4
INTRODUZIONE
“Sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni dell’attuale generazione
senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro”.
Così la commissione ONU per l’Ambiente e lo Sviluppo definì nel 1987 il concetto,
ormai noto, di Sviluppo Sostenibile. Da allora fiumi di parole sono state pronunciate sul
tema ma pochi sono stati i risultati effettivamente raggiunti per invertire quel processo
di degrado ambientale, e conseguentemente sociale, che l’uomo ha innescato.
Solo dagli anni settanta si è cominciato ad affrontare criticamente la questione dello
sviluppo che fino ad allora non aveva preso in considerazione il fattore ambiente, visto
solamente come un corollario alla crescita economica, una dimensione latente ed
esterna, che non costituiva certo un limite all’espansione del’economia industriale
1
ma
piuttosto un’opportunità di sviluppo. La consapevolezza che il sistema si sta incrinando
affiora solo quando si avvertono, profondi, i primi segni di cedimento: il petrolio
scarseggia e conseguentemente i prezzi aumentano, l’inquinamento inizia ad essere
palese e preoccupante.
La scoperta dei limiti naturali dello sviluppo viene affrontata per la prima volta a livello
internazionale alla Conferenza di Stoccolma, organizzata dalle Nazioni Unite nel 1972,
con l’obiettivo di risolvere i problemi connessi allo crescita dei paesi occidentali
industrialmente avanzati. Da allora si sono susseguite negli anni numerose iniziative, a
livello nazionale ed internazionale, sulle tematiche legate allo sviluppo sostenibile.
2
Tra i punti di forza delle politiche attuate a riguardo troviamo il risparmio energetico e
le fonti rinnovabili, sempre invocate nei documenti di politica energetica ma che
trovano con difficoltà uno spazio rilevante nei piani di investimento delle grandi
aziende nel campo dell’energia
3
. Diverse la criticità da analizzare. Di fatto tra le
difficoltà che incontra la diffusione dell’impiego di fonti energetiche rinnovabili, oltre
ai costi effettivamente elevati a causa della ristrettezza del mercato e delle tecnologie
1
Gisfredi, 2002.
2
Settembre 1987 protocollo di Montreal; giugno 1992, conferenza ONU sullo stato dell’ambiente a Rio
de Janeiro; maggio 1994, conferenza europea sulle città sostenibili ad Aalborg; dicembre 1997,
conferenza ONU sui cambiamenti climatici a Kyoto; agosto 2002, conferenza ONU sullo stato
dell’ambiente a Johannesburg.
3
ENEA, 2005.
5
ancora da perfezionare, c’è sicuramente la difficoltà di valutare correttamente le
esternalità connesse con la produzione di energia. Queste fanno apparire costose tali
opzioni tecnologiche se si guarda solamente ai costi privati e non si considerano i costi
sociali legati al miglioramento della qualità dell’ambiente. Un altro aspetto critico
riguarda gli alti costi di investimento richiesti che restituiscono risultati in termini di
ritorno del capitale soltanto in tempi piuttosto lunghi.
4
Si rende perciò necessario
l’intervento delle Autorità Pubbliche per sopperire a certe inefficienze. È così che a
partire dagli anni novanta, l’Unione Europea e gli Stati membri hanno riservato
un’attenzione particolare allo sviluppo delle tecnologie per lo sfruttamento delle fonti
rinnovabili di energia (FER). Questo interesse è testimoniato da numerosi documenti
ufficiali sulla politica energetica europea indirizzata alla sostenibilità di lungo periodo.
