni al teismo. Il fatto che il nostro filosofo non sia in alcun
modo contrario alla teologia naturale è dimostrato, ancor più, dal suo aver proposto
quella che è stata considerata una delle più raffinate versioni modali dell‟argomento
ontologico
9
. La ritroviamo già nei suoi primi testi, fra cui God and other minds
(1967), The nature of necessity (1974), God, freedom and evil (1974). Noteremo
inoltre come sarà proprio l‟utilizzo di alcuni buoni argomenti ad aiutare Plantinga
nella critica alla metafisica naturalista.
Vediamo, quindi, come già all‟interno delle sue prime produzioni, sia ben
presente tutta la gamma degli interessi teoretici di Plantinga, e come l‟indagine
7
A. Babolin, Alvin Plantinga: la metafisica e la teologia naturale, “Rivista di filosofia neoscolastica”,
vol. XCVI, 2004, pp. 427-428.
8
M. Micheletti, Filosofia analitica della religione. Un‟introduzione storica, Morcelliana, Brescia
2002, p. 14.
9
Cfr. ivi, p. 95.
6
epistemologica costituisca il filo rosso di tutto il suo pensiero filosofico – anche
James Sennett, nella sua valutazione della filosofia plantinghiana, fornisce la stessa
considerazione
10
.
Ma le conclusioni a cui perviene in God and other minds, portano il nostro autore
ad avanzare proposte completamente diverse. Non si tratta ovviamente di un
cambiamento di rotta: Plantinga stesso sostiene la continuità del proprio pensiero. Si
tratta semmai di un modo diverso di affrontare la questione filosofica in ambito
religioso, si tratta di capire perché, da sempre, si senta la necessità di dimostrare la
verità del teismo e, in questo modo, di dimostrare che in realtà si è perfettamente
giustificati nell‟accettare una tale credenza anche senza l‟ausilio di argomenti che si
basino sull‟evidenza. Ecco allora il fiorire di una serie di testi che definirei
„preparatori‟, nel senso che in essi troviamo una sottile ed esaustiva analisi dei
concetti di „giustificazione‟ e „razionalità‟ atta a definire quando e perché
consideriamo razionali determinate credenze mentre altre no: tutto questo permetterà
una rielaborazione, da parte del nostro filosofo, del tradizionale concetto di
conoscenza – come credenza vera giustificata – e porrà le basi per dimostrare che la
credenza teistica è una „basic belief‟ e come tale non ha bisogno di evidenza per
essere considerata razionale. I testi chiave per comprendere questa svolta innovativa
sono – per citarne alcuni – gli articoli God and rationality (1974) e Is belief in God
properly basic? (1981), il saggio Reason and belief in God (1983), gli articoli
Epistemic justification (1986), Positive epistemic status and proper function (1988) e
Justification in the 20th century (1990), fino alla trilogia plantinghiana che è
diventata oramai un classico della filosofia della religione: Warrant: the current
debate (1993), Warrant and proper function (1993) e Warranted christian belief
(2000). Al loro interno, il lettore comincia a familiarizzare con termini
importantissimi nella filosofia plantinghiana, quali basic belief, proper function,
design plan, warrant, grazie ai quali il nostro filosofo formulerà una nuova
definizione di garanzia – garanzia è quella qualità che permette di distinguere la
conoscenza dalla mera credenza vera – e una nuova teoria in grado di stabilire quali
credenze si possano considerare garantite e quali no. Secondo questa teoria, affinché
una credenza sia garantita, è necessario che essa sia prodotta da facoltà cognitive
10
J. Sennett, Modality, Probability, and Rationality: A Critical Examination of Alvin Plantinga‟s
Philosophy, Peter Lang , New York 1992.
7
funzionanti in modo appropriato, in un ambiente appropriato, e sotto la guida di un
progetto che sia orientato con successo alla produzione di credenze vere.
