1
I I. . L L ’ ’I IN NQ QU UA AD DR RA AM ME EN NT TO O S ST TO OR RI IC CO O D DE EL LL LA A V VI IC CE EN ND DA A
1. CENNI STORICI GENERALI
10
Prima di addentrarci nella nostra disamina, riteniamo opportuno fornire qui di
seguito alcune indicazioni a carattere prevalentemente storico riguardanti le vicende che, a
partire dalla seconda metà del secolo scorso, hanno interessato l‟area mediorientale oggetto
del nostro studio, in particolar modo la Striscia di Gaza e la città di Gerusalemme.
La Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza, furono conquistate
da Israele a seguito della Guerra dei Sei Giorni del 1967. I due territori furono dapprima
amministrati direttamente da comandanti militari, poi dal 1981 si insediò un‟
“Amministrazione Civile” costituita dalle forze armate israeliane. Nel 1980 Israele dichiarò
Gerusalemme la capitale del proprio Stato, ma la Risoluzione 478 (1980) del Consiglio di
Sicurezza dell‟ONU dichiarò quella legge nulla e condannò ogni tentativo di modificare lo
status della Città Santa.
Dopo la vittoria alle elezioni israeliane del partito Likud nel 1977 il numero degli
insediamenti israeliani all‟interno dei territori occupati in Cisgiordania e nella Striscia di
Gaza aumentò drammaticamente e ancora oggi il processo d‟espropriazione delle terre
palestinesi e di costruzioni di nuovi insediamenti israeliani non si è interrotto. Nel 1987
scoppiò l‟Intifada, una rivolta popolare a largo raggio che fu repressa con la forza
dall‟esercito israeliano, ma che si trascinò per ben sedici anni, fino al 1993, quando i vertici
dell‟Organizzazione per la Liberazione della Palestina
11
(OLP) e il Governo d‟Israele
10
Si veda FRASER, Il conflitto, op. cit., pp. 153-180 ed UNHRC, Human Rights in Palestine and Other
Occupied Arab Territories, Report of the United Nations Fact-Finding Mission on the Gaza Conflict (d‟ora
innanzi, Rapporto Goldstone), A/HRC/12/48, Prima Parte, cap. II, 25 Settembre 2009. Il Rapporto è uscito
anche in un‟altra versione, datata 15 settembre 2009, ma, probabilmente a causa di un errore di battitura, i
numeri dei paragrafi si ripetono. Per evitare confusioni, nel corso del nostro lavoro, faremo sempre
riferimento alla versione del 25 settembre, nella quale la numerazione dei paragrafi è corretta (in questa
versione più recente i paragrafi sono 1979).
11
L‟OLP viene costituita nel maggio 1964 quale organizzazione politica dei palestinesi e le sue attività furono
stabilite nella Carta nazionale palestinese, secondo la cui premessa “la spartizione della Palestina nel 1947 e la
2
decisero di riconoscere i rispettivi governi sottoscrivendo gli Accordi di Oslo. Con
l‟Accordo Oslo I, nel 1994, fu costituita l‟Autorità Nazionale Palestinese
12
(ANP), mentre
l‟Accordo Oslo II (il cui nome completo era “L‟accordo israelo-palestinese ad interim sulla
Cisgiordania e la Striscia di Gaza”), concluso l‟anno seguente, segnò un ulteriore passo in
avanti verso una negoziazione definitiva tra le due parti sullo status del territorio
13
.
Questo processo di pace che tanto faticosamente era stato portato avanti nella prima
metà degli anni ‟90, grazie soprattutto agli sforzi profusi dai due leader in lotta, Yasser
Arafat, a capo dell‟OLP, e Yitzahk Rabin, il Primo Ministro israeliano (con il supporto del
suo braccio destro Simon Peres), con l‟importante mediazione degli Stati Uniti, entrò in
crisi a partire dal 1995, anno in cui fu assassinato proprio uno degli artefici di questo
“riavvicinamento”, Rabin, per poi peggiorare ulteriormente nel 1997 quando salì al potere
in Israele il leader del partito Likud Benyamin Netanyahu. Egli ereditò un processo di pace
già in crisi, in cui la mediazione degli Stati Uniti, allora guidati da Bill Clinton, poteva fare
ormai ben poco. Le tensioni nel Libano del Sud, il susseguirsi di attentati suicidi e la
creazione dello Stato d‟Israele sono interamente illeciti”. In una prima fase l‟OLP si rivelò incapace di
svolgere il ruolo di portavoce dei palestinesi anche a causa di una leadership debole da parte di Shuqairy,
inviso ad Arafat ed ai suoi soci. Nel 1968 l‟organizzazione subì una radicale modifica per adattarla alla
struttura di Al-Fatah che stava ottenendo sempre maggiori successi politici e militari e nella carta nazionale fu
scritto che l‟OLP si sarebbe impegnata nella “lotta armata” ed in “azioni di commando”. Questo cambiamento
aprì la strada alla presidenza di Arafat, la quale giovò notevolmente all‟OLP. Dopo la Guerra dello Yom
Kippur del 1973 la Lega Araba iniziò a considerare l‟OLP come la legittima “rappresentante del popolo
palestinese” ed essa ricevette anche lo status di osservatore alle Nazioni Unite. In occasione degli Accordi di
Oslo del 1993 l‟organizzazione guidata da Arafat riconobbe ufficialmente, per la prima volta, lo Stato
d‟Israele, il quale, a sua volta, riconobbe l‟OLP come il legittimo rappresentante del popolo palestinese. Cfr.
