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Introduzione
Suicidio: procurarsi la morte per mano propria. Questa scarna ed
elementare definizione contiene in sé una forte carica di
angoscia. Compassione o rabbia, condanna o rispetto, sono
sicuramente questi i contrastanti sentimenti che hanno da sempre
suscitato nell’uomo l’interesse per questo atto senza appello.
Questa immagine
1
, opera sublime, è quella che meglio ritengo
esprima quel senso di disperazione che il suicidio genera.
1
Edvard Munch, l’Urlo, 1893, Galleria Nazionale, Oslo. “Camminavo
lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse
all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un
recinto. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di
fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di
paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura. »
6
Il sentimento che anima chi giunge a privarsi della
propria vita è quasi sempre caratterizzato da un lungo
percorso pieno di sofferenza, legato alla percezione di
sentirsi inutile e incapace di far parte di quella società
che molto spesso non coglie questi drammatici segnali di
solitudine e disperazione.
In questo mio lavoro, ho deciso di trattare il suicidio dal
punto di vista del mezzo per commetterlo perché nel
corso della mia esperienza professionale nel Corpo della
Polizia Municipale mi sono trovato più volte ad affrontare
un decesso che poteva sembrare solo una sfortunata
fatalità con la tentazione, dunque, di aver risolto tutti gli
interrogativi e trascurando così il vissuto, le incertezze e
le debolezze di quella sfortunata persona, che solo un
attento lavoro da parte dell’operatore di polizia potrà
portare alla luce l’azione suicidiaria mascherata da
incidente stradale, messa in atto dalla persona stessa. È
pur vero che ciò non può far cambiare l’esito del gesto
ma ritengo che serva finalmente a far “parlare” il suicida,
che nella parte finale della sua vita non era più in grado di
fare perché non bisogna mai dimenticare che il gesto
suicidiario può essere un ultimo disperato tentativo di
comunicare il proprio estremo disagio. Ritengo inoltre
che, dare la reale spiegazione della morte può essere
d’aiuto alle persone vicine al deceduto le quali, accettano
7
ed elaborano il lutto solo quando hanno chiare tutte le fasi
che ne hanno caratterizzano la morte.
Nella trattazione di questo argomento, svilupperò nella
prima parte l’aspetto storico e delle teorie sul suicidio,
soffermandomi in modo particolare, sul pensiero di Emile
Durkheim, per poi analizzare il ruolo, l’importanza e
l’impatto che i mezzi di informazione assumono nel
fenomeno suicidiario. Nella seconda parte, entrerò nel
cuore dell’argomento, trattando dei mezzi usati per
commettere il suicidio, con particolare riferimento
all’incidente stradale illustrando il ruolo delle indagini
scientifiche e delle tecniche investigative necessarie per
scoprire se un incidente stradale può essere in realtà un
suicidio. Nel terzo capitolo, andrò a delineare il profilo
criminologico della persona che ricorre al suicidio
illustrando come, molto spesso, sono proprio i giovani a
essere vittime di loro stessi e di come i disturbi
psichiatrici sono un forte e determinante fattore di rischio
nell’evento suicidiario. Nell’ultimo capitolo, darò conto
di quali sono gli strumenti a disposizione delle Istituzioni
preposte ad affrontare il fenomeno suicidio, finalizzati ad
aiutare le persone a rischio. Terminerò il lavoro citando e
ponendo a confronto due esperienze lavorative maturate
nel corso della mia lunga esperienza professionale che
hanno riguardato da vicino il problema dell’incidente
8
stradale usato come mezzo di suicidio dando luogo a
contrastanti considerazioni capaci di stimolare riflessioni
e auspici.
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Capitolo I
Il SUICIDIO
1. Definizione
Il suicidio, viene oggi comunemente inteso come
quell’atto mediante il quale ci si dà volontariamente la
morte; atto di togliersi deliberatamente la vita
2
. Parola di
derivazione latina, sui occidere, dunque uccidere se
stesso, che esprime una lampante chiarezza dal punto di
vista etimologico. Sebbene la parola suicidio abbia una
derivazione dal latino, di essa non v’è traccia nell’antica
Roma e solo verso la metà del Seicento fece la sua
comparsa in Inghilterra. In Italia e in altri paesi europei,
la parola suicidio verrà usata a partire dal 1734 andando a
sostituire espressioni del tipo: “omicidio di se
medesimo”, “procurarsi la morte” o “cadere di mano
propria”. Un primo problema emerge nel delineare una
definizione scientifica del suicidio che si rende necessaria
per ben comprendere questo fenomeno di ampia portata
sociale e umana. Molti sono gli autori che hanno trattato
il suicidio cercando di giungere ad una definizione
2
Enciclopedia Italiana Treccani, vocabolario della lingua italiana.
