IX
Era giunta infatti, per entrambi i paesi, America e Vietnam, l’ora di
dimenticare con i fatti gli orrori del passato. D’altra parte, questa
volontà di riconciliazione, non era mai stata, nel tempo, negata o messa
da parte definitivamente. Molti sono gli interessi reciproci che legavano
e legano oggi i due paesi: gli Stati Uniti che vedono il Vietnam come un
futuro “dragone asiatico”, con un mercato in espansione, e che mirano a
contenere la prepotenza, nel settore del Sud-est asiatico, del gigante
Cina (i vietnamiti desiderano una forte presenza americana nell’area per
la stessa ragione); il Vietnam che, da parte sua, collocandosi in una
posizione di relativo sottosviluppo, ma spinto da una convinta volontà
di cambiamento e da una notevole fame di progresso, ha voluto
dimenticare le esperienze passate e servirsi dei rapporti con l’America
(paese simbolo del mercato e del commercio internazionale), e di quelli
con i paesi europei ed asiatici, investitori nel suo territorio, per prendere
il treno di uno sviluppo concreto mai conosciuto in passato.
Con i suoi 72 milioni e oltre di abitanti, quello vietnamita rappresenta
un mercato importante, in cui tutte le più grandi potenze economiche si
sono gettate a capofitto e dove l’America cerca di recuperare lo
svantaggio accumulato, in seguito alle sue passate politiche di chiusura.
Dalle parole pronunciate dal Segretario di Stato americano Warren
Christopher, in occasione del riallacciamento delle relazioni
diplomatiche: “Inauguriamo il ponte della cooperazione, è una giornata
storica, nessuno ne sottovaluti il significato....” .... “noi consideriamo il
Vietnam come una nazione dotata di un immenso potenziale e come un
partner nel commercio e nella diplomazia”, è possibile comprendere la
sincera volontà americana di prodigarsi per lo sviluppo di questa
nazione.
X
E per la verità anche le nuove generazioni vietnamite sono già orientate
verso la modernità; desiderano entrare sin da subito nel mondo degli
affari e studiano la lingua inglese (simbolo del business). Il tutto in
nome di una società del benessere e dei consumi. I loro interessi sono
esclusivamente economici: il dollaro è la valuta semi-ufficiale e si
aspira, più di ogni altra cosa, a lavorare per le compagnie americane.
Il Vietnam rappresenta quindi uno dei paesi in via di sviluppo più aperti
agli investimenti esteri, con una voglia disperata di benessere e di uscire
da una situazione di emergenza durata anni. Con un governo stabile ed
un enorme potenziale di crescita per gli anni futuri, esso si è trasformato
in una specie di calamita per i businessmen di tutto il mondo. Dopo una
chiusura totale di più di dieci anni, il paese oggi si è aperto al resto del
mondo e si prepara a raggiungere le altre “tigri” asiatiche.
Il Capitolo Primo tratta del coinvolgimento bellico americano in
Vietnam, ripercorrendo le tappe più significative della storia del paese
(Conferenza di Potsdam (1945), Accordi di Ginevra (1954). Il ritiro dei
francesi dal paese spiana la strada alla penetrazione americana nel
Vietnam del Sud; all’installazione di governi filo-americani; allo
scoppio della guerra con la sua “americanizzazione”; agli Accordi di
Pace di Parigi (1973) ed alla vittoria finale dei comunisti il 30 aprile
1975, con la liberazione dell’intero paese.
Il Capitolo Secondo si sofferma sui primi contatti economici
dell’America con l’Indocina; sulla circolazione dei capitali americani
nella regione ed il pieno coinvolgimento economico e non degli Stati
Uniti dopo il ritiro dei francesi; sulla politica di assistenza economica e
bellica al Vietnam del sud (i 4 Piani di aiuto) prima e dopo
XI
l’”americanizzazione” del conflitto; sugli obbiettivi fondamentali dei
Piani (in particolare controllo dell’inflazione) e sull’incidenza della
guerra sulla politica economica estera dell’America.