FRASER, Il conflitto, op. cit., pp. 82-120.
12
L‟ANP si può considerare una “filiale” dell‟OLP, ma a differenza di quest‟ultima essa non gode di
riconoscimento internazionale in quanto non è rappresentata in seno all‟ONU. Inoltre Israele non riconosce
tuttora a questo organismo il rango di un Governo statale vero e proprio, non potendo l‟ANP prendere
decisioni in materia di politica estera e non potendo organizzare un suo esercito. L‟ANP possiede forze di
polizia con armamento rigorosamente limitato e non ha pieno controllo sul territorio, né sulle vie di
comunicazione né su quelle di trasporto. L‟Autorità possiede organi legislativi con poteri sovrani, in
particolare il Consiglio Legislativo Palestinese con sede a Ramallah ed è dotata anche di cariche elettive con
potere esecutivo (soprattutto Presidente e Primo Ministro) che la rendono uno Stato de facto. Si veda la pagina
reperibile all‟indirizzo web http://it.wikipedia.org/wiki/Autorit%C3%A0_Nazionale_Palestinese.
13
L‟Accordo Oslo II, così chiamato per distinguerlo da quello dell‟anno precedente, definì tre zone di
giurisdizione all‟interno del territorio di Gaza e della Cisgiordania: la zona “A”, nella quale i palestinesi
avrebbero avuto pieni poteri in materia di amministrazione e di sicurezza; la zona “B”, dove i palestinesi
avrebbero avuto responsabilità amministrative, ma la sfera di sicurezza sarebbe stata appannaggio d‟Israele;
infine la zona “C”, dove Israele avrebbe mantenuto le responsabilità amministrative e di sicurezza.
3
confusione politica che regnava in Israele non fecero che rendere più difficile la
realizzazione di un piano di pace duraturo.
Con l‟ascesa al potere in Israele del leader del Likud Ariel Sharon e l‟esplosione
dell‟ “Intifada di Al-Aqsa” nel 2000, nella quale le forze di sicurezza palestinesi, a
differenza dell‟Intifada del 1987, combattevano armate, la situazione precipitò. Atti di
violenza e atti di pace si susseguirono senza sosta nei primi anni del XXI secolo senza,
però, sfociare mai in una vera e propria tregua tra le parti. In Israele Sharon portò avanti
operazioni belliche
14
contro il nemico palestinese Arafat che, a suo dire, aveva “instaurato
una coalizione del terrore contro Israele” e ruppe qualsiasi rapporto con l‟Autorità
Nazionale Palestinese, chiudendo di fatto ogni spiraglio all‟apertura di ulteriori trattative
sullo status dei territori occupati.
Proprio una di queste operazioni militari, denominata “Scudo di difesa”, condotta nel 2002,
unitamente alla costruzione di un Muro
15
che separava con la forza quasi mezzo milione di
cittadini palestinesi dal resto della popolazione che risiedeva nei territori della Cisgiordania,
sembrarono dissolvere le speranze di una soluzione della questione arabo-israeliana e
indicarono che il conflitto era entrato in una nuova fase nella quale non era chiaro il modo
in cui le parti avrebbero potuto ritrovare la strada di un dialogo costruttivo.
Il 6 giugno del 2004 il Governo israeliano adottò un “piano d‟evacuazione (o di
disimpegno)” per il ritiro delle forze militari e dei civili israeliani risiedenti nella Striscia di
Gaza che fu portato a termine nel settembre 2005, cosicché Israele poté dichiarare che “non
c‟erano più ragioni per sostenere che la Striscia di Gaza fosse da considerarsi territorio
14
Nel 2001 iniziò, infatti, il lancio di missili e colpi di mortaio da Gaza verso il territorio israeliano.
15
Nel 2004 la Corte Internazionale di Giustizia si pronunciò sulla legalità del Muro, sentenziando che Israele
avrebbe dovuto interromperne la costruzione, smantellare le parti costruite in Cisgiordania e risarcire i
palestinesi per le perdite sofferte a causa della costruzione del Muro. Si veda Legal Consequences of the
Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion del 9 luglio 2004 (d‟ora
innanzi, Parere sul Muro), I.C.J. Reports 2004.
4
occupato”
16
. Nonostante l‟attuazione del piano di disimpegno, le forze militari israeliane
continuarono a mantenere il controllo sui confini, sulle coste e sullo spazio aereo della
Striscia, riservandosi il diritto all‟autodifesa, sia preventiva che reattiva, incluso, ove
necessario, l‟uso della forza. Israele, inoltre, continuò a tenere sotto il proprio controllo le
telecomunicazioni, gli acquedotti, l‟elettricità e le reti fognarie di Gaza, nonché il registro
della popolazione.
