3
PREFAZIONE
Lo studio che qui si presenta trae origine dal desiderio di indagare il rap-
porto tra estetica e politica. Qual è la rilevanza politica dell’arte? Ma ancora pri-
ma, e piø radicalmente: l’arte ha una rilevanza politica? La domanda può avere
una facile risposta quando si pensi all’arte cosiddetta impegnata, o alla figura, og-
gi in effetti un po’ demodØ, dell’artista militante. Ma la rilevanza politica dell’arte
può essere ridotta a questi soli casi in cui tale rapporto è apertamente dichiarato,
evidente o perspicuo anche al piø superficiale livello di intenzione? Quest’ultimo
interrogativo diventa tanto piø urgente quando si consideri l’attuale temperie.
L’estetizzazione massiva della terza fase del capitalismo (“tardocapitalismo” o
suo “momento disaccumulativo”), transitato nella propria spettacolarizzazione
(come lucidamente visto in anticipo da Guy Debord), ha molto poco a che fare
con una estetizzazione dichiaratamente politica. Ha molto piø a che vedere, inve-
ce, con il consumo, che si nasconde dietro l’intrattenimento o il disimpegno.
L’abitudine alla produzione estetica di massa, l’assuefazione alla produzione arti-
stica spoliticizzata, l’overdose dell’arte (prevalentemente fruita sotto forma di
immagine) costringono a riprendere il problema dal principio, senza dare nulla per
scontato. Una sorta di epochØ sembra perciò essere necessaria, perlomeno alla
“generazione postmoderna” nata durante o dopo gli anni ottanta del XX secolo.
All’interno di questo quadro di riferimento, il seguente lavoro prende a
tema la connessione tra estetica e politica come impostata nel pensiero di Fredric
Jameson. La sua riflessione ha di particolarmente significativo in un certo senso la
sua stessa inattualità. Essa copre un arco che va dalla fine degli anni Sessanta fino
ai nostri giorni, e tenta di affermare la superiorità, la possibilità ed infine la neces-
4
sità dell’interpretazione politica negli stessi anni in cui la politica viene travolta
dal consumo postmoderno e in cui l’interpretazione viene messa sotto attacco e
talora liquidata, assieme al marxismo, da alcune correnti intellettuali
d’avanguardia. Jameson è tre volte inattuale: pensatore dialettico quando la dialet-
tica è data per morta; pensatore marxista quando il marxismo è considerato “supe-
rato” (ma da cosa?); pensatore utopico, quando lo stesso concetto di Differenza
sembra essere stato davvero colonizzato dal suo avversario, l’Identico.
Proprio per l’esigenza di riproporre la domanda nella sua radicalità, sono
stati qui messi a tema i lavori della prima fase del pensiero di Jameson, che pos-
sono essere considerati i lavori della genesi del metodo e che coprono il decennio
che va dalla pubblicazione di Marxismo e Forma, nel 1971, alla pubblicazione de
L’Inconscio Politico, nel 1981. Si è tenuto conto fin dall’inizio dell’interezza della
produzione jamesoniana, la cui opera è stata interrogata sia sincronicamente che
diacronicamente; ciò ha permesso di inquadrare il senso insieme teorico e politico
dell’ermeneutica dialettica proposta da Jameson, la quale culmina con la sistema-
tizzazione della pratica politica di interpretazione testuale attorno al concetto car-
dine di “inconscio politico”, nel quale convergono (fino a qual punto si armoniz-
zino, si vedrà) le tensioni teoriche derivanti dall’incontro tra marxismo, freudismo
e poststrutturalismo.
