Introduzione
Questa ricerca si inserisce nell'ambito degli studi sulla costruzione delle identità nazionali e
delle modalità con le quali esse sono percepite sia a livello culturale che emotivo dalle
popolazioni.
In particolare si propone di studiare tali tematiche nel contesto di Cuba, analizzando
specificatamente il ruolo che oggi riveste nell'identità nazionale cubana José Martí, figura
centrale nella storia dell'isola, che alla fine del diciannovesimo secolo si pose alla guida del
movimento indipendentista che portò alla liberazione dalla Spagna.
La metodologia usata si basa sull'importanza che per lo studio di tali tematiche riveste ciò che
Barth ha chiamato “self-ascription”, “autoattribuzione” identitaria, dando quindi grande
rilevanza euristica alle teorie che i membri di una stessa comunità, in questo caso nazionale,
sviluppano sulle caratteristiche fondanti la propria identità collettiva (Barth, 1996 (1969)).
L'autoattribuzione identitaria verrà presa in analisi sia come fatto culturale di consapevolezza
razionale, sia come insieme di sentimenti ed emozioni della popolazione di cui è fatta la
nazione.
Va a g g i u n t o p e r ò c h e , p u r r i c o n o s c e n d o l ' e s s e n z i a l ità della percezione che ha di sé la
comunità che costituisce l'oggetto della nostra ricerca, crediamo anche che lo studio di tale
percezione sia doverosamente da affiancare a un’attenta analisi del contesto e della storia in
cui essa nasce e si rafforza. Analizzare come vera la verità emica, ma con un occhio sempre
alla ricerca di una sua conferma o eventuale smentita nella storia, e così nella storia capire chi
tale verità ha enunciato, quando, come e perché.
Per il concetto di nazione facciamo nostra la definizione di Anderson: una comunità politica
immaginata come limitata e sovrana, dove con “immaginata” non s'intende necessariamente
inventata, bensì composta da individui che, pur non conoscendosi, si avvertono relazionati da
un comune senso di appartenenza (Anderson, 1996:25).
Il nazionalismo verrà analizzato come il discorso politico-culturale sulla base del quale si
sviluppa quel senso di appartenenza alla nazione, e come risultato del rapporto tra il discorso
ufficiale sulla nazione e le modalità con cui le masse lo recepiscono e metabolizzano. La
ricezione delle idee nazionaliste è infatti un'azione attiva delle masse e l'accettazione o il
rifiuto dei nazionalismi dipende dalla capacità di questi ultimi di rispondere alla aspettative
create dai miti di fondazione, dai vincoli e dalle tradizioni già presenti nella vita quotidiana
della gente.
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Sul ruolo attivo delle masse nella ricezione delle idee nazionaliste si veda Smith, 2000.
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Com'è noto, dal 1959 Cuba è guidata da un governo rivoluzionario, discendente di quel
movimento che, organizzato da Fidel Castro, attraverso una lotta armata pose fine alla
dittatura di Fulgencio Batista.
Fin dalla sua nascita nei primissimi anni Cinquanta, il movimento di Castro dichiarava di
avere tra i suoi obiettivi quello di “onorare con sacrificio e trionfo il sogno irrealizzato di
Martí” e di avviare una nuova rivoluzione, fondata sulle radici del sentimento nazionale
cubano e sulle elaborazioni dei suoi maggiori esponenti
(Bohemia, 27.7.1962). In seguito,
davanti al tribunale che lo giudicava per l'azione armata a Santiago, Castro avrebbe indicato
nello stesso Martí l'“autore intellettuale” dell'assalto (Castro, 1983: 40).
Come sottolinea Hobsbawm, anche i movimenti rivoluzionari, per definizione momenti di
rottura con il passato, hanno un proprio passato da difendere; nella loro dinamica puntellano
le innovazioni facendo riferimento al passato del popolo, alle tradizioni rivoluzionarie, ai loro
eroi e martiri (Hobsbawm, 2002: 4).