È utile specificare fin da subito che la „teoria della funzione appropriata‟ – come
la chiama Plantinga – non è stata certo immune da critiche e obiezioni. Il teista
contemporaneo Richard Swinburne
11
, ad esempio, ritiene che il concetto di proper
function, perno di tutta la teoria, non è stato adeguatamente specificato da Plantinga,
in quanto, a suo parere, mentre è facilmente definibile il funzionamento appropriato
dei meccanismi di un artefatto, non si può dire lo stesso delle funzionalità di un
organismo. In realtà Plantinga, come vedremo, mutua il concetto di proper function
da John Pollock
12
, il quale ha parlato proprio di una certa analogia fra il
funzionamento dei meccanismi delle macchine e quello delle facoltà e degli organi
del corpo umano. Nicla Vassallo
13
, invece, ritiene che “per quanto il funzionalismo
appropriato paia una teoria solida, è suscettibile di controesempi che mettono in
discussione la necessità della sua condizione principe [cioè che la credenza sia
prodotta da facoltà cognitive che lavorino in modo appropriato]”. Anche qui
noteremo che in realtà Plantinga non appare minimamente scalfito dai controesempi
che vengono proposti a sfavore della sua teoria, ed anzi sembra non prenderli
nemmeno in considerazioni in quanto ritenuti non validi. Sempre la Vassallo – ma
non è l‟unica – ha anche sostenuto che “il funzionalismo proprio si riduce
all‟affidabilismo”
14
in quanto, una volta criticato il concetto di proper function come
non necessario, e ritenuto il design plan una condizione “banale”, ciò che resterebbe
della teoria plantinghiana sarebbe l‟esistenza di un‟alta probabilità statistica che una
credenza, prodotta seguendo le condizioni di tale teoria, risulti vera.
Quelli appena presentati sono solo alcune testimonianze di come la teoria della
funzione appropriata di Plantinga abbia suscitato notevole interesse nell‟intero
ambito filosofico. Il tutto è reso ancora più evidente se consideriamo gli sviluppi
successivi della teoria. Come ho pocanzi accennato, infatti, tale teoria e i testi nei
quali viene sviluppata, sono „preparatori‟, nel senso che fanno da struttura alla
costruzione di un modello epistemologico atto a spiegare come e perché la credenza
11
R. Swinburne, Review: Response to Warrant, “Philosophy and Phenomenological Research”, 55, 2,
1995, pp. 415-419, http://www.jstor.org/stable/2108560.
12
J. Pollock, How to Build a Person: The Physical Basis for Mentality, “Philosophical Perspectives”,
1 ( Metaphysics), 1988, pp. 109-154, http://www.jstor.org/stable/2214144.
13
N. Vassallo, Teoria della conoscenza, GLF editori Laterza, Roma 2003, p. 71.
14
Ivi, p. 73.
8
teistica sia da considerarsi garantita. Il modello, come vedremo, verrà chiamato da
Plantinga „modello Aquinas/Calvin‟ perché si fonda su un concetto che accomuna il
pensiero di Tommaso d‟Aquino e Calvino: l‟idea che ognuno di noi abbia già dentro
di sé il sensus divinitatis, sia cioè in grado di „percepire‟ in modo immediato, e
quindi basilare, l‟esistenza di Dio. Al „modello A/C‟, all‟estensione di questo che
permetterà di garantire non solo il teismo ma, più specificatamente, il Cristianesimo,
e alle obiezioni sollevate a riguardo, Plantinga dedica l‟intero ultimo volume della
sua trilogia Warrant christian belief. Un lettore che si accosti solo a quest‟ultimo
testo, troverà un sunto di tutto il percorso filosofico compiuto dall‟autore, dalla
critica all‟evidenzialismo tipico del fondazionalismo moderno di Locke e Cartesio
alle tesi di fondo dell‟epistemologia riformata, dal concetto di giustificazione a
quello di garanzia, dalla difesa del teismo e della fede cristiana alle critiche che tale
difesa ha attirato verso di sé. Il tutto scritto con un linguaggio più che accessibile,
indirizzato a qualsiasi tipo di pubblico. Questo chiaramente non sminuisce il valore
del testo e dei suoi contenuti, con i quali, chiunque ai nostri giorni voglia addentrarsi
nella filosofia della religione, non può fare a meno di confrontarsi. In particolare, un
tema che desta continuamente nuovi spunti di riflessione, è quello sul naturalismo.
Plantinga ne aveva già parlato nel suo articolo An evolutionary argument against
naturalism (1991) e nel saggio Naturalism defeated (mai pubblicato ma rintracciabile
on-line nella pagina personale di Plantinga), ma il tema viene poi riproposto con
nuovi argomenti sia in Warrant: the current debate e Warrant christian belief, ma
anche in alcuni suoi testi successivi quali l‟articolo Evolution, Epiphenomenalism,
Reductionism (2004) e il suo ultimo libro Knowledge of God (2008). La tesi finale in
cui confluiranno questi testi è che la congiunzione fra naturalismo ed evoluzionismo
si auto-smentisce e che il naturalismo in epistemologia si esprime meglio nel
contesto di una visione teistica dell‟essere umano. Si tratta chiaramente di una tesi
molto forte che ha aperto le porte ad un ampio confronto non solo a livello
epistemologico, ma anche antropologico. Come rileva bene Giacomo Di Gaetano,
“La sensazione che si ha dopo aver seguito il filo di questo dibattito è che il nostro
autore, dopo essere partito da una radicale interpretazione epistemologica si sia
mosso in maniera, certamente implicita, verso una altrettanto radicale interrogazione
antropologica. Quest‟ultima, sollecitata dalla prima, dovrebbe far posto ad un
9
impegno del pensiero ontologicamente e metafisicamente responsabile”
15
.
