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Introduzione
Nell‟affrontare la condizione della donna in Sicilia negli anni
Sessanta, mi sono proposta alcuni obiettivi.
Innanzitutto quello di mostrare come la società di quel periodo
sia stata, in genere, più severa nel giudicare non conforme alla
morale il comportamento della donna rispetto a quello identico
dell‟uomo, ad esempio nel caso dell‟adulterio, e come anche la
legislazione sia stata altamente discriminatoria nei confronti della
donna. Quindi ho voluto sottolineare come la responsabilità
dell‟asservimento della donna siciliana, all‟interno della famiglia
patriarcale, fosse dovuto alla miseria ed all‟ignoranza, presenti nella
società a motivo del ritardo nello sviluppo del sud.
Un altro obiettivo: evidenziare il fatto che la donna siciliana
sia sempre stata capace di ribellarsi e di lottare per assicurare i beni
di prima necessità alla propria famiglia. E come, fin dagli anni ‟60, si
sia impegnata per avere riconosciuta l‟uguaglianza di trattamento
economico e giuridico rispetto all‟uomo nel campo del lavoro; come,
dopo il ‟68, accogliendo le istanze dei movimenti femministi, la
donna siciliana sia stata capace di esprimere il diritto alla propria
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sessualità per sottrarsi al prepotere maschile contribuendo anche alla
definitiva affermazione del divorzio nel 1974 ed alla depenalizzazione
dell‟aborto nel 1978.
Ancora, ho voluto porre l‟attenzione sul rapporto tra cinema, donna e
società e sul loro interagire, attraverso modelli femminili proposti da alcuni
film di successo.
Infine, riferendomi ai film di Germi, Monicelli e Damiani, che si
occupano dell‟arretratezza dei costumi e della condizione della donna in
Sicilia negli anni Sessanta, il mio intento è stato sottolineare come gli
articoli di legge 544 e 587 del Codice penale, allora vigente, anziché
combattere i reati e punirli, siano stati spesso di supporto, se non di
incentivo, ad azioni criminali.
Mi ha guidato in questo lavoro la curiosità di conoscere quelle che
erano le effettive condizioni di vita delle donne in Sicilia, in quegli anni, al
di là di quelle che forse sono state le forzature della commedia satirica di
film quali “Divorzio all‟italiana”, “Sedotta e abbandonata” o “La ragazza
con la pistola”.
Purtroppo ho dovuto rendermi conto di come nei paesi siciliani, e
non solo, vigeva una mentalità retriva che, attribuendo alle donne il ruolo
di depositarie dell‟onore familiare, in ossequio ad antichi usi e costumi, di
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fatto ne limitava la libertà personale, arrivando perfino a volte a
condizionarne l‟intera esistenza.
Per sviluppare l‟argomento di questa tesi mi sono servita di
una bibliografia, utile per l‟approfondimento di varie tematiche, oltre
che di pagine di quotidiani siciliani, contemporanei ad un fatto di
cronaca, qui trattato, quello di Franca Viola, e quindi da considerarsi
“documenti storici”. Mi sono avvalsa anche della consultazione di
articoli su diversi siti Internet, oltre che di un‟ attenta visione dei
film, appositamente scelti, per l‟indagine critica e sociologica.
Nel primo capitolo, nell‟interessarmi alla condizione della
donna negli anni „60, vista nell‟ambito della famiglia patriarcale, ho
condotto un breve excursus storico, allo scopo di riscoprire le antiche
“consuetudini” siciliane che “legiferavano” in materia d‟onore,
proseguendo quindi con il Codice civile del 1865 del Regno d‟Italia,
per la parte che riguarda la famiglia, evidenziando la situazione di
subordinazione della moglie rispetto al marito, che si protrae per
buona parte del secolo seguente. Una discriminazione che viene
mantenuta nel Codice Rocco, entrato in vigore nel 1930, che
istituzionalizza con l‟art. 587 il delitto d‟onore.
Ho ricercato inoltre le responsabilità dell‟arretratezza dei
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costumi e del sottosviluppo del sud nella non risolta “questione
meridionale”.
