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1) PERFORMANCE ATTRIBUTION
1.1) Definizione, scopi e genealogia
La performance attribution è un insieme di metodologie di scomposizione del
rendimento in eccesso, di un portafoglio rispetto al proprio benchmark, in distinte
componenti che identificano e quantificano l’impatto sul rendimento attivo di tutte
le decisioni prese dal management nel processo di investimento.
Queste recenti tecniche di misurazione della performance hanno oggi molto
successo nel mondo finanziario grazie alle loro importanti applicazioni all’interno
delle imprese di investimento, in quanto permettono ai managers, e al personale
preposto a valutarli, di controllare il processo di investimento, di capire quali sono
state le scelte vincenti che hanno condotto all’ eventuale valore aggiunto e quali le
componenti negative da modificare in un nuovo processo. Inoltre sono molto utili
agli investitori esterni che desiderano selezionare i fondi su cui investire e
successivamente valutare la gestione e la conformità di quest’ultima con la
politica di investimento preventivamente dichiarata.
A causa dei differenti processi di investimento adottati dalle aziende finanziarie e
del susseguirsi degli studi nel tempo, non esiste un’unica metodologia valida di
performance attribution, ma più di una, spesso in contrasto anche sullo stesso
argomento.
I primi studi in materia risalgono al 1972, anno in cui venne pubblicato un
documento dalla Society of Investment Analysts di Londra, che presentava i
concetti chiave di rendimento attivo rispetto al benchmark, portafogli teorici, asset
allocation e stock selection. Lo sviluppo principale e la sua diffusione si devono a
due studi pubblicati sul Financial Analysts Journal, che miravano a identificare le
cause fondamentali della performance nei fondi pensionistici. Il primo
“Measuring non-US equity portfolio performance” fu scritto da Gary Brinson e
Nimrod Fachler nel 1985, il secondo “Determinants of portfolio performance” da
Gary Brinson, Randolph Hood e Gilbert Beebower nel 1986. Entrambi formano il
cosiddetto Brinson’s model, il primo che ha focalizzato l’attenzione
esclusivamente sul rendimento, dovuto alle diverse classi di investimento in cui
possono essere raggruppati tutti i titoli, e sul confronto di quest’ultimo con il
rendimento di un benchmark di simile composizione.
In seguito nacquero accesi dibattiti sulla validità del modello, errate
interpretazioni pratiche, e molti studi si susseguirono per confermare ed adeguare
la metodologia di calcolo ai vari settori che compongono il mercato finanziario.
Tra questi ultimi i più importanti da citare sono gli studi di Allen (1991)
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“Performance Attribution for Global Equity Portoflios”, Ankrim e Hensel (1992)
“Multicurrency Performance Attribution” e “Global Asset Management and
Performance Attribution” di Karnosky e Singer (1994), tutti riguardanti la
gestione globale di attività finanziarie e la problematica delle valute; quelli di
GRAP (1997), Carino (1999), Menchero (2000), Davies e Laker (2001), Frongello
(2002), riguardanti la performance attribution aritmetica multi-periodale e la
problematica dei rendimenti residuali non spiegati dal modello; quelli di Bain
(1996) “Investment Performance Measurement”, Burnie, Teder e Knowles (1998)
“Arithmetic and Geometric Attribution”, “Excess Returns – Arithmetic or
Geometric?” di Bacon (2002), riguardanti la performance attribution geometrica.
Per quanto concerne l’analisi dei portafogli investiti principalmente in equity, il
modello base di attribuzione è stato suddiviso in due metodologie per captare
meglio le decisioni attive riguardanti la selezione dei titoli sul mercato. Il metodo
top-down si abbina a un manager orientato alla scelta dei comparti in cui le borse
internazionali sono suddivise, l’approccio bottom-up si addice, invece, alla
valutazione di un manager la cui attività principale è lo stock picking.
Molte aziende d’investimento sostituiscono o integrano le tradizionali tecniche di
attribuzione della performance con i modelli fattoriali (factor model based
approach). Questi ultimi, che derivano direttamente dal capital asset pricing
model, hanno lo scopo principale di analizzare, quantitativamente, la performance
di un portafoglio che subisce il rischio sistematico e di aiutare i manager nella
costruzione prospettica. Ultimamente essi vengono anche utilizzati come
strumenti di scomposizione del rendimento in eccesso, da un punto di vista
retrospettivo.