In questi anni crebbero d‟importanza il ruolo e l‟influenza che all‟interno del
conflitto rivestivano le organizzazioni estremiste e di rivendicazione votate alla lotta armata
- nate all‟indomani della prima Intifada - soprattutto quelle di stampo palestinese, le quali
miravano, attraverso attentati e uso della violenza, a indebolire e far ritirare il nemico
israeliano che continuava a perseguire una politica di insediamento di nuovi territori
agricoli israeliani nei territori occupati.
Negli anni più recenti la nuova strategia adottata da uno dei più importanti, se non il
più importante movimento radicale palestinese, ossia Hamas
17
, che col tempo era riuscito
ad erodere la fiducia ed il consenso creatosi attorno all‟OLP grazie ad un‟azione più
incisiva e incentrata anche sull‟uso della forza, si basò sul ricorso ad attentati suicidi contro
civili ebrei, così da acuire ancora di più la tensione ed irrigidire la posizione degli israeliani,
sempre spalleggiati dall‟alleato americano. Dopo essersi dissociato per anni dagli Accordi
di Oslo, il gruppo islamista cambiò la propria posizione in ordine alla legittimità dell‟ANP
16
Rapporto Goldstone, par. 187. In realtà la dichiarazione non fu fatta in seguito al ritiro definitivo delle
truppe israeliana da Gaza come asserisce il Rapporto, bensì in precedenza ad esso. La frase è, infatti, una
traduzione dal Disengagement Plan of Prime Minister Ariel Sharon, 16 aprile 2004, reperibile all‟indirizzo
web http://www.knesset.gov.il/process/docs/DisengageSharon_eng.htm.
17
Hamas (Movimento della resistenza islamica) è nato dall‟organizzazione dei Fratelli Musulmani, che negli
anni ‟70 e all‟inizio degli anni ‟80 è stata aiutata dai servizi segreti israeliani a lottare contro l‟OLP. Hamas
svolge sia attività politiche e sociali, sia attività militari, quest‟ultime principalmente attraverso le brigate Izz
Al-Din Al-Qassam. Gli obiettivi politici di Hamas sono di due tipi: a breve termine l‟organizzazione mira a
liberare dall‟occupazione israeliana i territori occupati nel 1967 dopo la Guerra dei Sei Giorni; a lungo
termine l‟obiettivo sarebbe la “liberazione” dell‟intera Palestina mandataria dai “sionisti”. In cambio
dell‟ottenimento del primo obiettivo Hamas potrebbe concedere ad Israele una tregua decennale, mentre non
sarebbe per ora disposta a riconoscere lo Stato ebraico e la validità degli accordi di Oslo del 1993. Si veda P.
CARIDI, Hamas. Che cos’è e cosa vuole il movimento radicale palestinese, Milano, Feltrinelli, 2009, pp. 128-
137 e GRESH, Israele, Palestina, op. cit., pp. 99-100.
5
e decise, perciò, di partecipare alle elezioni del gennaio 2006. La lista in cui Hamas era la
componente maggioritaria riuscì a vincere e a formare un Governo (le elezioni furono
ritenute regolari da tutti gli osservatori internazionali), anche se per essere riconosciuto
dalla comunità internazionale esso avrebbe dovuto sottostare ai principi espressi dal c.d.
Quartetto (USA, Russia, ONU e UE)
18
.
A seguito del rifiuto del movimento Al-Fatah
19
, uscito sconfitto dalle elezioni, di
cedere il controllo delle istituzioni dell‟ANP, in particolare quelle di sicurezza, al nuovo
Governo guidato da Hamas, scoppiarono degli scontri tra i due gruppi politici sia nella
Striscia di Gaza sia in Cisgiordania. Nel febbraio del 2007 si formò un Governo di
coalizione, sempre guidato da Hamas, ma che includeva anche membri appartenenti ad altri
partiti, tra cui esponenti di Al-Fatah e indipendentisti. Nonostante la formazione di questo
nuovo Governo, quattro mesi più tardi scoppiarono violenti scontri tra le forze armate e
quelle di sicurezza fedeli ad Hamas, da una parte, e quelle fedeli ad Al-Fatah, dall‟altra. A
partire dal 14 giugno del 2007 l‟esercito e i gruppi armati di Hamas avevano preso il
controllo pressoché totale della Striscia di Gaza, inclusa la sede militare dell‟ANP. Il
presidente dell‟ANP, Mahmud Abbas, meglio conosciuto col nome di Abu Mazen, decise
così di sciogliere il Governo guidato da Hamas, dichiarò lo stato di emergenza e costituì un
Governo di emergenza in Cisgiordania che fu ampiamente riconosciuto dalla comunità
internazionale.
18
Si trattava dei seguenti tre principi: a) riconoscimento dello Stato d‟Israele; b) riconoscimento degli accordi
precedenti; c) rinuncia alla violenza.
