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CAPITOLO 1.
Il made in Italy: profili economici
Introduzione
In questo capitolo si analizzerà il concetto di made in Italy inteso come
marchio globalmente riconosciuto e definito come sinonimo di tradizione,
esclusività, ricercatezza e potere attrattivo del nostro Paese e dei prodotti
italiani. Il lavoro si svilupperà a partire da un‟analisi sistematica del sistema
produttivo italiano caratterizzato principalmente da PMI e Distretti quali
asse portante dell‟industria italiana e delle 4 «A» di eccellenza del made in
Italy manifatturiero. Seguirà una descrizione della struttura economica delle
imprese italiane e i punti di forza e debolezza rispetto ai vari settori di
produzione del made in Italy.
Avvalendosi dei risultati provenienti da uno studio della Commissione
Europea [Anno 2009] il lavoro proseguirà focalizzandosi sul concetto di
internazionalizzazione delle PMI sia a livello nazionale che internazionale,
confrontando il contesto italiano con quello di altri Paesi dell‟UE e
analizzando due casi specifici: Spagna e Germania.
L‟economia italiana si trova a dover fare i conti con aspetti che
riguardano la competitività nel contesto globale odierno: una delle questioni
più dibattute concerne il rapporto con la Cina la cui concorrenza segue due
modalità: una legale, ma asimmetrica e l‟altra illegale basata sulla
contraffazione. Per salvaguardare il made in Italy e la competitività del
nostro Paese bisogna acquisire consapevolezza rispetto al fenomeno e
adottate misure che pongano fine a tutte quelle pratiche commerciali
scorrette di cui si avvale la Cina.
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Attraverso il Rapporto 2010 del Ministero dello Sviluppo Economico-
realizzato dalla Direzione Generale PMI ed Enti Cooperativi - si
valuteranno le iniziative adottate dall‟Italia e dai singoli Paesi europei, i
quali, a seguito della “Strategia di Lisbona”, hanno recepito un
cambiamento nelle politiche di sostegno alle imprese, passando da
interventi generalizzati a politiche orientate al sostegno per la ricerca, lo
sviluppo e l‟innovazione sino agli obiettivi fissati nello Small Business Act
al fine di valutare come questi interventi supportino le piccole medie
imprese e riconoscerne il ruolo centrale nell‟economia europea.
1.1 Definizione e origini del “made in Italy”
Se dovessimo ripercorrere le origini del made in Italy potremmo
incominciare questo percorso riferendoci ad un‟inchiesta svolta da una delle
principali riviste giapponesi intorno alla metà degli anni ‟80, la quale si
chiedeva come imprese minori operanti in Veneto, Lombardia e Emilia
Romagna, apparentemente fragili, potessero creare tanti successi economici.
Queste imprese poggiavano su una cultura di prodotti molto forte, su una
storia artistica ed artigianale molto antica che aveva le sue radici nelle
botteghe rinascimentali, nei musei e nelle chiese diffuse in tutto il territorio.
Risorse che tramandano una cultura estetica, accompagnata dall‟orgoglio
dell‟artigiano che cerca di creare un prodotto perfetto per personale
soddisfazione e per orgoglio del “saper fare”. [Vitali, 2005].
Secondo questa inchiesta vi erano due modi di intendere il made in
Italy. Il primo consisteva nel considerarlo come un fenomeno risalente ai
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precedenti „50 anni, sviluppatosi per una serie di coincidenze quali il basso
costo del lavoro, l‟emergere di un nuovo ceto imprenditoriale, di nuovi
stilisti e designer, alla voglia di rivalsa del popolo italiano dopo gli anni di
guerra. Il secondo è quello di inquadrare il fenomeno lungo una prospettiva
di tradizione e cultura italiana. L‟inchiesta della rivista giapponese
posizionava le sue conclusioni più sul secondo aspetto rispetto al primo.
