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INTRODUZIONE
La crisi economica e finanziaria che ha colpito l’economia mondiale a
partire dalla seconda metà del 2007, a seguito del crollo del mercato borsistico e
finanziario americano, si è diffusa rapidamente a livello internazionale,
coinvolgendo banche, imprese e famiglie di tutto il mondo, compromettendo i
rapporti tra le istituzioni e l’economia reale. Tale fenomeno è stato di
straordinaria entità, rapidità e diffusione, causando numerose conseguenze che
ancora oggi creano diverse preoccupazioni riguardo alle possibilità di una
significativa ripresa. A differenza delle recessioni verificatesi negli anni
precedenti, si è riscontrata una pronta risposta delle politiche economiche con
interventi di singolare natura e ampiezza, in particolar modo, grazie al grado di
coordinamento internazionale velocemente raggiunto nelle fasi più acute della
crisi.
Questa analisi si concentra sulle cause scatenanti lo scoppio della crisi negli
Stati Uniti, sulle fasi della sua evoluzione e sugli effetti che si sono presentati in
Europa e di conseguenza in Italia. In particolare nel primo capitolo si analizza
come la recessione si è articolata in diversi periodi temporali, acutizzandosi a
seguito del fallimento della nota banca d’investimento americana Lehman
Brothers nel 2008, provocando un senso di sfiducia in tutte le economie
mondiali. Le cause principali delle difficoltà di importanti istituti finanziari
statunitensi sono state individuate nell’elevata concessione di prestiti rischiosi, i
cosiddetti mutui subprime e nell’eccessivo aumento del valore immobiliare noto
come bolla immobiliare.
La veloce trasmissione degli effetti della crisi al di fuori degli USA, in
particolare in Europa, può essere attribuita innanzitutto alle sostanziali perdite
delle banche che hanno investito nei mercati americani e all’elevato numero di
scambi commerciali tra i due continenti che ha raggiunto cifre senza precedenti.
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L’Italia è stato uno dei paesi che ha dovuto affrontare le maggiori difficoltà,
nonostante un mercato creditizio abbastanza solido abbia contenuto gli effetti
della crisi. Il periodo negativo è stato contraddistinto in tre differenti fasi di
evoluzione, nelle quali il Prodotto Interno Lordo italiano, insieme agli scambi
commerciali con l’estero e agli investimenti, ha subito forti contrazioni tra il
2008 e il 2009, cominciando a riprendersi lievemente nel corso dell’anno
successivo. Inoltre vengono analizzati i principali fattori che hanno determinato
la crisi dell’economia italiana, considerando come il quadro macroeconomico si
sarebbe evoluto in assenza dei condizionamenti provenienti dall’esterno del
nostro sistema economico. Tale analisi ha dimostrato che, anche nel caso in cui
l’Italia non fosse stata colpita dalla crisi internazionale, la crescita economica
avrebbe registrato ugualmente valori poco significativi.
Il lavoro analizza altresì gli elementi che hanno modificato la struttura delle
imprese italiane ed estere nei primi anni del Duemila, in particolare la
globalizzazione, l’integrazione europea e la rivoluzione tecnologica. Queste
condizioni, esaminate nel secondo capitolo, sono state di cruciale importanza per
la trasmissione della crisi, in quanto i sistemi economici sono inseriti in mercati
sempre più intrecciati tra loro a livello globale, spianando la strada a shock reali e
finanziari. Per quanto riguarda il sistema produttivo italiano si rileva come esso
sia stato contraddistinto da profonde debolezze strutturali già nel periodo pre-
crisi, determinando forti ritardi nelle innovazioni e segnando significative perdite
di competitività sui mercati esteri. Nonostante ciò, in alcuni settori l’Italia ha
mantenuto posizioni di rilievo nel confronto internazionale; mentre in altri non ha
saputo sfruttare al meglio le proprie potenzialità, subendo forti perdite di quote di
mercato, a causa di consistenti difficoltà strutturali. Analogamente agli altri Paesi
avanzati, l’economia italiana ha risentito delle difficoltà derivanti dalla flessione
della domanda mondiale, peggiorando notevolmente la situazione delle imprese.