19
Il movimento autonomo palestinese di Al-Fatah, il cui nome viene forgiato a partire dalle iniziali arabe
capovolte del “Movimento per la liberazione della Palestina”, è una delle organizzazioni di fedayin (“coloro
che si sacrificano”), fondata nell‟ottobre del 1959 da Yasser Arafat. Al-Fatah voleva che la liberazione della
patria dall‟invasione israeliana fosse opera degli stessi palestinesi e non dei Paesi arabi, i quali dovevano
solamente “circondare la Palestina con una cintura difensiva e […] guardare la battaglia tra i palestinesi ed i
sionisti” (testo, riadattato, tratto da una pubblicazione di Al-Fatah). A partire dal 1965 Al-Fatah si impegnò in
azioni armate contro Israele e questo attivismo, che risaltava rispetto ai vuoti proclami dei Paesi arabi, gli
assicurò una simpatia crescente tra i rifugiati palestinesi, sebbene il movimento sia rimasto marginale fino alla
guerra del 1967. Da quell‟anno in poi Al-Fatah sarà, almeno fino al 2006 e all‟ascesa di Hamas, la maggiore
organizzazione palestinese. Alla fine del 2005 Al-Fatah assunse il controllo della Striscia di Gaza, per poi
cedere di fronte all‟offensiva di Hamas. Si veda GRESH, Israele, Palestina, op. cit., pp. 84-85.
6
In questo periodo iniziò, contestualmente, una nuova fase del conflitto tra gli
israeliani ed i palestinesi guidati da Hamas che vide, da parte israeliana, un embargo (o
“blocco”) verso la Striscia di Gaza (nel settembre del 2007 Israele dichiarò Gaza “territorio
ostile” e inasprì ulteriormente l‟embargo), missioni di guerra
20
ed assassini mirati contro i
più influenti esponenti di Hamas che causarono, però, notevoli perdite tra i civili
palestinesi, mentre, da parte palestinese, vi fu il lancio ripetuto di razzi Qassam e colpi di
mortaio contro installazioni e città israeliane.
Nel giugno del 2008, grazie alla mediazione dell‟Egitto, fu raggiunto un accordo in base al
quale fu decretato un “periodo di tregua
21
” (Tahdiyah) non ufficiale di sei mesi.
20
Tra queste bisogna ricordare l‟ Operazione Scudo di Difesa del 2002 che fu l‟operazione militare più grande
in Cisgiordania dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967; l‟Operazione Arcobaleno del 2004 che prese di mira
la zona di Rafah e lasciò una scia di 50 vittime palestinesi; l‟Operazione Giorni di penitenza condotta fra
settembre e ottobre 2004 in risposta al lancio di missili da parte dei palestinesi contro la città di Sderot ed
alcuni insediamenti israeliani nella Striscia di Gaza; le due incursioni dell‟esercito israeliano a Gaza del 2006
denominate Piogge estive e Nuvole d’autunno che segnarono il culmine del conflitto e, infine, l‟operazione
Inverno Caldo del 2008, attuata in risposta al lancio di missili da Gaza verso la città di Ashkelon, durante la
quale le forze aeree israeliane condussero almeno 75 attacchi contro obiettivi diversi localizzati sulla Striscia
di Gaza.
21
In inglese è stato utilizzato, per definire l‟accordo egiziano, il termine “lull”, che non significa letteralmente
“tregua”, quanto piuttosto indica un “temporaneo cessate il fuoco”. Si veda I. KERSHNER, Israel Agrees to
Truce with Hamas on Gaza, pubblicato il 18 giugno 2008 sul New York Times.
7
2. LA STORIA DELL’OCCUPAZIONE ISRAELIANA DELLA STRISCIA DI GAZA
22
E
LA POLITICA DI GESTIONE DEI TERRITORI OCCUPATI
23
La Striscia di Gaza è una sottile striscia di terra di 360 km
2
situata lungo il Mar
Mediterraneo tra la costa israeliana e quella egiziana della Penisola del Sinai. Attualmente
essa ospita una popolazione di circa 1,5 milioni di palestinesi, il che la rende una delle zone
più densamente popolate del mondo.
In quanto parte del Mandato sulla Palestina, la Striscia di Gaza fu posta sotto
l‟autorità della Gran Bretagna fino al termine del mandato nel 1948. Nella guerra che seguì
alla ritirata delle truppe britanniche, la Striscia fu invasa dalle forze egiziane che la tennero
sotto occupazione militare fino alla Guerra dei Sei Giorni del 1967. La guerra del 1948-
1949 fu molto importante per i cambiamenti demografici che produsse nella Striscia, i quali
influenzarono poi drammaticamente le condizioni di vita al suo interno: molte migliaia di
palestinesi residenti in aree poi risucchiate dal nascente Stato d‟Israele trovarono infatti
rifugio all‟interno della Striscia di Gaza
24
.