5
Gli obiettivi che attualmente l’Unione si prefigge di raggiungere, oltre quelli sottoscritti
al Protocollo di Kyoto (riduzione delle emissioni di GHG dell’8% dal 2008 al 2012
rispetto ai valori del 1990
6
) sono: portare dal 2010 il consumo di energia proveniente da
fonti rinnovabili al 12% ed i consumi di elettricità al 21%; raggiungere la quota di 5,75
punti percentuali di biocarburanti nel 2010; ottenere un risparmio del 9% dei consumi
energetici finali entro nove anni dal 2008; elaborare una politica energetica coerente
con la necessità di sicurezza nella fornitura, competitività e sostenibilità ambientale. Ed
ancora più ambiziosi sono gli obiettivi fissati a partire dal 2013 quando il primo periodo
di impegno del protocollo di Kyoto avrà termine: ridurre del 20% delle emissioni di
GHG dal 2020 rispetto al 1990, migliorare l’efficienza energetica del 20% dal 2020,
aumentare la quota di consumi di energia da fonti rinnovabili del 20% dal 2020,
aumentare i livelli di biocarburanti utilizzati nei trasporti del 10%.
I progressi fatti dai paesi dell’Unione a riguardo sono però modesti, come evidenziano
vari studi portati avanti dall’Eurostat e della Commissione. Gli indicatori sul consumo
di energia mostrano che l’Europa è lontana dal raggiungere gli obiettivi prefissati e che
è necessario intraprendere iniziative che siano effettivamente efficaci per il
raggiungimento dei target.
4
Ivi.
5
Tra cui: il Libro Bianco
5
sulla Politica Energetica del gennaio 1995, il Libro Bianco sullo Sviluppo
delle Fonti Rinnovabili del 1997, Libro Verde
5
sulla sicurezza dell’approvvigionamento del 2000, Libro
Verde sull’efficienza energetica del 2005; Libro verde sull’energia sostenibile e competitiva del 2006.
6
Le stime prevedono che l’Italia non raggiungerà i livelli di riduzione delle emissioni pattuite considerato
che dal 1990 le emissioni sono aumentate, invece che diminuite, di circa il 14%. Le misure intraprese in base
alle “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni di gas-serra” non sono
quindi risultate sufficienti a raggiungere gli obiettivi prefissati ed il paese incorrerà conseguentemente nelle
sanzioni previste dal Protocollo al pari di Danimarca e Spagna, anche essi inadempienti.
6
L’importanza di azioni incisive, per la riduzione dei consumi energetici, è enfatizzata
da numerosi studi. In particolare l’Action Plan for Energy Efficiency sottolinea come il
maggior potenziale di risparmio energetico derivi dal settore degli edifici commerciali e
residenziali, dove si stima di poter risparmiare rispettivamente il 27% ed il 30%. Da tali
considerazioni derivano le numerose direttive dell’Unione e la relativa normativa di
recepimento italiana finalizzata a ridurre gli sprechi di energia ed incentivare l’utilizzo
delle FER nei progetti di riqualificazione edilizia e nella costruzione di nuovi edifici.
Infatti, i consumi finali di energia, contrariamente a quanto si possa pensare, sono
assorbiti principalmente dai servizi e dalle abitazioni, seguite da trasporti ed industria.
Il contributo del settore abitativo e terziario nei consumi totali di energia in Italia
rappresenta circa il 30% e date le mediocri prestazioni degli edifici, il margine di
miglioramento si mostra elevato. Per questo motivo proprio sul risparmio in edilizia
pone l’accento la relazione del luglio 2007 sulle tematiche relative ai cambiamenti
climatici presentata dalla Commissione Parlamentare sull’Ambiente, il Territorio e i
Lavori Pubblici, che vede come punti di forza il risanamento edilizio, la coibentazione,
l’illuminazione a basso consumo, il solare termico e fotovoltaico, la micro
cogenerazione eolica; tutto ciò inserito in programmi di incentivazione che, la
Commissione, ritiene fondamentale implementare con politiche adeguate, con strumenti
come il “Conto Energia”, le detrazioni fiscali, la semplificazione burocratica.
