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Presentazione
Il presente lavoro verterà su alcuni temi del sistema creditizio italiano. Nei dettagli ci si
soffermerà sull’analisi del credito bancario, in particolare l’obiettivo principale è quello
di realizzare un modello econometrico che studi la relazione sofferenze-impieghi delle
Banche di Credito Cooperativo e che dimostri una serie d’ipotesi di partenza. La tesi è
strutturata in quattro capitoli nei quali si affrontano temi diversi ma che si intersecano
fra loro per vari motivi. I quattro capitoli sono:
Il credito anomalo, le sofferenze bancarie;
La gestione del credito anomalo;
Le banche guardano al futuro, verso Basilea III;
Un modello econometrico di analisi e previsione.
Il primo capitolo focalizza l’attenzione sul sistema finanziario italiano ma in maniera
dettagliata le banche. Come esse hanno attraversato una trasformazione rapida e
profonda. Nelle quali le transazioni finanziarie hanno conosciuto una crescita senza
precedenti. Dal lato dell’offerta, la deregolamentazione, il progresso tecnologico,
l’innovazione finanziaria e la crescente integrazione dei mercati internazionali hanno
enormemente ampliato la gamma di prodotti e strumenti offerti e le combinazioni
possibili di rischio e rendimento, ridotto i costi di transazione, creato nuovi mercati e
unito mercati prima segmentati. Alla luce di tutto ciò, nell’ultimo triennio è emerso con
molta evidenza il fenomeno delle sofferenze bancarie, un problema che a metà degli
anni novanta ha registrato il picco massimo, ma che stava lentamente stabilizzandosi.
Nel primo capitolo le sofferenze verranno trattate nella maniera più ampia possibile,
partendo dai rischi legati alla concessione del credito, alla loro rilevazione contabile
secondo le normative vigenti nel momento della loro manifestazione ed infine verranno
analizzate le cause e le conseguenze sulle banche.
Il secondo capitolo, riguarda il problema della gestione del credito, in particolare
quando esso diventato anomalo. I crediti problematici diventano un argomento molto
discusso all’interno degli istituti bancari, poiché al pari degli investimenti e di altri
fattori, da loro dipendono le performance delle della banca.
Nel capitolo ci si sofferma sull’utilizzo da parte degli istituti di credito della tecnica
della securitization. Questa tecnica nata negli Usa e regolata in Italia solo nel 1999,
viene analizzata in maniera molto dettagliata, esplicandone i soggetti coinvolti, l’
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oggetto della cartolarizzazione, il suo processo ed i motivi per cui le banche
preferiscono utilizzare questi tecnica piuttosto che altre.
Il terzo capitolo, affronta in maniera sintetica il percorso del rischio di credito negli
Accordi di Basilea, partendo da quello del 1988 all’attuale normativa riguardante
Basilea III. Nell’arco del capitolo vengono messe in luce i punti di forza e quelli di
debolezza dei vari accordi sino ad introdurre ed analizzare il recente Pilastro I di Basilea
III, il quale prevede un serie di nuovi e più stringenti requisiti in materia di adeguatezza
patrimoniale che entrerà a regime nei prossimi dieci anni.
Nei primi paragrafi, si focalizza l’attenzione sulle metodologie a disposizione delle
banche per analizzare il rischio di credito della propria clientela presenti in Basilea II.
Mentre nella parte finale vengono descritti accuratamente con un’ottica critica, i nuovi
requisiti approvati dal Comitato di Basilea nel dicembre del 2010 con la pubblicazione
del documento finale.
Il quarto ed ultimo capitolo, rappresenta il cuore della tesi, qui viene presentato
attraverso un lavoro empirico un modello econometrico di analisi e previsione.
L’argomento oggetto di analisi riguarda un campione di serie storiche inerenti un set di
variabili macroeconomiche quali Pil, disoccupazione, ect, e variabili creditizie come le
sofferenze bancarie e gli impieghi a livello aggregato della Banca di Credito
Cooperativo.