Anche la rivoluzione cubana ha un suo passato da difendere. Un passato che legittima se
stessa e il governo che ne scaturisce. Sintomatico che questo governo venga ufficialmente
quanto colloquialmente definito la “Rivoluzione”, sottolineando così l'identificazione con
ogni possibile connotazione che il lessico comprende, dalla puntualizzazione storica del suo
avvento, alla continuità della sua azione riformatrice.
Così, a due anni dalla vittoria, nel 1961, Castro, annunciando il carattere socialista della
rivoluzione, di fatto ne apre una nuova all'interno della stessa.
Nata da una rottura con tutto ciò che la precede, la Rivoluzione deve costruire il suo discorso
sulla nazione ridefinendola, ovvero stabilendone e calibrandone le caratteristiche identitarie
che la legittimano, insieme al sentimento nazionale che accomuna governanti e governati.
La definizione “rivoluzionaria” di nazione è data da Castro già nel 1953, nel suo discorso di
autodifesa, dove dichiara che il popolo che rappresenta non è quello dei “benestanti e
conservatori... coloro ai quali sta bene qualsiasi regime di oppressione... e che si prostrano di
fronte al padrone di turno”, ma quello mosso “da ansie ancestrali di giustizia... che anela a
grandi e sagge trasformazioni in tutti i campi e che, per ottenerle, è disposto a donare fino
all'ultima goccia di sangue” (Castro, 1983: 31).
La nazione della quale Castro dichiara di porsi alla guida è dunque una comunità di individui
legati da un comune senso della giustizia e da uno spirito di ribellione contro tutto ciò che la
mette in pericolo. Un popolo unito, che non accetta compromessi, realmente indipendente, un
popolo “che anela a grandi e sagge trasformazioni in tutti i campi”, un popolo rivoluzionario,
dunque.
Come vedremo, le caratteristiche che il nuovo governo individua come specifiche del popolo
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e rintracciabili nella sua storia, sono lo spirito di ribellione, l'intransigenza rivoluzionaria, il
patriottismo e l'internazionalismo.
La Rivoluzione formula dunque il discorso sulla nazione ridefinendone la storia, così da
risultare l'espressione del sentimento nazionale, la sua manifestazione nel presente. Essa si
inserisce in un continuum di cui evidenzia le tappe attraverso le quali si è manifestata la
cubanità che rappresenta; queste sono individuate nelle guerre d'indipendenza, intese come
un'unica lotta per la libertà durata quasi cento anni, che la Rivoluzione porta a compimento,
mettendo fine alla dittatura di Batista e all'ingerenza degli Stati Uniti sull'isola.
“A Cuba c'è stata solo una rivoluzione: quella cui dette inizio Carlos Manuel de Céspedes il 10
Ottobre del 1868 e che il nostro popolo sta portando avanti in questo stesso istante” (Castro, 1980:47
(1968)).
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Durante le guerre d'indipendenza il discorso sulla nazione era stato costruito nella
differenziazione con la madrepatria, marcando la distinzione tra nazione (cubana) e stato
(spagnolo). Si identificava cioè il soggetto nazionale con un “noi” individuato nella
contrapposizione con i rappresentanti della madrepatria accentratrice e soffocante.
A indipendenza ottenuta, quando Stato e Nazione coincidono nella Repubblica, l'enfasi si
sposta sulla costruzione dell'identità nazionale: comincia quel complesso processo che
Hobsbawm ha chiamato “invenzione della tradizione”, ovvero la configurazione di un passato
fondante, nel nostro caso basato sull'esaltazione di episodi scelti principalmente nella storia
delle guerre d'indipendenza.
Il progetto repubblicano viene così edificato sul culto degli eroi, trasformati in simboli dello
“spirito nazionale”.
