IV
sistema. In questi ultimi movimenti giovanili si possono ritrovare alcuni
contenuti in parte ripresi dai movimenti degli anni sessanta, mentre per
altri versi se ne differenziano molto.
In questo mio studio mirato ad approfondire la nascita, le idee e
l'attuazione degli obbiettivi della prima fase delle Brigate Rosse,
considererò un periodo d'azione limitato a gli anni che vanno dal '70 al
'76 in cui il concerto di ideali dei padri fondatori risulta essere
determinante per la genesi del movimento e per la sua successiva
affermazione nel Paese; agendo in tal modo, implicitamente andrò a
creare una suddivisione della storia italiana di quegli anni in due distinti
periodi; uno precedente all'anno 1977 e uno dopo il 1977.
Il 1977, infatti, può essere individuato come l'anno della svolta in
cui si produce una vera e propria frattura nello sviluppo della società
italiana e una mutazione dell'organizzazione BR. Le attività dei
movimenti giovanili nel 1977 giungono all'apice del loro sviluppo e
cominciano a scontrarsi apertamente con le autorità e i partiti politici.
Il movimento extraparlamentare di sinistra senza potere non
valeva niente per questi gruppi reazionari. Il movimento non-
parlamentare di destra invece valeva tanto. I partiti politici moderati di
fatto non mettevano nessun ostacolo a quelle "coalizioni", formate da
elites di reazionari. Nella realtà politica governativa, degli anni settanta,
principi costituzionali dell'antifascismo si univano ai principi
anticomunisti di una forte coalizione di forze democratico centriste
presenti nella società italiana; forze per cui le regole della democrazia
parlamentare valevano poco o nulla e che dal loro agire vedevano
accrescere l'influenza e si comportavano sempre più arroganti sino ad
V
oltrepassare ogni limite. La democrazia parlamentare italiana, ha così,
perso parte della sua attendibilità nascondendo tanti affari che un sistema
politico proprio aperto ed onesto avrebbe designato e denunciato.
Nei primi anni settanta i mass media, le autorità e i partiti politici
s’intrecciano quasi completamente. La partitocrazia aspira alla
formazione di un "fronte nazionale", tra tutte le forze politiche capace di
resistere alle attività sovversive dei "terroristi". Alla partitocrazia non
piaceva l'informazione, che poteva ledere i suoi interessi e quelli dello
Stato, anche quando il disordine politico stava diminuendo.
Per poter articolare un discorso coerente, con uno schema
quantomeno lineare, sul terrorismo rosso, occorre inquadrarlo nel
periodo storico in cui s’inserisce non disdegnando di trattare quelle che
possono essere considerate, a torto o a ragione, le sue matrici culturali e
ideologiche.
Il terrorismo rosso non è stato un fenomeno isolato, ma affonda le
sue radici nella crisi economica, sociale e politica che investe il nostro
paese agli inizi degli anni settanta. Ma le basi ideologiche possono farsi
risalire al marxismo-leninismo. La sua provenienza culturale e sociale
può essere individuata già nell'esplosione della protesta nelle università
italiane del '68, i cui motivi vanno individuati non solo nelle mancate
riforme scolastiche degli anni '60 ma anche in un sentimento più
profondo che portava al rifiuto del "miracolo economico",
dell'individualismo, del tecnologismo, del valore della famiglia (appunto
fornite di individualismo), in forte polemica di grande valore etico con la
società come allora si presentava. A questi malumori facevano eco nel
mondo eventi di grande presa ideologica come la guerra del Vietnam, e
VI
la rivoluzione culturale in Cina o le imprese di qualche anno prima del
Che in Bolivia.
Alcuni elementi che il '68, inconsapevolmente, instillerà nel futuro
terrorismo possono essere individuati nel forte anti-autoritarismo, anti-
gerarchismo e anti-conformismo, nel disprezzo per le forze di sinistra
tradizionali (PCI e PSI), dipinte come "integrate" al sistema, nell'uso
della violenza (anche se il pacifismo era predicato, almeno all'inizio,
salvo poi finire per accettare come inevitabile e giustificata la violenza
proletaria contrapposta a quella capitalista), nel 1968-69, nasce la Nuova
Sinistra italiana in risposta alla cosiddetta strategia della tensione messa
in moto dalle forze conservatrici dello stato, con la quasi accertata
connivenza dei servizi segreti italiani e non. In questo caso un punto di
cesura può essere individuato nella strage di Piazza Fontana, avvenuta il
12 dicembre del 1969, probabilmente messa in atto dalla collaborazione
di Ordine Nuovo e della Cia, ma non nulla di definitivo è ancora stato
detto. Inoltre va considerato il quadro europeo in cui si trovava immersa
l'Italia di quegli anni, esasperato dal colpo di stato dei colonnelli in
Grecia, che squilibrava i rapporti di forza.