Tra queste, alcune hanno reagito diminuendo i costi di produzione e gli
investimenti, altre hanno puntato alla commercializzazione in mercati più
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affidabili. Soltanto un basso numero di esse, principalmente le grandi imprese, ha
scommesso sulla delocalizzazione, spostando l’intero processo produttivo
soprattutto nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Tali scelte strategiche si sono
ripercosse negativamente sulle imprese più piccole, in quanto legate da rapporti
di fornitura con quelle di maggiori dimensioni, inoltre le prime hanno visto
ridursi notevolmente l’accesso ai finanziamenti da parte delle banche, anch’esse
in difficoltà. Tutto ciò è stato amplificato dalla struttura del sistema produttivo
italiano, caratterizzata da una percentuale considerevole di imprese di piccole e
medie dimensioni, spesso gestite a livello familiare, che contribuiscono con quasi
un terzo del totale alla produzione del Paese.
Nei primi mesi del 2009, il PIL italiano ha subito una netta contrazione,
imputabile alle difficoltà dell’intero sistema produttivo, principalmente nei settori
più colpiti dalla recessione, ossia quello delle costruzioni e quello manifatturiero,
specialmente per le imprese operanti nei mercati esteri. Nonostante il PIL abbia
registrato una lieve risalita nei primi mesi del 2011, la ripresa dell’economia
italiana sembra non essere soddisfacente se confrontata con quella delle maggiori
economie. Le possibili soluzioni per migliorare tali performance sono da
ricercare nelle opportunità che offrono nuovi mercati e nello sfruttamento delle
innovazioni.
Le banche, che occupano un ruolo centrale nel finanziamento
dell’economia italiana, hanno accusato gli effetti della crisi soprattutto per quanto
riguarda la contrazione della domanda di credito, sia da parte delle imprese che
dalle famiglie. Di conseguenza, come si vedrà nel capitolo finale, si sono
riscontrati indebolimenti dal lato dell’offerta attribuibili ad un aumento
prudenziale delle riserve bancarie a fronte di un incremento dei rischi nella
concessione di prestiti a imprese e famiglie, elevando così i tassi di interesse e
chiedendo maggiori garanzie. Il sistema bancario italiano è stato coinvolto solo
parzialmente dagli squilibri finanziari internazionali, in quanto legato ad un
modello creditizio più rigido rispetto ai Paesi avanzati. Ciononostante la
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centralità degli istituti non ha saputo rispondere alle difficoltà derivanti dalla
crisi, ad esempio con fonti di finanziamento alternative come si è verificato in
altri importanti Stati, compromettendo così l’offerta creditizia.
Per quanto riguarda il rapporto banca-impresa, che rappresenta uno dei
principali aspetti su cui il lavoro incentra l’attenzione, è stato possibile osservare
come esso risulti essere costruito fondamentalmente su di un’elevata asimmetria
informativa, la quale ha pregiudicato in modo rilevante gli effetti positivi che ne
sarebbero conseguiti in presenza di una relazione stabile e duratura. Numerose
critiche sono state sollevate da entrambe le parti, costringendo un elevato numero
di imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni, ad affidarsi ad una pluralità
di banche, rinunciando così ad ottenere offerte mirate alle singole esigenze.
Evitando, quindi, comportamenti opportunistici tra i due soggetti e puntando alla
stabilità di tale relazione, il lavoro cerca di rispondere all’interrogativo se tale
equilibrio possa rappresentare uno strumento in grado di migliorare la
competitività del sistema produttivo. Queste tematiche di interesse
internazionale, sono state discusse alla luce dell’Accordo Basilea II, che ha
cercato di stabilizzare il sistema bancario e di migliorare il rapporto banca-
impresa, cercando, inoltre, di incentivare un sentiero virtuoso di crescita
economica.
L’attenzione sarà in particolar modo incentrata sulle Piccole e Medie
Imprese, le quali hanno incontrato numerose difficoltà nello sviluppare relazioni
solide con gli istituti di credito, trattandosi, nella maggior parte dei casi, di
imprese a conduzione familiare, e quindi poco propense a introdurre nuovi
capitali dall’esterno. L’entrata in vigore di tali regolamentazioni ha creato diversi
dubbi circa gli effetti sulle PMI, ancora afflitte dal problema della
sottocapitalizzazione, con il rischio di compromettere la solidità del sistema
produttivo italiano.