In questo capitolo viene anche presentata la vicenda di Franca Viola.
Nel secondo capitolo, dopo aver ricordato le lotte sostenute dalle
contadine e dalle popolane siciliane, dal secondo dopoguerra a tutti gli anni
‟50, per la sopravvivenza, per la pace e per ottenere le terre dei latifondi,
tratto quelle affrontate negli anni „60 nei vari settori del lavoro dalle donne
per raggiungere parità remunerativa e giuridica con gli uomini o per altre
finalità a salvaguardia del lavoro, non tralasciando l‟azione intrapresa, dopo
il „68, dai movimenti femministi per liberare le siciliane dai
condizionamenti dell‟arretratezza socio-culturale.
Documento, inoltre, con dati statistici relativi ai censimenti del 1961
e del 1971, il graduale aumento della presenza femminile nel sistema
dell‟istruzione; dalle scuole elementari fino all‟università e la presenza
femminile nei vari settori del mondo del lavoro, fermo restando che, ai
tempi, le donne per la maggior parte erano casalinghe.
Infine, dopo aver analizzato il rapporto delle donne siciliane con la
politica, mi sono soffermata sull‟operato dell‟esiguo numero di quelle
elette all‟Ars dal 1947 fino alle soglie del 1970, per poi concludere con le
maggiori conquiste nel campo legislativo, a favore delle donne, negli anni
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seguenti.
Nel terzo capitolo mi occupo del rapporto d‟interdipendenza,
venutosi a creare tra cinema, donna e società, attraverso modelli
femminili emergenti da film di successo, dal periodo dei telefoni
bianchi fino agli anni Sessanta, concentrandomi in particolare sui
film di Pietrangeli, aventi come protagoniste donne in crisi, con
difficoltà ad adeguarsi ai rapidi cambiamenti economici e sociali
degli anni del “boom economico”.
Nel quarto capitolo, tenendo presenti i condizionamenti
culturali e sociali in cui si trova a vivere la donna siciliana negli anni
Sessanta, analizzo i film della commedia satirica “Divorzio
all‟italiana” (1961) e “Sedotta e abbandonata” (1963) di Pietro
Germi, “La ragazza con la pistola” (1968) di Mario Monicelli ed il
film di impegno civile, “La moglie più bella” (1969) di Damiano
Damiani, ispirato alle vicende di Franca Viola.
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CAP. I
La condizione della donna in Sicilia
1.1. Famiglia e costume
Trattare della condizione della donna in Sicilia nel decennio ‟60-‟70
vuol dire scontrarsi con una realtà complessa, difficile, piena di
contraddizioni, ma in lento e continuo mutamento, poiché nuove idee e
situazioni man mano si vanno sostituendo a quelle precedenti spesso
inadeguate alle nuove esigenze della contemporaneità.
Ancora all‟inizio del decennio in questione, continuano a persistere
in gran parte quelle tradizioni secolari che volevano che la donna, a tale
scopo educata sin da bambina nella famiglia patriarcale, avesse come
obiettivi soprattutto il matrimonio e la maternità e che, relegata entro il
chiuso delle mura domestiche, fosse sottoposta al volere dell‟uomo,
capofamiglia, e dedita in speciale modo alle faccende casalinghe e alla
crescita e educazione dei figli. La maggior parte dei siciliani riteneva infatti
che il lavoro femminile extradomestico potesse rappresentare un rischio per
il decoro e la morale della donna e inoltre guardava con sospetto, se non
addirittura con compatimento, la donna nella malaugurata ipotesi che
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restasse zitella.
Questa concezione della condizione femminile prescindeva
sostanzialmente dall‟appartenenza alle varie classi sociali. La donna,
chiusa in casa o se usciva sempre sorvegliata da qualche parente,
sopportava tutto questo, in ossequio ad un antico costume, per la
tutela dell‟onore.
Se avesse tradito la fiducia, riposta in lei, un membro della sua
famiglia, nella persona del padre, del fratello o del marito, avrebbe
dovuto compiere un delitto d‟onore.
