le parole della professoressa suonavano come: "La figura di
Simone de Beauvoir assume un contorno ben definito e sensato
solo se messa in relazione a Sartre". In realtà, questa è una
mezza verità; l'altra metà sta nel "viceversa". Ricordo però
distintamente che, quando affrontammo Sartre, nessuno ci disse:
"E' stato l'amante di Simone de Beauvoir per tantissimi anni!". E
poi quella parola, "amante"...; avevo la sensazione di essere in
procinto di affrontare una di quelle eroine dei romanzi di
appendice.
Il mio atteggiamento mentale nei confronti di Simone de
Beauvoir iniziava dunque con un pregiuzio.
Leggemmo in classe due brani ridottissimi de La force des
choses e Le dexieme sexe. Terminata la lettura, ho ancora ben
presente quale fosse il mio stato d'animo: era di stupore; solo
quella mattina scoprii la filosofia. Platone e, a secoli di distanza,
Husserl dissero che lo stupore è l'atteggiamento che meglio si
addice alla filosofia, in quanto esso "spoglia" e "denuda" il
mondo che ci circonda di quei significati che gli si attribuiscono
comunemente, scoprendo una realtà nascosta e invisibile a occhi
addormentati. Pur avendo affrontato per tre anni la storia della
filosofia, solo al termine del percorso provai quella sensazione
di stupore, e la provai per aver scoperto che anche le donne
facevano filosofia. Il mio atteggiamento nei confronti di Simone
de Beauvoir cambiò immediatamente. Quella sorta di giudizio
svalutativo che aveva scatenato in me il sapere del suo rapporto
con Sartre si trasformò in ammirazione; vidi in lei un'autorità
femminile, un coraggio significativo. A diciotto anni
incominciai così a spostare la mia attenzione verso un ordine
simbolico sino ad allora per me sconosciuto; fu proprio Simone
de Beauvoir a farmene avere per la prima volta sentore.
Trovavo il suo linguaggio ostico: "en-soi", "pour-soi", "pour-
autrui"...; questo bastava, per me, a fare di lei una grande
filosofa. Tra noi studenti serpeggiava infatti l'idea di storta che
più un concetto filosofico era detto in modo astruso, più il
filosofo che l'aveva partorito era un grande filosofo. (Heidegger
fu per noi un gigante!). Talete di Mileto ci appariva ridicolo al
confronto di Aristotele o di Kant. Questa idea, che poggiava su
basi alquanto fragili, era discutibile tanto quanto il pensiero che
solo gli uomini potessero concepire architetture teoretiche; ma,
d'altronde, fino a quel momento avevamo incontrato solo dei
filosofi.
Il mio manuale del liceo di storia della filosofia non accennava
minimamente a una qualunque presenza femminile di rilievo.
Solo la figura di Saffo, ricordo, veniva citata, non certo, però
come facente parte dell'universo filosofico dell'antica Grecia, ma
come poetessa, tra l'altro dai costumi sessuali discutibili.
L'omosessualità maschile praticata nell'antichità ci venne
presentata come un metodo pedagogico in uso tra il maestro e
l'allievo, mentre l'omosessualità femminile non mi sembrò
marcata di un così alto scopo educativo. Questo è solo un
esempio di come l'universo femminile ci veniva mostrato.
Nessuna delle mie professoresse mise in discussione uno stato di
cose che a tutti (studentesse e studenti) appariva del tutto
"naturale" e immutabile. Fu Simone de Beauvoir a risvegliare in
me l'interrogazione circa il mio essere-nel-mondo come donna.
Fino ad allora non mi ero mai posta una domanda del genere.
Questo è il motivo per il quale ho scelto di dedicare la mia tesi
di laurea a Simone de Beauvoir .
Simone de Beauvoir è riconosciuta dalla critica come una delle
portavoci più autorevoli del "femminismo dell'uguaglianza".
La mia tesi non mette in discussione questo dato di fatto, anzi, a
tratti lo sottolinea, ma esplora anche la possibilità che sia
presente nel pensiero dell'autrice francese la categoria di
differenza sessuale.
Il pensiero della differenza femminile è, in Simone de Beauvoir,
allo stato embrionale: ha trovato terreno fertile, ma non si è
sviluppato del tutto. Trovo ragione di questa "mancata
espressione" nel fatto che alla De . Beauvoir si è presentata
innanzitutto la priorità di lottare per una parità tra la donna e
l'uomo in campo sociale e giuridico.
