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La psicologia ambientale
L‟ambiente ha un ruolo fondamentale nella vita di ognuno: da
sempre la psicologia si è occupata della sua influenza sullo sviluppo
della personalità, sul pensiero e sul comportamento. Sia l‟ambiente
inteso come contesto sociale, culturale e relazionale in cui siamo
inseriti, che l‟ambiente fisico (naturale e costruito) hanno degli effetti
sul comportamento che la psicologia non può trascurare. La
psicologia ambientale come settore di ricerca nasce tra la fine degli
anni ‟50 e l‟inizio degli anni‟60 per affrontare nello specifico queste
tematiche e per dare una risposta alle domande poste agli psicologi da
diversi ambiti disciplinari: urbanistica, medicina, architettura e
geografia. Nel presente capitolo verrà presentata, in breve, la storia
della psicologia ambientale: di cosa si occupa nello specifico e come
si è sviluppata negli anni. Verrà inoltre affrontato il ruolo
dell‟ambiente, cioè il suo impatto sul comportamento e sulla vita degli
individui, il rapporto tra ambiente e comportamento, cioè come il
comportamento può variare in base all‟ambiente in cui si trova
l‟individuo. Nell‟ultimo paragrafo, infine, verranno messi in evidenza
gli aspetti affettivi che emergono dalla relazione individuo – ambiente.
1.1 Nascita e sviluppo della psicologia ambientale
Alla fine degli anni ‟50 nasce un nuovo settore all‟interno della
psicologia, che viene denominato negli USA environmental
psychology (psicologia ambientale) e che ha l‟intento di ordinare un
complesso di conoscenze scientifiche sugli effetti psicologici
determinati dagli ambienti fisici sul comportamento e sul benessere.
La psicologia ambientale è, secondo una definizione generalmente
accettata, la disciplina che si occupa delle interazioni e delle relazioni
tra le persone e il loro ambiente (Proshansky, 1987). Come ambiente
non si intende solo l‟ambiente fisico, naturale o costruito, ma anche
l‟ambiente sociale, che non è quasi mai separabile dall‟ambiente
fisico.
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Gran parte delle ricerche nel campo sono state realizzate negli Stati
Uniti, cosa che non deve sorprendere dato che si tratta di un paese
caratterizzato da un notevole sviluppo delle scienze sociali applicate e
da rapidi processi di industrializzazione e urbanizzazione; anche Gran
Bretagna e Svezia, comunque, hanno intrapreso svariati studi in
Europa.
Tappa fondamentale dello sviluppo del settore è la creazione (nel
1958, presso la City University di New York, con sostegno finanziario
del Us National Institute of Mental Health) del gruppo di ricerca di
William Ittelson e Harold Proshansky per lo studio degli effetti che
l‟assetto spaziale/architettonico dell‟ospedale psichiatrico può avere
sul comportamento dei pazienti. Contemporaneamente, questo
interesse emerge anche in altri paesi: in Francia, dove Paul Silvadon e
l‟Organizzazione mondiale della Sanità si occupano del ruolo
terapeutico dell‟ambiente fisico sulla malattia mentale; al
Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, dove Kevin
Lynch pubblica nel 1960 “Image of the city”, analizzando la
percezione dello spazio urbano. E‟ lo stesso Ittelson, in una
conferenza tenutasi a New York nel ‟64, ad usare per la prima volta il
termine di psicologia ambientale. Nel 1968 si costituisce
L‟Environmental Design Research Association (EDRA),
un‟organizzazione internazionale di professionisti del design e
scienziati sociali, i quali hanno l‟obiettivo di far avanzare e diffondere
la ricerca ambientale e migliorare la conoscenza del rapporto fra
l‟uomo e l‟ambiente, che sia costruito oppure naturale. Tra i vari
problemi essi affrontano gli effetti dell‟ambiente costruito sulla
produttività lavorativa, come differenti popolazioni rispondono a
particolari contesti e quali sono le relazioni fra le culture e i loro
ambienti fisici. Il primo importante volume sull‟argomento è
pubblicato nel 1970 da Proshansky, Ittelson e Rivlin col titolo di
“Environmental psychology: Man and his Physical Settings” e
presenta vari lavori del gruppo.
