2
INTRODUZIONE
Nonostante la presenza di caratteristiche comuni ed un‟impostazione in parte simile, derivante dalla
tradizione giuridica europea, e le indicazioni in direzione della omogeneizzazione del Consiglio
d‟Europa, gli assetti nazionali in materia penale e penitenziaria dei vari Paesi europei conservano
numerose differenze, spesso sostanziali.
In primo luogo, ad essere differente è l‟articolazione del sistema penale/penitenziario in istituti
differenziati a seconda:
- della tipologia di detenuti accolti: in attesa di giudizio o condannati definitivi, giovani adulti,
donne, recidivi, persone con problemi psichici, con problemi legati a dipendenza, ecc.;
- della durata delle pene dei detenuti accolti;
- per offerta di percorsi specifici di trattamento e recupero.
In secondo luogo, a variare è la collocazione della rete di servizi deputati al trattamento dentro il
carcere e/o all‟esterno, all‟interno della stessa amministrazione penitenziaria, come istituzione
autonoma o all‟interno di altre istituzioni.
Inoltre, ciò che varia da un Paese europeo all‟altro è la possibilità data al condannato di interagire
con la comunità locale nell‟attuazione dei percorsi di trattamento e reinserimento all‟interno e/o
all‟esterno del carcere. Occorre ricordare, a questo proposito, che la possibilità reale di offrire ai
condannati un percorso di trattamento fuori dal carcere è legata anche alla capacità/possibilità dei
differenti sistemi penitenziari di interagire con la comunità locale, che ha, in tutti i contesti europei,
un ruolo fondamentale ed è una risorsa spesso indispensabile al supporto dei programmi di recupero
e del trattamento dei detenuti.
Un ultimo elemento di differenziazione fra i diversi sistemi penali europei è l‟istituzione di pene
non detentive e misure alternative alla detenzione, la possibilità di individualizzazione della pena e
di adattarla alle esigenze del trattamento.
Considerano queste differenze a livello generico tra gli stati europei, io mi sono soffermata tra 2
stati in particolare: l‟Italia e la Spagna.
Quindi ho ripercorso la storia del sistema penale in entrambe le nazioni, facendo riferimento
soprattutto al loro ambito rieducativo; esaminando quindi il ruolo e le funzioni del servizio sociale
penitenziario.
3
Questo confronto è volto a rispondere ad alcune domande che mi posi durante il mio periodo
all‟estero, svolto in Spagna nell‟anno 2008/2009, riguardo il sistema penale spagnolo. Tale interesse
nacque a seguito dell‟esperienza di tirocinio svolta presso l‟ufficio di esecuzione penale esterna di
Bologna.
In definitiva, considerando le due situazioni,è ovvio porsi alcune domane, come ad esempio: quali
sono le differenze tra i due paesi? Cosa la Spagna può imparare dall‟Italia? Viceversa cosa l‟Italia
può apprendere dalla Spagna?
Queste domande, apparentemente banali,hanno richiesto un percorso di ricerche e di raccolta di
informazioni, per poter valutare aspetti positivi e negativi di entrambi i sistemi, così da poter
giungere a risposte soddisfacenti alle mie iniziali curiosità.
4
SISTEMA PENITENZIARIO E SERVIZIO SOCIALE
PENITENZIARIO IN ITALIA
INTRODUZIONE
In ogni epoca e in ogni società, si è mirato a contrastare e prevenire le condotte ritenute
maggiormente lesive dei principi normativi fondamentali delle singole culture in quanto è fine di
ogni comunità assicurare, con l‟osservanza delle leggi, il mantenimento della conformità di
comportamenti dei propri membri e la salvaguardia dell‟omogeneità dei valori portanti. Lo scopo di
assicurare l‟osservanza delle regole del vivere sociale è stato, ed è ancora oggi, perseguito
utilizzando diversi sistemi di controllo. I principali strumenti di controllo sociale sono sempre stati e
continuano ad essere le leggi e le sanzioni penali, che vanno a formare il diritto penale, quella parte
del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti reato
1
, che a sua volta è oggi fatto umano alla
cui realizzazione la legge riconnette sanzioni penali, perciò il primo mezzo di controllo sociale è la
pena; in tal senso le pene adottate dovranno essere coerenti con le mutevole esigenze storiche e con
la salvaguardia dei principi di ordine morale e sociale insiti nella cultura del momento
2
.