Ciò che è assente in Simone de Beauvoir non è, dunque, la
consapevolezza della differenza tra la donna e l'uomo: ma non
sempre tale differenza è da lei adeguatamente tematizzata. Io ho
soltanto cercato di dare maggiore risalto a ciò che era rimasto
allo stadio embrionale.
Il taglio della tesi, indirizzato alla ricerca di tracce della
categoria di differenza sessuale nel pensiero della De Beauvoir,
ha determinato la scelta degli argomenti: fra questi, i più
significativi si sono rivelati il rapporto tra Simone de Beauvoir e
la madre, le considerazioni circa la radice maschile del potere, la
caratterizzazione femminile dell'alterità. Il tentativo è stato
quello di applicare al pensiero della De Beauvoir alcune delle
"categorie" del pensiero della differenza.
Inoltre, ho ritenuto importante e opportuno dare spazio al
rapporto intellettuale e privato tra Simone de Beauvoir e Jean-
Paul Sartre. L'aspetto che ho trovato più interessante da
analizzare, nel rapporto tra i due autori, e che mi ha dato la
possibilità di restare fedele al taglio della mia tesi, è stato il
chiedermi come la persona e il pensiero della De Beauvoir
abbiano influenzato la persona e il pensiero di Sartre. Il loro
rapporto mi ha permesso di dimostrare come la differenza
sessuale possa influire sulla costruzione di architetture
teoretiche. Le biografie del filosofo esistenzialista francese non
accennano mai all'importanza intellettuale che Simone de
Beauvoir ha avuto rispetto a lui: in genere, si fa riferimento alla
loro relazione nella vita privata, ma non all'influenza che la De
Beauvoir può aver avuto su Sartre sul piano intellettuale.
E' invece proprio quest'ultimo aspetto che è stato messo al
centro del mio lavoro di tesi.
JEAN-P AUL SARTRE E SIMONE DE BEAUVOIR:
TRATTI BIOGRAFICI
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è stato un filosofo e uno scrittore;
egli si è espresso attraverso varie e diverse forme: la letteratura,
la filosofia, le pièces teatrali e la musica (fu un ottimo pianista e
compositore).
Questa molteplicità di interessi rende ancora più difficile da
definire e da delineare in modo univoco la sua crescita culturale
e intellettuale: egli attraversa la fenomenologia, l'esistenzialismo
e il marxismo, sino alla sua aderenza al "gauchismo". E' inutile,
quindi, cercare una sola definizione per Sartre. Non è solo un
filosofo, non è solo un romanziere, non è solo un "maitre à
penser". E' tutto questo e altro ancora.
Nasce a Parigi nel 1905 e compie i suoi studi all'Ecole normale
superieure, dove incontra e stringe amicizia con Maurice
Merleau-Ponty (con il quale fonda la rivista «Les temps
modernes», nel 1954), Albert Camus e Simone de Beauvoir .
Successivamente, Sartre studia in Germania, dove entra in
contatto con la fenomenologia di Edmund Husserl e con
l'esistenzialismo di Martin Heidegger .
Dopo essere stato fatto prigioniero durante la seconda guerra
mondiale e aver in seguito partecipato alla resistenza, negli anni
del dopoguerra si avvicina al marxismo. Abbandona la carriera
di insegnante universitario, per dedicarsi alle sue due grandi
passioni: la filosofia e la letteratura (che esplora in molte sue
forme: il romanzo, l'autobiografia e il testo teatrale ).
Nel 1968 rifiuta il premio Nobel per la letteratura, per rendere
chiara la sua posizione critica nei confronti della cultura
ufficiale e accademica.
Anche se Sartre aveva sempre tentato di evitare tutto ciò che
fosse "etichetta", "definizione", e forse è proprio per questo che
si cimenta con diversi stili e esplora spazi differenti, verrà
riconosciuto come il padre dell'Esistenzialismo francese,
corrente filosofica di cui, in Francia, egli è protagonista e
portavoce indiscusso.
Simone de Beauvoir (1908-1986) nata e cresciuta a Parigi, dove
si laurea in filosofia, occupa un posto particolare nel contesto
letterario degli anni che seguono la Liberazione.
La sua fu una vita ricca, piena di avvenimenti da ricordare, di
pensieri da scrivere. La sua attività fu, infatti, più che prolifica:
scrisse moltissimo. Non è azzardato dire che il genere preferito
dalla de Beauvoir fu l'autobiografia (Memoires d'une jeune fille
rangée (1958), La force de l'age (1960), La force des choses
(1963), Une morte très douce (1964).
