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Introduzione
In questa tesi si descrivono gli effetti dell’attuale crisi economica sulle organizzazioni, si
citano dati statistici di dominio pubblico sull’economia italiana a mondiale e da questa
prima visione si procede con l’illustrare come le organizzazioni possono reagire per non
soccombere.
Di fronte alla prospettiva di cessare la loro attività, le aziende piccole, medie e grandi
hanno dovuto dolorosamente tagliare tutte le spese che per l’immediata sopravvivenza
hanno ritenuto superflue. Molte persone sono rimaste senza lavoro poiché le
organizzazioni hanno effettuato un massiccio downsizing.
Una volta eliminato quello che le aziende ritenevano grasso superfluo da smaltire, si
sono dovute riorganizzare per produrre quel che facevano prima, ma con meno risorse.
In questa fase le organizzazioni hanno effettuato un pesante ripensamento dei propri
processi gestionali, hanno rivisto cariche, gerarchie e metodologie di lavoro.
Nel secondo capitolo, quindi, la tesi approfondisce la questione del cambiamento poiché
ritenuta un tema di primaria importanza, sviscerando quali sono le forze in gioco, come
usarle in modo strategico e quali problemi possono sorgere nelle varie fasi del
mutamento.
Nel terzo capitolo invece ci si scontra con la motivazione che molto spesso viene a
mancare dopo una crisi, un downsizing ed un reengineering.
Sempre più spesso i collaboratori di un’organizzazione si ritrovano smarriti al termine di
questi processi burrascosi e la motivazione può realmente diventare una leva
competitiva per ripartire in un mercato difficile come quello attuale ed il coinvolgimento
dei lavoratori assieme alla condivisione delle informazioni possono fare la differenza.
Aziende come Microsoft, in ambito mondiale, e Mars Italia, con le loro passate difficoltà
sono riuscite a ridimensionarsi per poi tornare più competitive di prima.
L’azienda di Redmond nel gennaio 2009 ha annunciato 1400 licenziamenti in tutti i loro
settori per arrivare ad un totale di 5000 al termine dell’operazione di riduzione dei costi,
ma nello stesso anno è stata premiata per il tecnica eccellente con cui ha valorizzato e
fatto crescere la propria cultura organizzativa e per il modo in cui ha preparato il proprio
personale al ridimensionamento.
Mars Italia, l’azienda italiana leader nel petfood e negli snack non è rimasta immune alla
crisi che ha imperversato anche nel settore alimentare: dalle varie malattie come
l’aviaria al metilbenzofenone nei cereali che hanno scosso l’industria del cibo, Mars ne è
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uscita rinforzata, riorganizzata e più produttiva riuscendo a vantare diversi
riconoscimenti nell’ambiente della ricerca sull’organizzazione aziendale, non ultimo
l’ottimo piazzamento nella classifica redatta dalla società di ricerca e consulenza
manageriale Great Place to Work.
Aziende come queste possono dimostrare, portando la loro esperienza, che in taluni
ambiti la motivazione del personale, il clima di lavoro positivo e la partecipazione a tutti
i livelli possono essere il fattore decisivo per fare business d’altissimo livello.
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Capitolo 1
Dalla crisi economica al downsizing
“Bada alle piccole spese: una piccola falla affonda una grande nave.”
Benjamin Franklin
1.1 - Immersione nella crisi
In questi ultimi anni i mass media parlando della recente congiuntura economica
negativa hanno introdotto in modo massiccio ad ogni livello i termini ristrutturazione e
riorganizzazione.
Termini tecnici per definire come un’organizzazione, adattandosi all’ambiente che la
circonda, può modificare se stessa per continuare a sopravvivere e prosperare il più a
lungo possibile.
Uno dei temi trattati in questo elaborato, in modo non certo esaustivo, è legato al modo
in cui un’azienda cambia e alle motivazioni che la spingono a farlo.
Inizialmente però si andrà a discutere del perché dovrebbe cambiare.
