1
INTRODUZIONE
Oggetto principale di questo lavoro sono le
popolazioni che, durante il periodo della dominazione
romana, non avevano un’organizzazione urbana e che
quindi vivevano presso insediamenti agricoli legati allo
sfruttamento dei latifondi o in villaggi legati ancora ad
un’arcaica struttura di tipo tribale ereditata dalle culture,
autoctone e non, che si erano sviluppate nell’isola prima
dell’arrivo di Roma.
Questo lavoro nasce principalmente dall’esigenza
di indagare alcuni aspetti della storia della Sardegna non
sufficientemente analizzati e approfonditi: nella sempre
più ricca bibliografia riguardante la Sardegna di epoca
romana non esiste alcuna monografia specifica che ha
dedicato particolare attenzione allo studio di queste
popolazioni. Basi indispensabili di partenza per questo
studio sono state le opere a carattere generale che hanno
dedicato spazio a questo argomento come la Storia della
Sardegna e della Corsica durante il dominio romano di
Ettore Pais (in due volumi, del l923), La Sardegna e i
Sardi nella civiltà del mondo antico di Camillo Bellieni
(in due volumi, del 1928 e del 1931) e La Sardegna
romana di Piero Meloni (del 1975 e, in seconda edizione,
del 1990): eccetto l’opera di Meloni, si tratta, come si
vede, di lavori datati e, appunto, di carattere generale, che
2
è stato necessario integrare con monografie più recenti che
trattano argomenti specifici o che indagano solo su zone
particolari dell’isola (come la Gallura, l’Ogliastra ecc…). I
più recenti lavori di A. Mastino, R. Zucca, M. Bonello Lai,
A. Boninu e P. Meloni hanno sicuramente dato un
notevole contributo all’avanzamento degli studi sulla
Sardegna romana inquadrando spesso le popolazioni non
urbanizzate nel contesto politico ed economico dell’isola.
Inoltre, per quanto riguarda la società nuragica, probabile
antenata di alcune popolazioni presenti in epoca romana,
di fondamentale importanza risultano le opere di G. Lilliu,
soprattutto La civiltà dei Sardi (del 1967), e di E. Contu (il
secondo volume de La Sardegna preistorica e nuragica
del 1997).
Le difficoltà che hanno accompagnato questo
studio sono state molteplici: studiare la Sardegna da
Torino ha causato alcune difficoltà nel reperimento della
bibliografia. Infatti, la bibliografia riguardante
l’argomento, eccetto le opere di carattere generale citate in
precedenza, si è dimostrata spesso frammentata in diversi
articoli sparsi per periodici, miscellanee, enciclopedie.
Sono stati necessari ripetuti soggiorni in Sardegna presso
la biblioteca Nazionale Universitaria di Cagliari e presso
la biblioteca della Soprintendenza per i Beni Archeologici
delle Province di Sassari e Nuoro per reperire opere non
presenti nei cataloghi delle biblioteche torinesi. Inoltre,
3
per alcune opere, è stato fatto ricorso al servizio di prestito
interbibliotecario sia della biblioteca del Dipartimento di
Storia sia della Biblioteca Nazionale Universitaria di
Torino. Nel corso di alcuni viaggi in Sardegna sono state
fatte visite a siti archeologici e a musei utili per avere una
comprensione migliore di molti reperti, epigrafi o resti
archeologici citati nei testi. Per una migliore comprensione
del lavoro, mi è sembrato utile corredare il testo con
cartine specifiche per localizzare geograficamente la
maggior parte delle località citate e i luoghi dei principali
ritrovamenti. Accanto alle cartine, alcune illustrazioni
agevolano la comprensione di epigrafi, reperti e siti
archeologici.
Il primo capitolo è stato dedicato ad un breve
compendio sulla conquista romana della Sardegna e sulla
sua amministrazione fino all’inizio dell’Impero. Durante i
primi secoli di occupazione le rivolte contro Roma si
susseguirono con una certa frequenza: i protagonisti di
queste rivolte erano le popolazioni indigene, discendenti
della civiltà nuragica abitanti le zone montuose e le
popolazioni delle coste, largamente punicizzate e, quindi,
a favore di una politica filo-cartaginese.
