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INTRODUZIONE:
Da quando negli anni ‟70 fece la sua comparsa sulla scena internazionale, il modello di
gestione per competenze è andato progressivamente acquisendo un peso sempre maggiore ed uno
spazio di maggior rilievo, fino a diventare un punto di riferimento imprescindibile, per chiunque
oggi si occupi, di gestione delle risorse umane e di comportamenti organizzativi. Qualunque sia la
sua finalità od il suo campo di applicazione, chi si trova ad operare in questo contesto sa
perfettamente che esso rappresenta un punto cruciale nell‟agenda di tutti gli attori: studiosi,
professionisti del settore, manager, consulenti specialistici, lavoratori dipendenti ed autonomi. Il
presente lavoro, si pone l‟obiettivo di fare il punto su questo importante indirizzo di gestione delle
strategie organizzative, prendendo spunto dalla vasta letteratura specializzata al riguardo.
Il primo capitolo sarà dedicato prevalentemente agli aspetti teorici del modello. Si cercherà
pertanto di analizzare il modello nelle sue componenti essenziali, ripercorrendo brevemente la storia
del concetto e la sua genesi, con una particolare attenzione alle condizioni di contesto che hanno
favorito la sua comparsa sulla scena delle teorie organizzative. Si proporrà successivamente un
breve excursus tra i precursori del concetto stesso, i quali, ne hanno anticipato i presupposti teorici
focalizzando la propria attenzione sulla variabile “umana”, ponendo l‟attenzione sulle motivazioni
che nel tempo hanno portato alla nascita del concetto di competenza e successivamente le diverse
definizioni che vengono date da diversi autori sullo stesso concetto, quello di competenza.
Nel secondo capitolo ci si soffermerà sulla valutazione delle competenze individuali,
analizzando gli approcci più applicati nella pratica aziendale, top-down e bottom-up. Un terzo
approccio, denominato induttivo- interpretativo, viene illustrato nel quarto capitolo. Inoltre
s‟analizzeranno i diversi approcci e strumenti per identificare e sviluppare le competenze del
lavoratore tramite il modello di competenza del lavoratore, dove vi rientrano l‟approccio job-based,
future-based, person-based, e value based che spiegherò meglio nel capitolo.
Col terzo capitolo, s‟intende vedere come il concetto di competenza viene utilizzato per
definire le politiche del personale. Si partirà dall‟utilizzo proprio di questo concetto tra il soggetto e
l‟organizzazione, per poi andare ad analizzare le diverse politiche delle persone le quali verranno
valutate secondo diverse voci tra cui la selezione, reclutamento, formazione, valutazione del
potenziale, retribuzioni e percorsi di carriera.
Infine nel quarto capitolo verranno analizzati tre casi aziendali inerenti alla valutazione delle
competenze.
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CAPITOLO 1
LE COMPETENZE: UN CONCETTO EMERGENTE NELLA LETTERATURA ECONOMICO-
AZIENDALE E ORGANIZZATIVA
1.1 Il declino del modello Fordista : la nascita della centralità della persona
Prima di sviluppare l‟analisi sul modello delle competenze, è utile effettuare un breve
percorso storico che ci consenta di ripercorrere i passi compiuti dalle teorie organizzative negli
ultimi decenni e di cominciare ad inquadrare le attuali condizioni di contesto. Sul finire degli anni
„60 entra definitivamente in crisi il modello organizzativo Taylor-fordista fino ad allora imperante,
che faceva riferimento alla cosiddetta “Organizzazione scientifica del lavoro”. Esso consisteva in un
metodico e sistematico sezionamento di tutte le fasi del processo produttivo e sfociava in una rigida
divisione dei compiti lavorativi. Tale rigida divisione, specificava minuziosamente la prestazione
richiesta ai soggetti che ne prendevano parte e quantificava in maniera intransigente i tempi di
esecuzione e standard di prodotto atteso.
In quest‟ottica, ogni iniziativa dei soggetti non conforme a quanto prescritto, determinava
una diminuzione del livello di efficienza del sistema e andava considerata come una devianza da
reprimere. La “one-best way” fordista mirava pertanto a de-contestualizzare gli ambienti
organizzativi e ad annullare gli effetti dei differenti modelli socioculturali con i quali l‟impresa era
chiamata a confrontarsi, avendo come finalità la costruzione di un modello universale di
riferimento, nel quale ogni variabile doveva poter essere “sotto controllo”. La realizzazione di
questo “idealtipo” doveva necessariamente svilupparsi all‟interno di un percorso stabilito a priori e
specificato in ogni suo dettaglio. Il valore predominante all‟interno di tale concezione era
evidentemente il comportamento conforme, ed il raggiungimento di tale obiettivo passava, com‟è
logico supporre, attraverso una sistematica compressione della soggettività. Anche le prospettive di
crescita professionale assumevano scarso valore, considerato che la elevata parcellizzazione delle
attività e la divisione spinta del lavoro, non lasciavano intravedere particolari utilità nei percorsi di
apprendimento e di emancipazione delle maestranze. In conclusione, vi era una forte correlazione
tra la scomposizione sistematica del processo produttivo e la sempre maggiore meccanizzazione ed
automazione del lavoro.