10
univoca e valida per ogni comportamento suicidiario. Tra
i primi che affrontarono l’argomento ci fu lo psichiatra
Enrico Morselli
3
, secondo il quale il suicidio
rappresentava il mezzo di eliminazione dei caratteri
deboli e incapaci di partecipare alla lotta evolutiva per la
vita. La definizione più classica e nota è sicuramente
quella introdotta nel 1897 dal sociologo francese Emile
Durkheim : “ si chiama suicidio ogni caso di morte che
risulti direttamente o indirettamente da un atto positivo o
negativo, compiuto dalla vittima stessa consapevole di
produrre questo risultato “
4
.
Enrico Ferri, nel 1928, delineò il suicidio come “la
morte data a se stesso per uno scopo esclusivamente
egoistico con l’intenzione di evitare un male imminente o
creduto tale”
5
. Ancora, Gabriel Deshaies, nel 1947,
definì il suicidio come “l’atto di uccidersi in un modo
abitualmente cosciente assumendo la morte come mezzo
o come fine”
6
. Per giungere a tempi più recenti,
possiamo far ricorso alla definizione data nel 1975 da
Baechler: “il suicidio denota ogni comportamento che
cerca e trova la soluzione a un problema esterno
3
E. Morselli (1852-1929): il suicidio, Dumalard, Milano 1879.
.
4
E. Morselli (1852-1929): il suicidio, Dumalard, Milano, 1879.
5
E. Ferri, l’omicidio-suicidio, Bocca, Torino, 1883.
6
G. Deshaies, Psicologia del suicidio, Astrolabio, Roma 1951.
11
nell’attentare alla vita del soggetto stesso”
7
. Pierre
Moron, individua nel comportamento suicidiario quattro
aspetti diversi: l’atto riuscito di togliersi la vita,
sanzionato dalla morte; il tentativo di suicidio come atto
incompleto che si risolve in un insuccesso; la velleità di
suicidio come atto appena abbozzato; l’idea di suicidio,
come semplice rappresentazione mentale dell’atto
8
.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo definisce
come “un atto con esito fatale pianificato e realizzato
dalla stessa persona deceduta con l’obiettivo di produrre i
cambiamenti desiderati” e viene semplicemente
annoverato tra le quattro cause possibili di morte, accanto
a quelle naturali, accidentali e omicidiarie. L’evoluzione
storica delle definizioni, fa emergere come le idee e le
teorie sul suicidio si siano modificate nel corso del tempo
a partire da una impronta di tipo psichiatrico, “l’uomo
attenta alla sua vita nel delirio e tutti i suicidi sono degli
alienati”
9
, passando per una connotazione sociologica,
con Durkheim e Ferri, fino a giungere ad impostazione
psicologica con Deshaies e Stengel.
In conclusione, emerge che le difficoltà che si incontrano
nel tentativo di trovare una definizione esaustiva e
7
J. Baechler, Il suicidio, Parigi, 1975.
8
P. Moron, il suicidio, Garzanti, Milano, 1976.
9
Cfr. E. Esquirol (1938), da Les maladies mentales considèeres
second les rapports medical, hygienique et medico-legales, Parigi.
12
definitiva di suicidio, sono la stretta conseguenza della
complessità del fenomeno stesso che difficilmente si
presta ad essere racchiuso in una rigida “gabbia
definitoria”
10
La motivazione per cui risulta così difficile
coniare una definizione di suicidio, sembra risiedere nel
fatto che nell’esperienza reale, non esiste il suicidio, ma
esiste una gamma quanto mai infinita di situazioni che
hanno a che fare con il suicidio. Nessuno dei contributi
offerti alla comprensione scientifica del fenomeno può
essere trascurato in quanto l’approccio giusto, si ritiene,
sia quello di studiare e analizzare il problema suicidio da
un punto di vista multidisciplinare in quanto lo stesso si
può considerare una realtà posta al confine tra diverse
discipline tra cui quella medico-psicologica, psichiatrica,
sociale, etico-religiosa. Ognuna di queste discipline è
10
K. Jaspers, la mia filosofia, Einaudi, Torino, 1981: ogni singolo
suicidio come fatto incondizionato non si presta mai ad essere
compreso in maniera sufficiente secondo una legge causale di
validità generale, possiamo solamente cercare di ricostruire e
mettere insieme alcune circostanze che hanno reso possibile il
suicidio.
E. Stengel, il suicidio e il tentato suicidio, Feltrinelli, Milano,
1977: la facoltà che ha l’uomo di togliersi la vita è stata spesso
salutata come una delle più preziose libertà umane. Molti, forse i
più, traggono conforto dal pensiero che possono uccidersi se la
vita dovesse diventare intollerabile. Questo dà loro l’illusione di
essere padroni del loro destino. La realtà è molto più complessa.