Il secondo capitolo è dedicato proprio ad
approfondire la situazione politica ed economica prima
dell’arrivo di Roma. Subito dopo la pre-colonizzazione
fenicia, in cui sono testimoniati numerosi scambi fra
4
Fenici, Sardi, Etruschi e Greci, i Fenici si insediarono
lungo le coste dell’isola fondando numerose città che, con
la conquista cartaginese, si ingrandiscono e si
arricchiscono. L’espansione cartaginese verso l’interno è
dimostrata delle guerre contro i Sardi, eredi della civiltà
nuragica. La civiltà nuragica arrivò ad un passo dallo
stadio urbano: la sconfitta contro gli eserciti cartaginesi
segnò, invece, l’abbandono delle zone pianeggianti e
collinari per la zona montuosa, di difficile accesso e perciò
meglio difendibile. Quando Roma arrivò nell’isola si trovò
di fronte a due zone nettamente in contrasto fra loro: lungo
le coste, gli insediamenti fenicio-punici con i rispettivi
territori sfruttati con la cerealicoltura intensiva erano
abitati da una popolazione mista di Punici, Libici e Sardi;
nel centro montuoso le popolazioni di cultura nuragica
continuarono, invece, la loro esistenza secondo gli usi
arcaici razziando le vicine, ricche, zone pianeggianti.
Nel terzo capitolo viene fatto un breve cenno
all’urbanizzazione dell’isola dopo la conquista romana in
relazione soprattutto ai territori delle città costiere, adibiti
allo sfruttamento cerealicolo e abitati da varie popolazioni
di origine africana e italica ed alle città, tipicamente
militari, fondate da Roma lungo il confine della Barbaria
(la zona montuosa abitata dalle popolazioni non
romanizzate) per difendere i territori pianeggianti.
5
Il successivo capitolo, il quarto, è dedicato alle
popolazioni che vivevano nei latifondi e che si
occupavano della loro gestione. Il territorio era
sicuramente suddiviso in pagi e vici in cui erano presenti
piccoli insediamenti abitati da popoli che si erano trasferiti
in Sardegna attratti dall’abbondanza di terre da coltivare.
Accanto a popoli pre-esistenti l’arrivo di Roma,
soprattutto di origine libica, sono segnalate popolazioni di
città italiche che, trasferite nell’isola, ottennero in
concessione lo sfruttamento di vasti latifondi. La
conoscenza di queste popolazioni è dovuta al ritrovamento
di cippi di confine in cui sono ricordati i nomi, nella
maggior parte dei casi di dubbia identificazione, di queste
popolazioni.
L’argomento del quinto capitolo è la Barbaria, la
zona del centro montuoso che, fino al I secolo d.C., non
era completamente romanizzata. L’amministrazione di
questa zona dell’isola richiese provvedimenti eccezionali
giacché abitata da civitates che non si erano mai
sottomesse a Roma. L’organizzazione di queste civitates
era di tipo cantonale, in quanto la sovranità non coincideva
con una città ed il suo territorio ma con il popolo ed il suo
cantone. Roma accerchiò il centro montuoso con una serie
di insediamenti militari soprattutto per il controllo delle
strade che attraversavano i territori abitati dalle
popolazioni più bellicose. Accanto all’aspetto militare
6
rimane l’interrogativo se Roma riuscì mai a sottomettere
queste popolazioni: lo studio degli odierni dialetti, vicini
come nessun’altra lingua romanza al latino, secondo
alcune ipotesi testimonierebbe l’avvenuta sottomissione
mentre, secondo altri, la sostituzione delle lingue indigene
avvenne solo con l’arrivo del Cristianesimo e quindi le
zone montuose si mantennero indipendenti.
L’ultimo capitolo, il quinto, si occupa di queste
popolazioni dell’interno. Dopo una breve introduzione
riguardante gli usi di queste popolazioni durante l’età
romana testimoniate dagli scrittori antichi e
dall’archeologia e le principali fonti per la loro conoscenza
e localizzazione, questi popoli sono stati analizzati in
ordine alfabetico grazie alle fonti scritte, ai cippi di
confine ed alle informazioni ricavabili dall’attuale
toponomastica dei territori interessati. La maggior parte di
questi popoli non sono localizzabili con certezza mentre,
per altri, una semplice menzione di un autore antico o su
un cippo permettono di ricostruire in parte il territorio
occupato. La scarsezza di informazioni non permette di
chiarire se Roma sottomise tutte le popolazioni
dell’interno, tuttavia la presenza di strade, ponti, terme,
botteghe di lapicidi anche in questi territori sicuramente
conferma l’inarrestabile avanzamento del processo di
romanizzazione lungo i secoli dell’impero. Accanto alle
tracce della romanizzazione permangono, soprattutto nelle
7
epigrafi, elementi legati alla tradizione indigena,
testimoni, forse, di un periodo di bilinguismo in cui Roma
non era ancora tanto forte da soppiantare le tenaci e
resistenti tradizioni arcaiche di questi popoli. Durante
l’epoca di San Gregorio Magno sono ricordati i
Barbaricini che, lungi dall’essersi convertiti al
Cristianesimo, adoravano ancora “legni e pietre”,
discendenti quindi di quei popoli che non accettarono mai
completamente la sottomissione.