Nel primo capitolo si prende dapprima in esame la costruzione teorica di
quella che ho chiamato la “dialettica utopica” di Jameson, un concetto che defini-
sce l’orizzonte di riferimento della sua impresa speculativa all’interno del concet-
to di “possibilità”, per passare poi a discutere la rilevanza dell’arte per la com-
prensione della “dialettica del possibile”. A tal fine, Jameson imposta la pratica
5
dell’interpretazione sulla relazione opaca tra forma e contenuto, concependo
l’attività ermeneutica come il recupero del contenuto storico-sociale al di sotto
della forma, nella quale si dà come sintomo. Successivamente, nel secondo capito-
lo, vengono prese in esame le difficoltà inerenti ad un tale modello di interpreta-
zione testuale. L’idea dell’interpretazione come recupero di un contenuto “stori-
co” si espone infatti agli attacchi anti-interpretativi, di cui abbiamo dato conto at-
traverso le posizioni di Susan Sontag e di Deleuze-Guattari. L’attacco
all’interpretazione portato avanti da questi autori è un attacco al marxismo e al
freudismo e all’idea dell’interpretazione come riduzione ad un “codice ultimo” o
ad una “istanza ultimamente determinante”; il problema del “che cosa vuol dire”
cela il complesso problema della “causalità”. Jameson riemerge da questi attacchi
con l’attraversamento dell’orizzonte dell’althusserismo. Attraverso le analisi di
Althusser, e grazie in particolare ai suoi concetti di “surdeterminazione” e “causa-
lità strutturale”, Jameson può riaffermare la Storia come l’orizzonte intrascendibi-
le e fondamento dell’interpretazione senza soccombere di fronte alle accuse di i-
postatizzazione del contenuto. La Storia è vista da Jameson come il Reale di La-
can o la Struttura di Althusser: essa è Causa Assente, e il testo letterario o
l’oggetto artistico intrattiene con la Storia una complessa relazione che non può
essere negata. Anzi, ogni interpretazione che non si fondi sulla Storia come Causa
Assente sarà sempre vittima di una “chiusura ideologica”. Il terzo capitolo, infine,
sviluppa compiutamente il concetto di inconscio politico e il sistema ermeneutico
ad esso associato. L’idea che il testo letterario, e l’oggetto estetico in generale, sia
una particolare articolazione di forma e contenuto, che sia cioè in relazione alla
Storia come sua Causa Assente, porta ad una apertura della dialettica dell’oggetto
estetico verso l’esterno. Esso, in virtø della sua particolare dialettica interna, ha un
6
effetto di ritorno sulla Storia; questo effetto, che ho chiamato “la dialettica politica
dell’opera d’arte”, è articolato attraverso il concetto centrale di “narrazione”, in
relazione al quale l’idea di “inconscio politico” si struttura compiutamente. Tanto
l’idea di “narrazione” quanto quella di “inconscio politico” assumono un duplice
senso, estetico e sociale; su questo rapporto Jameson apre la strada verso la possi-
bilità di approfondimento dell’indagine della relazione tra la sfera dell’estetica e
quella sociale-politica, una relazione che la sua ermeneutica dialettica vede corre-
re sullo scivoloso spartiacque che separa, unendole, ideologia e utopia.
7
Capitolo primo
UNA DIALETTICA UTOPICA
Per effetto della specializzazione delle opera-
zioni va perduta ogni immagine dell’intero.
G. Lukàcs
[…] l’ideologia dominante dei paesi borghesi
occidentali è senz’altro il realismo empirico
anglo-americano, per il quale l’intero com-
plesso del pensiero dialettico rappresenta una
minaccia e la cui missione è essenzialmente
quella di ingabbiare e porre un freno alla co-
scienza sociale, col dare risposte legali ed eti-
che alle questioni economiche, col sostituire
il linguaggio dell’uguaglianza politica a quel-
lo dell’uguaglianza economica e col porre
considerazioni sulla libertà al posto dei dubbi
sul capitalismo.