Il Capitolo Terzo si occupa, specificatamente, dell’economia del
Vietnam a partire dalla riunificazione, incentrandosi sulle politiche di
trasformazione socialista dell’intero paese; sull’adozione dei Piani
Quinquennali con l’esame dei loro specifici obbiettivi, per arrivare,
dalla crisi del sistema a pianificazione centralizzata alle prime riforme
(“output contract system” e “three plan system”) ed alla svolta del VI°
Congresso del Partito con l’adozione della politica del “Doi Moi”
(rinnovamento). Da ricordare è anche la promulgazione della legge
sugli investimenti esteri (1987), che ha rappresentato il simbolo della
volontà di apertura verso gli investimenti esteri nel paese e favorito la
corsa verso l’economia di mercato. Il Capitolo si conclude analizzando
le performances del settore manifatturiero, in dettaglio, ed i mutamenti
rilevati, in seguito alle riforme, nella produzione e nel commercio estero
vietnamita.
Il Capitolo Quarto analizza le prospettive dell’economia vietnamita ai
nostri giorni, offrendo una dettagliata descrizione geografica, politica
ed economica del paese. Considera gli indicatori di crescita
dell’economia attraverso un esame dettagliato dei vari settori (di cui i
predominanti sono l’agricoltura, l’industria, l’artigianato, il campo
energetico); esamina il sistema finanziario, la politica fiscale, il sistema
bancario, la bilancia commerciale (importazioni ed esportazioni, in
dettaglio) e valuta i vantaggi comparati che il paese offre. Tratta poi dei
recenti programmi e piani di sviluppo economico; dei rapporti politici
ed economici internazionali (eliminazione dell’embargo economico ed
XII
entrata nell’ASEAN); degli investimenti diretti esteri (IDE) e delle
forme possibili di investimento per le imprese straniere. Conclude
tirando le somme del processo di riforma e di crescita economica, non
tralasciando gli ostacoli allo sviluppo.
Il Capitolo Quinto descrive i tentativi ed i progressi nel riallacciamento
di normali relazioni diplomatiche tra l’America ed il Vietnam
incentrandosi su tre questioni di notevole importanza come l’invasione
vietnamita della Cambogia (1979), la vicenda dei “boat people” e la
sorte dei MIAs. Tratta poi delle precondizioni poste dall’America per
giungere ad una normalizzazione dei rapporti sino ad arrivare, sotto
l’amministrazione Clinton, alla caduta dell’embargo economico ed alla
definitiva, un anno dopo, restaurazione dei rapporti diplomatici tra i due
paesi. Termina con la missione di Christopher in Vietnam che ha
spianato la strada ai nuovi progetti di investimento da parte delle
compagnie americane nel paese.
1
CAPITOLO PRIMO
CENNI STORICI SUL COINVOLGIMENTO AMERICANO IN
VIETNAM.
1) Introduzione:
E’ un fatto che il Vietnam non è stato marginale o residuale nella
vicenda politica successiva alla Seconda Guerra Mondiale, ma al centro
di essa, in particolare negli anni ‘60 e ‘70, quando tutti ne parlavano e
l’intera situazione internazionale ne dipendeva. Lo è stato anche dopo,
quando si è smesso di parlarne e lo è ancora oggi: perchè dal modo in
cui gli Stati Uniti avevano risolto la “sindrome Vietnam”, dopo la
sconfitta, rilanciandosi come Impero, ma anche scontando la debolezza
di una potenza solo militare, dipendeva l’attuale figura dell’America e
perciò lo stato del mondo (KHAC VIEN NGUYEN, 1981, pag. I).
2) Principali eventi storici: la Conferenza di Potsdam (1945):
Nella Conferenza di Potsdam, tenutasi nel luglio 1945, gli Alleati
concordarono che il Vietnam fosse occupato a nord del 17° parallelo
dalle truppe del Kuomintang (Partito nazionale del popolo) e a sud da
quelle inglesi sostituite poi, in Cocincina, nel sud del paese, dai
francesi. Questa deliberazione aveva una profonda analogia con i
successivi Accordi di Ginevra; infatti, mentre questi ultimi furono le
cause prossime dell’intervento americano, le conclusioni di Potsdam
diedero lo spunto per la riconquista coloniale francese, che gli Stati
Uniti non vedevano di buon occhio. Così essi si trovarono a dover
tentare un’altra strada per affermare la loro presenza nel paese. Venne
fondata dunque la Vietnam American Friendship Association, che
2
mirava a costituire dei vantaggiosi accordi commerciali per gli
americani nel paese; tuttavia le difficoltà presenti fecero sì che
momentaneamente gli Stati Uniti fossero estromessi dalla corsa verso
l’occupazione del Vietnam.
