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INTRODUZIONE
Non è semplice delineare un quadro teorico di riferimento per lo studio
del ruolo che le organizzazioni o istituzioni internazionali e regionali hanno
rivestito nella gestione di dinamiche di sicurezza nel contesto europeo post-
guerra fredda, poichØ l’architettura istituzionale che ne è alla base viene da piø
parti considerata un fenomeno atipico nel panorama anarchico del sistema
internazionale
1
. Per analizzare questo fenomeno, visto come conseguenza dei
mutamenti strutturali apportati dalla fine della “guerra fredda” dominata dal
confronto tra le due superpotenze, sono stati elaborati diversi approcci teorici,
1
Il riferimento e’ all’approccio neo-realista nell’analisi dello studio delle relazioni
internazionali, per cui l’anarchia si configura come uno degli elementi strutturali del sistema.
Si veda WALTZ, 1987.
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nel tentativo di superare le aporie esplicative di teorie sviluppate in un
contesto internazionale di tipo bipolare, con caratteristiche proprie e distinte.
La fine della guerra fredda ha dato infatti spazio ad un rinnovato
interesse teorico per il fenomeno della cooperazione istituzionale e per
l’analisi degli elementi che possono facilitare la nascita di sistemi
istituzionalizzati stabili, in particolare nel contesto europeo post – guerra
fredda. Questa nuova ondata di elaborazione teorica ha guardato al fenomeno
europeo come un fenomeno “sui generis”, poichØ al suo interno convivono ed
interagiscono istituzioni di natura profondamente diversa che intervengono,
con strumenti di diversa natura, nella gestione di dinamiche di sicurezza, la cui
definizione stessa ha subito, con il crollo del muro di Berlino, profondi
mutamenti.
Questo lavoro nasce con l’obiettivo di analizzare criticamente le
determinanti e le principali implicazioni legate alla nascita e allo sviluppo di
un sistema di governance della sicurezza europea, insieme al ruolo che le
istituzion rivestono al suo interno. L’analisi procederà su tre diversi livelli.
Nella prima parte presenteremo le linee tematiche e le principali chiavi
interpretative che hanno caratterizzato il dibattito accademico sul ruolo che le
istituzioni/organizzazioni internazionali rivestono nella gestione di dinamiche
di sicurezza ovvero come agenti in grado di esercitare un’influenza, piø o
meno rilevante, sui fattori considerati costanti nelle relazioni internazionali (la
guerra, in primo luogo). Il dibattito teorico verrà dunque contestualizzato su
tre diversi livelli: il livello geografico, guardando principalmente alla cornice
europea; il livello tematico, o area-tematica, della sicurezza e, infine, il livello
temporale, ossia la fase post-guerra fredda. A tal proposito, introdurremo
l’analisi del concetto di “governance della sicurezza”, mettendo in evidenza le
principali interpretazioni relative alle sue caratteristiche e componenti
fondanti.
Questo ci permetterà di focalizzare l’analisi su una dimensione
maggiormente empirica presentando il dibattito relativo ai concetti di
“governance” e di “sicurezza” così come sono stati teorizzati e applicati in
relazione al continente europeo. Finalità ultima della trattazione teorica è
mettere in evidenza i cosiddetti “indicatori” alla base del sistema oggetto di
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analisi, evidenziandone elementi di inclusività ed elementi di frammentazione.
Questi elementi verranno successivamente specificati nelll’analisi dei processi
di adattamento e di trasformazione che ha caratterizzato l’evoluzione dei
principali attori istituzionali del sistema di governance della sicurezza, che
abbiamo identificato nelle tre maggiori istituzioni/organizzazioni presenti nel
contesto europeo: l’Unione Europea (UE), la NATO e l’Organizzazione per la
Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).