F. Jameson
8
La vicinanza storica non permette al filtro del tempo di scremare, setacciare, sepa-
rare il necessario dal superfluo, di discernere con sicurezza ciò che è valido da ciò
che lo è meno; chiunque si accosti all’opera di Jameson, rispetto alla letteratura
secondaria sul suo pensiero si trova esattamente in questa condizione. Ciò testi-
monia, del resto, l’enorme impatto che il suo pensiero ha avuto nel panorama con-
temporaneo
1
: non si può dire infatti che manchino titoli e opere che pensano con
Jameson, contro Jameson, oltre Jameson. Colpisce però una circostanza particola-
re: che tanta letteratura critica si divida tra “introduzioni” da un lato e saggi “par-
ziali” dall’altro. Le introduzioni, come conviene alla loro natura, hanno carattere
sommario e spesso si limitano ad una collezione di motivi, passando in rassegna le
opere di Jameson (spesso tralasciando il primo periodo) e dedicando, magari,
qualche pagina alla spiegazione degli “antecedenti”. Jameson, in quanto critico
letterario, lascia molti dei suoi presupposti al di fuori delle sue opere, le quali li
rielaborano spesso in modo davvero molto compresso e denso; è questo, ad esem-
pio, il caso de L’Inconscio Politico, in particolare del suo primo capitolo
“Sull’Interpretazione. La letteratura come atto socialmente simbolico”. Allora le
introduzioni esplicitano i presupposti, ad esempio dedicano un capitoletto a “La-
can e Freud”
2
, spiegando brevemente il loro pensiero. Sul versante opposto ab-
biamo invece i “saggi specialistici”. Questi saggi si appuntano, come conviene al-
la loro natura, su aspetti parziali di alcune opere, di alcune parti di opera. Sia i
saggi che le introduzioni, in realtà, fanno il loro mestiere; ma facendolo portano in
primo piano una mancanza. Su Jameson non abbondano le monografie. Non c’è,
ad oggi, uno studio che tenti di dare una interpretazione globale del pensiero Ja-
1
Per una rapida panoramica delle interpretazioni si veda M. Gatto, Fredric Jameson. Neomarxi-
smo, dialettica, teoria della letteratura, Rubbettino, Roma 2008, pp. 7-11.
2
¨ questo il caso ad esempio di A. Roberts, Fredric Jameson, Routledge, London and New York
2000.
9
meson. Non è, chiaramente, questo l’obiettivo nemmeno del presente studio. Non
si tenterà di colmare un vuoto. Ma questo lavoro si origina e si struttura a partire
dalla convinzione che, senza un’idea che tenti di tenere a mente l’interezza - se
non in sede analitica, perlomeno come orizzonte regolativo - dell’opera teoretica
jamesoniana, sia difficile intendere anche il senso di un lavoro come L’Inconscio
Politico, la sua opera forse piø importante e che qui sarà posta al centro
dell’attenzione. E soprattutto, credo che sia difficile capire il senso preciso (direi:
politico) della proposta ermeneutica là contenuta. ¨ per questo motivo che il pre-
sente capitolo è dedicato alla dialettica e si basa prevalentemente su testi scritti
prima de L’Inconscio Politico, tentando di tracciare le linee di inquadramento
all’interno delle quali esso potrà trovare una compiuta, e non soltanto parziale, in-
terpretazione (anche politica, naturalmente).
Tra i giudizi critici, due mi sembrano particolarmente importanti. In The
Politics of Literary Theory Philip Goldstein sostiene che il “trascendentalismo u-
topico” sia una delle caratteristiche piø rilevanti degli scritti di Jameson
3
: ciò che
viene enfatizzato è così la relazione con il marxismo utopico di Bloch e soprattut-
to di Marcuse, che Jameson stesso considera “l’utopista piø influente degli anni
Sessanta del Novecento”
4
; allo stesso tempo il merito maggiore di Jameson è stato
considerato, ad esempio da Ian Buchanan, quello di “aver ridato linfa alla dialetti-
ca e al pensiero totalizzante”, in una prospettiva che sottolinea la componente e-
minentemente hegelo-marxista del suo pensiero
5
. A suffragare questa doppia pos-
sibile caratterizzazione stanno, in effetti, anche i detrattori; le critiche che sono
3
P. Goldstein, The Politics of literary theory, The Florida State University Press, Tallahassee
1990, pp. 149-152.
4
F. Jameson, Il desiderio chiamato utopia, Feltrinelli, Milano 2007, p. 14 (trad. parziale di F. Ja-
meson, Archeologies of the future. The desire called utopia and other science fictions, Verso, New
York 2005).
