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Introduzione
I sistemi locali hanno svolto e svolgono tuttora un ruolo molto importante nello
sviluppo del nostro Paese: il loro contributo alle attività economiche è stimato attorno al
20-25% per quanto riguarda il prodotto interno lordo e l'occupazione, mentre la loro
quota sul totale delle esportazioni italiane è superiore al 25%.
I sistemi di sviluppo locali sono caratterizzati da una pluralità di settori e di modi
di organizzare la produzione diversi tra loro, tra i quali, i più rinomati sono i distretti
industriali che si presentano come “entità socio-territoriali caratterizzate dalla
compresenza attiva, in un‟area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente
determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di aziende industriali.
Nel distretto, a differenza di quanto accade in altri ambienti (ad esempio, la città
manifatturiera) la comunità e le imprese tendono, per così dire, ad interpretarsi a
vicenda” (Bellanca, 2004). I distretti industriali mostrano un‟identità forte, associata
alla specializzazione produttiva in un settore manifatturiero ben specifico, alla divisione
del lavoro tra le imprese operanti all‟interno della medesima area distrettuale, all'alto
grado di imprenditorialità caratterizzante l‟area nella quale operano e ad una forte
integrazione e interazione tra la vita sociale e quella economica.
Attualmente le imprese facenti parte dei distretti industriali italiani si trovano a
dover affrontare un cambiamento sostanziale dello scenario competitivo economico nel
quale sono inserite a causa del fenomeno della globalizzazione che, oltre ad avere
„dirompenti effetti economici e culturali, si riflette anche sulla natura dei beni prodotti e
consumati ed impone alle imprese che ad essa ci si debba adattare per non soccombere‟
(Federico, 2003).
Infatti, l‟entrata sulla scena economica globale, sul finire degli anni ‟80, di nuovi
importanti attori economici tra i quali anche Cina ed India, ha messo a dura prova
l‟industria manifatturiera dei Paesi “avanzati”.
La capacità delle economie emergenti di accelerare il proprio take-off è stata
favorita da numerosi fattori: dalla presenza in loco di un‟abbondante forza lavoro a
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basso costo, grazie ad un‟innata capacità di imitazione, dalla possibilità di trasferire
tecnologie, capitali, competenze tecniche e manageriali dagli stessi Paesi avanzati, a
volte grazie anche all‟aiuto volontario/involontario delle grandi multinazionali e dalla
spiccata capacità di innalzamento progressivo della qualità dei nuovi prodotti in vista
sia del mercato domestico, sia di quello mondiale.
D‟altro canto, inoltre, la stessa ondata di liberalizzazioni che ha interessato la
scena economica mondiale nello stesso decennio, ha inevitabilmente spianato la strada
per la conquista di fette di mercato sempre più consistenti da parte dei Paesi cosiddetti
emergenti, a discapito di quelle precedentemente acquisite dai Paesi sviluppati, in
maniera indiscutibile.
Tutto ciò ha indotto le imprese italiane, prevalentemente di piccole e medie
dimensioni, facenti parte di entità distrettuali consolidate, prive di una propria nicchia di
mercato ed esposte ad una concorrenza spietata, a dover affrontare pesanti costi di
riposizionamento e riconversione produttiva: ‟basti pensare ai numerosi tessili e
confezionisti di Prato e di Carpi o ai produttori di casalinghi e utensileria metallica di
Lumezzane i quali, alla domanda di protezione non hanno trovato, né gli sono state date,
delle risposte convincenti o delle alternative imprenditoriali risolutive per
un‟allocazione efficiente nel nuovo scenario economico‟ (Onida, 2004).
Si ritiene (Chiarvesio, 2003) che „una possibile soluzione possa essere cercata
mediante un‟apertura significativa dei contesti locali distrettuali, e cioè attraverso una
costante interazione fra ciò che è il contesto locale, storicamente fiorente e produttivo, e
risorse globali di imprese innovatrici‟ per poter conoscere, sfruttare, valorizzare e
rendere proprie le nuove strategie, metodologie, politiche gestionali e produttive,
avvantaggiandosene e rendendole un qualcosa di glocale. Glocale nel senso che i
vantaggi acquisiti dovrebbero avere delle sfaccettature che ricalchino sia le qualità e/o
strategie globali ma che non cozzino rispetto alla tipicità locale. Si rende necessaria una
„costante interazione e una costante conversione tra conoscenza codificata e conoscenza
contestuale‟ (Becattini, 2007).
