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Introduzione
Il presente lavoro nasce da un‟esperienza formativa svolta all‟estero in ambito universitario,
precisamente dal periodo trascorso a Malta con il progetto Erasmus. L‟intenzione iniziale era
quella di sfruttare appieno tale opportunità, anche una volta concluso il periodo di
permanenza all‟estero e fare in modo, quindi, che tale esperienza rientrasse a pieno titolo e in
modo sostanziale nel lavoro conclusivo del percorso universitario. La lunga permanenza a
Malta e la condivisione con gli studenti maltesi di momenti quotidiani della stessa vita
universitaria, ha reso possibile l‟osservazione della realtà linguistica locale in un contesto
naturale e in modo continuativo nel tempo. Perciò, data la formazione di base linguistica
fornita da questo corso di studi, si è reputato interessante coniugare i due aspetti e svolgere
una vera e propria indagine sociolinguistica sulla realtà maltese.
Il fenomeno linguistico più particolare ed evidente anche ai meno esperti è sicuramente l‟uso
delle due lingue ufficiali, l‟inglese e il maltese, anche all‟interno di una stessa frase da parte
dello stesso parlante, caso che si riscontra spesso a livello colloquiale (parlato informale). Si
tratta di un fenomeno molto diffuso nell‟isola, fenomeno che, come vedremo in seguito, cela
motivazioni di vario tipo: alcune storiche, altre legate al sistema educativo, altre ancora
prettamente sociologiche. L‟aspetto interessante sul quale si è deciso di soffermarsi è proprio
quest‟ultimo: capire se e in che modo alcune delle variabili sociali in gioco fossero connesse
al sovra descritto fenomeno del code-switching.
Dopo questa breve introduzione sulle motivazioni e sul punto focale del presente lavoro, è
importante spiegare in che modo si sono organizzate le argomentazioni a sostegno della
presente tesi. Innanzitutto si è ritenuto necessario introdurre l‟argomento del bilinguismo e del
code-switching, ai quali si è dedicato tutto il primo capitolo. Analizzando alcune tra le
definizioni più comunemente accettate nel campo della linguistica (si veda ad esempio
BERRUTO:1995), si è cercato di fornire una descrizione scientificamente corretta e il più
dettagliata possibile del concetto stesso di bilinguismo. Perciò, senza tralasciare i passati
pregiudizi legati all‟equazione tra confini linguistici e confini politici di uno stato, si è deciso
di porre l‟accento sulla incongruenza sostanziale che spesso esiste tra la situazione linguistica
istituzionalmente riconosciuta da uno stato e quella che in realtà si riscontra nella comunità
linguistica in esame (bilinguismo de jure e bilinguismo de facto). Sotto quest‟ultimo punto di
vista (ossia quello del bilinguismo de facto), oggi il bilinguismo (o meglio plurilinguismo) è
diventato la norma, complici alcuni tra i fenomeni chiave degli ultimi secoli, come
colonizzazioni, fenomeni di migrazione di massa, globalizzazione, nascita di organismi a
carattere internazionale e globale, nonché l‟avvento della tecnologia informatica. Posto questo
fondamentale preambolo, si sono analizzati il bilinguismo sociale e quello individuale,
ciascuno con le sue implicazioni, per concentrarsi, infine, su quello che è il fenomeno al
centro della presente indagine, ossia il code-switching. È sembrato fondamentale dedicare
ampio spazio alla sua definizione e all‟analisi delle sue varianti, basandosi sulle premesse
poste nei primi paragrafi, nonché facendo riferimento ai più quotati studi sull‟argomento, i
quali hanno permesso di delineare una definizione accettabile di „code-switching‟, nonché di
„code-mixing‟, entrambi concetti fondamentali per addentrarsi nell‟analisi dei dati che sono
stati oggetto dell‟indagine ivi proposta.
Il secondo capitolo è dedicato all‟introduzione della questione della lingua a Malta: a partire
dalla sua storia si è delineata la situazione linguistica attuale, e si è fornita una descrizione
della lingua maltese come depositaria di elementi ereditati dalle culture che si sono succedute
nella storia: dallo strato principale di origine semitica, al successivo processo di
latinizzazione, fino alla più recente influenza inglese, che ha però contribuito alla nascita di
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una maggiore consapevolezza dell‟unicità della lingua nazionale, culminata con la recente
standardizzazione di quella che in passato era esclusivamente la lingua „parlata‟ dal popolo.