I dati presenti nel campione vengono utilizzati per fare inferenza e cercare di rispondere
ad alcuni quesiti posti in partenza. In altre parole l’obiettivo del lavoro è stato
dimostrare sulla base di alcune ipotesi fatte in partenza sulla relazione sofferenze-
impieghi. Ossia capire se l’ammontare delle sofferenze fossero causate o meno
dall’ammontare degli impieghi o a maggior ragione se esse fossero legate alle scelte
messe in atto dalla banca nel momento della concessione del credito e quindi nella
capacità di riuscire a selezionare una clientela con alto merito creditizio. Oppure se i
movimenti della voce sofferenze nei bilanci bancari fossero dovuti all’andamento del
ciclo economico (es. crescita Pil, aumento disoccupazione), indipendentemente dalle
politiche creditizie dell’istituto bancario.
Le risposte alle domande sono state elaborate attraverso degli approcci statistici
nell’utilizzo di software econometrici quali il Gretl ed Eviews, che ci hanno permesso di
arrivare alla specificazione diversi modelli.
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Nell’ultima parte della tesi sono state elaborate le conclusioni e le considerazioni
personali in merito al lavoro empirico svolto, esse sono scaturite attraverso l’analisi dei
risultati, grazie alla teoria statistica ed economica.
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Capitolo Primo: il credito anomalo, le
sofferenze bancarie
Premessa
Negli anni ’90 in Italia si verificarono alcuni eventi che fecero emergere la questione
dell’inefficienza allocativa del credito e palesarono tutti i limiti del sistema bancario.
La crisi valutaria, la stagnazione economica, i riflessi normativi, deregolamentazione
della attività bancaria e finanziari, riduzione strutturale del margine di interesse e del
processo di integrazione europea insieme ai cambiamenti nelle preferenze della clientela
e alla diffusione dell’innovazione tecnologica stravolsero nel giro di pochi anni i
meccanismi del “fare banca”.
La situazione era resa ulteriormente intricata dall’intensificarsi dei fenomeni di
insolvenza da parte del sistema imprenditoriale che, incentrato su un alto grado di
leverage finanziario, non riusciva far fronte alla pessima congiuntura. In quegli anni le
banche italiane vissero una totale rivisitazione della struttura societaria, organizzativa e
gestionale, resa inderogabile dalla necessità di sopportare gravi perdite sui crediti.
Il rischio di una crisi di solvibilità dell’intero sistema bancario venne efficacemente
contrastato attraverso l’intensificazione dell’attività ispettiva della Banca d’Italia, la
privatizzazione delle proprietà degli istituti di credito e la messa in atto di politiche di
concentrazione. Inoltre fu raggiunta una sostanziale omogeneità gestionale nelle
diverse regioni: criteri operativi allineati, medesimi tassi passivi sui depositi,
progressiva riduzione del divario dei tassi attivi sui crediti a breve termine.
Nel decennio 1993-2002, dunque, il sistema bancario italiano è riuscito a superare una
fase decisamente critica, avviandosi su percorsi di efficienza e riducendo la
disomogeneità territoriale.
A distanza di pochissimi anni il problema delle insolvenze è tornato alla ribalta, in
quest’ultimo triennio 2007-2010, alla luce della nota crisi finanziaria prima ed
economica poi, che ha riportato nel settore creditizio la paura di ritrovarsi di nuovo di
fronte le difficoltà degli anni novanta.
Il settore creditizio deve attualmente fare i conti con bilanci bancari piuttosto pessimi,
che annoverano fra le sue voci dell’attivo una categoria particolare di crediti, i
cosiddetti “crediti in sofferenza”.