Da notare, tra le altre cose, che gli argomenti proposti contro il naturalismo
metafisico, equivalgono per il nostro filosofo ad una versione della “quinta via” di
Tommaso d‟Aquino: questo, e il fatto che Plantinga rivaluti con decisione la figura di
S. Tommaso, tanto da recuperare il suo pensiero relativamente alla percezione che
abbiamo di Dio e renderlo basilare per la creazione del „modello A/C‟, hanno fatto si
che Plantinga venga annoverato all‟interno di quella tendenza filosofica denominata
„tomismo analitico‟
16
, a cui recentemente, ma con sempre maggior frequenza, molti
filosofi si stanno interessando.
In questo mio lavoro, presenterò e cercherò di approfondire i temi a cui ho appena
accennato, seguendo lo sviluppo del pensiero plantinghiano dal suo inizio ad oggi.
Essendo tale pensiero continuo e senza particolari fasi distinguibili al suo interno,
non è stato possibile selezionare alcuni scritti dell‟autore da analizzare. Mi sembra
scontato dire che sono stati qui presi in considerazione non solo tutte le monografie
di Plantinga, ma anche tutta una serie di articoli e saggi di rilevanza fondamentale ai
fini della trattazione. Non manca, inoltre, l‟evidente consultazione di testi
appartenenti alla bibliografia secondaria e il necessario richiamo di scritti di altri
autori ai quali fa riferimento Plantinga stesso in risposta a critiche e obiezioni
sollevate dagli stessi – molti dei cosiddetti review, redatti da altri pensatori in merito
al pensiero plantinghiano, sono già inclusi nei testi (monografie ma anche articoli)
del nostro autore in risposta agli stessi.
Non essendo stato ancora tradotto in Italia alcuno dei testi di Plantinga e dei
contemporanei stranieri con cui si è confrontato, mi sono interfacciata ad essi in
lingua originale, traducendo personalmente tutte le citazioni qui presenti.
Per quanto riguarda la struttura della dissertazione, ho deciso di dividere il
contenuto in due parti, che rispecchiano i due ambiti di maggior interesse per
Plantinga.
La prima parte riguarda l‟ambito epistemologico. Il primo capitolo è dedicato alla
delineazione dell‟epistemologia riformata e al suo inquadramento storico e
15
G.C. Di Gaetano, Alvin Plantinga. La razionalità della credenza teistica, Morcelliana, Brescia
2006, p. 271.
16
Per una corretta delineazione del „tomismo analitico‟ cfr. M. Micheletti, Tomismo analitico,
Morcelliana, Brescia 2007. Ma anche M. Micheletti, La teologia razionale nella filosofia analitica,
Carocci, Roma 2010.
10
filosofico: il tema principale, qui, è la forte critica alle tesi evidenzialistiche tipiche
del fondazionalismo classico che Plantinga fa risalire a Cartesio e Locke. Il secondo
capitolo, invece, è dedicato alla formazione della „teoria della funzione appropriata‟ e
alla completa definizione delle condizioni necessarie alla garanzia.
La seconda parte riguarda l‟ambito religioso. In essa, il capitolo terzo fa
riferimento alla trattazione plantinghiana della teologia naturale e della sua
antagonista, l‟ateologia naturale. È qui che troviamo sia la tanto apprezzata versione
modale dell‟argomento ontologico formulata da Plantinga, che la discussione sempre
attuale sul tema del male e del libero arbitrio. L‟ultimo capitolo, infine, è dedicato in
primo luogo all‟applicazione della „teoria della funzione appropriata‟ prima al teismo
(il cui risultato sarà la formulazione del „modello A/C‟) e poi, più specificatamente,
al Cristianesimo; in secondo luogo, alla più grande obiezione con cui, da Darwin in
poi, il teista si deve confrontare: il naturalismo di stampo evoluzionistico.
Molti degli argomenti discussi in questa dissertazione non sono stati di agevole
comprensione, sia per l‟impalpabilità effettiva dei contenuti, che per la trattazione
analitica e, a tratti, decisamente tecnica, che di essi ne fa Plantinga. Mi auguro
comunque di essere riuscita ad esprimere, in modo semplice, ordinato e piacevole,
l‟enorme importanza delle novità messe in campo dal pensiero plantinghiano e degli
sviluppi che da queste potranno seguire.
