1: 1000000 = 10
-6
Capitolo - I
STERILIZZAZIONE: GENERALITA’
Per sterilizzazione si intende qualunque processo, sia esso fisico o chimico, che porta alla
distruzione di tutte le forme di microrganismi viventi, spore comprese. Questa definizione
semplifica il concetto di sterilità, che al contrario, può essere definito solo su basi statistiche.
La norma UNI EN 556 stabilisce il livello di sicurezza di sterilità (Sterlity Assurance Level) che
deve corrispondere alla probabilità inferiore ad uno su un milione (SAL = 6) di trovare un
microrganismo sopravvivente all’interno di un lotto di sterilizzazione.
Per assicurare tale risultato devono essere garantite specifiche condizioni fisiche che tengano conto
della variabilità delle specie dei microrganismi potenzialmente presenti sul dispositivo da trattare e,
sopratutto, del loro possibile stato: forma vegetativa o forma sporigena. Le spore, infatti, sono di
gran lunga le forma più resistenti agli agenti sterilizzanti e per essere eliminate richiedono
temperature (superiori ai 100°C) e tempi di esposizione maggiori rispetto a quelli richiesti dalle
forme vegetative le quali sono distrutte dopo pochi minuti di esposizione a 100°C.
Gli organismi biologici cui occorre far riferimento sono:
- microrganismi animali (per esempio plasmodi, flagellati, amebe, ecc.);
- microrganismi vegetali: blastomiceti (per esempio lieviti, muffe, funghi, ecc.)
e schizomiceti o batteri. Questi ultimi possono essere sferici (cocchi:
stafilococchi, streptococchi ) o bastoncellari. I bastoncellari, poi, si dividono
in: · batteri non sporipari (colibatteri, batteri del tifo, batteri della
difterite,batteri della tubercolosi);
· batteri sporipari (bacilli o clostridi come il bacillo del tetano,
del carbonchio, ecc.).
- virus (del vaiolo, dell’epatite, della polmonite, ecc.).
MICRORGANISMI
Plasmodi
Animali Flagellati
Amebe
Lieviti
Blastomiceti Muffe
Funghi
Cocchi
Vegetali Sferici Stafilococchi
Streptococchi
Schizomiceti o batteri
Batteri non sporipari
Vaiolo (tifo,difterite,tubercolosi)
Bastoncellari
Virus Epatite Batteri sporipari:bacilli
(tetano,carbonchio,……)
Poliomielite
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Si definiscono infezioni ospedaliere “le infezioni che insorgono durante il ricovero in ospedale, o
in alcuni casi dopo che il paziente è stato dimesso e che non erano manifeste clinicamente, né in
incubazione, al momento dell’ammissione”.
Tutte le infezioni già presenti al momento del ricovero vengono, invece, considerate acquisite in
comunità (infezioni comunitarie), ad eccezioni di quelle correlabili con un precedente ricovero
ospedaliero.
I microrganismi maggiormente responsabili di infezioni ospedaliere sono raggruppabili in 5
categorie:
- batteri aerobi gram positivi: Streptococchi, Stafilococchi auro ed albo;
- batteri aerobi gram negativi: Escherichia coli, Enterobacter, Klebsiella, Pseudomonas,
Proteus, Providencia, Herella, Mimae, Salmonelle, Shigelle, Serratia;
- batteri anaerobi: Corynebacterium acnes, Bacteroides fragilis;
- miceti : Candida albicans, Aspergillus niger ;
- virus: citiamo il virus citomegalico trovato spesso in leucemici od anche neonati, il virus
idrofilo dell’epatite, il virus erpetico e l’adenovirus che danno origine a malattie a diffusione
ospedaliera. Non ultimo si deve considerare anche il virus della HIV (sindrome da immuno
deficienza acquisita).
Diversi 19,3%
E.coli 15%
S.aureus 14,6%
C.albicans 6,8%
Klebsiella spp 5,3%
Enterobacter spp
4,7%
Pseudomonas aerug
7,7 %
SNC 9,6 %
Enterococcus spp.
11,6
Proteus spp 2,6%
C.difficile 2,8%
Fig. I.I. Distribuzione dei principali agenti patogeni responsabili di infezioni nosocomiali.
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L’ambiente ospedaliero (inteso come sistemi idrici, sistemi di ventilazione, superfici ambientali in
prossimità dei pazienti) gioca, pertanto, un ruolo nella trasmissione solo di alcune ben determinate
infezioni: alcune infezioni di origine comunitaria (tubercolosi, varicella, morbillo, ecc. che si
trasmettono per via aerea), la Legionella (trasmessa attraverso i sistemi e gli impianti di
condizionamento dell’aria e di distribuzione dell’acqua sanitaria), il Clostridium difficile, il virus
dell’epatite B ed il virus respiratorio sinciziale.
Fig. II.II. Tipologia delle infezioni ospedaliere da batteri multiresistenti nell’anno 1999.
Fig. III.II. Distribuzione delle principali infezioni nosocomiali nel corso delle inchieste
nazionali 2002 e 2003.