Nel terzo capitolo si è cercato di descrivere in modo esaustivo la situazione linguistica
odierna, a partire da documenti ufficiali, quali il „National Minimum Curriculum‟, che
introduce l‟importante ruolo del sistema educativo maltese nella formazione di parlanti
bilingui, ma anche facendo riferimento alle più valide ricerche nel campo, come quella di
SCIRIHA e VASSALLO (2006), che ha contribuito a delineare un quadro sostanzialmente
affidabile dell‟effettivo grado di bilinguismo raggiunto dagli abitanti dell‟isola, nonché del
loro „atteggiamento‟ nei confronti di ciascuna delle due lingue: a partire da quale delle due
viene considerata la „lingua madre‟, fino a stabilire quale lingua viene preferita in determinati
contesti, e così via. Si è delineato, così, un quadro esaustivo di quale sia il comportamento
linguistico „medio‟ del parlante maltese.
Prima di esporre i risultati della ricerca, il quarto capitolo è stato dedicato alla presentazione
dettagliata delle motivazioni, delle scelte e delle modalità con le quali la ricerca stessa è stata
condotta. Innanzitutto si è voluto porre l‟accento sulla descrizione del campione, sulla sua
composizione e sul suo ruolo. Avendo deciso di indagare le variabili del sesso, della zona di
provenienza e del tipo di scuola frequentata prima dell‟università, si sono quindi descritte
tutte queste caratteristiche relative al campione: si tratta di un gruppo di 175 giovani studenti
delle facoltà umanistiche ai quali è stato sottoposto un questionario durante le ore di lezione
nella propria sede universitaria
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. Tale questionario, suddiviso in due parti, richiedeva prima
informazioni personali (come le variabili sovra descritte, nonché le preferenze linguistiche
relativamente a diversi contesti), poi chiedeva di esprimere un parere sul livello di
accettabilità di alcune frasi con esempi diversi di code-switching. L‟intervistato aveva a
disposizione cinque livelli, dal più favorevole al più contrario (la tipologia a risposta multipla
è sembrata la più idonea al fine di una più sicura catalogazione dei dati ottenuti). Si è passati
poi a descrivere la fonte da cui sono state tratte le frasi per il questionario: il forum online del
quotidiano maltese per eccellenza, „The times of Malta‟. Quindi si sono analizzate le
motivazioni ma soprattutto le implicazioni di una tale scelta. Infine si sono riportate le frasi
scelte per il questionario, ciascuna dettagliatamente analizzata. Ognuna di esse, ovviamente, è
stata scelta in base a precise necessità; in particolare, si è cercato di avere un campione
abbastanza vario rispetto alle diverse tipologie di code-switching, in modo tale da appurare se
il fenomeno fosse diversamente tollerato nelle sue diverse realizzazioni ed eventualmente su
quali basi giustificare tali diversità.
Il quinto capitolo si pone l‟obiettivo di introdurre i primi risultati scaturiti dalla catalogazione
dei dati acquisiti con i questionari. Grazie all‟ausilio di grafici e tabelle nelle quali si sono
riportate le percentuali delle risposte ottenute, si sono delineate le preferenze linguistiche del
campione scelto: quale sia considerata la lingua madre, quale la lingua preferita per leggere,
scrivere, parlare al telefono, con gli amici, con i genitori, con gli insegnanti. In tal modo si è
potuto constatare in maniera più dettagliata e diretta ciò che già si era discusso nel terzo
capitolo, ma in modo generico e facendo riferimento ad altre ricerche sull‟argomento. Lo
scopo era quello di avere una visione di base sul comportamento linguistico del campione in
modo da avere un opportuno strumento di ausilio per la valutazione successiva delle risposte
sull‟accettabilità delle frasi. Questi risultati sono stati introdotti nello stesso capitolo, in modo
però collettivo, cioè considerando il campione nel suo insieme. La tabella 4 suddivide le
risposte per ciascuna categoria: per ogni frase viene riportato il numero di risposte relativo a
ciascun grado di accettabilità. A questo paragrafo ne segue un altro che analizza le
motivazioni addotte alle risposte contrarie per ciascuna frase. Per ogni esempio, infatti, era
possibile esporre le proprie motivazioni laddove la risposta fosse stata „negativa‟, in modo da
individuare le possibili cause di avversione; laddove possibile, in sede di analisi tali
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Per questo si è precisato che il campione non è stato „scelto‟; infatti le ragazze sono in numero maggiore
rispetto ai ragazzi, e anche le rappresentanze delle diverse zone geografiche non sono equamente distribuite.