5
M. Gatto, op. cit. ¨ questa l’unica monografia attualmente disponibile in italiano su Jameson. Per
una valutazione di Jameson come pensatore dialettico e totalizzante si veda I. Buchanan, Fredric
Jameson: Live Theory, Continuum. London and New York 2006.
10
state rivolte a Jameson vanno da attacchi contro il suo (presunto) hegelismo, in
un’epoca in cui in effetti la dialettica non gode di ottima salute, a sferzanti critiche
contro il suo (sempre presunto) abuso della “transcodificazione utopica” come
quelle lanciategli da un altro famoso critico marxista, ovvero Terry Eagleton
6
.
D’altra parte, una rapida considerazione della produzione teoretica jamesoniana
può confermare la pertinenza di questa duplice ottica interpretativa. Nel 1971 esce
il suo primo importante libro, Marxismo e Forma. Teorie dialettiche della lettera-
tura nel XX secolo, in cui, se la maggior parte dello spazio è occupato da discus-
sioni su Adorno, Lukàcs e Sartre, non può sfuggire la simpatia che l’autore accor-
da a pensatori sì marxisti, ma “utopici”, come Marcuse e Bloch (a cui viene acco-
stato anche Schiller); qui, insomma, dialettica e utopia stanno nelle stesse pagine e
negli stessi autori trattati. Ma la presenza e l’importanza di entrambe possono es-
sere misurate adeguatamente se consideriamo opere piø tarde, spostandoci di mol-
ti anni piø avanti. ¨ di vent’anni posteriore l’opera filosoficamente piø impegnata
di Jameson, ovvero Tardo Marxismo, il cui sottotitolo inglese, poi sostituito in ita-
liano, è The persistence of dialectics, un titolo che non potrebbe essere meno am-
biguo
7
; mentre è del 2005 Archeologies of the future, ancora non interamente tra-
dotto in italiano
8
, un ampio studio sulla forma letteraria dell’utopia che va da
Tommaso Moro alla Science Fiction contemporanea. Questi riferimenti puntuali
non vogliono segnalare però un riferimento intermittente: anzi, intendono al con-
trario sottolineare la persistenza tematica globale di questi due concetti. Si potreb-
6
Terry Eagleton legge la presenza della tematica utopica come un segno di uno scivolamento
nell’idealismo; così il ricorso alla transcodificazione libidica di molti suoi libri tradirebbe una in-
superabile carenza teorica di fondo. Cfr. T. Eagleton, The idealism of american criticism, in Id.,
Against the grain. Essays 1975-85, Verso, London and New York 1986, pp. 70-71.
7
Come invece è, in quanto meno incisivo, quello dell’edizione italiana: Adorno, il postmoderno, la
dialettica (F. Jameson, Tardo marxismo. Adorno, il postmoderno e la dialettica, Manifestolibri,
Roma 1994.
8
Solo la prima parte, F. Jameson, Il desiderio chiamato Utopia, cit., è disponibile in traduzione; la
seconda è annunciata in uscita dall’editore.
11
bero citare parecchi titoli, di saggi e di articoli, a testimonianza della costanza
dell’impegno di Jameson sulla tematica utopica, che negli Stati Uniti si raccoglie
prevalentemente attorno al genere SF, e parimenti si potrebbe rimandare alla lettu-
ra dei suoi saggi per una esperienza diretta di come la scrittura di Jameson sia in-
timamente dialettica (una ragione per cui si è detto che “la difficoltà degli scritti di
Jameson è proverbiale”
9
). Ed anche la sua opera di maggior peso teorico e di
maggior impatto, e cioè L’Inconscio Politico, che sarà al centro del presente lavo-
ro, pur essendo stata salutata (e criticata) come l’opera in cui Jameson acquisisce
l’orizzonte teorico dell’althusserismo, in realtà si inscrive pienamente in un qua-
dro tematico i cui lati sono interamente occupati dalla dialettica e dall’utopia
10
;
nØ, dal mio punto di vista, sarebbe possibile comprendere a fondo il senso
dell’operazione jamesoniana di ricerca di un sistema ermeneutico di interpretazio-
ne politica dell’opera letteraria senza tenere conto di questo sfondo, contro cui
quell’impresa è, piø o meno esplicitamente, costruita. Si tratterà pertanto di tenere
sempre presenti i lati di questo quadrato tematico durante la trattazione, talora i-
nevitabilmente tecnica, dell’ermeneutica testuale di Jameson.