Con la Guerra dei Sei Giorni del 1967 Israele occupò la Striscia e l‟intera Penisola
del Sinai. Le Forze di Difesa israeliane (IDF) amministrarono la Striscia a partire da
quell‟anno, sottoponendola alle leggi dell‟occupazione militare così come previste dalle
Convenzioni dell‟Aja del 1907. Nonostante Israele contestasse l‟applicazione delle norme
della Quarta Convenzione di Ginevra nei confronti dell‟occupazione di Gaza, in quanto a
suo parere l‟Egitto non possedeva la piena sovranità su quell‟area, esso accettò di rispettare
le norme di diritto umanitario previste dalla Convenzione nei confronti della popolazione
locale
25
.
22
Si veda Y. SHANY, “The Legal Status of Gaza after Israel‟s Disengagement”, in Yearbook of International
Humanitarian Law 2007, pp. 371-373.
23
Si veda il Rapporto Goldstone, Prima Parte, cap. II.
24
È interessante notare come l‟unico insediamento ebraico che esisteva nella Striscia di Gaza prima del 1948
(Kfar Darom) fu distrutto nella guerra del 1948-1949; ibidem, p. 371.
25
Sul punto si veda M. SHAMGAR, “The observance of international law in the administered territories”, in
Israel Yearbook on Human Rights, vol. 1, 1971, p. 262.
8
Dopo la prima Intifada (1987-1993) iniziò, come abbiamo visto in precedenza, un
processo di pace tra israeliani e palestinesi. A seguito degli Accordi di Oslo la Cisgiordania
fu divisa in tre aree (area A, area B ed area C)
26
dove il potere era più o meno equamente
diviso tra le due parti, mentre la Striscia di Gaza fu divisa in due zone soltanto: l‟Autorità
palestinese aveva pieni poteri di governo sulle città palestinesi, mentre Israele conservava
tutti i poteri di governo sugli insediamenti israeliani, sulle più importanti strade della
Striscia, sui suoi confini con Israele ed Egitto, sulle acque territoriali e sullo spazio aereo.
Israele mantenne, inoltre, una totale autorità di sicurezza sull‟intera Striscia
27
. Questa
divisione funzionale di responsabilità tra Israele e l‟ANP creò una considerevole incertezza
riguardo allo status giuridico delle zone soggette alla legge autonoma palestinese
28
.
Nonostante il collasso del processo di pace alla fine del 2000 e la riapertura delle
ostilità tra israeliani e palestinesi, Israele evitò di insediarsi stabilmente nelle zone
palestinesi e di mandare le proprie truppe nei quartieri più densamente popolati di Gaza
29
e
nel 2005 le Forze di Difesa israeliane diedero inizio al “piano di disimpegno” per ritirare
tutte le truppe ed i cittadini israeliani da Gaza. Come abbiamo visto, Israele continuò
tuttavia a mantenere una considerevole influenza sulla vita nella Striscia di Gaza,
rinnovando la sua politica d‟incursioni a breve termine all‟interno delle zone territoriali
della Striscia controllate dall‟Autorità Palestinese e continuando ad applicare le norme
relative all‟occupazione militare.
26
Si veda supra nota n. 13, p. 2.
27
SHANY, “The Legal Status of Gaza”, art. cit., pp. 373-374.
28
Nel 1994 Eyal Benvenisti, commentatore di rilievo per quanto riguarda la legge di occupazione, affermò
che l‟occupazione di gran parte della Striscia di Gaza era terminata con l‟insediamento dell‟Autorità
Palestinese; si veda E. BENVENISTI, “Responsibility for the protection of human rights under the Interim
Israeli Palestinians Agreements”, in Israel Law Review, vol. 23, 1994, pp. 297-312. Altri commentatori,
invece, sostennero la tesi opposta, affermando che il controllo d‟Israele era passato dall‟essere diretto
all‟essere indiretto, ma che comunque l‟area rimaneva sotto occupazione militare; si veda A. IMSEIS, “ICJ
Advisory Opinion on Construction of the Wall in the Occupied Palestinian Territory: critical reflections on
the international humanitarian law aspects of the ICJ Wall Advisory Opinion”, in American Journal of
International Law, vol. 99, 2005, pp. 102-119.
29
SHANY, “The Legal Status of Gaza”, art. cit., pp. 372.
9
A partire dal 1967, Israele costruì centinaia di insediamenti in Cisgiordania, inclusa
Gerusalemme Est, e nella Striscia di Gaza. Questi insediamenti venivano riconosciuti quali
“comunità” israeliane soggette alla legge israeliana da parte del Ministro degli Interni,
nonostante l‟advisory opinion del 2004 della Corte Internazionale di Giustizia sulla legalità
del muro costruito da Israele e varie Risoluzioni delle Nazioni Unite avessero ribadito che
tale politica di nuovi insediamenti israeliani nei territori occupati violasse la Quarta
Convenzione di Ginevra
30
. Nel 2007 c‟erano più di 450.000 cittadini israeliani che
vivevano in 149 insediamenti in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est
31
. Inoltre, sempre a
partire dal 1967, "le autorità israeliane hanno distrutto migliaia di strutture di proprietà dei
palestinesi nei [Territori Palestinesi Occupati], incluse circa 2.000 abitazioni a
Gerusalemme Est"
32
. Gli effetti della politica israeliana d‟espansione e d‟insediamento, la
distruzione di proprietà palestinesi, fra cui case, le politiche abitative restrittive e
discriminatorie sono state definite come un modo per "[a]ctively pursuing the illegal
annexation" di Gerusalemme Est
33
.