La seconda parte sarà dedicata all’analisi delle tappe piø rilevanti che
hanno caratterizzato i processo di trasformazione e di adattamento delle
istituzioni qui oggetto di analisi, relativamente alla sicurezza europea. Ci
soffermeremo in particolare sulla NATO e sull’UE, concentrandoci su tre
dimensioni del suddetto processo di adattamento/trasformazione: la
“dimensione concettuale o normativa”, intesa come analisi dell’evoluzione dei
principi guida e delle specifiche competenze che le istitituzioni hanno
sviluppato nella gestione di dinamiche di sicurezza; la “dimensione delle
strutture”, ossia il riflesso che questo processo di adattamento normativo ha
esercitato sullo sviluppo di nuove strutture istituzionali; infine, la “dimensione
delle capacità”, ossia lo sviluppo di meccanismi e strumenti nuovi necessari
alla gestione operativa delle priorità strategiche identificate in sede
istituzionale. Per quanto riguarda l’OSCE, ci soffermeremo invece su due
distinti elelementi specific del processo di adattamento/trasformazione: la
progressiva istituzionalizzazione che ha contraddistinto il passaggio da
“processo” nato sulla scia della distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica
durante gli anni Settanta ad organizzazione strutturata; dall’altro, il ruolo che
la cosiddetta “dimensione umana” della sicurezza riveste all’interno del
contesto OSCE, elemento che ci permette di mettere in luce il processo di
progressiva “settorializzazione” di dinamiche di sicurezza che ha caratterizzato
il contesto internazionale post-guerra fredda e di cui si tracceranno i
riferimenti nella trattazione teorica.
E’ importante tenere presente un assunto fondante: le istituzioni
oggetto di analisi in questa sede sono di natura profondamente diversa e non è
nostro compito analizzarle come soggetti omogenei nØ come attori unitari.
Piuttosto, si cercherà di presentarne le caratteristiche peculiari ed il ruolo
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complementare che rivestono all’interno del sistema di governance di
sicurezza europeo. La nostra analisi sarà dunque incentrata su quegli elementi
del suddetto processo di adattamento/trasformazione rilevanti in termini di
governance e non vuole essere una trattazione esaustiva delle complesse
dinamiche di trasformazione che hanno interessato le tre istituzioni a partire
dalla fine della guerra fredda.
Pertanto, guarderemo con particolare attenzione all’eventuale presenza
di elementi d’interazione, sia perchØ considerati i principali indicatori del
sistema di governance, sia perchØ ci permettono di analizzare il modo in cui la
necessità di definire meccanismi di cooperazione e di coordinamento inter-
istituzioanale precedentemente assenti è stata gestita in sede istituzionale.
Prenderemo come riferimento i meccanismi d’interazione tra NATO e UE nel
settore militare, che ha portato alla ratifica degli accordi Berlin Plus,
particolarmente rappresentativi dei meccanismi di cooperazione e di
competizione inter-istituzionale che caratterizzano il sistema di governance
della sicurezza qui analizzato. L’analisi degli accordi, basata in gran parte su
testimonianze dirette raccolte in sede istituzionale, costituirà una parte
importante del nostro lavoro, e ci permetterà di presentare come lo sviluppo
della Politica di Sicurezza e di Difesa Europea (PESD) abbia interagito sino ad
oggi con l’impianto NATO, creando meccanismi di governance e di
frammentazione precedentemente assenti.
Nella terza ed ultima parte, prenderemo come riferimento empirico il
ruolo che la NATO, l’UE e l’OSCE hanno rivestito durante la gestione del
conflitto (conflict-management) in Kossovo nel 1999 e nella successiva fase di
ricostruzione (post-conflict peace-building). Analizzando le caratteristiche
distintive dei vari interventi, cercheremo di verificare quali componenti del
sistema di governance della sicurezza delineato nella trattazione teorica siano
effettivamente riscontrabili. La scelta delle due diverse fasi non è casuale. Ci
permette infatti di contestualizzare storicamente il ruolo delle OI e di indagare
se sia effettivamente riscontrabile un mutamento (shift) nel peso relativo delle
diverse istituzioni. L’attività di gestione delle crisi, che è solamente una delle
dimensioni da cui il sistema di governance della sicurezza può essere
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analizzato, costituisce pertanto il riferimento specifico della nostra analisi
delle istituzioni.
PARTE I
GOVERNANCE, SICUREZZA ED ISTITUZIONI NEL
SISTEMA EUROPEO POST-1989: PROBLEMATICI
TENTATIVI DI DEFINIZIONE.