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Quali sono le origini di questo interesse nei confronti
dell‟ambiente? Bisogna sottolineare che la nascita di questo ambito di
ricerca è il risultato di una convergenza di interessi sia all‟interno
della psicologia che in ambiti disciplinari lontani come l‟architettura,
la progettazione ambientale, la geografia e le scienze bio-ecologiche.
Secondo Claude Lévy-Leboyer (1982) la spiegazione dell„emergere di
questo interesse è il motivo per cui, improvvisamente, un sistema di
vita che era stato accettato così a lungo viene criticato, e i motivi
vanno ricercati nel progresso tecnico: infatti, secondo l‟autore,
l‟industrializzazione e l‟incremento demografico del XX secolo hanno
avuto sia effetti positivi che negativi. Tra i primi, sicuramente c‟è
stato il miglioramento delle condizioni di vita e l‟aumento delle
possibilità di consumo; ma l‟industria ha creato un lavoro alienante e
decisamente insoddisfacente rispetto al tradizionale lavoro artigianale
(Lévy-Leboyer cita a questo proposito le condizioni create dalla
catena di montaggio). Il progresso non ha automaticamente innalzato
la qualità della vita: in seguito all‟industrializzazione sono sorti
complessi urbani troppo in fretta, senza una preliminare
pianificazione; città dormitorio, uniformi, senza contatto con la natura,
in cui la vita sociale è frustrante e cresce la criminalità. E‟ in seguito a
questi eventi che gli psicologi cominciano a capire quanto poco siano
noti gli effetti dell‟ambiente sugli individui, e la sua importanza per la
vita psicologica.
1.2 Il ruolo dell’ambiente
Recente è la considerazione, da parte degli psicologi ambientali,
dell‟influenza della vita affettiva dell‟individuo sulle sue competenze
e sui suoi comportamenti ambientali e, in generale, della sfera delle
emozioni legate all‟ambiente e della preferenza ambientale.
L‟ambiente ha un ruolo molto importante nel modificare il
comportamento delle persone: analizzando, nello specifico, l‟influenza
dell‟ambiente sui comportamenti dei bambini, notiamo come questi
ultimi preferiscano gli ambienti all‟aperto, soprattutto quelli in cui
predomina la natura (Chawla, 2002; Hart, 1978; Korpela, 2002;
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Moore e Schneekloth, 1989). Una delle ragioni potrebbe essere
l‟ampia possibilità di giochi motori e sociali e la grande e
indipendente mobilità fornita da questo tipo di spazi (Heft, 1988;
Kytta, 2002, 2004). Adulti e bambini, inoltre, trovano gli ambienti
naturali più ristorativi, poiché contribuiscono a ridurre la fatica
cognitiva e a migliorare gli effetti positivi (Kaplan e Kaplan, 1989;
Kaplan e Talbot, 1983). Inoltre, più tempo si trascorre all‟aria aperta e
maggiori sono i benefici (Hattie e coll., 1997), e la possibilità di stare
a contatto con la natura ne crea molti: le ragazze, a differenza dei
ragazzi, residenti in prossimità di spazi esterni naturali (come alberi,
presenza di verde, ecc) mostrano una migliore autoregolamentazione
per quanto riguarda le emozioni e l‟attenzione. Questi stessi ragazzi,
in età scolare, giocano di più e si impegnano in giochi più complessi e
più creativi (tanto i maschi quanto le femmine) quando si trovano in
ambienti all‟aperto a contatto con la natura, rispetto ad ambienti sterili
(Faber Taylor e coll., 1998). I bambini di scuola elementare giocano in
modo più complesso quando si trovano immersi nella natura, rispetto
agli spazi ludici costruiti (Kirkby, 1989). I bambini in età prescolare
prediligono giochi fisicamente più impegnativi, sviluppando di
conseguenza maggiori abilità motorie, quando hanno la possibilità di
giocare in ambienti naturali (Fjortoft, 2004). Il gioco in aree naturali,
inoltre, crea giovamento ai bambini con disordini di attenzione e
iperattività (Faber Taylor e coll., 2001; Kuo e Faber Taylor, 2004). La
vicinanza della natura può anche migliorare l‟attenzione (Wells, 2000)
e respingere alcuni degli effetti dovuti all‟esposizione ad eventi
stressanti tra i bambini stessi (Wells e Evans, 2003).