C’è però un senso piø specifico in cui dialettica e utopia sono legate l’una
all’altra nel pensiero di Jameson, e per il quale l’una non può darsi senza l’altra a
meno di snaturarsi. Sebbene entrambe possano ricordare in prima istanza l’idea di
“totalità”
11
, non è a mio giudizio questo il riferimento principale contro cui legge-
9
Per un inquadramento dell’origine, degli sviluppi e della persistenza della tematica utopica in
Jameson si veda P. Fitting, The concept of utopia in Jameson, “Utopian Studies”, 9 (1998:2), pp.
8-17. Per la “difficoltà proverbiale”, M. Gatto, op. cit., p. 13.
10
¨ un caso in effetti curioso quello de L’Inconscio Politico: accusato di althusserismo dal marxi-
smo hegeliano, di marxismo hegeliano dal marxismo althusseriano… come tanti tentativi di sintesi
originali, non soddisfa pienamente nessun “ortodosso”.
11
Per la dialettica, ovviamente, la totalità va riferita a Hegel; per l’utopia, essa può essere riferita
sia all’idea letteraria di una comunità separata ed autonoma, la quale trova il suo archetipo in Uto-
pia di Tommaso Moro, sia all’idea politica di una comunità totale. In quest’ultimo caso il riferi-
mento è allo Stalinismo. Per quest’ultimo aspetto si veda ad es. B. Groys, The total art of stalin-
ism, Princeton University Press, Princeton 1992.
12
re la “dialettica utopica” jamesoniana. Certamente, il riferimento della totalità è
presente, ma Jameson è sufficientemente consapevole dell’importanza delle criti-
che a Hegel, condotte su vari fronti, per accettare pedissequamente un utilizzo del-
lo strumento hegeliano senza valutarne pro e contra. Per comprendere appieno
come Jameson modifichi il rapporto tra dialettica e totalità, può essere utile intro-
durre una distinzione che si ritrova in maniera molto chiara in apertura de Il desi-
derio chiamato Utopia. Qui viene sottolineata la biforcazione tra l’utopia come
genere letterario, la quale è effettivamente spesso una immaginazione di una co-
munità separata e totale (l’esempio classico è per l’appunto la SF), e la “pulsione
utopica”, che viene intesa come ciò che “infonde altra linfa nella vita quotidiana
come nei propri testi”
12
, formulazione in cui è evidente il riferimento al marxismo
blochiano di cui Jameson aveva discusso Il principio Speranza in Marxismo e
Forma. Questa distinzione è utile in quanto fornisce lo strumento per sganciare
l’idea di utopia da quella di totalità, facendoci apprezzare lo sforzo utopico stesso
di Jameson in riferimento ad un’altra categoria. L’utopia è sì qualcosa che ha a
che fare con la totalità, nella misura in cui essa riguarda un appagamento della li-
bido in una società disalienata (Marcuse), un superamento della dicotomia sogget-
to/oggetto (Bloch) oppure un ripristino dell’integrazione psichica da conseguire
tramite “l’educazione estetica” (Schiller)
13
; ma in quanto questa totalità re-agisce
sull’esistente, sovrapponendosi ad esso, essa è anche immediatamente qualcosa
che ha a che fare con la “possibilità”: l’impulso utopico, concepito come ciò che
sta alla base dell’utopia (ma non solo del genere utopico stricto sensu) è prima-
riamente una forza negativa verso il reale e una modalizzazione in termini di pos-
sibilità. Lungi dal discredito in cui le analisi di Marx ed Engels l’avevano gettata
12
F. Jameson, Il desiderio chiamato Utopia, cit., p. 13 (corsivo mio).
13
M&F, pp. 100-179.