Ciò che risulta assolutamente importante, per cercare di delineare uno scenario
internazionale accessibile ai nostri distretti, è accettare il fatto che la stessa natura del
distretto si sta progressivamente modificando passando, dalla sua specifica dinamica
orizzontale, caratterizzata da un rapporto paritetico tra le imprese cooperanti nel
distretto e promossa da un‟ampia fiducia tra le piccole e medie imprese che ne fanno
parte, ad una dinamica verticale nella quale si intuisce una maggiore gerarchizzazione
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tra gli attori partecipanti: al vertice si posizionano le aziende leader trascinatrici e
testatrici di azioni di internazionalizzazione e alla base restano le altre imprese
distrettuali che sono adagiate ad una logica economica e commerciale riassumibile nel
concetto di distretto chiuso.
Lo stesso territorio distrettuale, “storicamente” considerato come un elemento
fondamentale e centrale per l‟essenza distrettuale, entra in crisi, dividendo i teorici
distrettualisti in due direttrici contrapposte: da un lato spiccano coloro i quali
sostengono la „necessità di uno sviluppo dei distretti industriali come sistema‟ che
prevede un‟evoluzione volta a preservare la coesione sociale ed economica del territorio
rinnovando la propria competitività a partire dalla tradizione manifatturiera locale, dalla
cultura e dalle competenze specifiche del territorio di appartenenza; e dall‟altro lato
vede schierati coloro i quali tendono invece a sottolineare „il valore della discontinuità
quale via attraverso cui sviluppare nuove risorse competitive per il rinnovamento dei
distretti e dei territori‟. Il territorio, secondo questa seconda direttrice interpretativa,
passa in secondo piano rispetto al ruolo assunto dalle imprese leader in qualità di attori
fondamentali del processo di apertura delle reti distrettuali verso l‟esterno (Guelpa e
Micelli, 2007).
La letteratura economica sulla quale baserò la prima fase della mia indagine, è
quella riconducibile al filone dell‟economia dei distretti industriali. Una letteratura che
ha dovuto faticare per riuscire ad affermarsi ed essere considerata attendibile anche
dagli economisti più scettici e tradizionalisti, e questo grazie al fatto che,
agglomerazioni dalle parvenze distrettuali, già esistevano da lungo tempo, dislocate nei
luoghi più disparati del globo, ma, un solido sviluppo di sistemi locali distrettualizzati
lungo un quarto di secolo, come nel caso italiano, è parso un fenomeno di notevole
entità, al punto che, meritocraticamente, coloro i quali sostenevano già da tempo
l‟importanza delle agglomerazioni distrettuali, hanno iniziato ad apportare i propri
contributi intellettuali e teorici a riguardo. E, contrariamente a quanto si poteva pensare
in una prima fase formativa, tale letteratura ha preso via via sempre più corpo e
sostanza, riunendo attorno a se numerosi intellettuali che hanno saputo vedere e
riconoscere, nel caso dei distretti italiani, una novità assoluta nel panorama staticamente
fordista e apprezzarne i nuovi caratteri economici e sociali.
La scuola distrettualistica ha cercato di spiegare perché un‟economia
specializzata in settori non propriamente considerati, dalla gran parte degli economisti
“vecchio stampo”, quali trainanti e, soprattutto, perché un‟economia con una
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dimensione aziendale altrettanto inadeguata rispetto ai canoni fordisti di grande impresa
fortemente osteggiati, facesse registrare un livello di crescita e sviluppo superiore a
quello di economie simili per dimensione e livello di sviluppo.
„La scoperta o riscoperta del ruolo delle agglomerazioni specializzate di piccola
impresa e dell‟esistenza di “economie esterne all‟impresa ma interne al distretto” ha
consentito di spiegare il paradosso, identificando, in questo modo, uno strumento
analitico che non esisteva precedentemente o che era stato dimenticato‟ ( Signorini,
2007).