Numerosi studi hanno dimostrato che gli edifici in Italia hanno percentuali di perdita di
energia tra le più alte d’Europa e ciò a causa delle caratteristiche strutturali degli edifici
stessi che sono stati progettati senza rispettare nessun criterio di efficienza dal punto di
vista energetico. Esistono numerose soluzioni che potrebbero far calare i fabbisogni
energetici negli usi civili, apportando inoltre un miglioramento nel confort e nella
qualità della vita.
7
Elemento non trascurabile sono i costi per le famiglie dovuti all’eccessivo dispendio
energetico delle abitazioni. Questi sono notevoli ed in continuo aumento, sia per quanto
riguarda il gas e il gasolio per riscaldamento che l’elettricità.
Per modificare le tendenze che riguardano i consumi è fondamentale che i nuovi
standard energetici vadano a guidare non soltanto la progettazione di nuovi edifici ma
soprattutto la riqualificazione di quelli esistenti. Il nuovo rappresenta una quota
marginale rispetto al patrimonio edilizio italiano e quindi non basterà a spostare i
numeri della domanda energetica per usi civili. È importante occuparsi di quel 60% di
7
Trevisi et al., 2007.
7
edifici costruito negli anno del boom economico, marginalizzando la qualità, con
materiali economici e nessuna attenzione al risparmio energetico.
8
Questo elaborato si ripropone, di analizzare l’attuale normativa in materia di efficienza
energetica in edilizia e passare in rassegna gli strumenti market based forniti dallo Stato
e dalla Regione Toscana per incentivare la riqualificazione energetica degli edifici
esistenti, individuando le barriere, non solo economiche, alla diffusione di pratiche
sostenibili per l’utilizzo dell’energia nel settore abitativo. Si passa poi ad analizzare la
convenienza degli interventi di riqualificazione energetica, con particolare attenzione
alla produzione di energia da fonte solare, ricorrendo al metodo dell’analisi costi-
benefici, del quale vengono esposti i principali aspetti teorici, in modo da valutare non
solo gli effetti in termini di rendimento finanziario del progetto ma includendo anche le
esternalità connesse all’efficiente utilizzo dell’energia in termini di emissioni nocive
evitate. Si intende così verificare l’effettiva convenienza, in termini economici ed
energetici, derivante dall’impiego, in edilizia, delle tecnologie a disposizione per il
risparmio energetico e la produzione di energia da FER ed in particolare la validità dei
meccanismi di incentivo economico messi a disposizione dei cittadini.
8
Osservatorio Nazionale Regolamenti Edilizi per il Risparmio Energetico, 2007.
8
9
1 Analisi della normativa per l’efficienza energetica
Nel capitolo che segue verranno passati in rassegna i principali strumenti a disposizione
del regolatore per realizzare politiche finalizzate alla tutela dell’ambiente, esponendone
vantaggi e svantaggi, per poi passare all’analisi della normativa emanata a livello
comunitario, nazionale e della Regione Toscana per quanto riguarda efficienza
energetica in edilizia. Nel capitolo successivo si andranno poi a descrivere nel dettaglio
le incentivazioni di natura economica che in parte la normativa stessa prevede.
1.1 Market based instruments vs command and control
Da quando, negli anni ’60, la questione ambientale è entrata nelle agende politiche
nazionali ed internazionali, sono proliferate prescrizioni teoriche e normative con le
quali gli studiosi si riproponevano di affrontare la questione ambientale ricorrendo
principalmente agli strumenti dell’economia o del diritto.
La comparsa dell’economia dell’ambiente avviene di pari passo con quella del “punto
di vista verde”, della progressiva maturazione di una coscienza ambientale nell'opinione
pubblica e la comprensione di come “il nostro sistema economico è basato su, e non
può funzionare senza, il supporto di sistemi ecologici costituiti da piante e animali e
loro interazioni”.