L’uomo ha un controllo soltanto limitato delle sue pulsioni
interne, e queste comprendono anche tendenze all’autodistruzione.
Nessuno sa quanto possano diventare schiaccianti sotto il peso di
uno stress fisico e mentale.
13
fortemente coinvolta nel fenomeno suicidiario, sembra
dunque legittimo e giustificato il fatto che l’argomento
suicidio possa e debba essere esaminato all’interno di tali
discipline in modo autonomo, ma la sensazione è che solo
grazie a una visione globale, che solo una
multidisciplinarità può garantire, si possa giungere a una
conoscenza approfondita e completa del fenomeno stesso.
2. Cenni storici e aspetti religiosi
Per meglio comprendere come il suicidio sia stato visto
e giudicato nel corso delle varie epoche, bisogna ricorrere
in via preliminare alla concezione relativistica della
devianza che spiega come la stessa non sia una proprietà
insita in un comportamento, in un atto o in un tratto, ma
una qualità che trae origine dalle risposte e dai significati
attribuiti dai membri di una collettività a questi
elementi
11
. Il fenomeno suicidiario sembra essere non
considerato o addirittura sconosciuto, in alcune
popolazioni primitive, mentre era noto in altre. Nella
Grecia Antica il cadavere della persona suicida non era
degno di sepoltura se non dopo il tramonto e veniva
11
E. Durkheim, (1893), La divisione del lavoro sociale, Milano,
Comunità, 1962: non bisogna dire che un atto urta la coscienza
comune perché è criminale, ma che è criminale perché urta la
coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un
reato perché lo biasimiamo.
14
separato dalla sua mano che, amputata, veniva seppellita
a parte, trattamento riservato ai traditori, e proprio per
tale indegnità la popolazione non faceva ricorso al
suicidio. È con l’avvento delle scuole filosofiche, che si
assiste a un cambiamento nel giudicare il suicidio,
privandolo di quei tratti infami e criminali
12
. Nell’Antica
Roma il suicidio era visto e trattato con minore severità,
appositi Tribunali potevano autorizzare l’eventuale
suicidio sentite le ragioni della persona che mai potevano
porsi in contrasto con quelle dello Stato. Nella raccolta
normativa di Giustiniano, Corpus Juris Civilis, si dava
giustificazione al suicidio solo in presenza di “noia di
vivere”. Il Medioevo si caratterizza per un’aspra
condanna verso il suicidio, sia da parte dell’Islamismo,
con il Corano che lo considera atto ben più grave
dell’omicidio, sia da parte del Cristianesimo, che si
oppone categoricamente al suicidio considerando la
persona che vi ricorre in preda alla disperazione, quale
peccatrice incapace di resistere alle tentazioni del diavolo.
Si osserva dunque, che la religione riduce la frequenza
del suicidio in quanto, come teorizzato da Durkheim, la
stessa svolge la funzione di regolazione sociale.
12
Con gli stoici il suicidio divenne quasi un dogma: “il suicidio è
da mettere in opera quando la vita diventa insopportabile e
penosa” (Zenone e Cleante). Gli epicurei consentivano il togliersi
la vita quando da questa non si traeva più piacere.
15
Nell’Inghilterra dell’XI Secolo il cadavere del suicida
non era degno di una sepoltura in terra consacrata né di
un funerale, anzi il corpo subiva mutilazioni e pubbliche
umiliazioni. Il resto dell’Europa non era certo immune da
questi beceri e deprecabili atteggiamenti, autorità civili e
religiose sanzionavano in modo grave l’azione
suicidiaria, il binomio suicida uguale omicida faceva sì
che i cadaveri venissero condotti in Tribunale e sottoposti
a processo. La Regia Costituzione del Piemonte del 1770,
così come quella francese, prevedeva che l’”omicida di
se medesimo” dovesse essere condannato e il suo
cadavere impiccato o mutilato. A pagare per quel gesto
erano poi anche i parenti del suicida, i quali venivano
privati dei beni a loro successibili, che venivano invece
confiscati.
In conclusione, non appare sbagliato sostenere come il
suicidio nel mondo e nella cultura occidentale, sia stato
considerato principalmente come un’azione criminale,
gesto omicidiario dettato dalla follia che intacca e offende
la società e per questo da condannare. Bisognerà
attendere fino alla fine del XVIII secolo per veder mutare
l’atteggiamento verso il fenomeno suicidio in Europa,
periodo in cui i sovrani e le èlite colte iniziarono a non
considerare più il suicidio come un’azione puramente
criminosa. Questa inversione di tendenza si deve al