L’ambiente in cui un’organizzazione è immersa è mutevole, varia in continuazione e crea
dei canali di scambio e comunicazione sempre nuovi e dinamici.
Il sistema organizzazione è di tipo aperto, cede energia per riceverne dai sistemi limitrofi
o dall’ambiente stesso. Una modifica nell’ambiente può ricadere con affetto domino su
tutti i sistemi interessati. E questi, a loro volta, la possono ritrasmettere in
continuazione. Mutandola o mutando loro stessi.
Diventa quindi evidente come un “semplice” aumento del prezzo del rame forgiato in
Tailandia possa far impennare i costi dei televisori venduti in un Wall Mart americano. O
come una accresciuta sensibilità nell’acquisto da parte dei consumatori faccia
propendere le scelte strategiche di un’azienda in una direzione piuttosto che in un’altra.
Al giorno d’oggi l’innovazione è la chiave del successo: ma un successo volto al poter
sopravvivere oggi ed avere le risorse per poter mutare ancora ed affrontare le nuove
sfide nell’indomani.
Nella congiuntura finanziaria in cui ci troviamo i governi di tutto il mondo cercano
disperatamente con ogni strumento di politica economica in loro possesso di non
cedere al collasso economico. E le organizzazioni fanno lo stesso.
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Le pesantissime bordate scagliate dalla crisi economica che ha colpito l'economia di
tutto il mondo stanno facendo tremare l'intera architettura produttiva italiana. Se
addirittura colossi mondiali come Microsoft, Sony, Toyota, e General Motors vacillano
sotto i suoi attacchi, non ci si può aspettare diversamente dall'industria del nostro
paese.
Negli ultimi anni, l'imperativo categorico che tutti perseguono è la corsa alla riduzione
dei costi e all'efficienza per far fronte a questa pesante contrazione della domanda alla
quale tutte le organizzazioni sembrano assistere impotenti.
A tal proposito, il settore industriale sia italiano che mondiale nelle aree meccaniche e
siderurgiche, è certamente quello che più soffre nell’attuale congiuntura economica in
quanto gli elevati costi fissi relativi agli impianti di produzione ed i vari magazzini ormai
saturi, stanno diventando insostenibili nel momento in cui viene a calare in modo
verticale la domanda e di conseguenza il fatturato, generando perdite d'esercizio di
ingente quantità.
E se questo non fosse sufficiente, il maggiore pericolo, al quale le organizzazioni sono
esposte in questi duri momenti, è rappresentato dalla cronica mancanza di liquidità che,
abbinata alla difficoltà nell’ottenere credito dagli istituti preposti, porta all'impossibilità
di far fronte agli obblighi di pagamento verso i fornitori o il fisco.
In parole più semplici, quando l'impresa "brucia cassa", poiché le sue uscite sono
maggiori delle sue entrate, derivanti dalla vendita dei suoi prodotti, e le banche non
concedono più credito, la possibilità di arrivare ad una situazione di insolvenza o al
fallimento si trasforma in una concreta certezza.
Per fronteggiare queste gravi tematiche, le tendenze gestionali più
utilizzate menzionano il taglio delle spese per il marketing e la pubblicità, la dilatazione
dei tempi di pagamento, la produzione su ordinativi con lo scopo di ridimensionare i
magazzini ovviamente quando tutto ciò è praticabile ed in un’unica ottica di sola
sopravvivenza nell'immediato. Naturalmente solo per il breve periodo, quando una
ristrutturazione vera e propria che possa garantire una continuità nel futuro, a medio e
lungo termine, non è possibile per mancanza di risorse.
Vi è infatti una considerazione da fare: uno dei pilastri portanti della finanza aziendale
obbliga l’organizzazione a tenere conto dell’anti-ciclicità temporale che esiste tra la
generazione di cassa dell'impresa e le sue esigenze di investimento.