9
È così che alla fine del ventesimo secolo si è cominciato a
considerare la protezione dell’ambiente non più come un elemento di costrizione per lo
sviluppo economico; si percepisce, finalmente, una complementarità tra il
miglioramento della qualità ambientale e la crescita economica, sembrando inevitabile
tenere in considerazione gli effetti sull’ambiente dei processi socio-economici, per
garantire uno sviluppo possibile di futuro
10
.
Lo scopo dell’economia dell’ambiente si è espanso negli anni; piuttosto che limitarsi
alle tradizionali, ma indubbiamente necessarie, misure poste a rimedio
dell’inquinamento a valle dei processi produttivi e agli strumenti basati su un approccio
normativo, diretto a fissare standard ambientali, si è sviluppata un’attenzione
particolare agli effetti delle politiche economiche e sociali sull’ecosistema, in una
9
Turner et al., 1996.
10
Kletzan, Koppl, 2008.
10
prospettiva che tiene conto delle interdipendenze fra questi ambiti e che valorizza
l’utilizzo di incentivi basati sul mercato.
11
È su questi che si concentra l’attenzione degli economisti che sostengono la superiorità,
in termini di efficienza, dell’approccio “market based” rispetto a quello basato su
“comando e controllo” (CEC) che consiste nel porre limiti all’inquinamento fissando
parametri a norma di legge. L’adozione del sistema CEC implica che il legislatore
consumi risorse per acquisire informazioni che l’inquinatore già possiede, rispetto ai
costi della riduzione delle emissioni; inoltre la fissazione di uno standard costringe
inquinatori tra loro differenti, per capacità di riduzione delle emissioni, a raggiungere il
medesimo livello generando, così, costi non proporzionati alla capacità di ciascuno di
limitare l’inquinamento che produce.
12
La mancata osservanza della norma implica,
solitamente, il pagamento di una sanzione pecuniaria spesso esigua. Ciò costituisce uno
scarso incentivo per l’inquinatore a ridurre la sua attività, perciò la sanzione dovrebbe
essere correlata in qualche modo alla quantità e qualità dell’inquinamento. Il
trasgressore sa, inoltre, che sarà tenuto al pagamento della multa solamente se verrà
verificata la sua inadempienza ed entrano così in gioco considerazioni di tipo
probabilistico riguardo al rapporto tra beneficio derivante dall’attività inquinante e
rischio e costo della sanzione.
13
La richiesta, da parte della società, di controlli sempre più rigorosi fa si che i costi della
fissazione di norme legislative non potranno che crescere; da ciò emerge, ancora di più,
il favore degli economisti per gli strumenti di mercato al fine di garantire il vantaggio
dell’efficacia rispetto ai costi e diminuire la burocrazia.
14
E’ perciò fondamentale
utilizzare gli strumenti che il mercato mette a disposizione come mezzo per raggiungere
un’allocazione efficiente delle risorse tra sfruttamento e conservazione dell’ambiente,
rendendo il degrado ambientale un costo per chi lo produce, ossia internalizzando i
costi esterni legati all’inquinamento.
15
A questo proposito sono numerosi gli strumenti di incentivazione di natura economica
che si prospettano al regolatore:
-intervento diretto sui prezzi e sui costi: imposte sui prodotti o sui processi che li
generano, come le imposte sulle emissioni o le materie prime;
11
Ivi.
12
Turner et al. 1996.
13
Panella.
14
Turner et al. 1996.
15
Muso, 2003.
11
-intervento indiretto sui prezzi e sui costi mediante strumenti finanziari e fiscali: sussidi
diretti e incentivi creditizi o fiscali;
-creazione e sostegno di un mercato: modificando la legislazione o la
regolamentazione, ad esempio introducendo il commercio dei diritti di emissione.