Fin dall'inizio del ventesimo secolo José Martí presiede simbolicamente il dibattito sulla
nazione divenendo l'emblema della cubanità in nome dell'unità nazionale della nuova realtà
politica. Da allora in poi agire nel nome di Martí, significherà agire nel nome del popolo
cubano e i dibattiti politici più importanti nella Cuba indipendente saranno sempre
accompagnati da una corrispondente battaglia per l'appropriazione e l'interpretazione del
legato martiano: immediatamente dopo la sua morte, egli diverrà la “pietra fondante del
dibattito sulla nazione”(Iglesias Utset, 1998: 202).
Anche il movimento rivoluzionario guidato da Castro si erige a legittimo depositario
dell’eredità di Martí e fedele seguace della sua dottrina, sostenendo come la repubblica nata
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Le guerre d'indipendenza furono due: la prima avviata da Céspedes nel 1868 e terminata nel 1878 con il Patto
di Zanjón, che non sancì né l'indipendenza, né la fine della schiavitù (Guerra dei Dieci Anni); la seconda,
organizzata da Martí (1895-1898) terminò con la resa anticipata della Spagna dovuta all'intervento degli Stati
Uniti nel conflitto.
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nel 1902 non fosse l'espressione della volontà della nazione cubana in quanto non libera,
soggetta com'era a un nuovo colonialismo imposto dalla dipendenza economica dell'isola
dagli USA.
Con questa ricerca ci proponiamo di comprendere, prima di tutto, cosa significhi far appello a
José Martí nella Cuba contemporanea, ovvero di quale contenuto simbolico venga investito
l'Eroe Nazionale per legittimare il discorso “rivoluzionario” sull'identità cubana; quale sia,
insomma, il Martí della Rivoluzione.
L'intera opera di Martí, nel nuovo contesto, viene riletta e interpretata sottolineandone quegli
aspetti che meglio si addicono ad essere presentati come origine esplicativa e legittimativa
della politica rivoluzionaria.
Ci proponiamo poi di analizzare come il discorso ufficiale su José Martí sia rielaborato nella
politica educativa vigente e trasmesso alla popolazione attraverso l'istituzione scolastica.
L'istruzione occupa infatti un ruolo primario nel pensiero politico rivoluzionario: nel
“Programa del Moncada”, una sorta di progetto governativo illustrato da Castro già nel 1953,
uno degli obiettivi principali era quello di riformare integralmente il sistema scolastico.
“L'istruzione di un uomo è di gran lunga il suo più prezioso investimento e, in effetti, gli
conferisce la sua identità. L'uomo moderno non è leale a un monarca, a un paese o a una fede,
checché se ne dica, ma a una cultura” (Gellner, 1997 : 41).
Fatta nostra l'acquisizione di Gellner in cui si evidenzia lo stretto rapporto di funzionalità tra
istruzione universale e centralizzata e società moderna, istituzione scolastica e istruzione ci
interessano rispettivamente come luogo e veicolo atti alla trasmissione non solo di sapere, ma
anche di ideologia.
Il significato che qui si dà al termine “ideologia” aderisce alla definizione neutra e
classificatoria di “organizzazione concettuale di un certo numero di fini collettivi riconosciuti
come desiderabili” (Meynaud, 1964: 12). La “desiderabilità” di tali fini viene trasmessa dalla
Rivoluzione anche attraverso la scuola, dove, con un lavoro politico-ideologico preciso ed
intenso, si insegna ai giovani studenti come essere buoni rivoluzionari e come coltivare quello
spirito di lealtà verso la Rivoluzione che ne assicura la continuità.
Ciò che ci proponiamo di comprendere è quale ruolo svolga Martí nell'educazione del “buon
rivoluzionario”.
Il terzo obiettivo della ricerca è quello di capire se e come la figura di Martí influisca nella
coscienza collettiva del popolo cubano e nella sua consapevolezza identitaria nazionale, nella
particolarità di un campione della popolazione giovanile.