Al termine del lavoro è presente un elenco degli
autori antichi e delle loro opere consultate durante questo
lavoro e un indice epigrafico in cui sono elencate tutte le
epigrafi citate nel testo.
Desidero ringraziare la prof. Silvia Giorcelli per
avermi consentito di realizzare questo lavoro, per la
sollecitudine con cui ha seguito ogni suo passo e per gli
utili consigli che mi ha dato lungo tutto il periodo
dedicatogli. Desidero inoltre ringraziare il prof. Raimondo
Zucca dell’Università degli Studi di Sassari che mi ha dato
gli spunti e le informazioni bibliografiche di base per
organizzare e cominciare questo lavoro. Un sentito
ringraziamento anche alla signora Mirella Cicala del
servizio di prestito interbibliotecario della biblioteca del
Dipartimento di Storia dell’Università di Torino.
Ringrazio inoltre tutti coloro che mi hanno aiutato
o che mi sono stati vicini in questo periodo, la mia
8
famiglia, gli amici. Infine un ringraziamento speciale a
Cinzia per tanti motivi troppo lunghi da elencare.
9
LA CONQUISTA ROMANA
Il primo trattato fra Roma e Cartagine, di cui solo Polibio
fa menzione, venne stipulato “ventotto anni prima del passaggio
di Serse in Grecia”, cioè nel 509 a.C.
1
. Secondo quanto riporta
lo storico greco, Roma e Cartagine si accordarono sulle
rispettive sfere d’influenza in ambito commerciale: oltre alle
limitazioni imposte da Cartagine riguardo il commercio oltre il
Pulchri Promontorium (capo Farina), i Romani avevano facoltà
di commercio sulle rimanenti coste dell’Africa e in Sardegna,
ma soltanto sotto il controllo delle autorità puniche
2
. Se la
veridicità di questo trattato è messa in dubbio da molti storici
moderni
3
, nel secondo trattato, di cui Polibio non riferisce la
data, ma che Livio pone nel 348 a.C. indicandolo come il primo,
viene addirittura vietato ai Romani di recarsi in Sardegna per
commerciare o fondare città
4
. Le clausole di questi trattati
sottolineano la preminenza che Cartagine aveva nel
Mediterraneo occidentale rispetto a Roma che ancora non aveva
esteso la sua influenza sul mare. Infatti, durante il IV secolo,
Cartagine era all’apogeo della sua potenza, dominava
incontrastata dalla Grande Sirte all’Atlantico: la Sardegna
rientrava pienamente nella sua sfera d’influenza, il territorio
1
POLYB., III, 22, 1.
2
POLYB., III, 22.
3
P. ROMANELLI, Storia delle province romane dell’Africa, Roma 1959, p.
4 n. 2 e p. 5.
44
POLYB., III, 24.
10
costiero sardo era fortemente punicizzato soprattutto nella parte
occidentale ma con avamposti anche nell’interno
5
. Secondo
Polibio, allo scoppio della prima guerra punica, Cartagine era in
possesso, oltre ai possedimenti in Africa, in Sicilia e in Spagna,
di “tutte le isole del mare Sardo e del mare Tirreno”. Con molta
probabilità l’espressione è esagerata, tuttavia sottolinea la
preoccupazione dei Romani per la guerra che iniziava e
sottolineava che comunque le ambizioni romane erano rivolte
soprattutto verso la Sicilia ma con l’intento di impadronirsi
anche della Corsica e della Sardegna
6
.
Durante la prima guerra punica la Sardegna fu teatro
secondario dello scontro fra le due potenze. Il primo accenno
sulla Sardegna avviene durante il terzo anno di guerra ( 262
a.C.) quando Cartagine portò nell’isola un esercito di mercenari
per tenere sotto pressione Roma
7
. Nel 259 a.C. il console
romano L. Cornelio Scipione attaccò la città di Aleria in Corsica
e tentò uno sbarco ad Olbia
8
. L’anno seguente il console C.