Gli studi sul comportamento dei bambini prestano molta attenzione
al tema dell‟ecologia dello sviluppo, così vicina alla prospettiva dello
sviluppo e a quella ambientale (Bronfenbrenner e Crouter, 1983;
Görlitz, Valsiner, Harloff e Mey, 1998; Wachs, 1987). Il rapporto tra
lo sviluppo della persona e l‟ambiente evolve durante il corso della
vita. Questi cambiamenti sono particolarmente importanti durante la
prima infanzia, a causa del rapido sviluppo riguardante le abilità
motorie, cognitive e sociali. La progettazione di spazi adattati ai
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bambini richiedono una conoscenza delle caratteristiche della struttura
fisica tali da supportare od ostacolare le loro attività durante le varie
tappe dello sviluppo (Wohlwill e Heft, 1987). Durante gli ultimi
trent‟anni l‟interesse per l‟ecologia dello sviluppo ha promosso la
ricerca riguardante l‟influenza delle caratteristiche dell‟ambiente
fisico, come ad esempio gli asili nido e la scuola materna.
1.3 Ambiente e comportamento
Nella psicologia ambientale molti modelli teorici sottolineano
come il rapporto persona–ambiente sia bidirezionale e implichi un
processo dinamico (Wachs, 1989; Wapner, 1998). Molti considerano
l‟adattamento di una persona ad uno specifico contesto come
dipendente dalle caratteristiche individuali, dagli attributi ambientali,
e dalle loro interazioni (Moore, 1988; Werner e Altman, 1998). Così,
secondo questa prospettiva, la ricerca dei fattori dell‟ambiente fisico
che possono influire sul comportamento degli individui potrebbe
essere associato all‟esame delle caratteristiche personali e sociali che
aumentano o riducono la sensibilità degli individui a questi potenti
fattori ambientali (Garmezy, 1989).
Ci sono molti studi che indagano come i comportamenti cambino a
seconda del tipo di ambiente con cui le persone vengono a contatto.
Molti studi sostengono che un elevato livello di chiusura sociale sia
presente nei bambini in età prescolare quando si trovano ad interagire
in condizioni di sovraffollamento.
I genitori si mostrano meno reattivi, nei confronti dei bambini, nei
casi in cui le case siano maggiormente affollate, indipendentemente
dalla classe sociale, e questo rapporto inizia prima dei 12 mesi di età
(Bradley e Caldwell, 1984; Bradley e coll., 1994; Evans e coll., 1999;
Wachs, 1989; Wachs e Camli, 1991). Sia i bambini che i loro genitori
riportano frequenti casi di interazioni familiari negative e cariche di
tensioni nelle case affollate (Baldassare, 1981; Bartlett, 1998; Booth,
1976; Chombart de Lauwe, 1961; Fuller e coll., 1993; Gasparini,
1973; Gove e Hughes, 1983; Light, 1973; Loo e Ong, 1984; Saegert,
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1982; Youssef e coll., 1998), in cui si verificano anche la maggior
parte dei maltrattamenti infantili, in famiglie a basso reddito (Martin e
Walters, 1982; Wolock e Horowitz, 1979). Le caratteristiche personali
possono tamponare l‟impatto che la condizione di affollamento ha
sull‟aggressione: Loo e Kennelly (1978) hanno riscontrato nei ragazzi,
ma non nelle ragazze, una risposta ostile verso la condizione di
affollamento.