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1. I rischi relativi alla concessione di credito
Nell’attività bancaria i prestiti rappresentano storicamente l’attività principale della
banca e sono il veicolo attraverso il quale si può realizzare il contributo
dell’intermediazione bancaria, all’allocazione efficiente delle risorse. In Italia, in
particolare, questi costituisco la più importante e principale fonte di copertura del
fabbisogno finanziario esterno delle imprese.
Il problema fondamentale all’attività di prestito è duplice: da un lato, valutare la
capacità di rimborso del debitore, dall’altro realizzare la migliore combinazione
possibile di operazioni tenendo conto della relazione rischio/rendimento di ognuna di
esse.
Questi due momenti rappresentano gli aspetti fondamentali dell’attività di prestito di
una banca:
Valutazione del rischio di una singola operazione, ossia la selezione dei prestiti;
La costruzione di un portafoglio prestiti nel suo complesso, politica dei prestiti.
Composta a sua volta dalla decisione sulla dimensione del portafoglio e della
distribuzione al suo interno delle singole operazioni, ossi degli aspetti che
riguardano, diversificazione, ripartizione e frazionamento dei prestiti.
La valutazione del rischio è sostanzialmente un problema di trattamento delle
informazioni disponibili e va a costituire il nucleo centrale del criterio di valutazione dei
fidi adottato da ciascuna banca, il quale si compone delle due seguenti fasi:
1. Prima della concessione del prestito nella selezione della domanda da
soddisfare (c.d. screening);
2. Durante la vita del prestito, nell’azione di sorveglianza, che accompagna
il prestito stesso (c.d. monitoring). Tale sorveglianza è rivolta alla gestione
complessiva dell’impresa finanziata e ha lo scopo di verificare il permanere delle
condizioni di merito e credito ed eventualmente anche il miglioramento atteso nel
suo assetto finanziario.
Il rischio del singolo prestito, una volta valutato ed assunto, può essere gestito. Si può
decidere se mantenerlo perché si integra efficacemente con il portafoglio prestiti
posseduto, oppure trasferirlo (operazione di securitization o con credit derivatives)
qualora le sue caratteristiche non coincidono più con le combinazioni
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rischio/rendimento desiderate. Il rischio di credito, infine viene gestito a livello di
portafoglio attraverso la diversificazione settoriale e geografica delle operazioni e le
tecniche di frazionamento e ripartizione dei rischi.
I rischi associati ai prestiti derivano essenzialmente dal divario temporale fra
l’erogazione del prestito ed il pagamento del capitale e degli interessi.
I rischi collegati alla concessione di credito sono sostanzialmente: rischio di liquidità,
rischio di insolvenza della controparte e/o di credito e il rischio di mercato.
Il rischio di liquidità è identificabile con il rischio che il debitore non sia in grado di far
fronte ai suoi impegni di debito puntualmente, ma riesca a rimborsare il prestito in
tempi successivi.
In genere esso si ha una traslazione temporale dei flussi in entrata, rispetto ai termini
contrattualmente previsti
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e poiché si modifica la durata media dell’attivo rispetto alle
passività, può a sua volta provocare rischio di interessi e un rischio di founding
(reperimento fondi); il problema che queste due implicazioni, hanno un impatto
economico che non è facilmente quantificabile per cui non è noto il termine ultimo in
cui si produrranno i flussi in entrata relativi al rimborso del credito.
Inoltre, la quantificazione del rischio di liquidità, cioè del valore complessivo dei crediti
non rimborsati, assume rilevanza ai fini della valutazione del successivo rischio
d’insolvenza. L’immobilizzo del credito cosi come considerato in precedenza, può
rappresentare la prima manifestazione delle difficoltà del rimborso e può protrarsi fino
alla definitiva insolvenza della controparte. Da un altro aspetto, il rischio di liquidità
collegato al portafoglio prestiti, può derivare dall’effetto congiunto delle caratteristiche
dei prestiti concessi e della dimensione del fido rispetto le necessità dell’impresa.