Il suo desiderio di raccontarsi fu forte e deciso, come fu forte e
deciso il proposito di non venir ricordata solo come la "donna di
Sartre" -"E' vero che sono stata considerata essenzialmente come
la compagna di Sartre. Mentre nessuno ha mai avuto l'idea di
considerare Sartre come il compagno di Simone de Beauvoir" -,
dice la De Beauvoir in un'intervista di Catherine David per «Le
Nouvel Observateur» (1979). Forse i suoi fiumi di parole furono,
per lei, un modo di dimostrare la sua indipendenza culturale dal
suo uomo, il segno tangibile della sua originale capacità di
pensiero e la dimostrazione che la sua scrittura non era una
semplice clonazione del pensiero e delle parole di Sartre.
Anche la de Beauvoir, come Sartre, esplora vari generi letterari:
l'autobiografia, appunto, il romanzo e il saggio filosofico.
Quest'ultimo è il caso di Pirro e Cinea (1944), Per una morale
dell'ambiguità (1947), Il secondo sesso ( 1949) e La terza età
(1970).
Con Il secondo sesso, la sua opera più famosa, viene condotta
un'analisi rigorosa della condizione della donna: è un libro-ponte
fra il femminismo ottocentesco e il neo-femminismo degli anni
'60 e '70. L'autrice affronta un vero e proprio viaggio al
femminile a ritroso nel tempo, ma rivolge anche uno sguardo
deciso in avanti.
I suoi romanzi L'invitée, Tous les hommes sont mortèls (1946),
Les mandarins (1954) esprimono con forza le tematiche
dell'esistenzialismo. La De Beauvoir sposa, quindi, anche le
teorie filosofiche di Sartre, senza fermarsi però ad una semplice
ripetizione, ma rielaborando e vivendo in modo personale tali
tematiche.
Per circa quattro anni, tra il 1950 e il 1954, la De Beauvoir
viaggia intorno al mondo, esperienza che la porterà ad
intraprendere un' attività politica molto intensa.
Nel 1956 firma un manifesto di protesta contro l'invasione
sovietica dell'Ungheria: da quel momento lei e Sartre si
allontaneranno dal Partito Comunista Francese, imboccando la
via di un "marxismo critico".
Nel 1957 Simone de Beauvoir scrive La lunga marcia, uno studio
critico sulla Cina dopo la Rivoluzione del 1949.
E' una donna di successo -"ho paura di essere diventata una
macchina di best-sellers", dichiarerà Simone -apprezzata per ciò
che ha scritto (il romanzo Les mandarins è premio Goncourt nel
1954) e non per essere stata la compagna di Sartre per quasi
cinquant'anni.
C'è da dire, però, che la sua relazione privata con Sartre ha
influenzato anche la scrittura e il pensiero di Simone. Come
spesso accade, la comprensione piena di qualche cosa avviene
anche grazie a un'analisi del contesto, e il "contesto" di Simone
si chiama Jean-Paul Sartre, come quello di Sartre si chiama
Simone de Beauvoir .
E' difficile definire in modo univoco la figura della de Beauvoir:
madre delle teorie del femminismo dell'uguaglianza e accanita
accusatrice di tutto ciò che opprime la donna, accetta però, a
livello privato, umiliazioni, tradimenti e attese. E' come se una
forte ambivalenza attraversasse la sua vicenda esistenziale:
intellettualmente estranea a tutto ciò che fino ad allora aveva
reso "schiava" la donna, è però intimamente disposta ad
accettare sempre e comunque le scelte del suo compagno. Ora,
stabilire il perché di tale comportamento non è mio compito e
sarebbe comunque complicato azzardare ipotesi al riguardo.
Certo, può essere ricordato che Sartre chiamava Simone "mon
castor" -mio castoro -, probabilmente per sottolineare l'esigenza
di lei di "costruire" (come fanno i castori) e quindi di avere una
stabilità affettiva che, evidentemente, aveva trovato con Sartre.
Credo che il fascino della De Beauvoir risieda proprio in questo:
donna affermata e conosciuta per i suoi meriti di scrittrice,
economicamente indipendente, rivela, nel privato, una
personalità a volte "debole" e dipendente. Non è sicuramente una
"donna di ferro", che disconosca i suoi sentimenti a vantaggio
delle sue idee. "L'idea" e il "sentimento" appartengono a due
livelli diversi e la non coincidenza fra i due piani rende la De
Beauvoir affascinante, complessa, contraddittoria, ma proprio
per questo delicatamente vulnerabile ed estremamente umana.