Nacquero dunque un gran numero di gruppi rivoluzionari: i
maoisti di Servire il Popolo, che si rivolgevano ai contadini e alla loro
fantomatica disciplina; “Avanguardia operaia”, a Milano, fondata sul
leninismo ortodosso, antistatalista; il “Movimento Studentesco”, “Lotta
Continua”, libertaria e irriverente; Potere operaio a Torino, fondato sul
potere dell'avanguardia di tipo leninista; il gruppo del Manifesto.
VII
Dal '68 al '76 questi gruppi coinvolsero migliaia di militanti in un
esasperato attivismo con lo scopo di raggiungere la rivoluzione e
l'abbattimento del capitalismo; in realtà questi gruppi avevano il difetto
di essere settari, elitari, e spesso finivano per attaccarsi a vicenda,
indebolendosi. Inoltre essi finirono per divenire al loro interno delle vere
e proprie macchine gerarchiche. Il 1969-70 si può considerare il
momento della nascita ufficiale a Milano del partito armato che di lì a
poco prenderà il nome di BR.
Prendendo adesso in considerazione i motivi che determinarono
l'espansione del terrorismo in quegli anni. Da una mia attenta analisi,
seppur modesta, del fenomeno che generò le BR ritengo siano almeno
due sono i fattori di riferimento. Il primo fu la crisi dei gruppi
rivoluzionari: dopo Potere Operaio anche Lotta Continua si sciolse; per
l'esattezza proprio dopo il suo secondo congresso sotto il peso
dell'autocritica e della demoralizzazione; parte dei loro aderenti
confluirono nelle BR. Il secondo è la frattura che si creò tra PCI e
universitari-operai. In realtà si creò il paradosso per cui i comunisti
volevano prevenire l'estendersi della violenza, ma la loro politica creava
un terreno più fertile per i terroristi. Detto questo si può capire perché il
1976 fu un anno che vide un sensibile aumento delle bande terroriste
(testimoniato dall'aumento, degli atti terroristici rossi rivendicati).
Il partito armato, dunque non nasce alle soglie del '77 ma ben
prima; in ogni modo se c'è un momento in cui si può datare il maggiore
reclutamento è l'estate del 1976, quando il PCI svolta a destra per l'unità
nazionale. È allora che, per ragioni politiche, sociali ed economiche, i
giovani si allontanarono dal PCI (causa compromesso storico) col rischio
VIII
serio di essere incanalati nelle frange del partito armato. In generale
denunciare l'atteggiamento delle forze di sinistra, PCI e PSI in quegli
anni, significa riconoscere gli errori e fare autocritica, troppo spesso
trascurata. Quando, come avvenne, molti giovani diventarono militanti
clandestini e poi terroristi rossi occorre chiedersi il perché, che non può
essere spiegato solo con l'alienazione derivante dai problemi individuali,
ma che chiama in causa la grave inadeguatezza delle forze politiche.
IX
INTRODUZIONE
La nascita del terrorismo rosso si fa risalire alla decisione di alcuni
militanti del Collettivo Politico Metropolitano di Milano di accelerare il
processo che avrebbe dovuto portare alla rivoluzione portando lo scontro
sul terreno della lotta armata; le lotte legali del movimento del '68 non
avevano portato infatti, secondo i militanti dei gruppi terroristici, nessun
cambiamento radicale della società italiana.
La scelta "ufficiale" del passaggio alla lotta armata fu presa dal
CPM a Pecorile, presso Reggio Emilia, nell'agosto del '70. Il vertice di
quelle che poi saranno le BR era formato da giovani di diversa
provenienza culturale e sociale; c'erano studenti di sociologia a Trento
(Curcio, Cagol, Semeria, Besuschio, Pisetta), ex-militanti della FGCI
emiliana (Franceschini, Gallinari, Ognibene), operai, provenienti
soprattutto dalla Sit-Siemens e dalla Pirelli Bicocca (Moretti, Alunni,
Ferrari, Bonavita). I punti di riferimento di questi terroristi erano
rappresentati soprattutto dalla guerriglia urbana del Sudamerica (copie
dei libri pubblicati da Feltrinelli sui Tupacamaros furono trovati in tutti i
covi delle BR) e il movimento partigiano comunista, in cui vedevano il
primo nucleo di lotta giovanile violenta contro l'ingiustizia.
Franceschini indicherà infatti nella scelta del nome Brigate Rosse
la materializzazione del "filo rosso" che li univa alla resistenza.
Le prime azioni dei brigatisti furono mirate verso i quadri dirigenti
delle fabbriche simbolo dell'oppressione capitalista, allo scopo di attirare
l'attenzione dei loro interlocutori privilegiati, gli operai; nel primo
X
periodo si limitarono ad atti teppistici contro auto e garage; le BR non
erano ancora passate seriamente all'offensiva.