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motivazioni sono state suddivise in categorie in base alla propria natura (motivazioni legate al
contesto, alle presunte competenze dell‟emittente del messaggio, legate semplicemente all‟uso
del code-switching, allo status attribuibile alle due lingue, alla comprensione e alla chiarezza
del messaggio, o atro). Questo paragrafo si è rivelato importante per comprendere più a fondo
le risposte fornite dal campione, ma soprattutto per interpretarle da un punto di vista
sociolinguistico.
Il vero e proprio fulcro della presente ricerca è il capitolo successivo, nel quale i risultati
ottenuti sono stati analizzati secondo ciascuna delle variabili indagate: prima secondo il sesso
degli intervistati, poi secondo la scuola frequentata prima dell‟università (pubblica, privata o
religiosa), poi secondo la variabile della zona geografica di provenienza, frase per frase si
sono analizzate le risposte degli intervistati per indagare se vi fossero anche sensibili
variazioni nelle risposte del campione, a seconda che si trattasse di intervistati di sesso
femminile piuttosto che maschile, provenienti da una piuttosto che da un‟altra scuola, e così
via. Nonostante la limitatezza numerica del campione, la sua specificità
2
, e altri limiti insiti
nella natura stessa della presente ricerca, per cui non possiamo considerare i risultati come
verità indiscutibili relative a tutta la comunità linguistica maltese, si può comunque affermare
di aver evidenziato alcune caratteristiche che già erano emerse da alcuni studi precedenti. A
livello più generico, inoltre, si è potuto delineare un atteggiamento linguistico che identifica le
due lingue (inglese e maltese) ciascuna con determinati e riconosciuti valori sociali e culturali:
tale aspetto sarà più ampiamente esposto nel capitolo conclusivo.
Si coglie l‟occasione per porgere i più sentiti ringraziamenti al professor Sandro Caruana,
docente presso l‟università di Malta, per la sua preziosa collaborazione.
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Si tratta infatti di giovani universitari tra i 19 e i 22 anni per cui non si può di certo considerare un campione
rappresentativo su scala della popolazione maltese.
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1 Bi- e plurilinguismo. Sintesi del dibattito teorico e
definizioni operative.
1.1 A mo’ di premessa: verso il concetto di bilinguismo.
Quando si parla di bilinguismo, ancora oggi si pensa al fenomeno come a un caso
eccezionale, rispetto al quale la norma è rappresentata da un ipotetico parlante monolingue in
una comunità linguistica omogenea. Tuttavia, gli studiosi hanno dimostrato che è vero il
contrario, cioè in realtà il bilinguismo (anche nel senso esteso di plurilinguismo) è il
fenomeno linguistico più naturalmente diffuso. Più della metà della popolazione mondiale
potrebbe essere definita bilingue (o meglio plurilingue), sulla base del semplice confronto tra
il numero degli stati del mondo, che si aggira intorno ai 200, e il numero delle lingue esistenti,
che va da 2300 a 5300 (a seconda del fatto che si faccia o meno distinzione tra lingue e
dialetti) [BERRUTO 1995: 250]. Secondo altre fonti, invece, i numeri sarebbero ancora più
significativi. Prendendo in considerazione i dati riportati sul sito „Ethnologue‟, il totale delle
diverse lingue è pari a 6909
3
. Questo dato è molto importante se si tiene conto del fatto che
sono state prese in considerazione solo le lingue „vive‟, quindi praticate da almeno un parlante
per il quale quella lingua rappresenti la sua „prima lingua‟. Quindi, sono state escluse dal
conteggio quelle che rientrano nella tipologia delle seconde lingue e delle lingue morte. Lo
stesso sito conta 224 stati, ciascuno dei quali catalogato in base alle lingue presenti sul suo
territorio e al numero dei parlanti di ciascuna lingua. Non è questa la sede per un‟analisi
approfondita di tali dati, ma la semplice divisione del totale delle lingue per il numero dei
paesi catalogati è utile a supportare le tesi appena espressa. Seguendo un tale ragionamento,
infatti, ciascuno stato del mondo ospiterebbe sul suo territorio circa trenta lingue diverse.