Era stato l‟imperatore Federico II, nella sua attività legislativa,
di cui è testimonianza il Liber Augustalis, ad occuparsi della
condizione femminile, mostrando particolare attenzione alla tutela
della dignità della donna, senza usare alcun riguardo nei confronti
della donna che pratica l‟adulterio. Infatti, “il marito che scopre la
moglie con un altro uomo in flagrante può ammazzarli: è l‟unico
caso di omicidio autorizzato; l‟onore del marito è più forte della
dignità e della vita stessa della donna, per quanto adultera”
1
.
Parimenti nelle Consuetudini di Palermo (1317), cap. 12, era data
1
B. Tragni, La condizione delle donne nel Liber Augustalis di Federico II, in “Stupormundi”, 2004,
[http://www.stupormundi.it/tragni.htm], (visitato il 10 febbraio 2010).
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alle donne la possibilità, per conservare il loro pudore, di non presentarsi in
tribunale, facendosi delegare da procuratori o parenti.
Nel cap. 41 delle Consuetudini di Trapani (1331) si stabiliva che: “il
marito poteva, anzi doveva, perché in caso contrario era ritenuto lenone,
uccidere la moglie colta in flagrante adulterio, assieme all‟amante; ma
doveva farlo subito”
2
. Inoltre, nel cap. 33 delle Assise dei Re di Sicilia, si
riporta che fu punito con “la pena di lenocinio (consistente nel taglio del
naso) quel marito che trattenesse presso di sé la moglie sorpresa in
adulterio, o che lasciasse sfuggire l‟adultero”
3
.
La condizione di assoggettamento della donna all‟uomo all‟interno
della famiglia si protrae attraverso i secoli, venendo poi confermata nel
Codice civile del Regno d‟Italia del 1865. Questo, per quanto concerne i
rapporti familiari, stabiliva che il marito era il capofamiglia, che la moglie
ne assumeva il cognome ed era obbligata a seguirlo dovunque egli volesse
fissare la sua residenza: il contenuto di quest‟articolo è rimasto immutato
per centodieci anni. Egli aveva inoltre il dovere di proteggere la moglie, di
tenerla presso di sé e di mantenerla in proporzione alle sue sostanze.
In un altro articolo si impediva alla donna di fare atti giuridici di una
certa importanza, in materia di donazioni, ipoteche, alienazioni di
2
S. Mafai, Le siciliane, in idem (a cura di), Essere donna in Sicilia, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 54.
3
Ibidem.
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immobili, cessioni e riscossioni di capitali, senza l‟autorizzazione del
marito. Si dovrà aspettare la nascita del nuovo secolo, ed esattamente
l‟anno1919, perché con la legge Disposizioni sulla capacità
giuridica della donna venga abolita l’autorizzazione maritale; in
conseguenza di ciò la donna acquisterà una certa autonomia. Ancora,
sempre nello stesso Codice civile del 1865, si stabiliva che
l‟esercizio della patria potestà era esclusivo del padre, per cui
passava alla madre solo nel caso che restasse vedova, “ma la stessa
doveva essere affiancata da un consiglio di famiglia, composto dagli
ascendenti, dai fratelli e dagli zii di sesso maschile dell‟orfano, con
funzioni consultative e di autorizzazione”
4
.
Inoltre l‟adulterio della moglie, essendo reato, legittimava la
separazione; mentre quello del marito non portava a ciò, tranne che
non fosse eccessivamente scandaloso. In definitiva, il codice civile
del 1865 aveva una concezione autoritaria e maschilista della
famiglia; lo Stato interveniva poco, ad esempio per mettere in
carcere la moglie adultera. Questo modello di famiglia perdurerà per
molti versi ancora nel codice del 1942.
4
G. Salmè, Evoluzione del diritto di famiglia e ruolo del giudice. Dalla disciplina dei codici alle norme
della Costituzione, in “Ambientediritto”, 2004,
[http://www.ambientediritto.it/dottrina/dottrina.htm#2004], (visitato il 10 febbraio 2010).