Nella prima fase dell’attività le BR si limitavano generalmente a
sparare nelle gambe, un classico gesto dimostrativo. Il terrorista si
caratterizzava, in questa fase, soprattutto come un tecnico dei mezzi di
comunicazione di massa: puntava alla maggiore risonanza possibile del
suo gesto, quindi al consenso. L’attentato era il fatto necessario per
innescare il processo di comunicazione, ma non l’obiettivo principale.
Successivamente si è verificata una evoluzione; in parte
inevitabile, in parte conseguente alla reazione dell’opinione pubblica.
Era inevitabile un aggravamento degli attentati (passando quindi
all’omicidio e alla strage) perché il ripetersi di episodi meno gravi
determinava assuefazione: la stampa e l’opinione pubblica li
registravano con interesse gradualmente minore. Ma, soprattutto, le BR
si sono accorte che il consenso che riscuotevano era assai limitato,
praticamente nullo, anche quando le vittime erano persone che esse
ritenevano odiate.
Le BR hanno allora cominciato a puntare soltanto sul consenso
interno al movimento (rialzandone il morale con atti sempre più audaci)
e sul reclutamento di nuovi militanti; di qui gli attacchi, particolarmente
gravi, verso i magistrati e gli agenti carcerari, per acquisire il favore dei
criminali comuni disponibili a passare all’attività politica.
Nei tempi più recenti, il terrorismo italiano si è dunque
caratterizzato come un’organizzazione efficiente, di dimensioni limitate,
che non punta al consenso di massa, che rimane in attività di servizio con
lo scopo principale di autoalimentarsi (di finanziarsi, di reclutare nuovi
XI
quadri) e di mantenere come un fatto acquisito la sua capacità di tenere
in scacco il Paese, in attesa di nuovi eventi. Le BR sono cioè divenute un
dato stabilizzato della nostra situazione politica: non sono in grado di
farla mutare per forza propria, ma sono sufficientemente forti per
resistere e sopravvivere. Sono in attesa: la loro attività cambierebbe il
giorno in cui subentrassero cambiamenti politici profondi. In questo caso
potrebbero rinunciare all’impresa, oppure proporsi scopi diversi o magari
anche più ambiziosi.
Il terrorismo delle BR non può in alcun modo essere accomunato
con una guerra di liberazione che come tale gode di una simpatia,
quando non di un appoggio, della popolazione, e soprattutto nasce solo
da una situazione di palese oppressione dittatoriale, che nega la
possibilità di un suo mutamento pacifico e democratico; mentre vediamo
che il terrorismo nasce proprio nei regimi tra i più democratici quelli
europei e non gode di alcun appoggio, né morale né materiale, da parte
delle popolazioni.
Volendo sintetizzare quali potrebbero essere le origini ultime di un
simile fenomeno, si potrebbero individuare due cause, dissimili ma ben
concatenate fra loro.
L’una, che rappresenta come il terreno, il presupposto per il
nascere del terrorismo, è dovuta alla delusione insorta dal sostanziale
fallimento dell’ideologia sessantottesca, che sembrava aver trovato uno
sbocco rivoluzionario al sostanziale “imborghesimento” della sinistra
istituzionale; la brusca parcellizzazione del Movimento studentesco in
altrettante frange in lotta ideologica fra loro, ha in un tempo dimostrato
XII
l’impossibilità di un coinvolgimento nella lotta delle masse e spinto
alcune componenti alla determinazione della lotta armata clandestina.
In sostanza, quindi, si tratterebbe di una crisi di speranza nella
costituzione pacifica di una nuova società, con il conseguente ricorso alla
disperazione delle armi. Ma tutto ciò, se può costituire il terreno per
l’insorgere di atti terroristici, non è in grado di giustificare, da solo, uno
sviluppo così ben coordinato e tremendamente efficiente del terrorismo
come abbiamo dovuto verificare in Italia ed altri paesi.
Perché ciò avvenisse, occorreva che su un simile terreno si
innestasse un intervento esterno, lucido quanto cinico, che,
strumentalizzando la disperazione di esigue minoranze, le guidasse verso
un suo disegno di destabilizzazione delle nostre istituzioni e, più in
generale, nel quadro politico internazionale.
In questo modo si spiegherebbero la stretta connessione che le
varie bande hanno a livello internazionale e la quasi impossibilità di
giungere all’identificazione fisica dei veri responsabili.