Il rischio di insolvenza e/o di credito si verifica se il mancato rimborso del credito è da
considerarsi definitivo, si ha in questo caso la perdita totale o parziale del credito per
capitali prestati e per interessi maturati. Esso include anche i crediti di firma, poiché in
uscita possono da luogo a flussi finanziari in uscita.
La valutazione del rischio di insolvenza avviene secondo due profili: da una parte
l’analisi del profilo di rischio “oggettivo”, relativo cioè alla qualità (attuale e potenziale)
del portafoglio crediti, dall’altro lato l’analisi del profilo “soggettivo”, ossia dipendente
dalle caratteristiche del portafoglio crediti nel suo complesso (grado di concentrazione)
1
I termini contrattualmente previsti corrispondono alla data di scadenza del prestito, per quelli a scadenza
predeterminata e alla dilazione temporale massima rispetto alla data in cui avviene la richiesta di rientro,
per i prestiti a vista o a scadenza.
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e delle compatibilità dello stesso con le caratteristiche delle altre poste dell’attivo e del
passivo e dagli obiettivi del soggetto economico.
L’analisi del rischio “oggettivo” impone di valutare la qualità presente e potenziale dei
crediti. A tal proposito è utile riportare una prima classificazione utilizzata dalla Banca
d’Italia, nel “Manuale per la compilazione della matrice dei conti”, nell’apprezzamento
della qualità delle posizioni di credito:
1) Sofferenze, esposizioni per cassa e fuori bilancio (finanziamenti, titoli, derivati,
etc.) nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza (anche non accertato
giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle
eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda. Si prescinde, pertanto,
dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio delle
esposizioni. Sono escluse le esposizioni la cui situazione di anomalia sia
riconducibile a profili attinenti al rischio-paese. Sono incluse anche le esposizioni nei
confronti degli enti locali (comuni e province) in stato di dissesto finanziario per la
quota parte assoggettata alla pertinente procedura di liquidazione.
Le sofferenze costituiscono un indicatore di particolare importanza per apprezzare le
politiche di credito della banca e per conoscere:
La propensione al rischio del finanziatore, atteso che si tenga conto delle
sofferenze in dati gruppi omogenei di crediti, corredate con altre informazioni
qualitative (grado di diversificazione del portafoglio, andamento settore
produttivo, area geografica, classe dimensionale dei clienti in stato di insolvenza),
possono informare sulle politiche di prestito e sui criteri di scelta della banca;
La capacità di valutare efficacemente il merito creditizio dei prenditori di fondi.
Anche in questo caso il corredo di informazioni qualitative può consentire di
apprezzare la capacità valutativa dei soggetti addetti alla concessione dei fidi.
2) Partite Incagliate, esposizioni per cassa e fuori bilancio (finanziamenti, titoli,
derivati, etc.) nei confronti di soggetti in temporanea situazione di obiettiva
difficoltà, che sia prevedibile possa essere rimossa in un congruo periodo di tempo.
Si prescinde dall’esistenza di eventuali garanzie (personali o reali) poste a presidio
delle esposizioni. Sono escluse le esposizioni la cui situazione di anomalia sia
riconducibile a profili attinenti al rischio-paese. Tra le partite incagliate troviamo,
salvo che non ricorrano i presupposti per una loro classificazione fra le sofferenze, le
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esposizioni verso gli emittenti che non abbiano onorato puntualmente gli obblighi di
pagamento (in linea capitale o interessi) relativamente ai titoli di debito quotati. A tal
fine di riconosce il “periodo di grazia” previsto dal contratto o, in assenza,
riconosciuto dal mercato di quotazione del titolo.