Interpretando l‟argomento sotto una chiave prettamente economica e
odierna il made in Italy è inteso, secondo una definizione proposta già negli
anni ‟80 [Fortis, 1985], e raffinata in tempi più recenti [Fortis 1996; 1998]
come l‟insieme dei settori operanti nelle aree «moda», «arredo-casa»,
«tempo libero», ed «alimentazione mediterranea», a cui vanno aggiunti i
comparti della meccanica collegata. Questa definizione pone rilevanza ad
aspetti caratteristici italiani, quali il vestire bene, la cucina mediterranea, la
proposta di prodotti per il tempo libero, lo sport, l‟arredare la casa in modo
più funzionale.
Secondo il Vicepresidente della Fondazione Edison, [Fortis; 2005, pp.
19-22], il fatto di essere migliori a livello mondiale nella fabbricazione del
tessile-abbigliamento, calzature, mobili, ceramiche e altro, ha favorito lo
sviluppo in Italia di una moderna industria dell‟indotto
1
anche a livello di
macchinari. Ciò ha portato a far sì che il nostro Paese dominasse anche il
mercato mondiale delle macchine tessili, per lavorare il legno, le ceramiche,
le plastiche, i marmi, per la produzione di scarpe e via dicendo.
Oltre ad una definizione prettamente qualitativa di made in Italy è
possibile affiancarne anche una di tipo quantitativo, basata sulle possibilità
di identificare ciò di cui è specializzato un Paese tramite il concetto di
1
Si dice indotto industriale l‟insieme di sotto industrie o artigiani che producono parti
elementari necessarie alle grandi industrie per realizzare i prodotti finiti.
Negli ultimi vent‟anni la parola indotto ha assunto un significato più ampio,
intendendolo come lavoro non direttamente connesso alla grande industria.
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«saldo commerciale normalizzato»
2
, cioè ricorrendo ad un indice di
specializzazione internazionale. E proprio sulla base di questo è possibile
sostenere che se l‟Italia è specializzata nel sistema moda-arredo-casa-
alimentazione mediterranea e nella meccanica, ciò è determinato oltre che
da un sentimento che si è radicato durante gli anni nel senso comune, anche
da un riscontro dimostrabile statisticamente [Ibidem, p.47].
Il made in Italy non è immediatamente visibile partendo da un‟analisi
delle aggregazioni statistiche tradizionali e l‟impossibilità di disporre di
statistiche già «preconfezionate» ha fatto sì che esso fosse oggetto di
valutazioni opposte.
L‟autore sostiene che se da un lato sono sempre più apprezzate le
performance di settori come quello tessile o la meccanica, capaci di offrire
cospicui attivi alla bilancia commerciale, dall‟altro la specializzazione
dell‟Italia nei settori «tradizionali» è stata vista come elemento di debolezza
per l‟economia italiana. Ci sono inoltre coloro che mettono in luce il
contributo dei distretti industriali allo sviluppo nazionale e chi invece tende
a sottostimare tale fenomeno, giudicandolo precario [Ivi].
Ciò che potrà chiaramente emergere è che la realtà del made in Italy
costituisce l‟asse portante del sistema produttivo italiano e con il presente
lavoro si cercherà di capire in che modo esso si sia affermato con
prepotenza negli ultimi ‟20 anni e come le aziende italiane possano
beneficiarne come simbolo di provenienza e sinonimo di stile, qualità e
tradizione.
2
Grado di dipendenza dall‟estero di un Paese in un determinato settore merceologico.
E‟ misurato dal rapporto tra saldo export-import e totale degli scambi commerciali con
l‟estero nell‟ambito del settore considerato.
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1.2 Il made in Italy nell’economia italiana: il ruolo delle
piccole medie imprese e dei distretti
Dare adito all‟opinione comune significa considerare il made in Italy
un marchio riferito in via del tutto esclusiva a noti brand italiani quali
Gucci e Ferragamo considerati due dei principali nomi della moda made in
Italy oppure Ferrari divenuta ormai un vero e proprio simbolo del nostro
marchio.
Altri ancora potrebbero considerare la dicitura made in Italy
solamente come uno strumento attraverso il quale è possibile riconoscere la
provenienza del prodotto su cui è apposta l‟etichetta.
La prima concezione di made in Italy risulta troppo esclusiva ed
elitaria in quanto considera solo il settore dell‟alta moda e del lusso in
generale. La seconda concezione seppure corretta risulta essere troppo
generica.