Risulta chiaro perché è praticamente impossibile parlare di „monolinguismo‟ vero e proprio.
Ciò che sembra impedire di inquadrare chiaramente la situazione è il divario che spesso esiste
tra la realtà dei fatti e ciò che, invece, viene dichiarato istituzionalmente. Per questo è
importante fare subito una distinzione tra ciò che è legalmente riconosciuto e ciò che invece si
riscontra nella realtà. Molte delle nazioni (verrebbe piuttosto da dire „tutte‟) che si dichiarano
monolingui nella legislazione e/o nella documentazione istituzionale poi di fatto sono
bilingui, o addirittura plurilingui. In termini specifici si distingue tra bilinguismo de jure, cioè
quando il bilinguismo è istituzionalmente riconosciuto e bilinguismo de facto, quando non è
riconosciuto legalmente ma di fatto la comunità (o anche solo una parte di essa) è bilingue.
Questo divario tra normativa e realtà asseconda la resistenza a far crollare l‟ideologia di stato-
nazione.
In passato, infatti, presso ampi settori di „opinione pubblica‟, la lingua veniva identificata con
i confini di uno stato. Come sottolinea GIGLIOLI [1974], si dava per scontato che l‟esistenza di
una lingua distinta presupponesse anche l‟esistenza di una corrispondente nazione definita. Il
concetto era molto semplice: si pensava ad una corrispondenza diretta tra lingua e nazionalità,
per cui la lingua diventava parte fondamentale e distintiva dell‟identità della nazione.
Ammettere la coesistenza di più lingue all‟interno dei confini dello stesso stato avrebbe
quindi disturbato l‟identità e di conseguenza il sentimento di unità nazionale. Questa
convinzione è stata talmente radicata in passato da condizionare decisioni politiche che hanno
segnato la storia dell‟Europa (e non solo): il rapporto tra lingua, etnia e la formazione stessa
degli stati è talmente stretto che non possiamo considerare questi fattori se non come „parti di
3
Dati riportati sul sito http://www.ethnologue.com/ethno_docs/distribution.asp?by=area .
5
uno stesso fenomeno‟. Tanto per fare alcuni esempi tra i più eclatanti, il regime nazista è stato
uno dei primi che abbia apertamente espresso l‟obiettivo di unificare sotto un unico stato tutte
le popolazioni di lingua tedesca, ponendo quindi alla base della formazione dello stato stesso
il principio fondamentale della condivisione della stessa lingua (e di conseguenza della stessa
cultura). Dalla sua, Mussolini in qualche modo contribuì alla diffusione capillare dell‟italiano
standard anche tra quei cittadini che prima ne erano rimasti „esclusi‟, soprattutto grazie alla
propaganda e all‟uso insistente dei mezzi di comunicazione che, volenti o nolenti, tutti i
cittadini erano costretti ad ascoltare. La sua attenzione verso la lingua e la comunicazione era
strettamente connessa alla volontà di porre una particolare enfasi sulla nazione, la sua storia e
il suo potere. L‟italiano era il mezzo di espressione della forza rivoluzionaria del fascismo,
dell‟orgoglio, della patria. Perciò il regime arrivò ad instaurare una cesura sulla lingua, al fine
di controllarne la purezza, mettendo al bando prestiti e regionalismi e incentivando così l‟uso
dell‟italiano „puro‟. Ma tralasciando questi esempi, nati nel contesto di un „regime‟, anche il
trattato di Versailles è stato influenzato dal cosiddetto „principio di nazionalità‟ [BARBOUR
2002: 222], considerando l‟appartenenza linguistica come elemento distintivo della
„nazionalità‟; la divisione dei confini nazionali, infatti, venne stabilita cercando di farli
coincidere con i confini delle zone linguistiche.