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Non da ultimo va osservato che i reparti nei quali esiste una frequenza più elevata di infezioni
ospedaliere sono quelli che ricoverano pazienti gravi e nei quali si effettuano interventi assistenziali
invasivi: in particolare i reparti di terapia intensiva ed i reparti chirurgici.
0
5
10
15
20
25
30
35
Proporzione di pazienti con infezioni (% )
Medicina Chirurgia Misti Cure intense Ginecologia-
Ostetricia
Ospedali piccoli
Ospedali medi
Ospedali grandi
Fig. IV.III. Incidenza delle infezioni ospedaliere analizzate per tipologia di reparto e grandezza
della struttura ospedaliera.
Tabella I.I. Eziologia e fonti d'epidemie d'infezioni nosocomiali ambulatoriali.
Infezione Fonti
Epatite B
Dentisti, medici, pazienti, aghi d’agopuntura, fiale
multiuso, strumenti per iniezione multipla
Cheratocongiuntivite da adenovirus Infermieri, tonometri, mani del curante
Infezioni a microbatteri non
tubercolari (ascessi dei tessuti molli,
batteriemie, otiti)
Fiale di medicamenti o soluzioni muttiuso, aghi da
biopsia, strumenti otologici
Tubercolosi Pazienti, medici, infermiere
Infezioni da Pseudomonas species
(artrite settica, batteriemia,
endoftalmite, infezione urinaria,
pseudo-polmonite, pseudo-sinusite)
Fiale di medicamenti o soluzioni multiuso, perfusioni,
broncoscopi, soluzioni di risciacquo, sonde per
urodinamica
Morbillo Pazienti
HIV Dentisti, pazienti
Altre infezioni (ascesso da
streptococco A, artrite settica,
epatite C, rosolia, mononucleosi
infettiva, legionellosi, …)
Fiale di medicamenti o soluzioni multiuso, strumenti
diversi, sistemi di ventilazione
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L’esposizione a procedure invasive rappresenta, infatti, uno dei fattori di rischio più forti per
l’insorgenza di complicanze infettive. Ciò è dovuto a:
- accesso diretto dei microrganismi ad aree del corpo normalmente sterili e stato di
debilitazione del paziente;
- moltiplicazione dei microrganismi per le condizioni favorevoli che si determinano (presenza
di materiali plastici, di liquidi, creazione di nicchie ove i microrganismi possono crescere);
- contaminazione dei presidi stessi durante la produzione od al momento dell’uso (mani del
personale).
Da quanto esposto e supportato da grafici e tabelle appare, quindi, chiaro lo scopo della
sterilizzazione: fornire strumenti e materiali sterili necessari negli “interventi” ospedalieri ed
indispensabili non solo nelle sale operatorie ma anche in altri reparti quali pronto soccorso, sala
parto, rianimazione, degenza postoperatoria, ecc.
Di conseguenza, come meglio vedremo nel capitolo V, dal servizio di sterilizzazione inteso come
attività ausiliaria svolta, anche spazialmente nei singoli blocchi operatori concepito e realizzato nel
passato anche recente, si sta passando all’idea che la sterilizzazione debba rappresentare un servizio
generale centralizzato relegando in questo modo la substerilizzazione, effettuata in prossimità delle
sale operatorie, alle situazioni di emergenza a cui far fronte mediante l’uso di macchinari veloci a
ciclo flash.
Dopo questa prima parte introduttiva che aveva lo scopo di calare il lettore nella problematica del
processo di sterilizzazione, sottolineandone l’importanza a fine tutelativo e preventivo nei confronti
delle infezioni nosocomiali, è ora nostra intenzione addentrarci nell’esposizione dello stato dell’arte
della sterilizzazione in campo ospedaliero e più specificatamente dell’Azienda Ospedaliera
“Umberto I”. Tale esposizione ci vedrà impegnati, in primo luogo, nell’illustrazione delle diverse
modalità di sterilizzazione, e dei principi fisici che le regolano e che ne sono alla base, e nella
descrizione delle principali prove di verifica e convalida che vengono effettuate per garantire la
sterilità dei prodotti trattati. Nella seconda parte del lavoro ci soffermeremo invece sulle
caratteristiche funzionali e strutturali possedute dalle diverse tipologie di sterilizzatrici con
particolare riferimento alle autoclavi a calore umido.
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Sistemi di sterilizzazione ad
alta temperatura
Per una più agevole consultazione di quanto seguirà appare utile, già da subito, mettere a
disposizione del fruitore del presente testo uno schema in cui sono raccolti per tipologia i metodi di
sterilizzazione maggiormente impiegati in campo ospedaliero per la sterilizzazione dei presidi
medico-chirurgici:
Sterilizzazione a calore secco
Sterilizzazione
Sterilizzazione a calore umido ( a vapore ) tramite
agenti fisici
Sterilizzazione con radiazioni ionizzanti
Sterilizzazione con raggi U.V.