L'anti-ciclicità fa riferimento al fatto che in periodi di congiuntura economica positiva, la
domanda è alta, l'impresa vende i suoi prodotti in grossa quantità e quindi accumula in
quel lasso di tempo molte risorse finanziarie. Nel caso opposto, in periodi di crisi, la
domanda è bassa, l'impresa vende poco e rischia di consumare velocemente le risorse
finanziarie, in quanto le uscite monetarie per sostenere i costi superano di molto le
entrate.
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Fig. 1 - Ciclo economico, fonte: ns elaborazione
Prendendo atto quindi che l'economia ha un andamento ciclico, con alternanza di
periodi di grande slancio e di profonda depressione, quando ci si trova nel momento di
congiuntura economica positiva è bene chiedersi quanto è corretto investire le risorse
finanziarie accumulate.
Una risposta vera e propria non esiste, in quanto se l’intuito del Top Management porta
a credere che l’economia continuerà a cavalcare potentemente la scelta di investire è
senz’altro giusta. Ma la fase di grande slancio non può durare in eterno e quindi diviene
buona cosa valutare l’ipotesi di annullare, o posticipare, l’operazione d’investimento e
risparmiare alcune delle risorse accumulate per i periodi di crisi che verranno.
In definitiva, l’attuale crisi mondiale in cui tutti gli stati versano era forse difficile da
prevedere fino a qualche tempo fa, ma effettivamente erano molti, o forse troppi, gli
anni in cui la congiuntura economica era decisamente positiva. Aspettarsi una
imminente inversione di tendenza era quindi ragionevole, ed aver risparmiato alcune
risorse per poter riorganizzare al meglio la propria azienda avrebbe reso l’attuale
situazione più facilmente affrontabile.
Moltissime aziende negli ultimi anni hanno chiuso, sono state acquisite o sono
scomparse. Altre hanno cercato di adeguarsi al cambiamento e sono sopravvissute.
Secondo l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, nello scorso anno sono andati perduti
più di mezzo milione di posti di lavoro. Ma in queste statistiche, benché ufficiali, non
figurano i lavoratori in nero o con partita Iva. I telegiornali hanno ormai assuefatto i loro
Espansione Recessione
Punto di
massimo
Durata del ciclo
Punto di
minimo
iniziale
Punto di
minimo
finale
Intensità
Tempo
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spettatori con bollettini allarmanti di aziende che chiudono con gli operai incatenati alle
cancellate che fanno occupazione o sfilano in cortei (www.istat.it).
Le note difficoltà italiane di Fiat, Termini Imerese chiuderà definitivamente entro fine
anno, mentre a Pomigliano i lavoratori sono in cassa integrazione da oltre diciotto mesi,
le problematiche di Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale),
in cui 400 ricercatori rischiano di non vedersi rinnovare i contratti o di Alcoa che sta
valutando la chiusura e 2000 lavoratori rimarrebbero senza lavoro, fanno capire che ben
poco si sta salvando in questo marasma economico (www.milanofinanza.it).
Pure il settore alimentare, benché in Italia riesca a reggere molto meglio che in altri
paesi, ha subito pesantissimi attacchi. Dalle sofisticazioni che hanno fatto crollare la
fiducia dei consumatori alle evidenti restrizioni economiche in cui essi versano, le
organizzazioni si sono dovute ridimensionare di fronte a questo nuovo mercato.
Colossi come Mars, anche nel suolo nazionale hanno dovuto riadattarsi, facendolo con
dei tagli dolorosi al personale ed alla struttura, ma riuscendo a mantenere un buon
livello di motivazione del proprio organico. L’uso della comunicazione ad ogni livello e
l’applicazione di un management di tipo partecipativo hanno fatto addirittura risaltare
l’azienda nelle classifiche delle migliori organizzazioni dove lavorare
(www.greatplacetowork.com).
Tornando al tema dell’attuale crisi economica: le piccole o medie industrie, i vari
distretti industriali né tantomeno la grande industria sembrano reggere questa ondata
che sta sommergendo il mondo intero. Il Censis, il Centro Studi Investimenti Sociali, nel
suo 43° Rapporto sulla situazione sociale del Paese ha dichiarato che “nel corso del 2009
il sistema manifatturiero italiano ha registrato una flessione di più del 10% della
produzione, del 24% delle esportazioni, dell’1% nel numero di imprese”.