Tale analisi della performance si differenzia per il fatto che i titoli non vengono
raggruppati in classi, alle quali si associa parte del rendimento attivo, ma il
rendimento in eccesso rispetto al tasso privo di rischio viene sottoposto a
un’analisi di regressione lineare verso i rendimenti di ciascun fattore a cui è
esposto il portafoglio (es. size, capitalization, style, momentum, countries,
industries). Le esposizioni così trovate verso ciascun fattore, misurano il grado di
sensibilità del portafoglio e perciò identificano il grado di rischio sistematico non
diversificabile (β). Il rendimento specifico (α), invece, è quella parte di
rendimento totale conseguito, non spiegata dai fattori, ed è dovuta all’abilità del
manager nella security selection.
Tra i principali studi sull’argomento si devono citare il modello a tre fattori di
French-Fama (1952), la scomposizione di Fama (1972) e l’ asset class factor
model di Sharpe (1988).
Come detto in precedenza, le differenti metodologie di misurazione della
performance devono essere conformi alla politica di investimento, per questo
motivo l’approccio fattoriale è consigliabile a un manager quantitativamente
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orientato e che costruisca il portafoglio in base alle differenti esposizioni; mentre
è consigliabile la metodologia tradizionale a un manager che gestisca attivamente
le allocazioni nei vari segmenti del mercato e/o faccia stock picking. L’uso
contemporaneo dei due approcci è comunque utile, perché permette di
concentrarsi su più aspetti della performance e di verificare la validità del
benchmark tramite l’analisi delle esposizioni, di quest’ultimo e del portafoglio.
Da questo insieme di modelli, che meglio si adatta ai fondi azionari, si è staccato
allontanandosene, un filone di studi per applicare la performance attribution ai
tioli a reddito fisso (fixed income performance attribution). Esso si focalizza su
tecniche più flessibili e specifiche che riescono meglio a captare le variazioni
della curva dei rendimenti per scadenza e le variazioni del rischio di credito,
contemporaneamente reintegrando al proprio interno il concetto e la misurazione
del rischio. I documenti più important sono di GRAP (2004) “Attribution de
performance obligataire” e Bacon (2004) “Practical portfolio performance
measurement and attribution”.
Una caratteristica fondamentale presente nell’approccio fattoriale ma
completamente trascurato dall’approccio di Brinson et al., riguarda la
quantificazione del rischio, sistematico e specifico, assunto nel processo di
investimento. Prendere in considerazione solo il rendimento in eccesso del
portafoglio sul benchmark e scomporlo nei vari attributi può però creare alcune
distorsioni, quando sono selezionati titoli e settori che presentano la stessa
performance ma diversi livelli di rischio. Per ovviare a questa problematica, è
stata sviluppata, a partire dagli anni 90’, una tecnica di attribuzione parallela a
quella base di performance attribution, denominata risk attribution, al fine di
segmentare la volatilità in componenti additive, che rappresentano il contributo di
ciascuna decisione attiva al rischio totale. L’importanza della coerenza tra le due
metodologie e dell’ancoraggio delle misure di rischio al rendimento delle
componenti, definite nel primo sistema, ha portato alla coniazione del terminre
risk-adjusted performance attribution.
Come il factor model based approach, il nuovo approccio può essere utilizzato
anche per la costruzione di un portafoglio e per il suo bilanciamento nelle fasi
successive.
Finora non si riscontra un suo elevato successo tra gli analisti finanziari, benché
molti di essi abbiano ricevuto mandati con limitazioni riguardanti la volatilità
assoluta o relativa, e quindi le misure di varianza e tracking error volatily (misura
di volatilità dei rendimenti del fondo intorno al benchmark). Ciononostante essa
rimane la frontiera futura dei prossimi studi.
Il primo ricercatore che si è focalizzato nella riconciliazione rendimento-rischio, è
stato Ankrim nel (1992), esclusivamente per la classe azionaria. Nella
pubblicazione “Risk-adjusted performance attribution” del Financial Analysts
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Journal, a ciascuna componente di rendimento è attribuita la misura di rischio
sistematico β. Modelli più generali, che considerano il rischio nella sua totalità,
sono stati elaborati da Mina (2002), “Risk attribution for asset managers”, da
Bertrand (2005) “A note on portfolio performance attribution: Taking risk into
account”, da Menchero e Hu (2006) “Portfolio risk-attribution” e Menchero
(2007) “Risk-adjusted performance attribution”.
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MAPPA CONCETTUALE
PERFORMANCE
ATTRIBUTION
asset grouping
based approach
BF 1985
BHB 1986
aritmetica
top-down approach
bottom-up approach
geometrica multivaluta
risk-adjusted
performance
attribution
fixed income
performance
attribution
monoperiodale multiperiodale
factor-model based
approach
FAMA 1972
1988 SHARPE
STYLE
ANALYSIS
4 FACTOR
MODEL
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1.2) Scomposizione del processo d’ investimento
Nel modello BHB base, il processo di gestione degli investimenti viene
scomposto in tre principali decisioni a cui si attribuisce una percentuale del
rendimento totale del portafoglio.