13
ne Il Manifesto del partito comunista, in un mutato contesto sociopolitico essa as-
sume nuova rilevanza:
se nella vecchia società (quella dell’analisi marxiana classica) il
pensiero utopico rappresentava una diversione dell’energia ver-
so frivoli adempimenti dei desideri e soddisfazioni immaginarie,
nella nostra epoca il concetto di Utopia ha subito un rovescia-
mento dialettico. Ora è il pensiero “pratico”che rappresenta o-
vunque una capitolazione al sistema ed una testimonianza del
suo potere di trasformare persino i suoi avversari in sue imma-
gini speculari. L’idea utopica, a contrario, mantiene in vita la
possibilità di un mondo qualitativamente distinto da questo ed
assume la forma di una recisa negazione di tutto ciò che è.
(M&F, p. 128, corsivo mio)
Possibilità, dunque, piø che totalità; impulso utopico, piø che utopia. L’utopia, in
verità, anzi che abbandonata, subisce una rifunzionalizzazione e viene trasformata
in quello che può essere detto, in terminologia kantiana, un orizzonte regolativo;
essa rimane la fonte, da intendersi come causa finale, dell’impulso utopico, la cui
funzione primaria è quella di aderire all’esistente “negandolo”, cioè possibilizzan-
dolo. Questa distinzione, interna al concetto di utopia, ha a che vedere con la dia-
lettica nella misura in cui la dialettica di Jameson, di derivazione ovviamente he-
geliana e altrettanto ovviamente marxista, viene compenetrata da questa funzione
utopica e da essa trasformata fino ad accoglierla in sØ. La doppia funzione che la
dialettica assume in Jameson è perciò da considerarsi come una conseguenza della
14
confluenza in essa della costellazione semantica dell’utopia, e ciò che ne consegue
sarà che anch’essa troverà il proprio riferimento primario non tanto nel concetto di
totalità quanto piuttosto in quello di possibilità, che subordina a sØ il primo riser-
vandogli una funzione metodologica. ¨ del resto chiaro che questa modificazione
nel modo di intendere dialettica e utopia ha a che vedere con il contesto storico:
non a caso Jameson, nel brano sopra citato, specifica che è “ora”, “nella nostra
epoca”, che l’utopia può avere questa funzione possibilizzante. Questo può essere
espresso anche dicendo che è proprio la natura del suo oggetto, ovvero il mondo
tardocapitalistico, che agisce mediante frammentazione del tessuto sociale, a far sì
che la categoria della possibilità abbia bisogno di passare anche (ma non solo) at-
traverso la strada della totalità.
La dialettica di Jameson, come si sarà capito, presenta dunque caratteristi-
che sue proprie
14
; ne forniremo ora una presentazione in dettaglio che ci permette-
rà di arrivare a porre in primo piano, nel secondo paragrafo di questo capitolo,
l’importanza dell’arte per una riflessione politica e di impostare poi la discussione
critica del come, e se, sia possibile proporre un adeguato sistema per una interpre-
tazione politica non riduttiva dell’opera d’arte letteraria.
14
Questa è anche la convinzione di W. Dowling: “For though it is true that Jameson’s thought al-
ways participates in the philosophical tradition originating with Hegel and running trough Marx
and Engels to such “hegelian” Marxist as Lukàcs and Gramsci, it is also true that Jameson has
forged within this tradition a powerful instrument of dialectical analysis that […] remains his
own”. W. Dowling, Jameson, Althusser, Marx, Methuen, London 1984, p.7.
