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1. MATERIALE PARTICELLARE AREODISPERSO:
GENERALITA’
1.1 Definizione
Il materiale particellare areodisperso (MPA) è comunemente definito come una
complessa miscela di sostanze organiche ed inorganiche, solide o liquide, sospese
nell’aria. ( Cattani et al. 2006; Balduzzi 2003; Marconi 2003). Queste particelle sospese
sono molto eterogenee poiché variano notevolmente per dimensione, composizione e
origine.
A differenza di altri inquinanti come O3, CO, SO2, NO2 e Pb, il materiale particolato non
è un’entità chimica specifica ma una miscela proveniente da diverse sorgenti, di
differenti dimensioni, composizione e proprietà (EPA 2004).
Le dimensioni e le caratteristiche chimiche possono cambiare nel tempo e nello spazio
e dipendono dalle sorgenti di emissione, dalla chimica atmosferica e dalle condizioni
meteorologiche (WHO 2007).
Ciò che emerge è quindi l’estrema variabilità del particolato che lo rende difficile da
identificare.
1.2 Classificazioni delle particelle
Proprio a causa della varietà di caratteristiche che contraddistingue il Materiale
Particolato, è nata la necessità di adottare delle classificazioni.
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Tradizionalmente vengono distinte quattro grandi classi di particelle: fumi, polveri,
nebbie, smog o fuliggine (Marconi 2003; Marconi 1996; ISS 2006).
Questa distinzione si basa sul diametro delle sostanze che li costituiscono e del loro
stato di aggregazione ( Checcacci et al.1992):
- Fumi: contengono una fase liquida e una solida; il loro diametro varia da 0,01 a
50 μm e derivano da processi di combustione incompleta.
- Polveri: costituite da particelle di diametro unitario variabile da 0,01 a 400μm.
- Nebbie: sospensioni di particelle liquide finemente suddivise in aria. Di
diametro variabile tra 0,1 a 50 μm, di solito sono costituite da sostanze quali
idrocarburi, solventi, pesticidi ecc..
- Smog : rappresenta un potenziale stato fisico costituito dall’associazione tra
polveri sospese e nebbie (smoke e fog)
Un altro modo di classificazione prende in considerazione la distinzione tra aerosol
primari e secondari (AUSL Modena; Cattani et al. 2006; Marconi 2003):
- Aerosol primari: comprendono particelle emesse direttamente in atmosfera
- Aerosol secondari: consistono di particelle prodotte da processi di conversione a
partire da gas precursori che possono determinarsi in particolari condizioni
meteo-climatiche.
Le proprietà e gli effetti delle particelle aerodisperse sono strettamente legati alle loro
dimensioni: la velocità di sedimentazione e il loro tempo di permanenza nell'atmosfera,
come pure la loro deposizione all'interno dei polmoni e l’effetto di dispersione della
luce, dipendono da questo parametro. (APAT 2006)
La dimensione delle particelle è quindi un parametro molto importante che determina
anche il loro destino (AUSL Modena). Poiché le particelle sono molto variabili e spesso
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non hanno una forma sferica, quando si parla del loro diametro ci si riferisce a un
diametro “equivalente” il cosiddetto diametro areodinamico D
a
.
Esso è definito come il diametro di una particella sferica con una densità di 1g/cm
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ma
con una velocità di sedimentazione uguale a quella della particella in questione. (EPA
2004; AUSL Modena)
La misura delle particelle sospese in atmosfera varia da pochi nanometri di diametro
fino a decine di micrometri.
Data la complessità e vastità dell’argomento è tutt’oggi ancora possibile imbattersi in
diverse classificazioni e definizioni.
Secondo Marconi (2003) e Cattani et al (2006), le particelle ambientali vengono distinte
in tre categorie dimensionali: ultrafini, fini e grossolane:
1. 0,01 μm ≤ D
a
≤ 0,1 μm : è definito come “modo ultrafine” o dei nuclei di
Aitken. Si tratta, generalmente, di particelle costituite dai prodotti della
nucleazione omogenea di vapori sovrassaturi (SO
2
, NH
3
, NOx, e prodotti della
combustione).