Oggi una visione così rigida e dogmatica ha lasciato il posto a un atteggiamento più aperto nei
confronti delle realtà linguistiche più diverse, che vanno dalla compresenza di più varietà
linguistiche all‟interno dei confini nazionali, alla situazione opposta, cioè una stessa lingua
parlata in più di una nazione. Tanto per fare alcuni esempi concreti, si pensi a nazioni come la
Svizzera o il Belgio, dove il bilinguismo è istituzionalizzato. Ma, come si è già spiegato,
anche quando non si può parlare di bilinguismo de jure, non si escludono né tantomeno si
ignorano casi di plurilinguismo di varia natura ed entità. L‟Italia, per esempio, è uno stato
ufficialmente monolingue ma alcune regioni, come la Valle d‟Aosta, riconoscono situazioni
di bilinguismo attraverso uno „statuto speciale‟; in più, in tutto il territorio nazionale esistono
realtà diverse in cui la lingua ufficiale si divide tra varietà standard e varietà regionale, si
affianca ai cosiddetti dialetti e alle cosiddette „minoranze linguistiche‟ (albanesi, croati, greci,
ladini, occitani e così via) riconosciute e tutelate ormai persino dalla legislazione nazionale. Si
fa riferimento in particolare alla legge del 15 dicembre 1999, n. 482, «Norme in materia di
tutela delle minoranze linguistiche storiche», unico provvedimento-quadro in attuazione
all‟articolo sei della Costituzione
4
. Ovviamente ci si aspetta ancora molto dalla legislazione
nazionale, in quanto la legge 482 pone dei limiti „arbitrari‟ al concetto di „minoranza
linguistica‟, ammettendo a tutela solo le minoranze comprese nell‟elenco di cui all‟art. 2
5
[TOSO 2008: 42].
Il fenomeno contrario, l‟internazionalizzazione e la globalizzazione linguistica, è
rappresentato dal caso in cui una lingua è riconosciuta come ufficiale in più di una nazione:
l‟inglese, tanto per citare il caso più noto, è lingua ufficiale non solo in Gran Bretagna, ma
anche in altre nazioni, come Malta, l‟Australia, l‟India, e così via. CRYSTAL [2003: 62-65]
elenca ben 75 territori nei quali si contano parlanti di inglese e nei quali l‟inglese ha assunto
ormai una „rilevanza speciale‟. Secondo lo stesso Crystal, l‟inglese ha acquisito rapidamente
lo status di „lingua globale‟ per diverse ragioni, che siano storiche, economiche, politiche o
culturali. Egli erige la sua tesi su due punti fondamentali. Il primo è rappresentato dal fatto
che l‟inglese è lingua „ufficiale‟ in più stati, dove viene utilizzato anche come mezzo di
comunicazione ufficiale in diversi campi (governo, giustizia, media). L‟inglese oggi è lingua
ufficiale in più di 70 nazioni, ma si tratta di numeri in continua crescita, visto che il Ruanda
4
Il citato articolo recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche».
5
«In attuazione dell‟articolo sei della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi
europei internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane,
germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il frnaco-provenzale, il friulano, il ladino,
l‟occitano e il sardo».
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(per fare uno degli esempi tra i più recenti) ha dichiarato l‟inglese „lingua ufficiale‟ nel 1996.
Il secondo punto che illustra il „carattere globale‟ dell‟inglese è rappresentato dalla sua
crescente importanza in ambito scolastico in moltissimi paesi. Anche nel caso in cui non si sia
arrivati a dichiararla „lingua ufficiale‟, infatti, sempre più spesso si decide di assegnare una
certa priorità alla lingua inglese, soprattutto nel campo dell‟istruzione. Ebbene l‟inglese oggi è
la lingua straniera più insegnata al mondo; ben più di 100 nazioni, infatti, dedicano più risorse
all‟insegnamento di questa lingua rispetto ad altre. Ultima in ordine temporale è l‟Algeria, che
nel 1996 ha deciso addirittura di rimpiazzare il francese, lingua storicamente importante nel
paese perché insediata in epoca coloniale.