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Sulla base di questi obiettivi, la ricerca è articolata in tre capitoli.
Il primo è dedicato alla presentazione di José Martí: ricostruendo i passaggi salienti della sua
vita si è cercato di tracciarne il percorso intellettuale e delinearne la formazione politica con lo
scopo di fornire un contesto storico-culturale alla nascita e allo sviluppo di quegli aspetti del
suo pensiero politico che la Rivoluzione considera più significativi e fa propri adeguandoli al
presente.
Il rischio che si corre è certo quello di assumere, anche inconsapevolmente, un'interpretazione
in chiave “rivoluzionaria” del suo pensiero: per evitarlo si è sempre cercato il riferimento al
testo originale martiano, corredandolo con un repertorio interpretativo sufficientemente
variegato.
Il secondo capitolo è dedicato alla ricostruzione dell'uso politico di Martí nella storia di Cuba
dalla costituzione della Repubblica (1902) ai giorni nostri. Come già accennato, Martí
cominciò allora ad essere citato nel dibattito politico, spesso e precocemente utilizzato per
legittimare o combattere i governi in carica.
Enfasi particolare si è data al ruolo esercitato dalla Rivoluzione per sottolinearne ciò in cui si
differenzia rispetto ai discorsi su Martí che la precedono, ricostruendo nel contempo quelle
interpretazioni che essa eredita dal passato.
Il capitolo risulta così diviso in tre parti: nella prima si ricostruisce il processo attraverso cui
nacque la fama di Martí e si analizza l'uso politico che di tale fama viene fatto prima della
Rivoluzione; nella seconda si analizza dettagliatamente il ruolo svolto da Martí nella politica
“rivoluzionaria” dai primi anni Cinquanta alla fine degli Ottanta; nella terza si enunciano
infine le tendenze principali dell'uso di Martí nel nuovo contesto socio-politico venutosi a
creare a Cuba dopo la caduta del Muro di Berlino. Inoltre si descrive sinteticamente come
all'estero, e in particolare negli USA, l'opposizione anti-castrista abbia costruito anch'essa un
suo discorso su Martí da contrapporre a quello “rivoluzionario”; succintamente si tracciano le
tendenze principali degli studi apparsi negli Stati Uniti tra i primi anni Sessanta e la fine degli
anni Ottanta.
Nel terzo capitolo si descrive il ruolo che Martí svolge nell'istituzione scolastica cubana, in
particolare nella scuola elementare. Da una parte si analizza il rapporto che si instaura
nell'educazione primaria tra Martí quale simbolo dello spirito rivoluzionario della nazione e la
formazione politico-ideologica riservata ai giovani studenti, di cui l'istituzione scolastica si fa
garante; dall'altra si evidenzia l'interpretazione che gli insegnanti danno al suddetto rapporto.
Ricostruite le tappe principali dell'azione riformatrice della Rivoluzione nel campo
dell'educazione, si evidenzia il ruolo assegnato al lascito martiano nella formazione dei
giovani rivoluzionari nella scuola elementare, indicandone le materie scolastiche in cui questo
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lascito viene utilizzato con maggior frequenza, e analizzandone ruolo e compito nella
trasmissione di quegli ideali e di quei valori che la Rivoluzione ha assunto come propri.
Infine si analizza cosa significhi essere rivoluzionario nella concezione dei maestri e quale
sia, nella loro interpretazione, il ruolo e l'importanza di Martí nel percorso di formazione che
essi tracciano per gli studenti; quale sia, dal loro punto di vista, il rapporto tra Martí e la
Rivoluzione: dove riconoscano l'attualità del pensiero martiano e che strumenti usino per
trasmetterla.