Sebbene il sistema moda sia la più nota componente del made in Italy
e quella che vanta le più antiche radici industriali, ciò significherebbe
trascurare il ruolo fondamentale delle PMI e dei Distretti Industriali.
Tra gli elementi tipici del sistema produttivo italiano vi è la scarsa
presenza di grandi imprese e la prevalenza di imprese di dimensione piccola
e media o meglio definite come PMI intese come l‟asse portante
dell‟industria italiana e delle 4 «A» di eccellenza del made in Italy
manifatturiero.
Nel corso degli anni è mutata la concezione della piccola impresa: a
partire dal dopoguerra e fino all‟inizio degli anni ‟70, l‟espansione dei
principali paesi industrializzati ha visto il ruolo preponderante delle imprese
di grandi dimensioni. A partire dalla metà degli anni ‟70, a seguito della
crisi petrolifera e dell‟elevata instabilità che ha caratterizzato i diversi
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settori, sono crollati alcuni capisaldi delle precedenti teorie economiche e
sono stati riconsiderati elementi quali la pronta capacità di risposta a
sollecitazioni esterne, la flessibilità, l‟elasticità, la creatività tipici delle
imprese di dimensioni minori.
Le piccole imprese sono sembrate maggiormente idonee ad adattarsi
ai cambiamenti della domanda sia interna che internazionale.
Oggi se da un lato non vi sono dubbi che la parte più consistente e
attiva del nostro sistema industriale sia data dalle piccole imprese, dall‟altro
sussistono perplessità rispetto al grado di competitività delle stesse e della
capacità di far fronte alla competizione futura, che sembra richiedere
sempre più maggiore prospettiva internazionale [Cortesi;Alberti;Salvato,
2004].
Le PMI sono quindi imprese non consociate e indipendenti che
assumono un numero limitato di dipendenti; contano in genere non più di
50 dipendenti, mentre nelle micro-imprese lavorano al massimo dieci, e in
alcuni casi cinque persone.
In Italia le PMI costituiscono una realtà numericamente molto
significativa: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9%) sono infatti
piccole o medie imprese [Ufficio Studi Confcommercio, 2009]. Si tratta di
imprese principalmente a conduzione familiare che spesso si sono espanse
dalla produzione di beni di tradizione locale sino alla produzione dei
macchinari stessi e che vanno a raggrupparsi in quelli che definiamo
Distretti Industriali.
I Distretti Industriali si impongono a partire dagli anni ‟70 e
caratterizzano in modo marcato l‟Italia e il suo sviluppo socio-economico.
La definizione di Distretto Industriale venne codificata per la prima
volta nella legge 317/1991, nell‟ambito di una serie di interventi per lo
sviluppo delle PMI. Nello specifico l‟art 36 di suddetta legge definiva il
Distretto come “area territoriale locale caratterizzata da un’elevata
concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto
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tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla
specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese”.[Rapporto Uil;
2008].
Le regioni che deliberarono per quanto riguarda l‟individuazione dei
Distretti sono Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria, Toscana,
Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata e Sardegna.
Nel rapporto Istat del 2001 sono stati individuati 156 distretti
industriali dimostrando che tre settori industriali del made in Italy –
Abbigliamento, meccanica e beni per la casa – occupano il 78,2% degli
addetti rappresentando il 73,7% dell‟insieme dei Distretti italiani [Rapporto
Istat, 2005].
Considerando il censimento dell‟Istat precedente [Rapporto Istat,
1995], notiamo che i Distretti erano 199, con una diminuzione di 43 unità,
pari ad un 22%, le cui cause sembrano dover essere rintracciate nella
riorganizzazione territoriale della produzione e del mercato del lavoro e nel
fatto che molti sistemi locali del lavoro erano stati definiti come Distretti.
Ad ogni modo rappresentano realtà occupazionali di rilievo,
controbilanciando l‟esiguità del numero dei grandi gruppi in Italia.
Infatti osserviamo che la distribuzione territoriale dei Distretti
Industriali evidenzia che sei regioni da sole (Piemonte, Lombardia, Veneto,
Marche, Emilia Romagna e Toscana) costituiscono quasi il 75% dei
Distretti e che il c.d. “triangolo industriale” rappresentato da Lombardia,
Veneto ed Emilia Romagna ne rappresenta il motore centrale con all‟incirca
il 40% del totale.