16
Qualsiasi siano gli strumenti adottati, è fondamentale considerare alcune caratteristiche
che questi devono avere, per assicurare l’efficacia nel raggiungere l’obiettivo prefissato
Lo strumento prescelto dovrà garantire l’efficienza economica, dovrà poter essere
portato avanti con la disponibilità di poche informazioni e con bassi costi
amministrativi e rispondere ai principi dell’equità, dell’affidabilità, dell’adattabilità,
fornendo incentivi dinamici e continui al miglioramento.
17
Un ulteriore importante fattore è l’accettabilità politica. Solitamente le imprese
preferiscono l’adozione di strumenti normativi piuttosto che di natura economica,
poiché gli imprenditori hanno più possibilità di influire sul processo di formazione delle
norme, in modo da adattarle alle proprie esigenze. I regolatori stessi e l’opinione
pubblica sono maggiormente favorevoli alle norme amministrative, che garantiscono
maggior coinvolgimento e potere ai primi e risultano maggiormente comprensibili al
pubblico. Va però sottolineato che, grazie al gettito che le tasse ambientali
garantiscono, l’interesse delle pubbliche amministrazioni verso tali provvedimenti è
notevolmente aumentato.
18
L’approccio basato sul mercato crea le condizioni grazie alle quali le imprese
intraprendono processi innovativi di riduzione degli impatti ambientali; ciò perché si
mettono in relazione diretta inquinamento e profitti, rendendo la riduzione delle
emissioni uno stimolo al miglioramento.
19
Un ulteriore elemento a favore delle imposte ambientali e degli altri strumenti basati sul
mercato sta nell’incentivo che questi forniscono ad uguagliare i costi marginali di
riduzione dell’inquinamento fra le imprese, implicando così una diminuzione
dell’impatto sull’ambiente più efficiente, dal punto di vista dei costi complessivi,
rispetto all’approccio normativo basato sulla fissazione di standard.
20
Vantaggio non trascurabile delle imposte ambientali è che queste, se applicate
correttamente, possono non produrre effetti distorsivi, caratteristica di gran parte delle
16
Turner et al. 1996.
17
Ivi.
18
Panella, 2002.
19
Shi Ling Hsu, 2008.
20
Turner et al. 1996
12
imposte, che alterano i comportamenti economici con effetti sull’efficienza
nell’allocazione delle risorse, sulla distribuzione del reddito e della ricchezza, sulla
stabilità e sullo sviluppo del reddito nazionale
21
. Le imposte sull’inquinamento portano
un beneficio al sistema, correggendo una carenza del mercato, che spinge ad un
eccessivo consumo di beni ambientali. Proprio per questa loro caratteristica è nata
l’idea di riformare in senso ambientale i sistemi impositivi con lo scopo non tanto di
raccogliere gettito, quanto di modificare i comportamenti di produttori e consumatori
per migliorare le condizioni ambientali. Da tali provvedimenti possono inoltre sorgere
ulteriori effetti benefici per l’intero sistema economico. È ormai nota la teoria del
“doppio dividendo”, ossia la possibilità di ottenere due distinti effetti benefici
dall’introduzione di una riforma fiscale ambientale: un miglioramento della qualità
dell’ambiente da una parte ed un aumento dell’occupazione dall’altra, grazie alla
riduzione della tassazione distorsiva sul lavoro compensata dal gettito raccolto con le
imposte ambientali.
L’efficacia di un’imposta ambientale dipende principalmente dall’elasticità
22
delle
curve di domanda ed offerta in questione. Se la domanda è molto elastica, questo farà si
che, con un minimo aumento di prezzo, dovuto alla tassazione, i consumatori
ridurranno sensibilmente il consumo del bene dannoso per l’ambiente e quindi
l’imposta avrà efficacemente raggiunto il suo obiettivo.