I risultati dello studio sono il frutto di una ricerca sul campo della durata di sei mesi, trascorsi
a La Habana tra aprile e ottobre del 2003. Durante tale periodo si sono raccolte le fonti
bibliografiche e documentarie utili al lavoro e parallelamente si sono effettuate interviste a
maestri elementari che fossero allo stesso tempo studenti universitari; questo perché come
insegnanti potessero descrivere il processo di inculturazione che essi stessi attivano nella
prima tappa del percorso formativo istituzionale – la scuola elementare -, e come studenti
dell'ultima tappa, l'Università, potessero descrivere la personale ricezione ed elaborazione dei
valori e dei modelli culturali ad essi trasmessi. Gli intervistati avevano allora un'età compresa
tra i 18 e 21 anni.
Al momento della scelta del tema della ricerca e del campione della popolazione su cui
studiarlo, non era possibile prevedere le difficoltà incontrate sul campo.
Il progetto iniziale prevedeva infatti la presenza ad alcune lezioni nelle scuole elementari e a
quelle relative a Martí dei corsi di formazione per i maestri. Per far questo era necessaria
un'autorizzazione.
Alla necessaria autorizzazione avrebbe dovuto provvedere l'istituzione di riferimento, ovvero
il “Centro de Estudios Martianos”, in quanto garante della presenza a Cuba della scrivente,
insieme all'assistenza pertinente. Ciò non è avvenuto a causa della volontà del CEM a
mantenere le distanze da questa ricerca.
Solo grazie a contatti personali è stato possibile ottenere un'autorizzazione telefonica del
Segretario del Ministro dell'Educazione a svolgere le interviste e a seguire le lezioni su Martí
presso la Facoltà di Educazione Primaria dell’ “Istituto Superiore Pedagogico ‘Enrique José
Va r o n a ’ ” .
Tale autorizzazione non è mai stata formalizzata per iscritto; resta l'impressione che neppure il
Ministro volesse assumersi la responsabilità di avallare formalmente questa ricerca.
Di fatto l'ingresso nelle scuole elementari si è rivelato tanto complesso da dovervi rinunciare.
Parlare di Martí e di identità nazionale è di per sé complicato nella realtà cubana, dove egli
riveste ruoli molto importanti nella formazione identitaria rivoluzionaria; farlo con i giovani,
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e con giovani maestri elementari, che costituiscono una finestra da cui indirettamente
osservare la formazione di tale coscienza nell'infanzia, complica ulteriormente le cose.
Bambini e giovani costituiscono il futuro della Rivoluzione e, in quanto tali, sono
istituzionalmente protetti da qualsiasi influenza esterna che potrebbe rivelarsi negativa per la
loro formazione. A questo si aggiunga che Martí costituisce oggi uno dei campi principali
della battaglia politico-ideologica tra castrismo e anticastrismo.
In tale ottica, alla ricerca veniva dato un valore politico: non solo dalle figure istituzionali
scelte come riferimento, ma anche, più o meno consapevolmente, dai maestri intervistati.
Nonostante il continuo tentativo di far capire all'interlocutore che l'interesse stava nella sua
personale interpretazione del rapporto tra Martí e la propria identità di cubano, raramente essa
si discostava dal dettato rivoluzionario. Solo in pochi casi gli interlocutori hanno accennato
ad una riflessione critica e personale sul tema.
All'inizio si poteva pensare che ciò fosse dovuto esclusivamente a una diffidenza verso
l'intervistatrice straniera che faceva domande su tematiche facilmente “politicizzabili”; col
passare del tempo è risultato chiaro che il cliché che continuamente veniva proposto, quasi
imparato a memoria, era l'unica visione che essi potevano offrire di Martí. Quella appresa a
scuola, cioè acquisita e metabolizzata con gli anni: tale lettura monolitica è tanto pervasiva in
Cuba, che ha più volte rischiato di contagiare anche chi scrive, sia durante la ricerca sul
campo che nella stesura del lavoro.
Per prenderne le distanze non è bastato posticipare nel tempo l'analisi delle interviste e del
materiale raccolto; è stato necessario ricordare continuamente come esistano altre
interpretazioni di Martí, negate a Cuba.
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