Abbiamo a disposizione un‟ampia letteratura economica e sociale per
descrivere le caratteristiche dei Distretti industriali. Benché riconducibili
alle peculiarità della struttura produttiva italiana, il termine Distretto non
nasce in Italia e tanto meno coniato di recente.
Infatti fu l‟economista inglese A. Marshall a coniare il termine nel
XIX secolo, il quale lo utilizzo per descrivere la realtà delle industrie tessili
18
di Sheffild e Laucashire. L‟economista definì il distretto come: “un’entità
socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente
parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta,
tra le quali vi è collaborazione, ma anche concorrenza”[Beccatini, 2002,
pp., 141-177].
Si tratta di una definizione molto attuale che conserva i caratteri
salienti del distretto, riconducibili a: uno spazio economico non illimitato,
la specializzazione produttiva al punto da identificare il territorio con
un‟attività produttiva e il clima sociale che si trova nei distretti, soprattutto
tra imprese che operano nello stesso settore produttivo. Ci sarà ovviamente
competizione tra le imprese rispetto ai mercati e ai prezzi, ma generalmente
si instaurano anche rapporti di cooperazione e collaborazione. Ad esempio
per tutelare le imprese dalla contraffazione dei loro prodotti, per ridurre i
costi energetici e per valorizzare professionalità che altrimenti si
disperderebbero. Quindi i rapporti collaborativi e di cooperazione
consentono comunque alle imprese di mantenere la propria individualità
imprenditoriale.
Beccatini riferendosi al modello italiano, definisce il Distretto
industriale come: “entità socio-territoriale caratterizzata dalla
compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente
e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una
popolazione di imprese industriali”[Beccatini, 1998].
Le caratteristiche che da sempre descrivono il modello dei Distretti
industriali italiano sono:
- Sistema territoriale circoscritto
- Specializzazione nella produzione di una particolare famiglia
di prodotti
- Tessuto produttivo composto da piccole e medie imprese
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- Presenza di un numero consistente di imprese, con limitata
propensione alla crescita
- Articolata divisione del lavoro tra le imprese che tendono a
specializzarsi in singole fasi dei processi produttivi
- Presenza di un efficace reticolo di attività di servizi, pubblici e
privati, che opera direttamente con le imprese del settore
caratteristico
- Vita economica e sociale regolata da associazioni sindacali e
di categoria
- Senso di appartenenza al distretto industriale
- Intense relazioni tra le imprese
- Concorrenza interna tra imprenditori ma anche cooperazione.
In linea generale si può dire che il Distretto Industriale cerchi di essere
autonomo e di evitare le interazioni con l‟esterno sia al momento
dell‟acquisizione di materie prime, al momento della vendita e quello
dell‟esportazione.
La situazione però è cambiata a seguito di un allargamento dei mercati
verso l‟Est Europeo e il Sud-Est asiatico che ha portato molte imprese a
spostare l‟attività produttiva in Paesi in cui il costo del lavoro risultava
chiaramente inferiore a quello italiano, attraverso un processo di
delocalizzazione produttiva
3
.
Ciò determina una circostanza che mette a repentaglio la realtà dei
Distretti Industriali, ma al contempo lo stesso marchio made in Italy.
La delocalizzazione risulta essere lesiva in quanto molte fasi del
processo produttivo vengono svolte all‟estero determinando una
diminuzione delle imprese italiane specializzate in quel settore. Per quanto
concerne l‟aspetto del made in Italy, questo verrebbe a perdere l‟originalità
3
Fenomeno che va inserito nell‟ambito del commercio internazionale e riguarda il
tentativo di abbassare i costi di produzione e conquistare nuovi mercati determinando
il trasferimento di impianti produttivi e aziende commerciali in Paesi fino a pochi anni
fa esclusi dal processo di industrializzazione.
20
e il valore aggiunto tipico della produzione italiana legata all‟arte di
produrre seguendo la tradizione locale.