Sulpicio, al comando della flotta, “compì delle scorrerie in molti
territori della Sardegna” e affondò molte navi del generale
cartaginese Annibale che, “per lungo tempo ignorava l’accaduto
5
P. ROMANELLI, Storia delle province romane cit., pp. 1-10; P. Meloni, La
provincia romana di Sardegna, I. I secoli I-III, in ANRW, II, 11.1, Berlino-
New York, 1988, pp. 451-452; F. BONDI’, La dominazione cartaginese, in
AA.VV., Storia dei Sardi e della Sardegna (a cura di Massimo Guidetti), I,
Milano 1988, pp. 179-180.
6
POLYB., I, 24, 7; E. PAIS, Storia della Sardegna e della Corsica durante il
periodo romano (riedizione a cura di Attilio Mastino), I, Nuoro 1999, p. 126.
7
ZONAR., VIII, 10.
8
ZONAR., VIII, 11.
11
a causa della nebbia”
9
. Annibale, sconfitto nella battaglia di
Milazzo del 260 a.C., si rifugiò allora a Sulci ma, scoppiata una
sedizione contro di lui, fu fatto uccidere
10
. I Romani sbarcarono
in quella regione ma furono battuti da Annone
11
.
Successivamente la Sardegna non viene più menzionata
dalle fonti, le operazioni più importanti si svolsero per lo più in
Africa (con la disastrosa spedizione del console M. Attilio
Regolo nel 256 a.C.) e in Sicilia. Con la battaglia svoltasi nei
pressi delle isole Egadi nel 241 a.C. Roma costrinse Cartagine
alla resa. Le clausole del successivo trattato di pace, imposte dal
console vincitore alle Egadi, C. Lutazio Catulo, al comandante
delle forze cartaginesi in Sicilia, Amilcare, e poi ratificate dal
Senato di Roma, furono durissime: pagamento di 2200 talenti
euboici in vent’anni; la liberazione dei prigionieri di guerra
romani senza riscatto; l’abbandono di tutta la Sicilia
12
. Queste
clausole non menzionano la Sardegna che, infatti, rimase sotto
l’influenza cartaginese
13
. Tuttavia subito dopo la ratifica del
trattato di pace la situazione mutò: le forze mercenarie
cartaginesi fecero delle richieste al governo centrale tra cui il
9
ZONAR., VIII, 12.
10
Sull’uccisione di Annibale anche LIVI PERIOCH., XVII; OROS., Hist.,
IV, 8, 4; POLYB., I, 24, 5.
11
ZONAR., VIII, 12.
12
POLYB., I, 41; III, 27; APP., Sic. 2, 2; ZONAR., IV, 17.
13
Secondo alcuni la Sardegna sarebbe immediatamente passata a Roma:
OROS., Hist., IV, 11, 3; PS. AUR. VITT., XLI, 2; AMPEL., Liber
Memorialis, XLVI, 2.
12
pagamento del soldo arretrato
14
. Cartagine si trovò in crisi di
fronte a queste richieste, allora i mercenari, guidati dal campano
Spendio e dal libico Mathos, aprirono le ostilità e si
impossessarono di Utica e Ippona
15
. Anche in Sardegna i
mercenari si ribellarono e attaccarono le forze puniche
comandate dal generale Bostare e le forze inviate da Cartagine
in suo aiuto guidate da Annone: gran parte dell’esercitò
defezionò e dopo un breve assedio lo stesso Annone venne
sconfitto e messo a morte
16
. Dopo una prima fase favorevole ai
mercenari le sorti del conflitto mutarono: Spendio, sconfitto in
battaglia, fu messo a morte. In Sardegna i mercenari entrarono
in conflitto con i Sardi e da questi furono cacciati in Italia
17
.
Quindi i mercenari fecero una prima richiesta di aiuto a Roma
che rifiutò di intervenire, probabilmente perché le difficoltà
incontrate dai cartaginesi avrebbero staccato l’isola dalla sua
influenza senza alcun tipo di intervento
18
. Le sorti dei mercenari
furono definitivamente segnate dalla sconfitta di Mathos da
parte dell’esercito cartaginese guidato da Annone il Grande. Le
forze dei ribelli furono così ridotte all’impotenza e, dopo oltre
14
T. MOMMSEN, Storia di Roma antica, I, Firenze 1960, pp. 672-673; P.
MELONI, La Sardegna cit., p. 30.