Tra le partite incagliate vanno in ogni caso incluse le esposizioni (che non siano
classificate in sofferenza) di cui facciano parte:
1. Finanziamenti verso persone fisiche integralmente assistiti da garanzia
ipotecaria concessi per l’acquisto di immobili di tipo residenziale abitati, destinati
ad essere abitati o dati in locazione dal debitore, quando sia stata effettuata la
notifica del pignoramento al debitore; per l’individuazione di tale tipologia di
finanziamenti si fa riferimento alla medesima categoria presa in considerazione
nella disciplina prudenziale relativa al rischio di credito e di controparte per
l’applicazione della ponderazione preferenziale del 35% (metodologia
standardizzata) ovvero per l’inclusione nella specifica sottoclasse del portafoglio
al dettaglio (metodologia IRB);
2. Finanziamenti diversi da quelli di cui al punto precedente per i quali
risultino soddisfatte entrambe le seguenti condizioni:
i. Siano scadute e non pagate (anche solo parzialmente) almeno 3 rate
semestrali per i finanziamenti di durata originaria superiore a 36 mesi, ovvero
almeno 2 rate semestrali, per quelli di durata pari o inferiore a 36 mesi; se il
piano di ammortamento del prestito prevede rate trimestrali, il numero delle
rate scadute e non pagate deve essere pari a 5 per i finanziamenti di durata
superiore a 36 mesi, ovvero a 3 per quelli di durata pari o inferiore a 36 mesi;
se il piano di ammortamento del prestito prevede rate mensili, il numero delle
rate scadute e non pagate deve essere pari a 7 per i finanziamenti di durata
superiore a 36 mesi, ovvero a 5 per quelli di durata pari o inferiore a 36 mesi;
quando infine le rate siano annuali, occorre che siano trascorsi almeno 6 mesi
dal termine di scadenza delle stesse;
ii. I finanziamenti insoluti, esclusi quelli per interessi di mora ma inclusi gli
insoluti eventualmente registrati su rapporti diversi da quelli indicati al punto i.
appartenenti all’esposizione verso il medesimo debitore, siano almeno pari al
20 per cento della esposizione stessa (esclusi gli interessi di mora).
Per le partite incagliate, nonostante la situazione di crisi sia reversibile e superabile, è
plausibile pensare che una parte dei crediti degeneri in sofferenze. I crediti incagliati
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sono quindi idealmente scomponibili in due quote: una caratterizzata da un rischio di
liquidità più basso, la seconda, quella che statisticamente si trasforma in sofferenze, da
un rischio liquidità più alto. É utile quindi, conoscere il tasso di trasformazione delle
partite incagliate in sofferenze, dato dal rapporto tra sofferenze e crediti incagliati
riferiti ai prestiti erogati nel medesimo anno.
3) I crediti ristrutturati, sono quelli per cui la banca concede una moratoria al
pagamento del debito rinegoziando nel contempo tassi inferiori a quelli di mercato; i
crediti in corso di ristrutturazione sono quelli per cui il debitore abbia presentato
istanza di consolidamento da non più di dodici mesi a una pluralità di banche, in
entrambi i casi non rientra il credito complessivo verso la controparte ma solo la
quota parte del credito oggetto di consolidamento o di istanza di ristrutturazione;
I crediti in sofferenza inoltre costituiscono un indicatore per verificare i parametri
economici-patrimoniali delle politiche creditizie della banca, infatti permettono di
analizzare: da un lato la stabilità patrimoniale e visti i criteri di vigilanza, la
possibilità di sviluppo della banca poiché le sofferenze devono trovare adeguate
coperture nei fondi patrimoniali e determinano un successiva svalutazione degli utili
e del patrimonio, una volta ascritti come perdita in conto economico; dall’altro lato la
capacità della banca di operare svalutazioni (rettifiche di valore ed accantonamenti)
sui crediti in sofferenza.
Ovviamente non tutte le sofferenze si trasformano in perdite, alcune possono
rientrare e tradursi in recupero parziale o totale del credito. Il tasso di trasformazione
delle sofferenze in perdite dipende da vari fattori tra cui la presenza di garanzie, la
presenza ex ante di un programma di recupero del credito infine l’efficacia delle
stesse.