Tra i cambiamenti in atto, risale a circa un anno fa, il comunicato
stampa nel quale la Federazione dei Distretti Industriali afferma “i sistemi
distrettuali sono ormai diventati aperti e diffusi. Le loro radici territoriali
restano e resteranno, ma i confini si sono allargati, le reti abbracciano più
territori, più province, più regioni. Il sistema si è ulteriormente diffuso,
soprattutto per adeguarsi alla concorrenza generata dalla
globalizzazione”[Federazione dei Distretti Industriali, 2009].
Ed è il presidente della Federazione stesso ad annunciare
un‟importante svolta, cioè allarga il concetto di Distretto, ridisegna la
mappa dell‟Italia distrettuale e si dà una nuova governance. Basta distretto
con territorio delineato, ma Italia suddivisa in 4 macrodistretti, ora diventati
Cluster, impiegando una terminologia già in uso a livello internazionale
(portale a cura di Federazione dei Distretti italiani).
I 4 Cluster della Federazione sono stati classificati secondo le 4 «A»
del made in Italy: - Abbigliamento-moda; - Arredo-casa; - Alimentare-
agroindustriale; - Automazione-meccanica.
Ogni Cluster abbraccia più regioni e può andare da Nord a Sud, in
quanto adesso il suo riferimento non è più il territorio, ma il comparto
industriale di pertinenza.
Così ad esempio succede che il Cluster dell‟automazione e della
meccanica va da La Spezia a Siracusa passando per Trieste e la Piana del
cavaliere (Aquila); mentre l‟Agroalimentare si colloca dal Friuli alla Sicilia,
facendo tappa in Campania e nelle Marche (in basso a sinistra mappa dei
distretti associati alla Federazione).
Questa piccola rivoluzione porterà ad avere una governance fatta di
persone che opereranno con una mentalità intradistrettuale e intraregionale,
proiettata verso la crescita della Federazione. Fino ad oggi il punto di forza
dei Distretti è stata la collaborazione con le imprese. Questo non basta più.
21
Il futuro vedrà inevitabilmente una collaborazione e integrazione tra
Distretti e Regioni, in modo tale da essere sempre più uniti a livello
nazionale e competitivi a livello mondiale, compensando così la carenza di
grandi gruppi italiani.
Figura 1. Mappa dei Distretti associati alla Federazione (aggiornata a
febbraio 2009).
Fonte: Federazione dei Distretti Industriali. Anno 2009.
22
1.3 Principali settori di produzione: limiti e vantaggi del
made in Italy
Come fino ad ora sostenuto, il made in Italy non è soltanto sinonimo
di alta moda o prodotti di lusso in genere, ma si riferisce a quell‟insieme di
prodotti nei quali il nostro Paese ha raggiunto la massima specializzazione
basandosi sulla cultura locale, la tradizione e l‟arte del “sapere fare”,
collegato al luogo di produzione.
Se passiamo a rassegna le principali specializzazioni del made in Italy
vediamo che l‟Italia è caratterizzata da quattro grandi aree di attività
manifatturiera che la posizionano ai vertici mondiali.
Queste quattro aree principali vengono definite dall‟autore Fortis
come le 4 «A» dell‟eccellenza manifatturiera italiana. Esse sono: 1)
Abbigliamento-moda; 2) Arredo-casa; 3) Automazione-meccanica; 4)
Alimentari-bevande [Fortis, 2005, pp. 45-49].
Il sistema Abbigliamento-moda comprende principalmente quattro
grandi settori: il tessile-abbigliamento e i relativi accessori; le pelli-
calzature-pelletteria; l‟occhialeria; l‟oreficeria-gioielleria.
Il sistema Arredo-casa (esclusi i prodotti della meccanica come
casalinghi. Rubinetteria, maniglie, apparecchi per il riscaldamento, ecc) è
composto da: legno-mobilio; lampade ed illuminotecnica; piastrelle
ceramiche; pietre ornamentali. Altri comparti di minor rilievo sotto il
profilo dei valori esportati (ma dove l‟Italia vanta imprese leader) sono:
vetri e mosaici per arredamento ed edilizia, terracotta e simili.