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CAPITOLO 1
CAUSE ED EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA
1.1 La crisi economico-finanziaria globale
Nell’estate del 2007 i primi segnali di una crisi economico-finanziaria
globale si sono manifestati sotto forma di importanti cenni d’indebolimento del
sistema finanziario americano. In particolar modo il fallimento di alcune delle
più rilevanti banche ed istituti finanziari ha provocato un peggioramento delle
condizioni di offerta di credito.
La situazione precedente allo scoppio della crisi è stata caratterizzata da una
fase prolungata di tassi d’interesse reali insolitamente bassi, condizioni creditizie
favorevoli, scarsa volatilità dei mercati finanziari e aumenti diffusi dei prezzi
delle attività. A seguito di un inasprimento dei fattori appena descritti e sulla scia
delle ripetute svalutazioni degli attivi, i principali mercati finanziari hanno subito
gravi disfunzioni, compromettendo la solvibilità del sistema bancario mondiale.
Le Autorità hanno attuato a più riprese interventi di portata straordinaria ma,
nonostante l’efficacia delle misure ufficiali nell’arginare la crisi finanziaria, il
contesto di mercato è rimasto fragile.
Le turbolenze finanziarie si sono trasmesse rapidamente sull’economia
reale, in particolar modo sulla domanda e sulla produzione, causando un
sostanziale rallentamento dell’attività economica. Le principali conseguenze a
seguito della contrazione economica si sono tradotte in un aumento del tasso di
disoccupazione, che negli Stati Uniti ha superato la soglia del 10%, un record
negativo dalla seconda guerra mondiale a oggi. Altri effetti sfavorevoli si sono
riscontrati in una flessione del Prodotto Interno Lordo a livello mondiale; come
dimostra la crescita economica statunitense, una delle più potenti economie
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internazionali, che ha subito una notevole contrazione, di circa il 6% su base
annua, dovuta specialmente alla riduzione dei consumi, al tracollo del mercato
immobiliare e ad una diminuzione delle esportazioni. Come si vedrà in seguito,
gli scambi internazionali hanno contribuito notevolmente a trasmettere la crisi in
Europa e nelle principali economie mondiali.
1.1.1 Le fasi principali della crisi
La crisi ha finora attraversato cinque fasi abbastanza distinte e di intensità
variabile, a partire dalla turbolenza connessa ai mutui subprime tra giugno 2007 e
metà marzo 2008. Nella prima fase, durante la quale l’attenzione si è incentrata
soprattutto sulla liquidità delle fonti di finanziamento, le banche hanno
accumulato svariate perdite e svalutazioni.
Di conseguenza, nella seconda fase, compresa tra marzo e metà settembre
2008, i problemi di finanziamento hanno lasciato spazio a forti timori per una
scarsa disponibilità economica, con il rischio di veri e propri dissesti bancari.
Proprio il fallimento della banca di investimento statunitense Lehman
Brothers, nel settembre 2008, ha innescato la terza e più intensa fase della crisi,
caratterizzata da un crollo di fiducia a livello mondiale, arrestato soltanto grazie a
interventi pubblici di dimensioni e portata senza precedenti.
Nella quarta fase, da fine ottobre 2008 a metà marzo 2009, i mercati hanno
dovuto adeguarsi a prospettive sempre più oscure e incerte per la crescita
economica globale, derivanti da dubbi circa gli effetti degli interventi ufficiali sui
mercati e sull’economia. Infine, la quinta fase, iniziata a metà marzo 2009, è
stata contraddistinta da segnali di un cauto ritorno dell’ottimismo, pur in
presenza di notizie macroeconomiche e finanziarie ancora in gran parte negative.
Una vera e propria normalizzazione, ossia una rinascita economica
mondiale, tarda a realizzarsi completamente, nonostante s’intraveda qualche
segnale di miglioramento (Banca dei Regolamenti Internazionali, 2009).