15
1. CONTRO L’EMPIRIOLIBERALISMO
Accostandoci all’uso che Jameson fa della dialettica abbiamo anche la
possibilità di “storicizzarlo” piø compiutamente di quanto non si sia fatto fino ad
ora. PoichØ, del resto, il suo testo piø famoso si apre con l’ingiunzione: “storiciz-
zare sempre!”, questa operazione non potrà essere tacciata di tradimento verso lo
spirito jamesoniano. Al di là dell’ironia, la ragione per cui un approccio di questo
tipo può rivelarsi piø consono di un altro piø apertamente teoretico sta nella natura
stessa della tematica in esame. Il pensiero dialettico è intimamente storico, e per
Jameson, ma naturalmente anche per tutta la tradizione piø o meno hegeliana, è
uno strumento di indagine critica dell’oggetto o della sua rappresentazione; ragion
per cui la natura e le movenze dell’esercizio dialettico, così come i suoi fini, sono
da rintracciarsi nel contesto specifico della sua applicazione, negli “oggetti” cui si
applica, e sarebbe vano- anzi: tradirebbe profondamente lo spirito non solo jame-
soniano, ma anche marxiano (ma probabilmente non quello hegeliano)- cercare
una definizione della dialettica sganciata dalla propria applicazione storica.
Non esiste, a dire il vero, un luogo testuale specifico in cui Jameson pre-
senti la sua idea di dialettica. Esistono saggi e libri in cui egli usa la dialettica, ed
esistono luoghi testuali in cui parla della dialettica hegeliana, marxiana, adornia-
na, e luoghi in cui, quasi en passant, si sofferma sul ruolo che la dialettica do-
vrebbe avere nel (suo, che è anche il nostro) presente. ¨ facile intuire, naturalmen-
te, come il compito che egli assegna alla pratica dialettica (poichØ abbiamo detto
che per Jameson la dialettica è un esercizio, anche quando si parlerà di dialettica
la si dovrà sempre intendere come pratica, cioè in senso performativo) sia in cor-
relazione con la valutazione e la caratterizzazione della dialettica negli autori so-
16
pra citati; e ciò al punto che sembra difficile dire quanto la sua interpretazione del-
la tradizione dialettica abbia condizionato la sua stessa pratica e viceversa (il che,
da un punto di vista dialettico, rappresenta piø un successo che uno scacco).
In linea con la tradizione hegeliana, Jameson pensa al pensiero dialettico
innanzitutto come “pensiero alla seconda potenza”, ovvero un pensiero che si ele-
va su se stesso fino a comprendere le proprie categorie di pensiero come “oggetti
della propria consapevolezza analitica” (M&F, pp. 340-341), arrivando a dare an-
che una caratterizzazione psicologica di questo movimento del pensiero come una
sensazione fisica equivalente allo shock
15
. Esso, poi, in accordo con la “correzione
marxiana” dell’idealismo hegeliano, con questo movimento di elevazione è
“scandalo alla razionalità statica”, perchØ “porta alla ribalta l’indissolubile legame
tra un concetto formale e la realtà storica da cui ha origine”; il pensiero dialettico
e materialistico di Marx, abbracciato da Jameson, è di conseguenza “doppiamente
storico: non solo i fenomeni con cui opera sono storici, ma esso deve anche scon-
gelare i concetti stessi con cui sono stati intesi, e interpretare quella loro congelata
immobilità come fenomeno a sua volta storico.” (M&F, p. 373). Si vede bene co-
me il pensiero dialettico sia per Jameson principalmente un’arma critica, uno
strumento interpretativo con cui andare a “scongelare” le fissità che impongono se
stesse come essenze astoriche spacciandosi per naturali. Tutto questo è natural-
15
La descrizione che Jameson fornisce è interessante: “Nel compiere tale passaggio da una norma-
le attività mentale orientata verso l’oggetto a questa autocoscienza dialettica, subentra un blocco
del respiro- un brivido di nausea come quando, in un ascensore o in aereo, ci sentiamo mancare il
terreno sotto i piedi per una discesa improvvisa” (M&F, p. 341). Quella del “sentirsi mancare il
terreno sotto i piedi” è una metafora spesso usata per descrivere la perdita delle certezze su cui
qualcuno ha costruito la propria vita, e dà l’idea di come per Jameson la dialettica sia qualcosa che,
come esperienza, ha un valore pratico sin da subito. Vedremo nel corso dei prossimi capitoli come
questo valore pratico sarà da intendersi in senso eminentemente politico.