La prima riguarda la definizione della politica di investimento di lungo periodo
(asset allocation strategica) in cui lo “sponsor” stabilisce i pesi normali delle classi
di attività che sceglie di detenere (es. azioni, obbligazioni, cash equivalents) in
base alle limitazioni provenienti dagli investitori, alla tolleranza al rischio,
all’orizzonte finanziario e all’andamento dei premi per il rischio previsti nei
mercati finanziari.
In questa fase si definisce il benchmark, un fondo statico, i cui rendimenti sono
indicizzati sugli andamenti dei mercati finanziari e i cui pesi sono dedotti dalla
media delle partecipazioni nel tempo o tramite lo style analysis. Esso deve
rispecchiare il più possibile la strategia di investimento di lungo periodo affinché
la comparazione con il portafoglio sia valida. Per esempio non avrebbe alcun
significato il confronto tra un portafoglio investito soprattutto in azioni small-cap
e un benchmark indicizzato su large-cap, perché la divergenza dei due settori può
portare a una sovrastima o sottostima dell’ effettiva performance conseguita dal
manager.
La seconda e la terza decisione appartengono alla gestione attiva del portafoglio e
vengono poste in essere dal manager per battere il benchmark definito in
precedenza.
La seconda riguarda l’asset allocation tattica in cui il manager decide di deviare
nel breve periodo dai pesi normali, per sovrappesare le classi per cui si aspetta un
rendimento superiore e sottopesare le classi per le quali si aspetta un rendimento
inferiore, al fine di migliorare il profilo rendimento/rischio.
In questa tesi verrà utilizzata la formula del modello Brinson-Fachler, dove la
contribuzione dell’allocation al rendimento totale è positiva solo se si è deciso di
sovrappesare una classe con un rendimento superiore al rendimento totale del
benchmark e di sottopesare una classe che presenta un rendimento inferiore al
rendimento totale del benchmark. Al contrario la formula originaria non
prevedeva quest’ultima comparazione e può condurre a risultati non significativi.
La terza e ultima decisione riguarda la security selection (o stock picking) in cui il
manager decide di sovrappesare o sottopesare i titoli all’interno di ciascuna classe
per conseguire un rendimento superiore della classe rispetto a quella del
benchmark.
Benché, nella maggior parte dei casi, non sia l’esito di una decisione
effettivamente presa dal manager, esiste una quarta componente, risultante dalla
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combinazione dell’ allocation e selection, denominata interaction. L’interaction è
positiva quando sono state sovrappesate le classi in cui il manager ha conseguito
un rendimento superiore rispetto al benchmark e quando sono state sottopesate le
classi in cui si è registrato un rendimento inferiore a quello del benchmark. Non è
del tutto inusuale, comunque, pensare che un manager voglia gestire l’effetto
interaction, coordinando le deviazioni dei pesi con l’abilità di stock picking dentro
le categorie.
Alcuni analisti la omettono includendola talvolta nell’allocation e altre volte nella
selection (rispettivamente usando i rendimenti del portafoglio al posto di quelli
del benchmark e usando il peso del portafoglio al posto di quello del benchmark).
Essendo questa componente direttamente proporzionale allo scarto tra i pesi e allo
scarto tra i rendimenti, è vivamente consigliabile tenerla distinta per non causare
una sovrastima o sottostima delle altre determinanti.
1.3) Performance attribution aritmetica
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Per quantificare il contributo individuale di ogni singola componente sul
rendimento totale del portafoglio, si costruiscono quattro portafogli teorici
(notional portfolios) dati dalle quattro combinazioni differenti dei pesi del
benchmark, pesi del portafoglio, rendimenti del benchmark, rendimenti del
portafoglio.
Essi vengono rappresentati nella matrice dei rendimenti parziali dove ciascun
quadrante identifica una configurazione di rendimento:
security selection
asset allocation
rendimenti effettivi
r
P
rendimenti passivi
r
B
pesi effettivi
w
P
IV
o
Rendimento effettivo del
portafoglio
II
o
Rendimento passivo con pesi
effettivi
pesi passivi
w
B
III
o
Rendimento effettivo con pesi
normali
I
o
Rendimento della
politica/benchmark
Dove:
w
i
P
= peso effettivo nel portafoglio della classe di attività i-esima
r
i
p
= rendimento effettivo nel portafoglio della classe di attività i-esima
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Brinson, Gary P., L. Randolph Hood, and Gilbert L. Beebower, “Determinants of Portfolio
Performance”, Financial Analysts Journal, 1986, pp. 39-44.