Il rischio di perdita del singolo credito può assumere infine, livelli differenti in
rapporto ad una serie di variabili inerenti al paese di residenza della controparte, alla
forma tecnica del prestito. Nel trattare il profilo di rischio “oggettivo”, si deve
ricorrere alla stima della qualità potenziale del portafoglio, ossia il rischio di
insolvenza che si cela nel gruppo dei crediti vivi. Il controllo del rischio di
insolvenza rispetto al singolo credito è operato automaticamente, tramite rigide
istruttorie di fido basate su analisi quali-quantitative di tipo consuntivo e
previsionale. Una volta che il fido è concesso, non è possibile procedere ad una
valutazione precisa del rischio di insolvenza per ogni credito vivo in quanto, per tutti
gli affidamenti a scadenza indeterminata, il valore di realizzazione è indeterminato,
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finché la banca non eserciti il diritto di recesso e non si manifesti il conseguente
inadempimento. I rischi di insolvenza insiti nei gruppi omogenei di crediti sono così
indistinti e possono essere definiti solo in termini di rischio complessivo. Per essere
valutati devono essere note alcune informazioni, come la distribuzione statistica delle
insolvenze inerenti gruppi omogenei di crediti in rapporto alla dimensione
dell’affidato, al settore di appartenenza ed alle caratteristiche tecniche del prestito.
Solo con la presenza di questi dati si costruiscono modelli statistici che permettono di
studiare la dinamica futura delle insolvenze.
4) I crediti in osservazione, sono invece, quei crediti per i quali sussiste qualche
difficoltà iniziale in ordine alla tempestiva capacità di rimborso dell’affidato;
5) I crediti vivi, per i quali è prevedibile un normale rimborso, sia tenendo conto
della validità delle garanzie, sia in base all'andamento dei clienti e alla
movimentazione del rapporto, in pratica sono i crediti che non presentano nessuna
anomalia.
L’analisi del rischio “soggettivo”, dipendente dalle politiche di gestione del portafoglio
crediti decisa dalla banca, incorpora la valutazione del rischio di portafoglio, il quale è
condizionato dal grado di diversificazione settoriale e geografica dei prestiti, oltre che
dal livello di frazionamento dei fidi. Per questo motivo è importante conoscere la
distribuzione settoriale e geografica dei crediti e l’incidenza dei fidi più rilevanti, al fine
di valutare l’esposizione della banca a sfavorevoli situazioni congiunturali.
I rischi di mercato assimilabili all’attività creditizia sono maggiormente la
manifestazione di perdite dovute a sfavorevoli variazioni dei tassi d’interesse (rischio di
tasso d’interesse) e dei tassi di cambio (rischi di cambio). A dispetto dei rischi di
credito, i rischi di mercato sono contraddistinti da natura speculativa, nel senso che
posso generare variazioni di valore sia in positivo che negativo.
Esso genera perdite per la banca se le attività sono smobilizzate ai nuovi prezzi correnti.
Al contrario, se tali attività sono liquidate, le minusvalenze potenziali non si
trasformano in perdite. Di qui si può affermare che il rischio di interesse colpisce le
attività suscettibili di smobilizzo. In generale sono poche le eccezioni per cui un credito
può essere smobilizzato e assoggettato a rischio di interesse tra i quali si trovano, quei
crediti che possono essere ceduti tramite operazioni di factoring, ad altre banche o a
società di factoring, operazioni di risconto e attraverso processi di securitization.
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Spesso, tale andamento dei tassi di interesse e rischio sopra citato, si riscontrano nei
periodi di congiuntura negativa, caratterizzati dalla proliferazione delle crisi aziendali e
dalle conseguenti rinegoziazioni di molti prestiti, il rischio d’interesse, nell’accezione
indicata, assume molta rilevanza ed strettamente collegato con il rischio di perdita su
crediti.