Durante tutto il '70 si assistette alla nascita di altri due gruppi
armati: i GAP (di chiara ispirazione partigiana) e il gruppo genovese
XXII Ottobre. I GAP, fondati e finanziati dall'editore milanese
Giangiacomo Feltrinelli, che, terrorizzato da un possibile golpe della
destra, voleva dare vita ad "una nuova resistenza di massa", ebbero vita
breve: Ginsborg lo liquida definendolo un gruppo esistente "più
nell'immaginazione che nella realtà". Il XXII Ottobre, protagonista di un
fallito tentativo di sequestro di autofinanziamento, tornò alla ribalta
quando la liberazione dei suoi componenti fu trasformata in possibile
"merce di scambio" dalle BR. L'alzo del tiro delle BR si verificò nel
XIII
marzo '72, quando fu sequestrato e subito rilasciato l'ingegnere della Sit-
Siemens Idalgo Macchiarini.
In questa linea non ancora di vera e propria lotta armata, si
inseriscono il rapimento del sindacalista torinese Bruno Labate, del
dirigente della Alfa Romeo Michele Mincuzzi, del capo personale della
FIAT torinese Ettore Amerio, tutti avvenuti tra il '72 e il '73 e
caratterizzati dai primi processi proletari, condotti dai rapitori in nome
del "tribunale del popolo".
Durante questa prima metà degli anni '70 matura la nuova strategia
brigatista, "portare l'attacco al cuore dello Stato", che si tradusse in
azioni contro persone delle istituzioni per colpire lo Stato stesso.
Il primo sequestro di questa nuova strategia fu quello del giudice
Mario Sossi (18 aprile '74), pubblico ministero nel processo contro il
XXII Ottobre, tenuto prigioniero dalle BR per trentacinque giorni e
rilasciato pur senza la controparte richiesta (i militanti dello stesso XXII
Ottobre). Pur se ventilata l'ipotesi dell'omicidio del "prigioniero del
popolo" in caso di insuccesso, l'assassinio non era ancora stato adottato
come mezzo di lotta politica; la scelta decisiva in questo senso non tardò
a venire: l'8 giugno '76 fu freddato vicino casa Francesco Coco, sostituto
procuratore a Genova, del "partito degli intransigenti" nel caso Sossi
(cioè lo scambio Sossi-detenuti).
Tra il '74 e il '76 il proseguimento della lotta armata fu
condizionato da due importanti avvenimenti, l'arresto di Curcio e
Franceschini, grazie alle soffiate dell'infiltrato Silvano Girotto, e la
successiva evasione di Curcio dal carcere di Casale Monferrato.
XIV
L'uso degli infiltrati fu da allora usato con successo dalle
istituzioni per debellare il terrorismo, anche se nella seconda metà del
decennio non sempre risulteranno chiari i ruoli che questi agenti
ricoprirono (in particolar modo nel caso Moro).
L'evasione di Curcio mise in risalto, inoltre, il problema della
sicurezza dei penitenziari; la risposta dello Stato fu la riforma
penitenziaria, l'istituzione delle carceri speciali e di massima sicurezza
per i "detenuti politici" e la cosiddetta legge Reale, che assegnava alla
polizia poteri eccezionali nella prevenzione al terrorismo.
Come reazione a ciò quest'ultimo intensificò il suo attacco contro
le istituzioni e cominciò a porre particolare attenzione al mondo delle
carceri, al quale attribuirono un notevole potenziale rivoluzionario.
Dopo questo episodio i NAP
1
furono sgominati e i superstiti
confluirono nelle BR.
L'uccisione di Mara Cagol avvenuta il 5 giugno in seguito a un
fallito rapimento e mai chiarita del tutto nella sua dinamica e il definitivo
arresto di Curcio nel gennaio '76 segnarono la fine del "vertice storico"
delle BR, sempre più sottoposte alla leadership sanguinaria di Mario
Moretti.
Nel biennio 1976-77 le BR si riorganizzarono soprattutto dal
punto di vista militare e attuarono negli anni '77-'78 quella che fu poi
definita la "strategia dell'annientamento" con una lunga serie di omicidi e
gambizzazioni ai danni di giornalisti, amministratori locali, poliziotti,
magistrati e quanti potevano essere considerati "servi dello Stato".
1
NAP: Nuclei Armati Proletari. Sorgono a Napoli negli ambienti attivi sulla questione carceraria.
Trasferitisi a Roma i militanti del NAP sequestrano nel ’75 il magistrato Giuseppe Di Gennaro.
XV
L'azione simbolo di questa nuova fase dell'attività delle BR fu il
rapimento, il 16 marzo del '78, del presidente della DC Aldo Moro e la
strage della sua scorta. Forte fu l'indignazione dell'opinione pubblica; il
mondo politico italiano fu spaccato in due; da una parte quelli che
volevano trattare con i rapitori per la liberazione dell'ostaggio, dall'altra
quelli che rifiutavano ogni patteggiamento con le BR. Gli attentati si
susseguirono in grande numero anche dopo la vicenda Moro.