Tale complesso di circostanze determinò la centralità strategica dei mezzi di produzione,
portando ad una situazione nella quale i beni strumentali ed il capitale “fisico” delle imprese le
emancipavano anche dalla necessità di gestire e negoziare la conflittualità.
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Questo tipo di organizzazione aveva risposto dunque fino ad allora in maniera funzionale,
alle necessità delle imprese, in quanto esse dovevano misurarsi con un ambiente relativamente
stabile, all‟interno del quale era possibile prevedere in anticipo le dinamiche in atto e procedere per
adeguamenti ed aggiustamenti successivi. La fine del modello di crescita costante dei mercati, dei
consumi e dei volumi produttivi ed il contemporaneo emergere di una offerta differenziata dei
prodotti e con essa la tensione verso la ricerca della qualità, comincia a decretare la fine di tale
modello e l‟affermarsi della centralità della risorsa umana quale variabile fondamentale nel
determinare il vantaggio competitivo delle imprese sul mercato. Sul piano delle idee e delle teorie,
la nascita del movimento delle Relazioni Umane rappresenta un po‟ lo spartiacque tra due
concezioni delle organizzazioni produttive. Comincia con esso a farsi strada una concezione che
vede l‟uomo non più determinato dalle organizzazioni, ma in grado di apportare un contributo
fondamentale ad esse in termini di autonomia, crescita e sviluppo.
Tuttavia nei decenni a venire ed in conseguenza degli studi e di quelle riflessioni teoriche,
coloro i quali si occupano di gestire il personale nelle organizzazioni, cominciano ad avvertire la
necessità di spostare il centro dei propri interessi dagli stretti limiti delle attività amministrative e di
controllo disciplinare, ad attività più impegnative e coinvolgenti, basate su conoscenze e
sull‟approfondimento di tematiche di natura psicologica e sociologica (Bolognini, Carocci 2001).
La variabile fondamentale per osservare ed analizzare il comportamento organizzativo dei soggetti
diventa l‟atteggiamento individuale, a sua volta influenzato da variabili di tipo diverso quali, la
motivazione, la qualità delle relazioni sociali nell‟ambiente di lavoro con colleghi e superiori, la
storia personale, il clima organizzativo.
L‟apporto del movimento delle Relazioni Umane consiste in particolare nell‟aver messo in
luce la natura sociale e relazionale del comportamento organizzativo ed i meccanismi
fondamentalmente emotivi e non razionali che lo governano. L‟opera e gli scritti di Chester Barnard
contribuiranno negli anni a venire, a diffondere l‟immagine dell‟organizzazione come sistema
cooperativo ed alla conseguente necessità di comprendere i moventi che spingono l‟individuo ad
adottare comportamenti coerenti con le necessità dell‟organizzazione. Sarà attraverso la
comprensione di tali meccanismi che sarà possibile attuare una efficace azione di management
attraverso l‟esercizio della funzione di “coordinamento”. Verranno poi negli anni ‟60 i “guru del
management” (Likert, McGregor, Argirys solo per citarne qualcuno) che svilupperanno
ulteriormente le premesse teoriche delle Relazioni Umane, in particolare con le loro ricerche sugli
stili di leadership.
Nel corso degli anni dunque, ad una immagine dell‟organizzazione come una macchina,
dove le persone che ne fanno parte rappresentano ingranaggi, leve e meccanismi di trasmissione, va
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sostituendosi una visione dell‟Organizzazione come un sistema spontaneo, adattivo, influenzato dai
soggetti che vi prendono parte e dal contesto nel quale esplicano la propria attività. Ad una visione
del tutto meccanica se ne sostituisce una che è possibile definire organica o organicista. Ciò che può
determinare il successo di un‟impresa diventerà sempre più a partire da allora, non più la sua
capacità di aderire strettamente ad un modello rigidamente predeterminato mediante comportamenti
diligenti e codificati, quanto la sua capacità di adattarsi rapidamente ed efficacemente ad uno
scenario globale in costante e perenne trasformazione.