Premessa
L’Organizzazione dell’Atlantico del Nord (NATO), l’Unione Europea (UE),
l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE),
nonostante non costituiscano allo stesso modo delle istituzioni politico-militari
dotate di strumenti di natura coercitiva, possono essere a ragione considerati
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gli attori principali dell’assetto istituzionale di sicurezza che ha caratterizzato
il continente europeo a partire dagli anni Novanta (Cottey & Averre, 2002).
Come precedentemente affermato, la disomogeneità delle istituzioni oggetto di
analisi rende particolarmente complesso uno studio caratterizzato dalla
medesima lente teorica, alla luce delle caratteristiche del tutto peculiari e
distinte che dividono un’alleanza militare profondamente trasformata dalla
fine della guerra fredda (la NATO), un nuovo soggetto politico in continua
evoluzione (l’UE) e una realtà che, in prospettiva comparata, solo
recentemente ha assunto il carattere di organizzazione strutturata (l’OSCE)
(Aggestam & Hyde-Price, 2000).
In questa prima parte teorica cercheremo piuttosto di evidenziare i
principali nodi interpretativi che hanno caratterizzato il dibattito sul ruolo che
le istituzioni rivestono all’interno del sistema internazionale, guardando alle
tre correnti principali: l’approccio realista, l’approccio istituzionalista di
matrice liberale e l’approccio costruttivista, rappresentativi del dibattito
tradizionale sul ruolo delle OI (Mearsheimer, 1993: 4). In seguito,
illustreremo gli elementi teorici sviluppati dalle teorie sulla governance della
sicurezza, progressivamente costituitosi come nuovo framework teorico nello
studio dell’architettura di sicurezza europea. Questo excursus teorico ci
permetterà di definire elementi e caratteristiche distintive del sistema di
governance della sicurezza, che analizzeremo in maniera piø specifica
guardando al ruolo che i diversi attori istituzionali rivestono al suo interno.
IL DIBATTITO TEORICO “TRADIZIONALE” SUL RUOLO DELLE
ISTITUZIONI…
1.1.1 Il neo– realismo e le istituzioni.
Il dibattito teorico sulle istituzioni/organizzazioni internazionali e regionali nel
settore della sicurezza è stato dominato dall’analisi del ruolo che queste
avrebbero potuto esercitare sullo sviluppo di un sistema di relazioni inter-
statali pacifiche e sul legame (concettuale ed empirico) tra l’esistenza di
dinamiche cooperative tra gli stati, il ruolo giocato dalle istituzioni nel
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favorirne il loro sviluppo e, come conseguenza, l’indebolimento dei dilemmi
della sicurezza presenti tra gli stati. La pratica cooperativa alla base dei
processi d’istituzionalizzazione è stata interpretata come una costruzione
sociale, sviluppatasi sulla necessità di far fronte all’assenza di un’autorità
sovraordinata agli stati in grado di regolarne le reciproche interazioni (Claude,
1970).
A questo proposito, la lente teorica del concetto di “sicurezza
collettiva”, che concede un ruolo di primo piano alle istituzioni come mezzo
per una “corretta gestione del potere militare”
2
, ha posto l’accento proprio su
questo fenomeno tipico della sfera occidentale o “euro-atlantica”, nella quale
gli stati, inseriti in networks di relazioni comuni che indeboliscono
progressivamente il peso dei reciproci dilemmi della sicurezza, avrebbero
potuto organizzare sistemi di sicurezza “collettivi” (e come tali
verosimilmente pacifici) attraverso istituzioni/organizzazioni a carattere
internazionale (Claude, 1970; Ruggie, 1992).
Tuttavia, questo principio di presunta “sicurezza collettiva”, secondo il
quale pratiche multilaterali racchiuse all’interno di istituzioni/organizzazioni a
carattere universale (si pensi, ad esempio, alla Società delle Nazioni o alle
Nazioni Unite) avrebbero potuto rappresentare gli interessi collettivi di una
comunità internazionale non meglio definita, è stato oggetto di critiche da piø
parti per la sottovalutazione del peso che gli interessi nazionali esercitano nel
perseguimento di politiche di sicurezza nonchØ le debolezze strutturali di
organizzazioni a carattere “universale” in un contesto, quale quello bipolare,
dominato dal confronto tra due superpotenze (Mearsheimer, 1994-1995).