La causa, forse, non va ricercata solo nella grave crisi economica in cui versano
praticamente tutti i paesi industrializzati, probabilmente il declino italiano è iniziata
negli anni ‘70, quando i grandi complessi industriali dell’epoca hanno virato sulla
svalutazione della lira anziché sulla ricerca e l’innovazione.
Lentamente, quelli che erano dei veri e propri colossi come Olivetti (nel mondo
dell’informatica), Montedison (parlando della chimica), o Italsider (per la siderurgia)
sono scomparsi. L’azienda produttrice di automobili di bandiera: la Fiat, sta
pesantemente ridimensionando la sua presenza sul nostro territorio.
Come ultime vestigia dell’antico impero economico rimangono solo Eni, Enel e Telecom,
che sono comunque di origine pubblica.
Secondo alcuni economisti le Pmi ed i vari distretti industriali sono troppo piccoli, per
altri sono troppo grandi, secondo alcuni non hanno le risorse sufficienti, per altri ne
hanno fin troppe, ma sono mal gestite. Qual che è certo è che in questa situazione la
formazione ne risente, e lo stesso dicasi della ricerca.
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Alcune piccole perle, che potremmo definire come le nostre punte di eccellenza, sono
quasi a livello artigianale e riescono faticosamente a crearsi delle piccole “nicchie” nel
mercato globale, ma non hanno certo la forza per dominarlo e indirizzarlo come
dovrebbero.
Pure per il settore assicurativo questi anni sono stati molto turbolenti, i “peggiori mai
sperimentati” come ha scritto Wyn Jenkins (2002), il caporedattore di Reaction, “una
situazione in questo settore che si è trasformata in una sorta di paradosso”.
Dopo l’11 settembre si son dovuti fare i conti con le più grandi perdite che mai siano
state registrate finora, una spirale di credito e debito connessa ad ogni settore le cui
riserve accantonate anni fa si sono dissolte e si sono rivelate inadeguate.
Ed il tutto in un momento in cui i mercati azionari erano ai minimi.
Ora l’hype che circonda il mercato è ai massimi livelli e le aspettative degli investitori
sono altissime: dopo anni di scarse prestazioni ora si aspettano dei dividendi consistenti.
Parafrasando nuovamente Jenkins: “E 'un momento difficile per il settore assicurativo.
Ci sono soldi da fare, se si riesce ad andare nella giusta direzione. Ma ci sono anche
molti ostacoli da superare. Dopo aver subito il mercato, gli investitori a lunga gittata non
voglio più sentire scuse ed è giusto che i dirigenti di molte aziende sappiano che stanno
calpestando un terreno molto delicato.”
Quindi quello che pare accumunare tutta l’agorà economico-politica è che se
l’economica vuole sopravvivere, se le aziende non vogliono soccombere, le aziende
devono trovare il modo per reinventarsi.
Un buon punto di partenza, da parte delle varie organizzazioni, potrebbe essere quello
di farsi un esame di coscienza aziendale.
Il Top Management generalmente, inizia a rendersi conto delle difficoltà quando è già
troppo tardi: quando diminuisce la liquidità o aumenta l’indebitamento, quando
l’azienda non dà utili, ma genera perdite o quando il volume dei ricavi non cresce
rispetto a quanto crescono i costi oppure banalmente quando diminuisce la propria
quota di mercato.
La crisi aziendale è un sintomo generato da molteplici fattori che possono essere interni
o esterni all’impresa, spesso sono addirittura concomitanti, ma nulla dicono delle “vere
cause” della crisi stessa.
Pertanto, pallidi tentativi di spiegazione che accusano il mercato in crisi, o che adducono
agli importanti investimenti eseguiti dall’organizzazione destinati a dare i propri frutti
solo in futuro… non sono sufficienti.