2.1) Gli Accordi di Ginevra (1954):
Gli Accordi di Ginevra del 21 luglio 1954, risolvendo temporaneamente
la questione di chi avrebbe preso il posto dei francesi ritiratisi dal paese,
sancirono sul piano internazionale l’indipendenza del Vietnam, ma
l’unità del paese fu spezzata, venendosi così a determinare una netta
divisione sul 17° parallelo con la presenza di un Vietnam del Nord
comunista e un Vietnam del Sud indipendente e nazionalista; tali
accordi dunque trasposero sul terreno una sfasatura di carattere
ideologico, che già fino ad allora, si era manifestata per tutto il paese. Si
doveva tornare all’unità politico-nazionale, con elezioni generali libere,
previste dagli Accordi di Ginevra stessi per il luglio 1956, con un
accordo delle autorità delle due zone, che non si sarebbero mai tenute
per vari fattori ma soprattutto perchè il Vietnam (con Laos e Cambogia)
divenne un’area in cui le grandi potenze mondiali si confrontarono
(DEVILLERS, 1973, pag. 278).
2.2) L’uscita di scena dei francesi e le palesi mire americane nel paese:
Col passare dei mesi, i francesi in Vietnam divennero sempre più un
corpo estraneo e, ad una situazione economica in piena crisi, faceva
riscontro un continuo indebolimento della forza offensiva del loro
esercito. Dunque la Francia, che era la sola grande potenza impegnata
negli Accordi di Ginevra capace di compiere pressioni sul Vietnam del
Sud, dati gli importanti mezzi di cui disponeva in quella regione del
3
paese, in seguito alla sconfitta di Dien Bien Phu del maggio 1954, ritirò
il proprio corpo di spedizione dall’Indocina nell’aprile 1956. Era un
interesse prioritario che gli Stati Uniti da questo momento, vent’anni
dopo i francesi, divenissero l’unica grande potenza in grado di opporsi e
bloccare ulteriori ambizioni espansionistiche comuniste nel Sud-est
asiatico (NIXON, 1987, pag. 33).
A partire dal 1953, le mire americane sul Vietnam si fecero più palesi,
anche dopo la sconfitta di Corea. Nello stesso anno, gli Stati Uniti
trattarono con la Francia, per 385 milioni di dollari, la cessione del
mercato indocinese. Così senza impegni militari espliciti, gli americani
stavano mettendo piede in Vietnam.
2.3) La posizione americana nei confronti degli Accordi di Ginevra:
La posizione americana nei confronti degli accordi ginevrini era sancita
da una dichiarazione in cui si riportava che “il governo americano era
deciso a consacrare i suoi sforzi al rafforzamento della pace,
conformemente ai principi ed agli scopi dell’ONU e si asteneva dal
ricorrere alla minaccia o all’uso della forza per turbare tali accordi,
conformemente all’obbligo imposto dalla stessa Carta delle Nazioni
Unite. Per quanto riguardava la questione delle elezioni libere in
Vietnam, il governo americano si sarebbe adoperato per il
conseguimento dell’unità attraverso di esse, sotto il controllo dell’ONU,
onde assicurarne il regolare svolgimento”. La politica americana si
dimostrò immediatamente come contraria non solo all’applicazione
degli accordi (rinunciando a sottoscriverli), ma soprattutto alla
riunificazione del Vietnam. Il Pentagono e la CIA ritenevano che i
francesi non avessero saputo giocare tutte le loro carte e che fosse
4
giunto il momento per l’America di assumersi il controllo di quella
parte del mondo (COLOMBO, 1973, pagg. 162-165). Per Washington,
gli Accordi di Ginevra avevano saputo, come un chirurgo, amputare la
parte malata del Vietnam e bisognava ora salvaguardare la parte sana,
trasformandola in un “bastione del mondo libero” (DEVILLERS, 1973,
pag. 280).