Concentrandoci sul tema della scuola, alcuni studi hanno scoperto e
messo in evidenza i benefici di scuole più piccole: in questo tipo di
scuole sembra che i bambini mostrino atteggiamenti più positivi, una
maggiore frequenza, meno problemi comportamentali e una maggior
partecipazione genitoriale nelle attività scolastiche (Schneider, 2002).
In studi successivi si è deciso di indagare la differenza, a livello
qualitativo, tra scuola e nidi senza pareti divisorie (quindi uno spazio
aperto a disposizione degli alunni e delle insegnanti) rispetto alle aule
più tradizionali, con spazi chiusi: è emerso come la prima tipologia di
classe presenti maggiori problemi di distraibilità e minor tempo
dedicato alle attività e ai compiti (Cotterell, 1984; Gump e Good,
1976; Moore, 1986; Neill, 1982). Sono inoltre presenti livelli più alti
di rumore (Kyzar, 1977), e gli insegnanti lamentano proprio il fatto
che la presenza di rumore sia un fattore comune alle scuole
caratterizzati da spazi aperti (Bennett e coll., 1980; Weinstein, 1979).
Questo sistema a circolazione non protetta contribuisce all‟aumento
della distrazione sia nella scuole materne (Greenman, 1988; Olds,
2001) che in quelle elementari (Evans e Lovell, 1979; Lackney, 2004).
Modificazioni sistematiche degli spazi senza pareti divisorie, a patto
di una maggiore demarcazione e di confini più distinti tra le aree di
apprendimento, ridurrebbero le interruzioni e il minor tempo dedicato
alle attività (Evans e Lovell, 1979; Weinstein, 1977). Molto poco si sa
sulla natura della relazione tra il rumore e la performance nei bambini
di età prescolare. I pochi dati disponibili indicano che i comportamenti
eccentrici dei bambini di 5 anni sono dovuti all‟esposizione, per un
breve periodo, a rumori che si verificano nell‟ambiente scolastico
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(Turnure, 1970), e che i rumori presenti nell‟ambiente domestico
vanno ad incidere negativamente sul linguaggio e sullo sviluppo
uditivo dei bambini piccoli, sullo sviluppo imitativo e senso motorio, e
sulle performance mnestiche (Heft, 1979; Wachs, 1982; Wachs,
Uzgiris, & Hunt, 1971).
Un‟altra difficoltà comune derivante dalle scuole che sposano un
progetto caratterizzato da spazi aperti è l‟irregolare uso degli spazi,
con grandi aree inutilizzate, spesso accompagnate da spazi periferici
in cui gli utenti, in questo caso specifico i bambini, si trovano a
condividere contemporaneamente gli stessi spazi (Propst, 1972; Rivlin
e Rothenberg, 1976). Il raggruppamento di aree dedicate alle attività
con confini più distinti sembrano attenuare questo tipo di problema,
incoraggiando il benessere e le comodità negli asili (Greenman, 1988;
Moore e Lackney, 1993; Olds, 2001; Sanoff, 1995; Weinstein, 1987).
Sia lo stile degli insegnanti che le caratteristiche personali dei bambini
possono moderare l‟impatto che l‟architettura scolastica ha sui
bambini stessi.
L‟ambiente fisico può influenzare lo sviluppo infantile sia
direttamente che attraverso gli adulti di riferimento. Oltre agli studi
con un valido disegno di ricerca, che andavano ad esaminare il ruolo
delle qualità ambientali sullo sviluppo dei bambini, più lavori sono
necessari per sottolineare il meccanismo sottostante l‟impatto
dell‟ambiente fisico sullo sviluppo.