Le cause che stanno alla base di tali situazioni sono molteplici e tutte riconducibili a fenomeni
di „contatto‟ tra popoli: colonizzazioni politiche, movimenti migratori, la diffusione
dell‟istruzione, il progresso tecnologico, la comunicazione, sono tutti fenomeni che hanno
posto le basi e continuano a contribuire alla creazione di un nuovo mondo moderno
multilingue. Dalla colonizzazione ai vari flussi migratori (volontari o involontari), gli
spostamenti di massa dei popoli verso altri territori hanno da sempre portato con sé anche
spostamenti culturali e quindi linguistici. Risulta quasi scontato ricollegare il fenomeno del
„contatto linguistico‟ a quello della colonizzazione. In passato, infatti, con la conquista di
nuovi territori la potenza vincitrice incorporava una o più comunità linguistiche diverse
all‟interno della stessa unità politica. Ciò implicava la necessità di compiere scelte di „politica
linguistica‟ ben precise. In alcuni casi si lasciava che la popolazione sottomessa conservasse il
proprio idioma; ma nella maggior parte dei casi gli veniva imposto di imparare la lingua dei
vincitori, accanto alla lingua d‟origine; in altri casi ancora veniva imposto l‟uso esclusivo
della lingua dei conquistatori e l‟abbandono definitivo della lingua d‟origine, che veniva
spesso segretamente conservata dal popolo sottomesso. Allo stesso modo si consideri il
fenomeno dei movimenti migratori. Linguisticamente parlando, infatti, i movimenti migratori
si possono descrivere come il movimento di una comunità che parla una lingua X nel
territorio di una comunità che parla una lingua Y. Senza andare troppo lontano basterà citare
le migrazioni di massa che hanno coinvolto intere famiglie italiane verso gli Stati Uniti
d‟America, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, dove hanno ricreato vere e proprie comunità di
minoranza. Questo tipo di migrazione, cioè il movimento di gruppi massicci da paesi poveri
verso paesi „industrializzati‟, nasce principalmente da ragioni economiche. Il tipo di
bilinguismo che ne deriva è generalmente difficile da studiare perché a volte è socialmente
„sommerso‟. Gli immigrati si ritrovano, in alcuni casi, al centro di pressioni sociali più o
meno dirette, volte alla rapida assimilazione culturale e linguistica. Perciò, l‟atteggiamento
verso la propria lingua d‟origine è controverso: l‟istinto principale è quello di mantenerla
viva, ma allo stesso tempo cresce la consapevolezza che l‟integrazione (e quindi il
miglioramento delle proprie condizioni di vita) passa attraverso l‟assimilazione della lingua
del paese ospitante. Questo tipo di bilinguismo si espande caratteristicamente lungo tre
generazioni, a diversi livelli. La prima generazione di immigranti generalmente resta
monolingue (conserva la lingua d‟origine usandola all‟interno della comunità di immigrati); la
generazione „intermedia‟, economicamente attiva, diventa bilingue (a diversi gradi); l‟ultima
generazione, solitamente nata nella comunità ospitante, in alcuni casi diventa addirittura
monolingue nella lingua della nuova cultura. [MILROY, MUYSKEN, 1995: 141, 142].
A queste motivazioni „storiche‟ se ne aggiungono di più moderne. In particolare nel mondo
d‟oggi la fitta trama di relazioni a livello internazionale e globale aprono le barriere nazionali,
innescando un bisogno sempre crescente di uscire dai propri confini linguistici. Sempre più le
popolazioni che parlano lingue relativamente minoritarie tendono a imparare una seconda
lingua dai confini più ampi, come l‟inglese, lo spagnolo, il francese. Si tratta di lingue
economicamente e politicamente forti soprattutto l‟inglese, che come affermato poc‟anzi, è
ormai considerata la „lingua franca‟ per eccellenza, ossia un mezzo linguistico utilizzato ai
fini comunicativi da persone di diversa lingua madre (e per le quali l‟inglese è una seconda