“La devianza d’altra parte, è un fenomeno ineliminabile”
3
, però la si può controllare, ma la pena
deve essere appropriata, ma solo dopo vari passaggi si è giunti a considerare la pena con una
funzione rieducativa, oltre che punitiva. Tuttavia l‟idea di una funzione rieducativa è antica quanto
il pensiero umano”, già da Platone e Aristotele si pensava alla possibilità di correggere ed educare il
reo tramite una giusta punizione.
4
Le funzioni attribuite alla pena nel corso delle epoche sono state sono molteplici, quella che vorrei
affrontare è la sua funzione rieducativa, anche se la piena concretizzazione di questo principio si
realizza compiutamente con la riforma dell'ordinamento penitenziario, avvenuta con la Legge 26
luglio 1975 n. 354, che all'art. 1, ultimo comma, recita: "nei confronti dei condannati e degli
1
G. FIANCADA – E. MASCO, Diritto Penale, parte generale, Zanichelli, Bologna, 2001.
2
C. BRUNETTI, Pedagogia Penitenziaria, edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2005.
3
C. BRUNETTI, Pedagogia Penitenziaria, edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2005.
4
IBIDEM, PAG. 21
5
internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con
l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi".
5
Infatti è proprio con questa riforma, che si inserisce nell‟ambiente penitenziario l‟assistente sociale,
che prima esercitava le sue funzioni in altri contesti lavorativi. Tuttavia l‟assistente sociale si è
ritrovato inserito nell‟Ente in una posizione marginale, costretto ad avvallarne ed interpretarne la
politica, trasmetterla all‟utente, adattare i bisogni di questi alle prestazioni preordinate. Infatti
bisogna sottolineare il fatto che il servizio sociale ha agito per lungo tempo in un vuoto di indirizzi
programmatici, in assenza di riferimento politici e sociali.
Tuttavia l‟istituzione delle Regioni e dei decreti delegati segnano il primo passo concreto verso
l‟attuazione di un decentramento e di una democratizzazione dei servizi, così l‟assistente sociale ha
iniziato allora a proporsi quale agente di mutamento, cercando di rimettere l‟uomo al centro dei suoi
atti e di umanizzare il livello di soluzione dei bisogni.
Con il tempo, il servizio sociale per adulti ha infatti acquisito certezza del proprio ruolo ed un
sapere operativo che permette di essere, consapevolmente, agente di mediazione ed interprete sia
dei bisogni dell‟utenza(aiuto), che di quelli della società (controllo).
5
http://www.altrodiritto.unifi.it/migrdet/castella/nav.htm?cap1.htm
6
SVILUPPO STORICO E LEGGI DI RIFERIMENTO
L‟attuale concezione rieducativa del trattamento penitenziario è il risultato del processo evolutivo
del pensiero penalistico. Considerando per prima la cultura europea pre-illuministica, si può dire
che i fini erano quelli della legge del taglione e della vendetta, cioè la pena era essenzialmente
fisica, in modo da far soffrire il corpo proporzionalmente al male commesso.
6
Nel secolo XIX si verificò un radicale mutamento degli strumenti punitivi, per le influenze delle
idee illuministiche e del Beccaria, che portarono all‟affermazione in Europa di codici penali e di
procedure penali, la cui osservanza era imposta come principio fondamentale e la cui validità aveva
carattere universale. Inoltre vennero via via abbandonate le torture e le pene corporali e di
conseguenza il carcere divenne lo strumento principale di punizione. Infine in quello stesso periodo
intervenne un cambiamento nel modo di concepire le finalità della pena: venne superato il
fondamento meramente vendicativo- intimidativo e, coerentemente con gli ideali etici e filosofici
del „700 e dell‟800, prese corpo, quale primaria finalità della pena, il principio delle retribuzione.
Perciò si riaffacciò il significato della pena come emenda: la punizione divenne, cioè, anche un
mezzo che serviva alla riabilitazione spirituale, attraverso la presa coscienza della propria colpa. Il
carcere veniva inteso, perciò, come mezzo di punizione , ma anche di autocorrezione e a ciò si
mirava facendo uso degli strumenti a quell‟epoca ritenuti più idonei per modificare la mente e i
sentimenti, e con essi il futuro comportamento: da qui l‟obbligo delle pratiche religiose, del lavoro
coatto come strumento di emenda, una certa dose di sofferenza fisica reputata necessaria per
favorire il pentimento.