2.4) La creazione della SEATO e l’instaurazione di un governo
fantoccio a Saigon:
La creazione della SEATO (Organizzazione del trattato per la difesa del
Sud-est asiatico), un’alleanza militare assieme a Gran Bretagna,
Francia, Australia, Pakistan, Tailandia e Filippine e la sottoscrizione
degli Accordi di Manila del 1954, assicuravano agli stati dell’Indocina
l’appoggio delle potenze occidentali contro le aggressioni esterne e la
sovversione. Dal 1954 fu chiaro che la volontà americana di mantenere
ad ogni costo lo status-quo, a sud del 17° parallelo, avrebbe costituito
un serio ostacolo alla riunificazione del Vietnam. Washington si affrettò
ad instaurare un governo fantoccio a Saigon, con un enorme apparato
bellico e poliziesco, per fare del Vietnam del Sud una propria colonia di
tipo nuovo, che le servisse da base politica e militare da cui dominare
tutto il Sud-est asiatico. L’intero paese fu così impegnato per oltre 20
anni, dal 1954 al 1975, in una lotta accanita contro l’America, che
voleva fare del Vietnam un caso esemplare, un banco di prova della
propria strategia mondiale, come emergeva nell’opera “Crisis Now” del
Vice Capo di Stato Maggiore americano dell’epoca, Gavin (KHAC
VIEN NGUYEN, 1981, pag. 86). Gli americani erano giunti alla
conclusione che non avrebbero potuto tenere nelle proprie mani il
Vietnam del Sud senza il consenso del nazionalismo anticomunista di
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Ngo Dinh Diem a cui, nel 1954, il Presidente americano Eisenhower
aveva assicurato un appoggio incondizionato. Dall’altra parte il Viet
Minh vittorioso, che aveva provveduto alla creazione della RDVN
(Repubblica Democratica del Vietnam del Nord), assisteva alla fuga
verso il Sud di centinaia di migliaia di persone, che non accettavano il
comunismo; la popolazione del Sud fu accresciuta da una massa di
profughi, per la maggior parte cattolici. L’intransigenza del Sud, però,
tolse al Nord ogni speranza di poter collocare la propria ricostruzione
ed il proprio sviluppo economico ad un livello “panvietnamita”,
costringendolo a ricorrere per gli aiuti indispensabili al solo campo
socialista (DEVILLERS, 1973, pag. 283).
2.4.1) Ngo Dinh Diem e l’influenza americana nel Sud:
Diem si rivelerà in piena dipendenza dagli Stati Uniti, dimostrando
unità tra la propria posizione e quella americana nel difendere dei diritti
che ambedue non possedevano. Infatti, il reclamare una qualsiasi
potestà legale, giuridica o politica sul territorio del Vietnam, non
corrispondeva solo ad una posizione di fatto ma nemmeno ad un diritto
morale, culturale e spirituale (COLOMBO, 1973, pag. 166). La
popolarità di cui Diem godeva era legata soprattutto ai numerosi
programmi e riforme sociali, che seppe avviare con l’assistenza tecnica
e finanziaria degli Stati Uniti. In particolare, gli investimenti di capitale
straniero si moltiplicarono e, intorno a Saigon, si sviluppò l’industria
leggera. Diem ricevette dunque, a partire dal 1954, consistenti aiuti in
dollari (1) ed armamenti da parte americana, mentre in cambio
ottemperava con scrupolosità agli ordini di Washington.
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Inoltre gli Stati Uniti erano giunti alla conclusione di appoggiare
indirettamente il Vietnam nazionalista e la tesi che prevalse, favorita dal
Presidente Eisenhower, fu quella della “guerra speciale”, cioè
l’impegno da parte dell’America di fornire materiali, dollari e
l’appoggio aereo e navale. Nel 1961 fu costituito a Saigon l’Alto
Comando americano. Oltre a numerose missioni economiche,
Washington inviava nel Vietnam del Sud massicci quantitativi di armi e
il più svariato materiale bellico, nonchè una moltitudine di esperti civili
e consiglieri militari (KHAC VIEN NGUYEN, 1981, pagg. 90-91). Si
voleva fare del Vietnam del Sud un vero e proprio Stato separato, con
un Parlamento ed una Carta Costituzionale che, ispirata al modello
americano, di fatto avrebbe consacrato la divisione del paese, facendo
diventare questa sfortunata nazione un’altra Corea ed un’altra Germania
(DEVILLERS, 1973, pag. 284).
Gli americani, d’altra parte, non si esimevano dall’invadere il mercato
del Sud con dei nuovi prodotti che, in concorrenza con quelli
artigianali, determinarono una crisi economica che da questo momento
diventò cronica. I settori dello zucchero e dei tessili, in particolare,
andarono in rovina, perchè questi prodotti non potevano competere
minimamente con quelli americani. L’America aveva iniziato
un’occupazione senza alcun motivo plausibile, se non quello derivante
dalla logica imperialistica, in nome, davanti a tutte le nazioni del
mondo, di un ideale di pace, libertà e liberazione dal flagello comunista.