Da tutte queste ricerche emerge l‟importanza che riveste
l‟ambiente, nonché la sua influenza sul comportamento. Alcuni
ambienti possono facilitare oppure ostacolare alcuni comportamenti;
un ambiente, se costruito in un determinato modo, può far sentire la
persona a proprio agio e facilitare l‟espressione di emozioni positive:
ma può accadere anche il contrario. Se un ambiente non è idoneo per
le persone che lo vivono, non creerà le condizioni ideali per lo
sviluppo e il benessere delle persone stesse.
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1.4 Aspetti affettivi della relazione individuo-ambiente
L‟attaccamento affettivo di un bambino alla persona di riferimento
ha profonde analogie con l‟attaccamento che si sviluppa verso i
luoghi, le cui principali dimensioni sono intensità, continuità, durata,
qualità emozionale, consapevolezza. L‟attaccamento ai luoghi varia in
funzione dell‟età e della dipendenza dell‟individuo dall‟ambiente. Una
parte importante della nostra identità (la place identity) è legata ai
luoghi di cui abbiamo avuto esperienza nella nostra vita.
Gli aspetti affettivi della relazione individuo-ambiente sono stati
studiati, al di fuori degli studi specifici di psicologia ambientale, da
molti punti di vista. In alcuni casi, però, è difficile stabilire
l‟estensione semantica del concetto di “ambiente”, nel senso che non
si tratta solo di un “luogo”, con le sue connotazioni fisiche, affettive e
comportamentali: “ambiente” viene piuttosto inteso come contesto,
fisico e sociale, in cui si sviluppano la personalità e i comportamenti
dell‟individuo. Naturalmente per il bambino l‟ambiente è
essenzialmente un ambiente umano; un ambiente inanimato non gli
permetterebbe di svilupparsi, ma “l‟uso che il bambino fa
dell‟ambiente non umano dipende dall‟uso da lui fatto in precedenza
dell‟ambiente umano”. Ambiente umano e ambiente non umano
mantengono una profonda analogia anche per la vita affettiva degli
adulti, fino a dare vita ad un “attaccamento ai luoghi” (Altman e Low,
1992) che ha, nelle diverse fasi della vita, radici e modalità di
espressione simili a quelle dell‟attaccamento alle persone.
I legami affettivi danno una coloritura positiva o negativa
all‟attivazione emozionale suscitata in noi dai luoghi. Alla radice di
questo attaccamento ai luoghi c‟è sempre una forma di dipendenza
dall‟ambiente. La prima forma di dipendenza dall‟ambiente che
sperimentiamo è quella di quando, da piccoli, cominciamo a
conoscere l‟ambiente (umano e non umano) intorno a noi, prima in
forma passiva e poi sempre più attiva e autonoma, con l‟esplorazione
e il movimento attraverso lo spazio. Quando il bambino comincia a
muovere i primi passi, il suo campo visivo cambia e la
sperimentazione dell‟ambiente umano e inanimato si fa sempre più
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estesa. Come nei legami affettivi, un forte legame di attaccamento con
i luoghi della propria infanzia e adolescenza resta presente per tutta la
vita, ed emerge chiaramente nei racconti autobiografici delle persone
anziane (Nicolini e Baroni, 2002). La valenza affettiva
dell‟attaccamento ai luoghi non è necessariamente solo positiva: un
luogo si può anche odiare e cercare di evitare, in quanto connotato da
emozioni spiacevoli.
In una serie di studi sull‟attaccamento ai luoghi, Giuliani e colleghi
(Giuliani, 1991; 1995; 2004; Giuliani e Barbey, 1993; Giuliani e
Feldman, 1993), partendo da dati empirici, disegnano alcune tipologie
dell‟attaccamento ai luoghi e individuano le dimensioni
dell‟attaccamento, quali l‟esistenza e continuità dell‟attaccamento,
l‟intensità, la qualità emozionale, la durata; altre caratteristiche
importanti sono la consapevolezza del proprio attaccamento a un
luogo, la propensione personale a stabilire legami di attaccamento ai
luoghi e infine la capacità di ricostituire nuovi legami di attaccamento
dopo una perdita. La dipendenza dall‟ambiente, che diminuisce man
mano che il raggio di azione del soggetto si fa più ampio, almeno fino
all‟adolescenza, sembra negativamente correlata alla “competenza
ambientale” (Lawton, Brody e Turner Massey, 1978; Lawton,
Windley e Byerts, 1982), cioè alla capacità di affrontare con successo
i problemi spaziali, sociali e lavorativi caratteristici dell‟età adulta.