Ossido di Etilene ( ETO )
Sterilizzazione a gas
Formaldeide
Sterilizzazione
Sterilizzazione con acido paracetico ( STERIS ) tramite
agenti chimici
Sterilizzazione con gluteraldeite
Sterilizzazione con gas plasma
* Buona lettura *
Sistemi di
sterilizzazione a
bassa temperatura
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Capitolo - II
METODOLOGIE DI STERILIZZAZIONE
STERILIZZAZIONE AD ALTA TEMPERATURA:
Le prime due tipologie di sterilizzazione di cui ci occuperemo nella presente trattazione sono quelli
che sfruttano le ottime proprietà germicide e batteriostatiche del calore, sia esso associato all’aria od
al vapore con cui gli oggetti da sterilizzare sono messi in contatto, e che per questo possono essere
considerati gli agenti veicolanti del processo . Tali proprietà spiegano quindi il motivo per cui, nella
pratica comune, la sterilizzazione viene effettuata portando il materiale ad una data temperatura e
mantenendovelo per il tempo necessario ad ottenere la distruzione e la non riproduzione dei
microrganismi, riservando invece le altre tipologie alle strumentazioni ed alle apparecchiature
tremolabili.
La temperatura ed il tempo di permanenza dipendono dalla tipologia dei microrganismi.
A questo proposito si definisce termoresistenza di una famiglia di microrganismi il tempo di
esposizione ad una determinata temperatura dopo il quale i microrganismi sono ancora in grado di
sopravvivere. Una delle classificazioni di termoresistenza è la seguente (da Adam):
Microrganismi Temperatura Grado di resistenza
80° 100° 120° 134°
Plasmodi,flagellati,virus,batteri
senza spore
1’÷ 5’
Ia
Spore di lieviti e muffe
5’÷ 10’
1’ Ib
Spore di bacilli a bassa
resistenza
1’÷ 60’ 1’ II*
Spore di bacilli ad alta
resistenza
60’÷60’
8’ 1’ III
Spore ad alta resistenza Fino a 6 h IV
* Anche il virus dell’epatite apparterrebbe a questa classe
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Viceversa si definisce mortalità della specifica famiglia di microrganismi il valore della costante K
ricavabile dalla formula sottostante:
K = ln (No/ N)/ t
dove t è il tempo di permanenza dei microrganismi all’agente sterilizzante ed No ed N
rappresentano il numero dei microrganismi prima e dopo l’esposizione all’agente sterilizzante.
Da questa riscritta nella forma:
lnN = - Kt + lnNo
si evince anche che il tempo necessario per ridurre ridurre la concentrazione microbica ad una
valore desiderato è proporzionale alla sua concentrazione iniziale.
Si definisce infine D-value il tempo di decadimento decimale e cioè il tempo necessario ad una
specifica temperatura T per ottenere la riduzione della carica microbica considerata di un valore
logaritmico, ovvero al 10% di quello iniziale.
Alla temperatura di 121°C, il D-value oscilla tra 0,2 e 2 minuti: molto spesso in assenza di
specifiche sperimentali più dettagliate lo si assume pari a 1.
E’ evidente che il risultato di una sterilizzazione a temperatura costante può essere molto differente
in dipendenza del D-value della specie microbica contaminante.
A questo proposito il grafico di fig I. mostra come una contaminazione residua di 10-6 se partiamo
da una unità di contaminazione iniziale pari a 10+2, a 121°C, sia ottenibile in 8 minuti con D=1, in
16 minuti con D=2, in 4 minuti con D=0,5.
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Fig. I.I. andamento D-value
STERILIZZAZIONE A CALORE SECCO:
Iniziamo compiutamente ad affrontare le diverse metodologie di sterilizzazioni a partire da quella a
calore secco che utilizza quale agente sterilizzante il calore associato all’aria calda. Molto diffuso
in passato, oggi il suo impiego è limitato a laboratori chimici di farmacia e di piccoli reparti o
servizi per la sterilizzazione di materiale termoresistente: vetrerie, strumenti di metallo, siringhe di
vetro, composti in polvere, ecc. Esso, infatti, sfrutta per la distruzione dei microrganismi il
meccanismo dell’ossidazione dei costituenti cellulari ottenuta tramite il raggiungimento di
temperature elevate ed il loro mantenimento per un tempo protratto: 160°C per 2 ore o 180°C per 1
ora. L’apparecchio impiegato viene comunemente chiamato “stufetta a secco” o “forno di Pasteur”
ed è non molto dissimile da un piccolo armadio in acciaio a doppia parete dotato di resistenze
elettriche.Possono essere di due tipi, a seconda del meccanismo di circolazione dell’aria nell’interno
dell’apparecchio:
- circolazione d’aria forzata: dove l’omogenizzazione nella camera avviene per mezzo di
ventilatori che accelerano il processo.
- circolazione d’aria naturale: dove l’omogenizzazione della temperatura nella camera
avviene per convenzione in modo naturale. Ciò comporta oltre ad una maggiore durata del
processo anche maggiori differenze di temperature da punto a punto della camera il che
comporta la criticità della posizione degli elementi sensibili dei dispositivi indicatori della
temperatura.
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