15
NEP., Hamilcar, II, 1-4.
16
POLYB., I, 79.
17
POLYB., I, 79, 1.
18
POLYB., I, 82, 2; P. MELONI, La Sardegna cit., p. 33; P. MELONI, La
provincia romana cit., pp. 453-454.
13
tre lunghi anni, ebbe termine la rivolta in Africa
19
.
I mercenari in Sardegna, invece, probabilmente dopo la
sconfitta di Mathos, inviarono una nuova richiesta di aiuto a
Roma
20
. Il Senato si ritrovò così di fronte ad un’alternativa:
lasciar ripristinare il controllo dell’isola a Cartagine, la quale vi
avrebbe trovato una sempre importante riserva di uomini, di
vettovaglie, di minerali oppure intervenire con un atto di forza e
sottrarla al nemico. La situazione era propizia per intervenire e
iniziarono subito i preparativi per la spedizione in Sardegna
21
.
Durante il racconto di questi avvenimenti Polibio allude
ad una tradizione secondo cui il pretesto che portò all’intervento
romano fu la cattura e l’affondamento, da parte dei Cartaginesi,
di navi di mercanti italici che portavano vettovagliamento ai
mercenari ribelli
22
. Invece, il racconto dello storico greco, che si
rifà a Fabio Pittore e ad uno storico filo-cartaginese, Filino di
Agrigento, riporta la notizia che dopo le proteste dei Romani per
la cattura dei mercanti, Cartagine li liberò tutti, in numero di
cinquecento. Anzi, Roma, grata per il gesto cartaginese, liberò
19
POLYB., I, 88, 7; P. MELONI, La Sardegna cit., p. 33; A. MASTINO, Le
relazioni tra Africa e Sardegna in età romana: inventario preliminare, in
L’Africa romana, II, Atti del II convegno di studi, Sassari 1984, Sassari 1985,
pp. 31-32.
20
POLYB., I, 88, 8; G. DE SANCTIS, Storia dei Romani, III parte I, Firenze
1967, p. 272; P. MELONI, La Sardegna cit., p. 34.
21
P. MELONI, La Sardegna cit., pp. 34-35: A. MASTINO, Le relazioni cit.,
p. 32.
22
POLYB., I, 14 ; APP., Bell. Pun., VIII, 5; APP., Lib., LXXXVI, 25, 407;
APP., Iber., VI, 4; ZONAR., VIII, 18.
14
dei prigionieri Punici ancora nelle loro mani
23
. Tra la fine del
238 e l’inizio del 237 il console romano Tiberio Sempronio
Gracco, con un corpo di spedizione, passò in Sardegna “senza
combattere”
24
. La reazione cartaginese non si fece attendere:
subito inviò un’ambasceria a Roma riaffermando il suo possesso
dell’isola (nel trattato del 241 la Sardegna non viene
menzionata, quindi rientrava sempre nella sfera d’influenza
punica), successivamente iniziò i preparativi per una spedizione
punitiva contro i mercenari. A Roma il Senato fece votare ai
comizi una rogazione di guerra contro Cartagine perché, sempre
secondo la ricostruzione polibiana, il suo vero obbiettivo era
riaprire le ostilità contro Roma
25
.
Cartagine, spossata da anni di guerre, non aveva più le
risorse per un nuovo conflitto e così dovette accettare una nuova
dura imposizione: l’abbandono della Sardegna e una nuova
indennità di guerra
26
. L’intervento romano rappresenta quindi
uno dei primi esempi “di quell’imperialismo definito
difensivo , che avrebbe avuto, soprattutto nelle successive
campagne in Oriente del II secolo a.C., momenti ancora più
decisivi e caratterizzanti”
27
. Inoltre lo stesso Polibio censura
apertamente l’azione romana dichiarandola contraria a qualsiasi
23
POLYB., I, 83; P. MELONI, La Sardegna cit., pp. 34-35; E. PAIS, Storia
cit., I, pp. 141-142;
24
ZONAR., VIII, 18.
25
POLYB., I, 88, 8; P. MELONI, La Sardegna cit., p. 36.
26
POLYB., I, 88; III, 10. APP., Bell. Pun., VIII, 5.
27
MELONI, La Sardegna cit., p. 37.