In particolare la letteratura distrettualistica che adotterò, per descrivere ciò che
rappresentano i distretti e come sono concepiti, parte dalle schematizzazioni concettuali
(Consolati, 2006, Becattini, 2001) di “atmosfera distrettuale” del distretto di
mashalliana memoria per congiungersi favorevolmente con la concettualizzazione
significativa che Becattini attribuisce, verso la fine degli anni Settanta, al sistema dei
distretti industriali.
Analizzerò successivamente, in una sorta di escursus culturale, sia quella parte di
letteratura che continua a riconoscere nel processo produttivo una sorta di processo
sociale in cui si continua a cercare di individuare una base valoriale su cui rifondare
un‟entità distrettuale solida e competitiva, sia parte di quella letteratura che tende invece
a riconoscere nella staticità descrittiva dell‟ambito distrettuale una necessità impellente
al cambiamento.
Ed è proprio sull‟auspicio al cambiamento del distretto industriale, al quale molti
studiosi si appellano, che mi concentrerò nella seconda parte, nella quale farò confluire
sia i quadri relativi allo studio dei processi e delle architetture di internazionalizzazione
dell‟impresa, che oggi costituiscono un crocevia piuttosto fertile fra teorie e approcci
disciplinari diversi, sia le rilevazioni statistiche che sveleranno, sotto forma di dati e di
relativi grafici, qual è l‟andamento del fenomeno dell‟internazionalizzazione nei
distretti industriali e quali sono i dati economici, sociali, organizzativi relativi sia ai
distretti internazionalizzati sia a quelli meno coinvolti dal fenomeno sotto indagine.
Attraverso un‟analisi scrupolosa di tali informazioni, a fine elaborato, prenderò le parti
con le dovute considerazioni, o del filone che predilige e sostiene l‟avvio di un
rinnovamento distrettuale o da quello che identifica nel mantenimento dello status quo
dell‟ambiente distrettuale, la soluzione ottimale.
Il superamento delle diverse teorizzazioni legate al fenomeno
dell‟internazionalizzazione non è stato certo un qualcosa di semplice, ma è possibile
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attestare (Sammarra, 2003) che, „superando i limiti degli studi di matrice economica
eccessivamente focalizzati sulle imperfezioni di mercato e sui vantaggi oligopolistici, i
nuovi approcci economici che hanno dibattuto sull‟intricato sfondo
dell‟internazionalizzazione, hanno saputo scartare il superfluo per far risaltare la
centralità di due importanti direttrici di ricerca ad essa connesse: la prima riguarda la
modalità di progettazione della configurazione e del coordinamento di attività su scala
internazionale, la seconda concerne la creazione e lo sviluppo di tessuti relazionali a
livello locale‟.
I nuovi approcci sulle strategie di internazionalizzazione enfatizzano da un lato il
nesso che esiste fra lo sviluppo di relazioni interne (fra le unità dell‟impresa
internazionalizzata) e quello di relazioni esterne (con gli attori locali) e dall‟altro la
ricerca e l‟acquisizione di competenze distintive, che tendono a rendere l‟impresa, nel
nostro caso i distretti, assolutamente non imitabili dai concorrenti, sia per quanto
riguarda la disponibilità delle risorse sia per quanto riguarda le competenze acquisite e
in fase di acquisizione. Ed è su queste due direttrici di discussione principali che
cercherò di impostare la letteratura di riferimento per la mia ricerca.
Ciò che risulterà fondamentale sarà capire, dopo aver analizzato le supposizioni
teoriche sull‟internazionalizzazione, quali possono essere le diverse modalità d‟entrata
economica in un Paese che non è quello d‟origine ed evidenziare come i fattori che la
regolano, ovvero come il grado di coinvolgimento strategico ed economico dell‟impresa
nel mercato estero e come il grado di controllo dello stesso mercato estero, né
condizionino la scelta.