A tutto ciò va aggiunto il "blocco" attuato ai danni dei Territori Occupati,
comprendente la chiusura d‟intere zone territoriali e il restringimento dei movimenti di beni
e persone sulla base di presunte minacce alla sicurezza per i cittadini israeliani, che è stato
un aspetto caratterizzante della gestione d‟Israele sulla Striscia di Gaza e sulla Cisgiordania
fin dal 1996 e che colpì drammaticamente la vita dei palestinesi, soprattutto accrescendo il
30
Per il contenuto sommario di questo trattato si veda sub, Cap. III, Parte Prima, 1.
31
Secondo fonti delle Nazioni Unite, attualmente almeno il 40% del territorio della Cisgiordania è occupato
da infrastrutture israeliane legate agli insediamenti, tra cui strade, zone cuscinetto e basi militari. È inoltre
stimato che il 33% degli insediamenti sia stato costruito su terre private appartenenti a palestinesi, molte delle
quali espropriate da Israele per presunte ragioni di necessità militare. A seguito di una legge della Corte
Suprema di Giustizia israeliana del 1979, il Governo cambiò la propria politica di giustificazione
all'espropriazione, appellandosi alle leggi civili e non più a ragioni di necessità militare.
32
Si veda il rapporto dell'Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari, "The planning crisis in East
Jerusalem: Understanding the phenomenon of 'illegal' construction", Special Focus, Aprile 2009, reperibile
all'indirizzo web http://www.ochaopt.org/documents/ocha_opt_planning_crisis_east_jerusalem _april_2009_
english.pdf.
33
Si veda R. MCCARTHY, “Israel annexing East Jerusalem, says EU”, The Guardian, 7 marzo 2009, reperibile
al sito web http://www.guardian.co.uk/world/2009/mar/07/israel-palestine-eu-report-jerusalem.
10
livello di disoccupazione e contribuendo all'effettiva separazione di Gaza dalla
Cisgiordania, nonostante le disposizioni contenute negli Accordi di Oslo secondo cui "[t]he
two sides view the West Bank and the Gaza Strip as a single territorial unit, whose integrity
will be preserved during the interim period".
Con l'attuazione del "piano di disimpegno" da parte d‟Israele e dopo che Hamas si
assicurò il controllo della Striscia di Gaza, l'imposizione di una quasi totale chiusura
significò la fine di un contatto diretto tra palestinesi e la Cisgiordania. L'arresto, da parte
d‟Israele, di molti membri del Consiglio Legislativo palestinese e di altre autorità
palestinesi impedì, inoltre, alle istituzioni di funzionare efficacemente e ai palestinesi
provenienti dalle due diverse aree di poter lavorare insieme
34
.
Infine, nonostante i divieti imposti dal diritto internazionale umanitario
35
, è
opportuno sottolineare che fin dal 1967 Israele ha applicato le proprie leggi interne sui
Territori Occupati, che sono risultate pesantemente discriminatorie a danno dei palestinesi,
suscitando la reazione e l'opposizione del Comitato sul Patto sui Diritti Economici, Sociali
e Culturali, nonché del Comitato per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale.
34
Negli ultimi anni è stato creato un nuovo sistema di permessi per i palestinesi della Striscia di Gaza che
vivono in Cisgiordania. Senza questo permesso questi possono essere dichiarati "illegal aliens" e vedere
ulteriormente peggiorare le proprie condizioni di vita.
35
In particolare dall'art. 43 della Convenzione dell'Aja sulle leggi e consuetudini della guerra terrestre del
1907 che stabilisce che “dopo che l‟autorità del potere legale sia passata di fatto nelle mani dell‟occupante,
questi prenderà tutti i provvedimenti che dipendono da lui al fine di ristabilire ed assicurare, per quanto è
possibile, l‟ordine e la vita pubblica, rispettando, salvo impedimento assoluto, le leggi vigenti nel paese”.
11
3. IL BLOCCO D’ISRAELE E LA SITUAZIONE UMANITARIA NELLA STRISCIA DI
GAZA
36
Le operazioni militari condotte nell‟ambito dell‟Operazione “Piombo Fuso” ed il
loro impatto non possono essere adeguatamente valutate senza prendere in considerazione il
contesto entro il quale ebbero inizio.
La serie di restrizioni economiche e politiche imposte ai danni della Striscia ebbe
inizio attorno al febbraio 2006 con la vittoria di Hamas alle elezioni legislative. Queste
misure includevano la chiusura dei valichi al confine
37
- che a volte era totale e durava per
un certo numero di giorni - per le persone, i beni ed i servizi, nonché per
l‟approvvigionamento di carburante ed elettricità. L‟embargo ebbe conseguenze negative
sulle attività commerciali, sull‟agricoltura e sull‟industria nella Striscia. A causa
dell‟occupazione israeliana, che creò molti legami di dipendenza, e per altre ragioni
geografiche, politiche e storiche, la disponibilità di beni e servizi così come la conduzione
della vita all‟interno della Striscia di Gaza iniziarono a dipendere fortemente da Israele e
dalla sua politica su quel territorio.