Microcosmi completi e complementari, così come sono stati
Simone de Beauvoir e Sartre, inseparabili in vita, vanno
esplorati insieme e conosciuti l'uno attraverso l'altra.
E' quanto cercherò di fare nel mio lavoro, che sarà condotto
attraverso continui confronti fra i due, pur concentrando la mia
attenzione soprattutto sulla figura e sul pensiero di Simone de
Beauvoir.
IL CORPO E LA PAROLA:
SIMONE DE BEAUVOIR E JEAN-PAUL SARTRE, DUE
UNIVERSI COMPLEMENTARI A CONFRONTO.
Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir hanno condiviso la loro
vita. E' stata una convivenza a tutti i livelli: privata, sociale,
politica ed intellettuale.
Dunque le esperienze, per entrambi, sono state più o meno le
stesse. Ma il sentire, il vedere e il provare hanno preso in loro
due diverse direzioni. La De Beauvoir e Sartre sono come due
rette parallele, poste alla stessa distanza l'una dall'altra e
orientate nella stessa direzione, ma a volte, nel paradosso,
queste due linee diventano convergenti.
Direi che il "parallelismo" può essere metafora della loro attività
intellettuale, mentre la "convergenza" può essere espressione di
quella personale. Quindi, pur avendo vissuto l'uno dell'altra, le
loro vite appaiono speculari e non coincidenti. Si tratta di due
universi complementari, a volte in opposizione: la parola per il
corpo, nel caso di Sartre, il corpo per la parola nel caso della De
Beauvoir .
La vita di Sartre è una vita fatta di parole, spesa e vissuta fra le
pagine dei libri. Sin da bambino ne subisce il fascino. La sua è
una vocazione: Sartre è parola incarnata. Attribuisce alle parole
un'esistenza propria, un respiro, un affanno e un pulsare
volontario: per lui le parole hanno corpo e anima e questo le
rende potenti. Hanno il potere di incatenare chi le ha create.
Come il mostro si ribella al dottor Frankestein, così le parole si
ribellano al loro padre. E allora, Sartre concede loro
un'autonomia vitale molto breve, sufficiente perché vengano
ricordate, ma non abbastanza perché prendano il sopravvento.
Così, Sartre si rinnova, continuamente, "bruciando" le proprie
opere senza concedersi e senza concedere loro un attimo di
tregua
1
.
Sin dall'infanzia, Sartre prova un senso di fastidio verso il
proprio corpo: cerca, quindi, un diverso modo per affascinare.
Diventa, un "seduttore orale", un "seduttore verbale". Le sue
parole sono tante piccole odalische, incantatrici di serpenti,
concubine di un harem esclusivo.
Ma Sartre sa bene che non può sfuggire totalmente al suo corpo
perché esso è il mezzo grazie al quale si agisce nel mondo.
Ne L'essere e il nulla Sartre dedica una sezione fondamentale al
corpo dando, di esso, molte definizioni: "lo strumento e il fine
delle nostre azioni", "la manifestazione dell'individualità e la
contingenza del nostro rapporto originario con le cose", "la
condizione necessaria dell'esistenza di un mondo", ecc. Ma tutte
queste considerazioni non aiutano Sartre ad avere un rapporto
migliore con il proprio corpo.
Sartre vede il suo viso come una specie di palude. I lineamenti
disegnano contorni sgraziati, in parte a causa dello strabismo, in
parte a causa delle rughe. Nel viso, Sartre vede un microcosmo
in cui colline, montagne, forme vegetali creano paesaggi agresti.
Sartre vive con una sorta di distacco il suo viso e il suo corpo:
per lui sono immagini, quadri in cui lui riconosce forme della
natura e non riconosce se stesso
2
.
Nelle parole, Sartre trova un escamotage per evitare un rapporto
troppo vincolante con il corpo; le parole lo sostituiscono per fare
presa sul mondo.
Ma "le parole sono tracciate in una bocca da una lingua", dice
Sartre, quasi rammaricato del fatto di non poter trascendere in
modo assoluto la fisicità. Avendo un rapporto conflittuale con il
suo corpo, Sartre investe Simone de Beauvoir di un ruolo
fondamentale: lei, soprattutto durante la vecchiaia di Sartre,
diventa appendice del corpo di lui; la De Beauvoir sarà
portavoce del voler-dire di Sartre, farà le sue veci, sarà lo
strumento di progettualità nel mondo per lui.