23
Il fatto che la domanda sia più
o meno elastica dipende dai gusti e dalle preferenze degli acquirenti; se in un
determinato contesto sociale possedere un bene è sentito come un obbligo, la domanda
di quel bene avrà un’elasticità prossima allo zero, per cui, anche aumentando il prezzo,
la richiesta del bene non diminuirà sensibilmente. Un ulteriore determinante
dell’elasticità della domanda al prezzo di un bene è la possibilità per i consumatori di
sostituire questo con altri che svolgono la stessa funzione; se questa possibilità c’è la
domanda del bene calerà notevolmente all’aumentare del prezzo, poiché gli acquirenti
passeranno a consumare un bene sostituto più a buon mercato.
24
Queste considerazioni sull’elasticità danno la misura dell’importanza dei fattori
psicologici, sociali e culturali, riguardo alle scelte di consumo ecocompatibili. Se i
consumatori vengono educati al fine di modificare i loro gusti a favore di prodotti meno
21
Leccisotti, 1996.
22
Si misura attraverso un coefficiente numerico calcolato come rapporto tra la variazione percentuale della
quantità domandata o offerta e la corrispondente variazione percentuale del prezzo che l’ha provocata.
(∆Q/Q)/(∆P/P).
23
Leccisotti, 1996.
24
Begg et al., 2003.
13
inquinanti, “le forze di mercato porteranno a un cambiamento della quantità di
inquinamento contenuta nei prodotti e nei servizi finali”
25
. È perciò fondamentale
orientare le scelte dei consumatori in tal senso, facendo percepire i cosiddetti “acquisti
verdi” come un dovere sociale. È anche vero però che il consumismo ecologico può
fare poco per modificare i processi produttivi, non essendo, in genere, il consumatore
ben informato sulla natura esatta di tali processi e solo parzialmente in grado di
incidervi. E' più facile che il cambiamento dei processi si verifichi quando è l’industria
stessa a diventare cosciente sul piano ambientale o quando mutano i segnali di costo
percepiti, è quindi fondamentale l’impiego di strumenti market based che agiscano sul
lato dell’offerta.
26
Il percorso di sensibilizzazione dei cittadini è indubbiamente lungo e si rende
necessario nel breve periodo ricorrere a meccanismi di incentivazione più immediati,
quali possono essere le imposte e i sussidi ambientali. Questi ultimi, a loro volta,
possono essere riferiti alla produzione o al consumo. I primi consistono nell’erogare
incentivi a chi inquina producendo un determinato bene o servizio, affinché, grazie a
questi, trovi convincente ridurre la produzione. Il meccanismo è simile a quello della
fissazione di un’imposta, essendo comunque il fine quello di aumentare il costo di
produzione di chi svolge un’attività dannosa per l’ambiente. Il meccanismo di
incentivazione fa sì che rinunciare al sussidio producendo la quantità in corrispondenza
del punto di equilibrio in cui il costo marginale equivale al ricavo marginale, implichi
un costo superiore a quello che si ha producendo una quantità inferiore ma socialmente
efficiente. Un sussidio può anche consistere in sovvenzioni o esenzioni fiscali per
l’acquisto di beni e servizi che implicano esternalità ambientali positive; in tal modo
viene in pratica cambiato il costo relativo di tali beni o servizi rendendoli più
convenienti per i consumatori finali. Il problema principale dei sussidi è che questi,
rispetto alle imposte, determinano un profitto più elevato e quindi nel lungo periodo un
maggior numero di imprese potrebbe essere incentivato a produrre il bene o servizio in
questione aumentando l’inquinamento. Inoltre i sussidi devono essere finanziati
attingendo dai bilanci pubblici quindi ricorrendo all’imposizione fiscale.
27
La politica fiscale è un importante strumento a disposizione del regolatore. Questa può
perseguire, se ben utilizzata, molteplici finalità di tipo extrafiscale riguardo
all’efficienza energetica, allo sviluppo di fonti rinnovabili, alla tutela dell’ambiente.
25
Turner et al. 1996
26
Ivi.
27
Rosen, 2007.