Prima dell‟avvio della campagna militare, il blocco causò una drastica riduzione del
numero degli autocarri a cui era consentito il passaggio attraverso i valichi al confine
38
.
Con l‟inizio dell‟operazione militare, l‟economia nella Striscia di Gaza subì una
brusca battuta d‟arresto ed il settore privato, soprattutto l‟industria manifatturiera, registrò
danni irreparabili. Il blocco israeliano sul movimento di beni, inoltre, stimolò la nascita di
un‟economia del mercato nero nella Striscia, la quale forniva beni di consumo di base, ma
che era economicamente insostenibile per la maggior parte della popolazione.
36
Si veda il Rapporto Goldstone, Seconda Parte, Cap. V.
37
I punti di passaggio tra Israele e la Striscia di Gaza sono cinque: Erez (soprattutto per il transito di persone),
Nahal Oz (per il carburante), Karni (per il grano), Kerem Shalom (per i beni) e Sufa (sempre per i beni).
38
Il numero degli autocarri che transitavano dalla Striscia di Gaza prima dell‟attuazione dell‟embargo, sia per
importare che per esportare, ammontavano a circa 12.000, mentre dopo l‟ Operazione “Piombo Fuso” il
numero scese a 2.834 solo per le importazioni, mentre non c‟erano esportazioni.
12
Il blocco includeva anche misure relative all‟accesso al mare ed allo spazio aereo: Israele
ridusse, infatti, il limite della zona in cui era consentito pescare da 20 miglia marine (così
come previsto negli Accordi di Oslo) prima a 6 e poi a 3 miglia soltanto. Fu, inoltre, chiuso
l‟unico campo d‟aviazione nella Striscia e fu sospeso il progetto di costruzione di un
piccolo aeroporto dopo l‟ascesa al potere di Hamas.
A metà dicembre 2008, dopo un‟incursione militare d‟Israele all‟interno della
Striscia di Gaza e il lancio di missili da parte di Hamas verso lo Stato ebraico, tutti i valichi
al confine furono totalmente chiusi per otto giorni. Questi ripetuti blocchi, parziali e totali,
crearono una situazione d‟emergenza che si tramutò in una vera e propria crisi umanitaria
dopo l‟Operazione “Piombo Fuso”.
La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza a seguito del blocco imposto da
Israele, a partire dal giugno 2007, è diventata una questione di rilevanza cruciale per la
comunità internazionale e, in particolare, per il Consiglio di Sicurezza, suscitando fondate e
profonde preoccupazioni. Già nelle Risoluzioni 1850 (2008) e 1860 (2009) il CDS aveva
espresso “[g]rave concern […] at the deepening humanitarian crisis in Gaza”, sottolineando
“[t]he need to ensure sustained and regular flow of goods and people through the Gaza
crossings” e auspicando “[u]nimpeded provision and distribution throughout Gaza of
humanitarian assistance, including food, fuel and medical treatment”. Più recentemente,
numerose sono state le dichiarazioni rilasciate da organismi internazionali tendenti a
riconoscere la dannosità del blocco israeliano per la vita della popolazione palestinese ivi
residente. Tra queste possiamo citare il discorso pubblico tenuto dal Comitato
Internazionale della Croce Rossa (CICR) il 14 giugno 2010, nel quale l‟impatto del blocco
è definito “devastating” per il milione e mezzo di persone residenti a Gaza, nonché le
osservazioni conclusive dell‟UNHRC del 3 settembre 2010, nelle quali l‟organo delle
Nazioni Unite ha espresso la propria preoccupazione in merito agli “[e]ffects of the
13
blockade on the civilian population in the Gaza Strip, including restrictions to their freedom
of movement, some of which led to deaths of patients in need of urgent medical care, as
well as restrictions on the access to sufficient drinking water and adeguate sanitation”.
Secondo le informazioni raccolte dall‟Uffico delle Nazioni Unite per il Coordinamento
degli Affari Umanitari (OCHA) sui territori palestinesi occupati, inoltre, il blocco ha
ulteriormente peggiorato le già presenti difficoltà per la popolazione in termini di standard
di vita, contribuendo a deteriorare i servizi pubblici, ad accrescere la povertà, l‟insicurezza
alimentare, la disoccupazione e la dipendenza da assistenza umanitaria.
Solo nel giugno del 2010 il governo israeliano ha deciso di adottare una nuova
politica verso Gaza, liberalizzando l‟accesso dei beni civili e allentando parzialmente il
blocco. Tuttavia tali misure non sembrano avere alleviato più di tanto la crisi, anche a causa
della perdurante scarsità di carburante, di elettricità e di materiali edilizi che rendono la
“ripresa” oltremodo ardua.