Avvicinandosi ai tempi nostri, le componenti afflittive della pena sono state via via ridotte; ha
trovato sempre meno suffragio la pena capitale e la concezione affittiva della pena è diventata la
pura e semplice privazione della libertà.
Nel contempo, accantonata la funzione emendativa, di significato morale, si è affacciata, dalla
prima metà del XX secolo, la nuova finalità risocializzativa, secondo la quale la pena deve, oltre
che punire, offrire al condannato l‟opportunità ed i mezzi per rieducarsi ad una vita socialmente
integrata.
Soltanto nella seconda metà del XVIII secolo, sorse, ad opera di Cesare Beccaria, con il libro, “Dei
delitti e delle Pene” del 1764, un movimento diretto alla trasformazione delle prigioni da luoghi di
6
C. BRUNETTI, Pedagogia Penitenziaria, edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2005
7
degradazione e di crudeltà, in luoghi di rigenerazione; in questo senso ciascuno diventava artefice
della propria salvezza ed era consapevole di quest‟ultima per mezzo delle proprie azioni. Tuttavia
se il pensiero innovativo di Beccaria e della scuola Classica, da una parte, difendeva i principi
dell‟illuminismo, dell‟imparzialità, del garantismo, della certezza e dell‟umanizzazione della pena,
dall‟altra precludeva qualsiasi valutazione degli aspetti sociali e psicologici attinenti al reo e
impediva la creazione di qualsiasi forma di trattamento.
Un successivo, parziale, mutamento si ebbe con l‟affermazione di Cesare Lombroso e della scuola
positiva, tale scuola applicò al diritto penale i risultati del positivismo ottenuti sotto la spinta degli
studi naturalistici, così si passò ad analizzare oltre che al fatto-reato, anche l‟autore di esso.
Ciò portò al primo codice penale significativo del 1889, cioè il codice Zanardelli, che sostituì il
Codice penale del 1865 che di fatto era il Codice del Regno di Sardegna esteso (con qualche
modificazione) all'intero territorio del Regno d'Italia.
7
Entrato in vigore l'1° gennaio del 1890,
questo codice aboliva la pena di morte. Inoltre introduceva la libertà condizionale, il principio
rieducativo della pena ed aumentava la discrezionalità del giudice al fine di adeguare la pena alla
effettiva colpevolezza del reo. Nella Relazione al Re
8
Zanardelli si diceva convinto che “le leggi
devono essere scritte in modo che anche gli uomini di scarsa cultura possano intenderne il
significato; e ciò deve dirsi specialmente di un codice penale, il quale concerne un grandissimo
numero di cittadini anche nelle classi popolari, ai quali deve essere dato modo di sapere, senza
bisogno d‟interpreti, ciò che dal codice è vietato”
9
. Zanardelli riteneva che la legge penale non
dovesse mai dimenticare i diritti dell'uomo e del cittadino e che non dovesse guardare al delinquente
come ad un essere necessariamente irrecuperabile: non occorreva solo intimidire e reprimere, ma
anche correggere ed educare.
Successivamente, verso la fine dell‟800 si iniziò, poi, a definire la genesi del socialismo giuridico e
nacque la Nuova scuola criminale sociologica.
Si giungeva alla nascita della cosiddetta terza scuola, che ribadiva il principio classico della
responsabilità individuale e la distinzione tra imputabilità e non imputabilità che Lombroso e i suoi
seguaci avevano rimosso facendo leva unicamente sulla categoria della pericolosità del soggetto.
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http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_penale_italiano_(1889)
8
Da: Camera dei Deputati, Progetto del Codice penale per il Regno d'Italia e disegno di legge che ne autorizza la
pubblicazione (...), vol. 1: Relazione ministeriale; Stamperia Reale, Roma 1887.
9
Da: Camera dei Deputati, Progetto del Codice penale per il Regno d'Italia e disegno di legge che ne autorizza la
pubblicazione (...), vol. 1: Relazione ministeriale; Stamperia Reale, Roma 1887, pp. 213-214 (seduta del 22 novembre
1887).