14
Nello specifico, nel settore dell’energia, dovrebbe essere intensificato l’impiego di
misure fiscali volte a incoraggiare i comportamenti virtuosi di consumo energetico e
dissuadere quelli che implicano costi per l’ambiente. A tale proposito dovrebbe essere
l’Unione Europea a stabilire i livelli di tassazione per armonizzare le aliquote degli
Stati membri al fine di non creare problemi di distorsione della concorrenza.
1.2 La normativa comunitaria
Nonostante i numerosi argomenti a favore di un approccio basato sul mercato per la
risoluzione delle problematiche ambientali, resta indispensabile il ricorso alla
regolazione per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica.
Negli ultimi anni la necessità di garantire la certezza dell’approvvigionamento, favorire
il risparmio energetico ed implementare l’uso di energia proveniente da fonti
rinnovabili, ha portato all’emanazione di numerose norme relative a questo ambito. La
regolazione si sta comunque muovendo nella direzione dell’impiego di strumenti
economici per incentivare buone pratiche di sviluppo nel settore energetico ed in
particolare nell’edilizia: agevolazioni fiscali, sussidi al consumo, finanziamenti
agevolati. La competenza legislativa è affidata, in conformità al principio di
concorrenza
28
sia alle Istituzioni dell’Unione sia allo Stato che alle Regioni. Vi è quindi
una ripartizione delle competenze tra più livelli di governo: la Comunità Europea
interviene nel settore dell’energia in base al principio di sussidiarietà
29
quando gli
obiettivi previsti non possono essere realizzati efficacemente ed efficientemente dagli
Stati membri; questi si occupano di recepire e attuare i provvedimenti comunitari e di
definire le misure di politica energetica nazionale. Le Regioni e gli Enti locali si
occupano della pianificazione energetica e ambientale del loro territorio.
La Commissione, il Consiglio ed il Parlamento Europeo si sono adoperati negli anni per
elaborare le linee guida che gli Stati dovranno impegnarsi a seguire per incentivare
l’uso delle fonti energetiche rinnovabili (FER) ed il risparmio energetico. L’obiettivo è
armonizzare l’azione dei regolatori dell'energia ai diversi livelli di potere sulla base del
28
Nelle materie di legislazione concorrente le Regioni legiferano nell’ambito dei principi fondamentali
determinati dalla legislazione statale. Articolo 117 della Costituzione.
29
“Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della
sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere
sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti
dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”, Articolo 5 del Trattato CE.
15
massimo (e non del minimo) denominatore comune dell'UE
30
. Per promuovere
l’efficienza energetica l’Unione intende utilizzare un “Piano d’azione globale” in cui
saranno previste tutte le azioni possibili di efficienza energetica con particolare
attenzione alle misure economiche come sovvenzioni, incentivi, vantaggi fiscali per gli
utilizzi efficienti, accordi volontari con l’industria.
31
L’Unione ha incanalato negli anni gli stati membri verso un percorso virtuoso con
particolare attenzione al settore edilizio. Tra le norme di maggior rilievo a riguardo
troviamo:
Direttiva 2001/77/CE riguardante la promozione delle fonti energetiche
rinnovabili;
Direttiva 2002/91/CE concernente miglioramento del rendimento energetico in
edilizia;
Direttiva 2003/96/CE che modifica il quadro comunitario della tassazione dei
prodotti energetici;
Direttiva 2006/32 riguardante l’efficienza negli usi finali di energia in
particolare nel settore abitativo e terziario.