14
4. I FATTI SUCCESSIVI ALLA TREGUA E L’OPERAZIONE “PIOMBO FUSO”
39
Tornando nel vivo della nostra vicenda, la tregua tra Israele e Hamas entrò in vigore
il 19 giugno 2008 alle 6 del mattino, sebbene i suoi termini non furono redatti in alcun
documento scritto e, secondo recenti analisi, fossero interpretati in maniera differente dalle
autorità di Gaza e da quelle israeliane
40
. Secondo le informazioni raccolte dall‟Ufficio per
il Coordinamento degli Affari Umanitari
41
l‟accordo includeva un impegno delle autorità di
Gaza nel fermare immediatamente gli attacchi dei gruppi palestinesi contro Israele e un
impegno, da parte d‟Israele, nel cessare la propria azione armata nella Striscia di Gaza.
Secondo quanto riferito, Israele accettò anche di alleviare il blocco verso Gaza ed eliminare
gradualmente il divieto all‟importazione di una grande quantità di prodotti. Stando alle
fonti egiziane richiamate dall‟International Crisis Group, dopo tre settimane dall‟inizio
della tregua le due parti stavano per avviare dei negoziati per lo scambio di prigionieri e per
l‟apertura del valico di Rafah.
L‟accordo riguardava esclusivamente il territorio della Striscia di Gaza, ma l‟Egitto
si assunse l‟impegno di lavorare per espandere il cessate il fuoco anche alla Cisgiordania
una volta che la tregua iniziale di sei mesi fosse terminata.
Nonostante l‟accordo raggiunto, già alla fine del mese di giugno ripresero gli scontri
tra le due parti che si accusarono reciprocamente di aver violato il cessate il fuoco. Al
lancio di missili, bombe e mortai da parte dei palestinesi verso Israele
42
(le città più colpite
39
Si veda il Rapporto Goldstone, Executive Summary e Seconda parte, cap. VI.
40
Si veda International Crisis Group, “Ending the War in Gaza”, Middle East Briefing n. 25, 5 gennaio 2009,
p. 3.
41
L‟OCHA (secondo l‟acronimo inglese Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) è il braccio del
Segretariato delle Nazioni Unite che si occupa di riunire gli attori umanitari per garantire una risposta
coerente di fronte alle situazioni d‟emergenza. Il suo scopo principale è quello di mobilitare e coordinare
un‟azione umanitaria efficace insieme agli attori nazionali ed internazionali per alleviare le sofferenze umane
a seguito di catastrofi, sostenere i diritti dei bisognosi, promuovere un intervento pronto ed adeguato e
agevolare il raggiungimento di soluzioni sostenibili.
42
Secondo fonti israeliane, Hamas ha lanciato una media di 80 missili al giorno verso Israele. Si veda la
pagina Operation Cast Lead reperibile all‟indirizzo web http://www.jewishvirtuallibrary.org /jsource/Peace/
castleadtoc.html.
15
furono Sderot, Ashkelon e Beersheba), quest‟ultimo rispondeva con la chiusura dei valichi
al confine con la Striscia e con embarghi. Il 4 novembre 2008 la tregua iniziò veramente a
vacillare a seguito di un‟incursione di soldati israeliani nella Striscia di Gaza, a cui Hamas
rispose col lancio di molti missili Qassam. Gli attacchi via terra dei palestinesi e quelli
soprattutto aerei d‟Israele continuarono nel mese di dicembre, brevemente intervallati dalla
dichiarazione di un cessate il fuoco di 24 ore, su spinta egiziana, il 22 dicembre. Al
contempo Israele inasprì l‟embargo verso Gaza, permettendo l‟ingresso solo di generi
alimentari di base, carburante, mangime per animali e medicine.
Il 27 dicembre 2008 Israele iniziò la campagna militare nella Striscia di Gaza,
denominata Operazione Piombo Fuso, che si protrasse fino al 18 gennaio 2009
43
. Dal punto
di vista sostanziale, le ostilità non furono che il culmine del lungo processo d‟isolamento
economico e politico che Israele aveva imposto sulla Striscia di Gaza analizzato nel
precedente paragrafo, decritto generalmente col termine di “blocco”.
In quest‟operazione militare Israele impiegò forze aeree, terrestri e navali (quest‟ultime
usate soprattutto per bombardare le coste di Gaza durante gli scontri), mentre da parte
palestinese la condotta delle operazioni belliche è da imputare principalmente alle Brigate
di Hamas Izz Al-Din Al-Qassam, alle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, alle Brigate di Abu
Ali Mustafa e alle Brigate di Saladino.
Le forze armate israeliane iniziarono la campagna con un massiccio attacco aereo
durato una settimana, in cui colpirono tutti
44
i 603 obiettivi considerati appartenenti ad
Hamas o alla sua infrastruttura (case, centri di sicurezza e di addestramento, moschee,
istituti scolastici, industrie, ministeri e municipi). Solo durante il primo giorno dei
43
Per un‟accurata ricostruzione degli eventi bellici si veda la cronologia reperibile all‟indirizzo web
http://www.globalsecurity.org/military/world/war/operation-cast-lead-22.htm.
44
Secondo quanto riportato da un ufficiale superiore israeliano.