A partire dagli anni ‟80 si sviluppa in ambito teorico un forte interesse sulle tematiche del
clima organizzativo e della cultura organizzativa
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, con i cosiddetti “approcci morbidi”, incentrati su
concetti come il “sensemaking”
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di Weick o la strutturazione di Giddens
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. Si afferma l‟idea della
cultura come “attrezzo manageriale” e dell‟esercizio dell‟azione manageriale come “azione
simbolica”. Con l‟avvento del nuovo millennio vanno pertanto assumendo sempre maggiore
importanza le variabili soft (know how, skills, cultura d‟azienda, competenze) rispetto alle variabili
hard (mezzi tecnici, strumenti, tecnologia etc). Si afferma l‟idea che siano gli “invisibile assets”, i
fattori immateriali, quelli determinanti per il raggiungimento ed il mantenimento del vantaggio
competitivo. Essi sono rappresentati dal sapere tecnologico, dalla immagine aziendale, dalle
conoscenze strategiche accumulate sul mercato e sui consumatori, dal potere di controllo e di
influenza esercitati sul sistema distributivo, dalla cultura d‟impresa, dalle abilità manageriali.
In una parola dal patrimonio di conoscenze, abilità, skill, valori, detenuto da un‟impresa e
dalla sua capacità di mobilitarlo in maniera efficace. E‟ questo lo scenario descritto dalla “resourced
based view”, che descrive il vantaggio competitivo come il prodotto dell‟acquisizione e dello
sfruttamento di risorse interne differenziate rispetto a quelle accessibili ai concorrenti e trasformate,
in forza di questa specificità in “competenze distintive”. Negli studi di strategia questa teoria pone
l‟attenzione sul mantenimento, sviluppo e gestione del patrimonio delle risorse intangibili, tra cui le
competenze, considerate fonti di vantaggio duraturo e sostenibile in quanto difficilmente imitabili.
Questa teoria da risalto alla scelta strategica mettendo a carico della gestione aziendale un compito
importante quali identificare, sviluppare e schierare le risorse chiave per massimizzare i profitti.
Una di queste risorse chiave sono proprio i lavoratori dipendenti i quali devono appunto sviluppare
le competenze adatte per svolgere bene il loro lavoro. Compaiono parallelamente i concetti di long-
1 Il concetto fa riferimento al complesso dei processi cognitivi, mediante i quali ciascun individuo attribuisce un senso
alla realtà circostante.
2 La struttura deve essere concepita, nella teorizzazione di Giddens, come un mezzo che consente di organizzare
ricorsivamente (cioè in maniera ripetuta e stabile) le condotte umane, ma che al tempo stesso è un risultato di quelle
stesse condotte.
3 Itami “Mobilizing invisibile assets” Ed Harvard University Press, 1987
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life learning, learning organization e knowledge society che incontreremo più avanti, tutti
accomunati dall‟idea di organizzazione “knowledge based”, vale a dire fondata sul bagaglio di
conoscenze disponibili e sulla sua capacità di gestirlo ed implementarlo.
La centralità del soggetto nelle organizzazioni acquista così un rinnovato impulso attraverso
la conferma del ruolo preminente occupato oggi, dalla cura e dallo sviluppo del portafoglio delle
“competenze” interne, nelle strategie di gestione delle imprese.
1.2 Perche nascono le competenze? Le ragioni che portano all‟emergere di questo concetto
Al di là della grande diffusione che ha conosciuto nello specifico ambito delle teorie
organizzative e delle pratiche di gestione delle risorse umane, il concetto di competenza è
interessato da più significati ed in ragione di ciò, sensibilmente esposto al rischio di generare
equivoci ed incomprensioni. Le competenze possono costituire la chiave per ottenere un vantaggio
competitivo se ben concettualizzate e stabilite, altrimenti non possono venire pienamente
implementate e realizzate. Il concetto di competenza può essere esaminato da diverse prospettive.
Da una prospettiva strategica e gestionale, autori definiscono le competenze come una
combinazione di risorse e capacità, dove inoltre la combinazione di questi due elementi in
un‟organizzazione può essere considerata come quelle core competence quando esse sono di valore
prezioso, rare, difficili da imitare, mantenere e sostituire.
La prospettiva strategica si concentra sulle competenze a livello d‟organizzazione ed ha a
che fare con esse in maniera più astratta intendendole come combinazione unica tra risorse e
capacità.
Da una prospettiva di gestione delle risorse umane, invece le competenze vengono viste
come le capacità delle persone e sono divenute come un concetto centrale di primaria importanza
nell‟area di gestione delle Human Resource Management (HRM). In questa prospettiva di studi,
rientra la c.d. teoria ortodossa delle competenze che considera le competenze come caratteristiche
personali causalmente correlate ad effettive e concrete performance lavorative. In generale, nella
letteratura economico-aziendale, rispetto al tema delle competenze è affermata una ripartizione che
distingue le competenze individuali da quelle organizzative.
Le competenze individuali sono associabili nello specifico ad una persona che le utilizza
all‟interno di un contesto organizzativo, come l‟azienda. Sono le competenze possedute da un
individuo, che si riflettono sul suo comportamento lavorativo. Sono costituite dalle conoscenze, i