2. 0,1 μm ≤ D
a
≤ 2,5 μm: “modo di accumulazione” o “fini”. Si formano per
coagulo di particelle ultrafini (UF) e attraverso processi di conversione gas-
particella, conosciuti anche come nucleazione eterogenea, oppure per
condensazione di gas su particelle preesistenti nell’intervallo di accumulazione.
3. 2,5 μm ≤ D
a
≤ 100 μm: le particelle di queste dimensioni sono dette
“grossolane” (coarse). Sono essenzialmente prodotte da processi meccanici
(macinazione, erosione o risospensione meccanica o da parte del vento).
Anche Armaroli et al (2003) adotta una classificazione molto simile introducendo la
categoria di particolato ultragrossolano:
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1. ultrafine (da≤0,1μm);
2. fine (0,1 μm≤da≤2,5 μm);
3. grossolano (2,5 μm≤da≤10 μm);
4. ultragrossolano (>10 μm).
Gli ultimi due tipi vengono spesso indicati con il termine inglese “coarse” e
“supercoarse”.
Questa articolata classificazione è semplificata nella prassi comune ove si utilizzano i
termini PM
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, PM
2,5
e PM
0,1
per indicare tutto il particolato con diametro minore od
uguale a 10, 2,5 e, rispettivamente, 0,1μm. Il particolato di dimensioni maggiori, con
diametro aerodinamico sino a 50 μm, viene indicato comunemente come particolato
totale (PT), spesso aggettivato come “sospeso” (PTS o PST).
L’EPA (U.S. Environmental Protection Agency) nel suo documento Air Quality Criteria
for PM (2004) adotta tre differenti convenzioni nella classificazione delle particelle in
base alle dimensioni, ovvero, distribuzione modale, dosimetria e taglio:
a) Distribuzione modale: basato sulla distribuzione dimensionale e sui meccanismi di
formazione (Figura 1).
Secondo la distribuzione modale le particelle si distinguono in:
- Nucleation mode ;
- Aitken mode;
- Accumulation mode.
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Figura n°1: Distribuzione dimensionale e meccanismi di formazione del particolato.
(USEPA, 2004)
Nucleation mode: particelle con diametro inferiore a 0,01 μm, osservate durante eventi
di nucleazione. Il limite inferiore, dove particelle e i gruppi molecolari o le molecole
grandi si sovrappongono è incerto.
Aitken mode: particelle più grandi con diametro tra 0,01 0,1 μm. Queste particelle
possono risultare dalla crescita di particelle più piccole o da eventi di nucleazione da
alte concentrazioni di precursori. Le particelle che fanno parte dell’Aitken mode sono
anch’esse di recente formazione ma stanno ancora subendo attivamente la coagulazione
e possono raggiungere maggiori dimensioni.
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Accumulation mode: particelle con diametri da 0,1 fino a 1-3 μ μ μ μm le quali tendono a
non accrescersi più per coagulazione o condensazione accumulandosi in questo
intervallo.
La nucleazione è un processo di conversione gas-particella che crea nuovi nuclei, in
condizioni di elevate concentrazioni di vapori.
Tra i meccanismi proposti per la formazione di nuovi nuclei vi sono: a) la nucleazione
omogenea di acido solforico e acqua (Weber et al. 1999); b) nucleazione omogenea di
ammoniaca- acqua- acido solforico (Eisele and McMurry 1997; Kulmala et al. 2001;
O’Dowd et al. 1999); nucleazione omogenea di composti organici a bassa pressione di
vapore (O’Dowd et al. 2002); d) nucleazione indotta da ioni (Kim et al. 2002).
La condensazione, invece, si verifica quando le molecole gassose condensano su
particelle già formate.
La coagulazione è quel fenomeno per cui due particelle si combinano a formarne una
sola.
Man mano che la dimensione delle particelle cresce, il tasso di crescita tramite
coagulazione e condensazione diminuisce e le particelle si accumulano nell’intervallo
accumulation mode. Quindi le particelle appartenenti all’accumulation mode
normalmente non crescono fino a diventare particelle coarse mode (con diametro
superiore a 1-3μ μ μ μm) , anche se in alcune condizioni di elevata umidità relativa le
particelle igroscopiche dell’intervallo accumulation-mode crescono di dimensione,
aumentando così la sovrapposizione tra fine e coarse particles. Inoltre gli inquinanti in
fase gassosa possono dissolversi e reagire nella frazione acquosa delle particelle
igroscopiche contribuendo all’aumento della dimensione.