Come dimostra chiaramente il dibattito tra neo-realisti e neo-liberali, le
istituzioni sono state analizzate alla luce del ruolo che queste avrebbero potuto
esercitare sui fattori considerati costanti nelle relazioni internazionali
(anarchia, tendenza al balancing, interesse per i guadagni relativi), ed è stato
oggetto di analisi contrapposte e di confronti accesi (Baldwin, 1993; Powell,
1995).
La teoria realista mette in evidenza come lo sviluppo di relazioni
cooperative tra stati sia reso particolarmente complesso da alcuni elementi
2
Cfr. CLAUDE, 1970.
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strutturali del sistema internazionale (anarchia, distribuzione del potere,
interesse per i guadagni relativi) che incidono negativamente sulle possiblità di
successo dei tentativi cooperativi. Secondo questa prospettiva gli stati
difficilmente riescono a sfuggire alle logiche competitive che sottendono le
reciproche interazioni, soprattutto in ambito di sicurezza, in virtø di due fattori
fondamentali: l’interesse prioritario per il mantenimento della propria
posizione all’interno del sistema e la costante incertezza sulle intenzioni altrui.
In tale prospettiva, lo stato, attore razionale che si muove su calcoli di
costi-benefici si configura come l’attore incontrastato sulla scena
internazionale. Questo assunto di base relega su un piano secondario il peso
che altri attori, tra cui le istituzioni internazionali, andranno ad esercitare sui
rapporti inter-statali. Allo stesso tempo, le stesse istituzioni si configurano
come specchio fedele della distribuzione internazionale del potere e del peso
relativo degli interessi degli stati membri (Waltz, 1979; 2000). Pertanto, la
possibilità che riescano a promuovere pace e stabilità nel contesto
internazionale post-guerra fredda si presenta estremamente debole
(Mearsheimer, 1993: 7).
1.1.2 L’istituzionalismo neo-liberale e le istituzioni.
Una delle prime repliche alla visione realista si sviluppa sull’onda della
necesità di confrontarsi con il dato empirico della presenza di dinamiche
cooperative piø o meno istituzionalizzate e costituisce la base delle delle teorie
sui regimi di matrice istituzionalista. Obiettivo di queste elaborazioni è
indagare i meccanismi attraverso i quali gli stati mettono in atto pratiche di
tipo cooperativo, ricorrendo ad accordi o istituzioni di natura formale, nonchØ
analizzare l’influenza che questi esercitano sulle prospettive stesse di successo
della cooperazione.
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Le teorie sui regimi
3
fanno notare come i principali ostali alla
cooperazione identificati dalle teorie di matrice realista, legati a dinamiche
tipiche del “dilemma del prigioniero”
4
, possano essere de facto superati grazie
alla progressiva istituzionalizzazione di tre elementi: la condivisione di
informazioni certe tra gli attori coinvolti, un framework legale comune che
impone obblighi e sanzioni in caso di violazione degli accordi ed, infine,
l’abbattimento dei costi legati alla negoziazione. I regimi, dunque, di cui le
istituzioni internazionali possono essere considerate un’estensione empirica,
vengono istituiti per favorire l’istituzionalizzazione di questi tre fattori, che
risultano determinanti nel successo della cooperazione tra stati (Keohane,
1982).