Con l‟età anziana la competenza ambientale diminuisce, e subentra un
ritiro (professionale e sociale) caratterizzato dall‟aumento della
dipendenza ambientale da parte del soggetto. In termini pratici, questo
vuol dire che per una persona anziana di solito aumenta l‟influenza di
caratteristiche ambientali fisiche come le barriere architettoniche della
casa o del quartiere e la dipendenza dal vicinato e dai servizi sociali e
sanitari, e anche solo commerciali, del quartiere. Anche la dipendenza
affettiva dai luoghi più estesi (come città, regioni e stati) che nell‟età
adulta sembra regredire, con l‟età anziana ha un aumento dovuto alla
diminuita competenza ambientale.
Secondo Chawla (1992), che studia l‟attaccamento ai luoghi
nell‟infanzia e nell‟adolescenza, si può parlare di un attaccamento
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sano quando c‟è un equilibrio tra la ricerca di un centro interno
(l‟intimità, la famiglia) e l‟attrazione verso il mondo esterno. Una
buona qualità delle relazioni familiari e sociali dovrebbe aiutare a
coordinare queste due spinte. I confini geografici stessi del mondo del
bambino e dell‟adolescente, più che essere determinati da barriere
fisiche, sono il frutto di negoziazioni complesse tra l‟individuo e le
persone del suo ambiente, e sono comunque influenzati anche dalla
forza fisica e dalle abilità raggiunte dall‟individuo.
La congruenza tra l‟immagine di sé e quella del luogo in cui si vive
(Hull, 1992) fa riferimento proprio a quanto si adattano i significati e i
valori associati ad un ambiente fisico e l‟immagine che una persona ha
di sé. L‟ambiente in cui viviamo funziona un po‟ come un vestito nel
dare l‟immagine di come vogliamo apparire. Quando, per vari motivi,
esistono discrepanze tra la “place identity” di una persona e il luogo
fisico in cui risiede, i suoi sforzi saranno tesi a modificare l‟ambiente
secondo un‟immagine congruente al suo sé: se non ci riesce,
inevitabilmente, diminuirà o cesserà l‟attaccamento a quel luogo.
Naturalmente la possibilità di modificare un ambiente è legata alle
risorse fisiche, psicologiche e anche economiche del soggetto; ancora
una volta al suo livello di “competenza ambientale” e di dipendenza
dall‟ambiente. La place identity (Proshansky, 1978; Proshansky,
Fabian e Kaminoff, 1983) è costituita dalle dimensioni che
definiscono l‟identità personale dell‟individuo in relazione
all‟ambiente fisico. Dell‟identità di luogo fanno parte ricordi,
sentimenti, preferenze, relativamente ad aspetti del mondo fisico che
derivano in gran parte dal “passato ambientale” dell‟individuo, cioè
dalla relazione con i luoghi della sua vita, che sono serviti alla
soddisfazione dei suoi bisogni biologici, psicologici, sociali e
culturali. L‟identità di luogo non è legata a un luogo esclusivo, non
deve essere confusa con l‟attaccamento, ma è una dimensione
dell‟identità che si sviluppa nel tempo con le esperienze ambientali
delle persone ed è soggetta a variabili individuali come età, sesso,
appartenenza etnica e sociale, caratteristiche di personalità. Nel
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formare l‟identità di luogo convergono sia gli spazi fisici sia le
relazioni sociali (Fried, 2000).