11
PARTE I
1. EPISTEMOLOGIA RIFORMATA
Al di là delle spiegazioni che di essa forniranno tutti coloro che si sono confrontati
con i vari temi, portati nuovamente alla ribalta alla fine del XX secolo proprio da
questa corrente filosofica, la prima delucidazione su ciò che dovremmo intendere per
“epistemologia riformata” viene definita nel volume Faith and rationality. Reason
and belief in God (1983). Si tratta di un insieme di saggi curato direttamente da
Alvin Plantinga e da Nicholas Wolterstorff con la collaborazione di altri filosofi (in
particolare William Alston e George Mavrodes), dove a pagina 7 dell‟introduzione,
infatti, si legge:
È caratteristica dei seguenti saggi il rifiutare anch‟essi la sfida evidenzialista.
Dove questi vanno ben al di là di Barth e altri, tuttavia, è nel mostrare
esattamente dove lo sfidante vede le cose in modo sbagliato – dove appunto
la sua prospettiva sulla razionalità è errata. Se mi sarà perdonata un po‟ di
retorica eccessivamente drammatica: in questi saggi la sfida evidenzialista
dell‟Illuminismo è contestata e superata. È affrontata e superata in modo tale
che le posizioni risultanti hanno una stretta affinità con le posizioni sulla
relazione tra fede e ragione a lungo sostenute dalla tradizione continentale
riformata (calvinista). Perciò un terzo tema che troviamo trasversalmente in
questi saggi è quello che può essere chiamato, effettivamente in modo poco
felice, “Epistemologia Calvinista” o “Epistemologia Riformata”
17
.
Da questo momento in poi Plantinga, Wolterstorff, Alston ed altri, verranno
associati all‟epistemologia riformata, anche se leggère sfumature di interessi tra loro
17
A. Plantinga – N. Wolterstorff (ed. by), Faith and Rationality. Reason and Belief in God, Notre
Dame University Press, Notre Dame 1983, p. 7.
12
li porteranno ad accostarsi ai temi proposti da angolature diverse
18
.
Di sicuro il termine “epistemologia”, nel lessico filosofico angloamericano
adottato da tutti loro, non va inteso come “filosofia della scienza” (consuetudine
questa del lessico italiano), ma va piuttosto associato al significato di “gnoseologia”,
di “teoria della conoscenza”. Lo scopo degli epistemologi riformati sarà allora quello
di rivedere il vecchio rapporto fra fede e ragione, tanto caro alla filosofia della
religione, utilizzando gli strumenti forniti dall‟epistemologia analitica (branca della
filosofia analitica notevolmente sviluppatasi in ambito americano negli ultimi
decenni e dalla quale provengono anche i nostri tre autori) o, detto in altro modo,
quello di “difendere la razionalità della credenza religiosa operando un ripensamento
complessivo della teoria della conoscenza sulla base di istanze postkhuniane e di
approdi di tipo affidabilista (per cui una credenza giustificata è quella che scaturisce
da processi orientati alla produzione di credenze vere)”
19
.
Sia detto fin da subito che Alvin Plantinga è considerato l‟esponente per
eccellenza dell‟epistemologia riformata e che quindi analizzare le tesi di questa
corrente filosofica significa grossomodo analizzare le idee di questo autore.
In questa sede perciò verrà presa in considerazione la teoria sviluppata da
Plantinga secondo cui la credenza in Dio è una credenza basilare, che non ha bisogno
di essere giustificata ma che anzi deve essere inserita alla radice della nostra struttura
noetica assieme a tutte le altre credenze di fondo che possediamo. Questa nuova
collocazione permetterà alla credenza teistica di essere considerata razionale. Ed è
proprio questo concetto, la razionalità della credenza teistica, appunto, ad essere il
fulcro dell‟epistemologia riformata.
1.1 Problema di Gettier
Per raggiungere il suddetto obiettivo, Plantinga parte dalla definizione standard di
“conoscenza”, ad oggi largamente condivisa e comunemente accettata dalla filosofia
18
Wolterstorff infatti, ad esempio, si dedicherà soprattutto all‟analisi storiografica (di cui si avvarrà lo
stesso Plantinga) che permetterà di ricostruire il contesto filosofico che ha portato alla nascita
dell‟epistemologia riformata; Alston invece si concentrerà sul nesso esistente tra l‟epistemologia
generale e l‟epistemologia regionale della religione. Cfr. G.C. Di Gaetano, Alvin Plantinga. La
razionalità della credenza teistica, op. cit., p 12.
19
M. Di Stasio, Nuove luci e vecchie ombre. Il dibattito filosofico attuale sul creazionismo, 2006, p. 1,
http://www.Rescogitans.it/main.php?articleid=99.