La Direttiva 2001/77/CE
32
considera la questione della produzione da fonti energetiche
rinnovabili “obiettivo altamente prioritario a livello della Comunità”. Quest'ultima
riconosce la necessità di promuovere le fonti energetiche rinnovabili, considerato il
contributo di queste alla protezione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile. L’impiego
delle FER può inoltre “creare occupazione locale, avere un impatto positivo sulla
coesione sociale, contribuire alla sicurezza degli approvvigionamenti e permettere di
conseguire più rapidamente gli obiettivi di Kyoto”. Vengono così tracciate le linee
guida nazionali
33
per cui si spingono gli Stati membri ad adottare “misure appropriate
atte a promuovere l'aumento del consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche
rinnovabili perseguendo gli obiettivi indicativi nazionali” e a tal fine sono previsti
regimi di sostegno
34
. Gli Stati membri devono far sì che “l'origine dell'elettricità
30
Comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo e al Parlamento Europeo “Una Politica
Energetica per l'Europa” {Sec(2007) 12}, Bruxelles, 10.1.2007.
31
Trevisi et al., 2007.
32
Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.
33
Art.3, Direttiva 2001/77/CE.
34
Art.4, Direttiva 2001/77/CE.
16
prodotta da fonti energetiche rinnovabili sia garantita”, specificando la fonte energetica
da cui è stata prodotta l'elettricità e le date e i luoghi di produzione.
35
Il Parlamento ed il Consiglio sono passati poi a legiferare specificamente sul
rendimento energetico in edilizia con la Direttiva 2002/91/CE, avvertendo “l'esigenza
di uno strumento giuridico complementare che sancisca interventi più concreti al fine di
realizzare il grande potenziale di risparmio energetico inattuato e di ridurre l'ampio
divario tra le risultanze dei diversi Stati membri in questo settore”. L'obiettivo della
Direttiva è quello di promuovere il miglioramento del rendimento energetico degli
edifici nella Comunità, tenendo conto delle condizioni locali e climatiche sia esterne
che interne agli edifici, nonché dell'efficacia che ne sarebbe derivata sotto il profilo dei
costi. Le disposizioni in essa contenute riguardano: “il quadro generale di una
metodologia per il calcolo del rendimento energetico degli edifici,
36
l'applicazione di
requisiti minimi in materia di rendimento energetico degli edifici di nuova costruzione,
e quelli esistenti di grande metratura sottoposti a importanti ristrutturazioni, la
certificazione energetica degli edifici, e l'ispezione periodica delle caldaie e dei sistemi
di condizionamento dell'aria, nonché una perizia del complesso degli impianti termici le
cui caldaie abbiano più di quindici anni”
37
. Inoltre si stabilisce che “gli Stati membri
adottino le misure necessarie per garantire che siano istituiti requisiti minimi di
rendimento energetico per gli edifici”
38
e che questi siano poi effettivamente
soddisfatti.
39
In particolare, per quanto riguarda gli edifici esistenti di metratura totale superiore a
1000 mq che subiscono ristrutturazioni importanti, gli Stati membri devono provvedere
affinché “il loro rendimento energetico sia migliorato al fine di soddisfare i requisiti
minimi per quanto tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile”.
40
Riguardo alla certificazione energetica “gli Stati membri provvedono a che, in fase di
costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l'attestato sia messo a
35
Art.5, Direttiva 2001/77/CE.
36
La quantità di energia effettivamente consumata o che si prevede possa essere necessaria per soddisfare i
vari bisogni connessi ad un uso standard dell'edificio, compresi, tra gli altri, il riscaldamento, il
riscaldamento dell'acqua, il raffreddamento, la ventilazione e l'illuminazione. Tale quantità viene espressa da
uno o più descrittori calcolati tenendo conto della coibentazione, delle caratteristiche tecniche e di
installazione, della progettazione e della posizione in relazione agli aspetti climatici, dell'esposizione al sole
e dell'influenza delle strutture adiacenti, dell'esistenza di sistemi di generazione propria di energia e degli
altri fattori, compreso il clima degli ambienti interni, che influenzano il fabbisogno energetico.
37
Art. 3, Direttiva 2002/91/CE.
38
Art. 4, Direttiva 2002/91/CE.
39
Art. 5, Direttiva 2002/91/CE.
40
Art. 6, Direttiva 2002/91/CE.