Allo stesso tempo, gli stessi incentivi che sono alla base della creazione
di un regime contribuiscono a gettar luce sulle prospettive di stabilità. Gli stati
considereranno conveniente e razionale, da un punto di vista di calcolo costi-
benefici, ridefinire i propri obiettivi all’interno di un regime esistente piuttosto
che crearne di nuovi, poichØ questo continua a garantire, nel tempo, le stesse
funzioni alla base della sua creazione (Hasenclever et al., 1997). Pertanto, una
volta istituito il framework istituzionale esistente viene mantenuto anche nel
caso in cui gli attori decidano di ridefinire i propri obiettivi, poichØ
contribuisce ad eliminare i costi di transazione legati alla creazione di una
nuova struttura istituzionale e offre un incentivo al mantenimento di pratiche
ed accordi già esistenti (Keohane, 1982). Secondo questa prospettiva,
nonostante il sistema internazionale subisca nel corso della storia mutamenti
strutturali, così come avvenuto con la fine della guerra fredda, i regimi
sopravvivono, poichØ gli stati membri considerano eccessivamente costoso
apportare mutamenti allo status quo e poichØ la progressiva
3
Secondo la definizione consensuale di Krasner, i regimi sono “insiemi di principi, norme,
regole e procedure decisionali, impliciti o espliciti, su cui convergono le aspettative degli
attori in una determinata area delle relazioni internazionali”. Cfr. KRASNER, 1983.
Successivamente, Keohane ha cercato di riformulare il concetto, per superare la difficoltà di
definizione della quattro componenti delineate da Krasner. In particolare Keohane ha
enfatizzato la componente istituzionale dei regimi, definendoli come “insiemi persistenti e
connessi di regole formali o informali che stabiliscono ruoli comportamentali e modellano
aspettative”. Cfr. KEOHANE, 1989.
4
I due principali ostacoli alla cooperazione individuati dalla teoria neo-realista sono: la
preoccupazione per i guadagni altrui e la paura di essere ingannati. Sono questi elementi che
determinano, infatti, nello schema del dilemma del prigioniero, l’esito sub-ottimale della
reciproca defezione.
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istituzionalizzazione dei regimi stessi ha progressivamente rafforzato gli
incentivi al loro mantenimento (Keohane & Axelrod, 1993)
5
.
Tuttavia, se è vero che i regimi e le istituzioni contribuiscono all’
istituzionalizzazione di pratiche cooperative, è opportuno ricordare che
l’insieme di procedure e norme presenti al loro interno crea delle strutture
d’informazione che, favorendo la distinzione tra comportamenti legittimi e
comportamenti illegittimi, contribuisce a differenziare tra appartenenti al
sistema (insiders) e non (outsiders). Gli insiders possono pertanto interpretare
e manipolare le informazioni rivolte agli outsiders favorendo, a seconda delle
circostanze, meccanismi di inclusione o di esclusione (Keohane, 1998: 8).
1.1.3 Il costruttivismo e le istituzioni.
Se la visione istituzionalista alla base delle teorie sui regimi condivide con il
realismo l’assunto della centralità dell’attore statale, che si muove sulla base di
un calcolo razionale di costi benefici, una visione alternativa del fenomeno
cooperativo e dei processi d’istituzionalizzazione viene sviluppata dalle teorie
costruttiviste, che pongono particolare enfasi sulla dimensione qualitativa
della struttura del sistema internazionale. Secondo questo approccio, le
relazioni inter-statali difficilmente potranno essere analizzate tramite una lente
che che guarda esclusivamente ad elementi di natura materiale, poichè sistemi
di credenze condivise, norme e legami di natura identitaria formano la
struttura stessa del sistema internazionali ed esercitano un’influenza sui
comportamenti statali dalla quale non si può prescindere (Wendt, 1992, 1994).
In quest’ottica, fenomeni di tipo cooperativo, sia su scala regionale sia
su scala internazionale, procedono dalla volontà degli attori, soggetti attivi che
possono mutare il contesto nel quale interagiscono, di limitare l’impatto di
dinamiche competitive con lo sviluppo di “comunità di sicurezza”
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piø o meno
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Come vedremo in seguito, alcuni autori hanno utilizzato un approccio teorico istituzionlista-
neoliberale per spiegare la sopravvivenza della NATO alla fine della guerra fredda e il suo
parallelo processo di allargamento. Cfr. McCALLA, 1996.
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Il concetto di security community viene per la prima volta formulato da K. Deutsch, che,
evidenzia come siano necessarie condizioni specifiche affinchØ queste possano svilupparsi. In
particolare, l’autore si riferisce a: la presenza di una compatibilità di valori che guidi il
comportamento politico degli stati, ad un modo di vita distinto che attiri i membri, lo sviluppo
di capacità amministrative e politiche, la possibilità di ripercussioni positive in ambito