E' ironico il fatto che, proprio nella fase finale della sua vita,
Sartre si trovi costretto a vivere "la dipendenza", da lui così
tanto detestata e contestata. Il corso della sua vita è segnato da
una continua fuga da tutto ciò che sia o rappresenti legame di
dipendenza. Sartre condivide tutto con Simone de Beauvoir per
quasi cinquant'anni, ma lo fa sfuggendo ad un riconoscimento
ufficiale della loro unione. Anche i suoi continui tradimenti non
nascosti sono il segno del suo timore verso l'impegno e il
compromesso che implica il rapporto a due. Ma, a settant'anni,
Sartre farà i conti con la dipendenza e dovrà farlo nel modo per
lui più odioso, accettando la dipendenza fisica.
In ogni caso, Sartre è sempre stato consapevole del fatto che il
suo rapporto con la De Beauvoir, anche se a rischio di
dipendenza, era una fonte di ricchezza. Egli ammette che, in
generale, i rapporti con le donne sono più ricchi perchè esiste un
linguaggio diverso da quello delle parole, ed è il linguaggio del
corpo, "il linguaggio delle mani, dei volti: il linguaggio in sè
proviene dal sesso
3
", dice. Sartre, apprezzandone la ricchezza,
riconosce che questo linguaggio nasce dalla differenza sessuale,
perchè "si esprime solo tra l'uomo e la donna". Simone de
Beauvoir diventa per Sartre quasi uno specchio in cui lui si
rivede. -"Se è Simone a leggere è come se leggessi con i miei
occhi
4
".
La De Beauvoir non è più, in questo momento della loro vita in
comune, solo la sua compagna: Sartre la considera un suo alter-
ego, la sua personale finestra sul mondo, grazie alla quale
mantiene i contatti con esso, sentendosi ancora vivo. Per Simone
de Beauvoir la situazione è molto diversa.
Oltre ad essere anche lei un'intellettuale a tutto tondo e
ambasciatrice di parole, vive la propria sensualità in modo
conflittuale come Sartre, ma in modo diverso da lui. Lei ha un
forte senso della fisicità e una chiara percezione del suo corpo.
In alcuni passi, l'emozione dell'attrazione dei corpi e l'affanno
che prova quando Sartre-uomo non è vicino a lei hanno materia,
si sentono, vengono avvertiti dal lettore: "La scoperta della sua
sensualità le riuscì sconcertante. Lontana da Sartre per giorni
scoprì che il suo corpo desiderava quello di lui e che l'assenza
fisica le provocava un vero dolore
5
".
Ma, soprattutto, la De Beauvoir "è corpo" perchè è donna. Ne Il
secondo sesso, la tesi femminista è espressa con rabbia, con
orgoglio e con la volontà, inizialmente, di raggiungere una
diversa condizione esistenziale, non più in base al sesso, ma in
base alla dignità della persona. E allora, la stessa De Beauvoir
diventa teatro di una battaglia allo specchio, tra il proprio corpo
e l'immagine di esso, tra ciò che lei è e ciò che le impedisce, in
una società patriarcale, di pensare e di scrivere in maniera
asessuata.
Da questo punto di vista, la De Beauvoir appare contraddittoria,
al punto che lei stessa, sentendo il peso di tale contraddittorietà,
vive una battaglia tra ciò lei è per se stessa e ciò che lei è per gli
altri. Secondo la De Beauvoir, l'uomo oggettivizza la donna
considerandola "sesso" e "corpo", appesantendola della
condizione esistenziale di essere-in-sè. Da tutto ciò la De
Beauvoir vuole fuggire, dimostrando, con le sue battaglie per la
libertà femminile, che la donna non è oggetto, ma soggetto-in-
situazione con capacità e volontà pari a quelle dell'uomo. La
contraddizione, a cui accennavo prima, nasce dal fatto che, se da
una parte la De Beauvoir rifiuta l'immagine che l'uomo ha della
donna, dall'altra l'autrice sottolinea la differenza femminile
usando proprio l'immagine del corpo della donna.
Se, da una parte, il rifiuto dell'immagine che l'uomo dà e ha
della femminilità, porta la De Beauvoir a volere una scrittura
neutra –affinchè sia valutata l'opera in sè e non l'autore, donna o
uomo che sia, dall'altra rivendica la sua differenza femminile,
marcando sessualmente la sua scrittura.
"L 'uomo intende il proprio corpo come una relazione diretta con
il mondo mentre considera il corpo della donna appesantito da
ciò che lo distingue: una. Prigione
6
", scrive la De Beauvoir.
"Ciò che lo distingue", cioè la differenza, è trasformata
dall'uomo in una prigione e la De Beauvoir s'ingegna per tutto il
corso della sua vita per uscire da queste sbarre.