Parlare di internazionalizzazione di un sistema economico, sia esso nazionale o
locale, può voler dire sia concentrarci su un „aspetto prettamente commerciale,
determinato dal grado e dalle caratteristiche della propensione a scambiare con l‟estero
merci e servizi‟, sia concentrarci sul „aspetto produttivo, determinato dal grado e dalle
caratteristiche della propensione a scambiare con l‟estero investimenti diretti‟ (Il Sole
24 Ore, 2007) .
Il progetto di ricerca includerà, inoltre, una terza fase nella quale mi porrò
l‟obiettivo di esaminare, in qualità di caso di studio, il distretto industriale del tessile
abbigliamento di Carpi. In questa fase di ricerca cercherò, a partire da alcune
considerazioni preliminari riguardanti il periodo di “crisi quasi irreversibile che ha
caratterizzato il panorama economico del distretto a partire dai primissimi anni
Novanta” (Bigarelli, Solinas, 2003), di capire quali sono state le diverse strade
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intraprese o che ancora devono essere intraprese dal distretto nel tentativo di riacquisire
una collocazione di spicco nel mercato nel quale opera, in un‟epoca in cui la
globalizzazione e l‟ingresso nel mercato di una marcata concorrenza dei new comers, ha
imposto alle imprese operanti nell‟area distrettuale carpigiana, oggetto di analisi un
sostanziale adattamento ai nuovi ritmi globali e sempre più internazionalizzati.
Valuterò in maniera dettagliata e precisa come le stesse unità imprenditoriali che
costituiscono il distretto stanno reagendo alle sfide esterne, focalizzandomi
concretamente sulle singole strategie gestionali e organizzative messe in atto sia dalle
imprese finali e sia da quelle di subfornitura, e quali sono stati i risultati fino ad ora
ottenuti, sebbene consapevole del fatto che una valutazione numerica non sarà
assolutamente né facile né banale data la vastità dei parametri di riferimento presenti e
date le molteplici evoluzioni registrate nell‟arco temporale analizzato.
Tale vastità di dinamiche è legata soprattutto al fatto che il distretto è stato
oggetto di numerose congiunture economiche esterne che, abbattendosi su di esso,
inevitabilmente, in corso d‟opera, né hanno modificato le strategie produttive, gestionali
ed imprenditoriali, e hanno fatto sì che tali destabilizzazioni si ripercuotessero,
positivamente o negativamente, sullo scenario dello sviluppo locale carpigiano.
Imposterò le mie ricerche su fonti statistiche accreditate che, a parte quelle
relative all‟Osservatorio del tessile abbigliamento del distretto di Carpi, sono di libero
accesso e consistono in quelle proposte dall‟Istituto per il Commercio Estero, dall‟Istat,
dall‟Eurostat, dal sito internet dei Distretti Industriali e in quelle fornite
dall‟Osservatorio TeDis che, in collaborazione con il centro studi di Intesa Sanpaolo, ha
svolto uno studio su quasi seicentocinquanta imprese appartenenti ai principali
quarantuno distretti italiani specializzati in produzioni tipiche e facilmente associabili a
quelle del Made in Italy.
Legherò la mia analisi con un filo che tenterà costantemente di comparare,
verificare e analizzare come il concetto di internazionalizzazione, intesa come una delle
risposte più efficaci ai nuovi scenari economici mondiali, si leghi e si relazioni alla
realtà delle piccole e medie imprese distrettuali oggi.
In particolare, grazie ad un‟analisi approfondita delle dinamiche di uno dei
distretti industriali più conosciuti del nostro Paese, tenterò di mettere in risalto quali
sono state le strategie che, sull‟onda delle teorizzazioni espresse nelle prime due parti,
evidenziano la possibilità e la concretezza delle teorie distrettuali, la veridicità delle
teorie legate ai necessari sviluppi internazionali della produzione e della
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commercializzazione, e la capacità di un sistema locale di sviluppo, quale il distretto
industriale del tessile abbigliamento di Carpi, di essere in grado di adattare la propria
evoluzione economica in base alle esigenze che vengono imposte da delle congiunture
esterne per poi rivelarsi proficue e adeguate per continuare lungo la scia di un trend
produttivo estremamente positivo e attuale.
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CAPITOLO 1
1.1 Vari sentieri verso lo sviluppo economico dei sistemi locali
Lo sviluppo economico, inteso come insieme di variazioni nel prodotto e nella
produttività a seguito di modificazioni negli elementi costitutivi dell‟economia e della
società, è un fenomeno territorialmente complesso ed articolato e la sua comprensione
non può prescindere da questa articolazione (Becattini, 2001). Questo non solo perché
la sua origine è da ricercarsi nell‟indole locale che lo qualifica collocandolo in uno
spazio ben preciso, ma perché la sua espansione segue delle direttrici territoriali le cui
logiche non sono riconducibili a presunte omogeneità e/o aggregazioni politiche definite
da terzi. La valorizzazione economica delle risorse, delimitabile come sistema locale, si
concretizza mediante un‟interdipendenza fra imprese.