Il settore Autonomazione-meccanica, cioè apparecchi, macchine ed
alcuni segmenti del settore dei mezzi di trasporto come auto di lusso,
motocicli e biciclette, rappresenta un‟altra grande area di eccellenza
dell‟industria manifatturiera italiana. Dietro il caso Ferrari che è un po‟
23
l‟emblema del made in Italy vi sono primati spesso poco conosciuti dal
pubblico e in molti di questi settori come le macchine industriali per
l‟imballaggio, per le materie plastiche ecc, siamo i primi esportatori al
mondo e in altri competiamo alla pari con Germania, Giappone e Stati Uniti.
Per questo l‟area Autonomazione-meccanica è una componente
fondamentale del made in Italy, con numero talvolta più rilevanti dell‟area
Abbigliamento-moda sia a livello di imprese, di export e saldo commerciale
attivo con l‟estero [Ibidem, p.50].
Il settore Alimentari-bevande è la quarta «A» dell‟eccellenza
produttiva italiana che comprende prodotti tipici e quelli della dieta
cosiddetta «mediterranea». L‟Italia in particolare è il primo esportatore
mondiale di: pesche, uva, conserve di pomodoro, paste alimentari, vermut e
ovviamente è l‟unico (o dovrebbe essere, visti i tentativi di imitazione)
esportatore di formaggi tipici come il Parmigiano Reggiano, il Grana
Padano, il Gorgonzola, il Pecorino, ecc [Ibidem, p.53].
Le quattro «A» hanno generato nel 2006 un valore aggiunto
4
di circa
142 miliardi di euro (tab.1) e rappresentano all‟incirca il 65% del valore
aggiunto complessivo manifatturiero dell‟Italia al costo dei fattori. Gli
addetti occupati nel settore delle quattro «A» sono 3,3 milioni [Fonte:
elaborazione Fondazione Edison sui dati Istat].
Di seguito la tabella appena descritta.
4
Il valore aggiunto o plusvalore è la misura dell‟incremento di valore che si verifica
nell‟ambito della produzione e distribuzione di beni e servizi grazie all‟intervento dei fattori
produttivi: capitale e lavoro.
24
Tabella 1 – Le 4 «A» di eccellenza del made in Italy
Le 4 A Valore aggiunto
al costo dei
fattori (miliardi
di euro) anno
2006
Numero di
occupati
(migliaia) anno
2006
Surplus
commerciale con
l’estero (milioni
di euro) anno
2008
Alimentari-vino 19 465 4 (f)
Abbigliamento-
moda
25,5 719 22
Arredo-casa 16,4 473 12
Automazione-
meccanica
80,8 (e) 1.669(e) 78
142 3.326 116
Fonte: elaborazione Fondazione Edison sui dati Istat.
a) Sono considerati solo i prodotti dell‟industria alimentare, esclusi quelli
agricoli.
b) Tessile, abbigliamento, cuoio, calzature e pelletteria,profumi e cosmetici,
oreficeria e gioielleria, occhiali e montature.
c) Legno e prodotti in legno, mobili, piastrelle e altri prodotti in ceramica per
la casa.
d) Auto sportive e di lusso del gruppo Ferrari, parti di autoveicoli e altri
mezzi di trasporto (cioè elicotteri, yacht e navi da crociera, biciclette e
moto) esclusi gli autoveicoli finiti, prodotti in metallo, meccanica non
elettronica (macchine industriali, pompe, rubinetti e valvole ecc.) articoli
in gomma e plastica.
e) I dati del gruppo Ferrari si riferiscono al 2007.
f) I dati del commercio estero degli Alimentari e vini non includono due
categorie di prodotti a debole trasformazione: latte e carni.
Queste sopra menzionate sono le quattro eccellenze del sistema
manifatturiero italiano, ma l‟economia italiana può vantare un altro
fondamentale punto di forza: il turismo. Sotto questo aspetto il nostro
territorio appare avere risorse straordinarie in grado di coniugare montagna,
mare, campagne, colline di bellezza incomparabile; una cultura e una storia
esprimibili con città d‟arte, monumenti, siti archeologici; e la carta vincente
dell‟eno-gastronomia. Tutto ciò contribuisce a fare dell‟Italia un vero e
proprio polo mondiale di attrazione turistica [Ibidem, p. 70].