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Accumulation mode e coarse mode si sovrappongono nella regione compresa tra 1 e 3
μm di diametro. In questa regione la composizione chimica o le particelle individuali
possono, ma non sempre, consentire l’identificazione della sorgente o del meccanismo
di formazione, permettendo così di comprendere se la particella appartiene
all’accumulation o al coarse mode.
Sempre nell’ambito di questa classificazione si può sovrapporre un’altra distinzione che
fa riferimento in modo più immediato e con un linguaggio più intuitivo alle dimensioni
delle particelle:
- Fine particles, che includono nucleation, Aitken e accumulation mode;
- Coarse particles, che sono le particelle con diametro maggiore di 1 – 3 μm.
- Ultrafine particles, generalmente definite come particelle con diametri inferiori a
0,1μm (100nm). Esse includono nucleation mode e gran parte dell’Aitken mode.
b) Dosimetria: questa convenzione si basa sull’ingresso nei vari compartimenti del
sistema respiratorio. Le particelle vengono pertanto distinte in inalabili, toraciche, e
respirabili.
Particelle inalabili: entrano nelle vie aeree superiori.
Particelle toraciche: viaggiano oltre la laringe e raggiungono le vie polmonari e le
regioni di scambio gassoso.
Particelle respirabili: sono quella parte di particelle toraciche che raggiungono più
probabilmente le regioni di scambio gassoso dei polmoni.
c) Taglio: la classificazione rispetto al taglio si basa sui sistemi di prelievo e sulla loro
efficienza di campionamento intendendo per PMx la frazione di particelle prelevata
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mediante un sistema la cui efficienza di campionamento, per la particelle con diametro
minore di x micron, è uguale al 50 %.
Spesso le definizioni di PMx risultano differenti e anche di più facile e immediata
comprensione come ad esempio PMx: particelle con diametro aerodinamico inferiore a
x μm.
Tuttavia queste definizioni possono fuorviare in quanto implicano un’efficienza di
campionamento del 100%.
Qui di seguito una tabella che riassume i principali tipi di cassificazione del particolato:
Tabella n°1: Schema delle classificazioni più comuni del particolato. (ARPA Veneto)
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2. PARTICELLE FINI E GROSSOLANE: ORIGINE E
COMPOSIZIONE
Data la varietà di definizioni e classificazioni riscontrate in molteplici articoli e
pubblicazioni bisogna precisare che il significato dei singoli termini (fine, coarse, ecc..)
dipende essenzialmente dall’autore.
Si tende comunque a suddividere le particelle in due gruppi principali (WHO-2003):
• particelle grossolane
• particelle fini.
Il limite tra queste due frazioni di solito corrisponde, per convenzione, a un diametro
areodinamico di 2,5 μm.
La scelta del PM
2,5
come standard per la separazione fra particelle fini e grossolane si è
basata su studi epidemiologici (USEPA, 2004).
Per rendersi conto delle dimensioni effettive delle polveri è sufficiente paragonarle con
la sezione trasversale di un capello umano (Figura n°2).
Figura n°2: dimensione delle particelle paragonata alla sezione di un capello
umano.(ARPA-Emilia Romagna)
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Nella seguente figura è schematizzata la distribuzione dimensionale del materiale
particolato.
Figura n°3: Distribuzione dimensionale del particolato (Science, 2005)
E’ possibile constatare come il Pm
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includa sia le particelle grossolane che fini ed
ultrafini. Inoltre il Pm
10
è un indicatore delle particelle toraciche, cioè di quelle
particelle che riescono a penetrare fino alle vie polmonari e alle regioni di scambio
gassoso.
E’ opportuno sottolineare come il limite di visione per l’occhio umano corrisponde a 50
μm, quindi la gran parte delle particelle che noi inaliamo, soprattutto quelle più piccole,
sono invisibili all’occhio umano.