I sistemi di sviluppo locali, in quanto forme organizzative del processo
produttivo, e cioè in quanto realtà locali che vengono identificate a partire
dall‟ispessimento duraturo delle esperienze quotidiane di vita e di lavoro di un gruppo
umano residente, possono assumere diverse connotazioni a seconda di come talune
variabili caratterizzanti, quali le dimensioni delle imprese che ne fanno parte, i tipi di
relazioni che le imprese dimostrano in grado di instaurare tra di esse, la specializzazione
merceologica alla quale si dedicano, e altre, si combinano al suo interno. L‟affermarsi di
uno specifico sistema di sviluppo locale rispetto ad altri è dovuto alla maggiore
flessibilità, riscontrabile nel sistema prescelto, nel conciliare le esigenze economiche
interne ed esterne al sistema con le risorse locali interagenti. L‟elemento comune
fondamentale è che tutti i sistemi locali, intesi come luoghi in cui siamo abituati a
discernere lo svolgersi di una qualche logica di sviluppo locale, impiantano dei
meccanismi di formazione, trasmissione della conoscenza e di riduzione dei costi di
transazione imperniati su rapporti che non sono solo di mercato, ma che possono anche
dimostrarsi in grado di amalgamare le economie di produzione con le economie
caratterizzate da reti fiduciarie derivanti dalla concentrazione territoriale esistente.
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Tra i sistemi di sviluppo locale si possono instaurare diversi rapporti di
complementarietà che portano alla loro integrazione in sistemi d‟ordine superiore, cioè
in “specifiche configurazioni territoriali e di sistemi locali riconoscibili come situazioni
alternative di sviluppo” (Bellandi, Sforzi, 2001). Un primo rapporto può essere
decentrato e spontaneo, anche se non solo di mercato, e può portare ad un‟integrazione
“naturale”, principalmente produttiva, fondata sulle dotazioni di fattori e su
specializzazioni produttive particolari. La sua intensità sarà direttamente proporzionale
all‟espansione sui mercati, al progresso tecnologico in generale, al miglioramento dei
sistemi di trasporto e di comunicazione, all‟incremento della specializzazione del lavoro
e all‟allentamento delle barriere politiche ed economiche. Lo spontaneo ed organico
stabilirsi di relazioni di funzionalità reciproca tra un gruppo di sistemi di sviluppo
locale, dà luogo ad una regione economicamente e socialmente omogenea connotata
dalla somiglianza nella dotazione dei fattori; in altre parole possiamo dire che dà luogo
ad una “nazione economica”. Per Alfred Marshall il concetto di nazione economica
indica un insieme di località caratterizzate da libera circolazione di idee, uomini e
capitali, da elevato senso di appartenenza locale, da scarso desiderio di emigrare, da
prevalente origine endogena del capitale industriale, da prevalente origine endogena del
reddito. La nazione economica è dunque una regione che si definisce rispetto alle altre,
essenzialmente, per la somiglianza e per la condivisione della dotazione di fattori.
Questo primo rapporto di complementarietà spontanea e decentrata, interagisce
con un secondo rapporto, di derivazione politica e amministrativa, dovuto
all‟appartenenza dei sistemi locali alla realtà statale. Questa appartenenza può provocare
diverse conseguenze.
Nel caso più favorevole, l‟integrazione politica e amministrativa, può
sovrapporsi ad una nazione economica già formata o aggregare più nazioni economiche,
favorendo la successiva confluenza spontanea verso uno status che non sarebbe sorto
naturalmente ma ha necessitato di un aiuto esterno.
Può tuttavia verificarsi l‟eventualità che la realtà statuale, creando barriere ed
incentivi di carattere amministrativo, conduca, invece, alla formazione di aggregazioni
fra sistemi locali e fra nazioni economiche diverse da quelle che invece si sarebbero
potute aggregare in una più spontanea complementarietà economica. L‟integrazione
produttiva sarà allora più artificiosa e lo stesso processo di sovrapposizione tra realtà
economica e realtà politica, non essendo il risultato di valutazioni dirette ed immediate
dei costi e benefici da parte degli attori locali interessati, abbisognerà di un apparato