In questo contesto, la pubblicistica ufficiale americana e la propaganda
radio-televisiva martellavano l’opinione pubblica, per convincerle che
si stava portando avanti in Vietnam una crociata per la libertà del
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mondo, accusando invece i nord-vietnamiti di avere sobillato il Sud
(COLOMBO, 1973, pagg. 168-170).
2.4.2) La posizione della RDVN (Repubblica Democratica del Vietnam
del Nord):
La RDVN confidava pienamente nell’applicazione degli Accordi di
Ginevra, sia perchè essi parlavano chiaro, sia perchè erano stati
sottoscritti dalle maggiori potenze mondiali, eccettuati appunto gli Stati
Uniti, che però si erano impegnati a non intervenire con la forza. Hanoi
si poteva aspettare ragionevolmente un buon successo da una
propaganda che attribuiva agli americani la responsabilità della
divisione della patria, e che accusava di tradimento i loro alleati sud-
vietnamiti. Significava entrare nelle grazie del campo socialista e creare
le condizioni di un riavvicinamento Nord-Sud: “l’antiamericanismo”,
nuovo cemento nazionale, permetteva di rigettare in secondo piano la
questione del comunismo. La divisione del Vietnam rischiava di
protrarsi per molto tempo e se il Sud si fosse trasformato in una nazione
vera e la politica interna del governo avesse ottenuto successi presso il
popolo, il Nord non avrebbe avuto più nessuna possibilità di iniziare il
processo di riunificazione (DEVILLERS, 1973, pag. 288).
2.5) Gli “errori” americani ed il fallimento della “guerra speciale”:
A partire dal 1957 gli “errori” del Sud aprirono la strada alla vittoria del
comunismo e all’unificazione sotto la sua egida. Con la sua politica
autoritaria e poliziesca, il governo del Sud distrusse quella fiducia che
si era conquistato nei suoi primi anni, gettando la popolazione nella
disperazione e costringendola alla rivolta. Era in questa prospettiva di
sfaldamento del potere assoluto di Diem che, nel 1960, era stato creato
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al Sud il FNL (Fronte Nazionale di Liberazione), il quale rappresentò la
principale forza politica nel paese. Esso mirava ad una riunificazione
progressiva con mezzi pacifici, sulla base di trattative tra le due zone.
Un progetto che tuttavia, nel contesto internazionale del tempo, non era
possibile realizzare senza rischiare di provocare un conflitto aperto con
gli Stati Uniti. L’unica soluzione possibile a favore della riunificazione,
era quella di trarre profitto dagli errori americani visto che, all’interno
della stessa America, la politica estera del paese aveva provocato un
aperto conflitto tra la destra e la sinistra.
2.5.1) L’”americanizzazione” del conflitto:
Ben presto gli avvenimenti portarono ad un fallimento completo della
“guerra speciale” e gli americani si trovarono di fronte ad un bivio: o
scegliere di abbandonare quel punto strategico fondamentale nel loro
scacchiere, oppure impegnarsi direttamente nel conflitto. John F.
Kennedy, eletto alla presidenza americana alla fine del 1960, insieme ai
suoi collaboratori Taylor e MacNamara, prese la fatale decisione di
impegnare direttamente le truppe degli Stati Uniti. L’invio di un
massiccio corpo di spedizione americano in Vietnam del Sud aveva del
tutto modificato i caratteri della guerra, divenuta ora “guerra locale”,
secondo gli schemi strategici del Pentagono. L’unica soluzione per
restare in Vietnam era appunto quella di passare alla guerra limitata,
non facendo però uso della bomba atomica, contro un nemico
totalmente impegnato in una guerra rivoluzionaria (KHAC VIEN
NGUYEN, 1981, pag. 97).
La ristrutturazione e l’adattamento dell’economia nazionale nord-
vietnamita alla situazione di guerra, permise di evitarne il collasso, cui
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miravano gli americani. Alla stabilità economica del paese concorse, in
misura eccezionale, anche l’aiuto internazionale principalmente
dell’URSS, della Cina Popolare e degli altri paesi socialisti (NIXON,
1987, pag. 51).
La guerra iniziata dagli Stati Uniti era una palese violazione sia delle
leggi internazionali, sia delle leggi interne al paese stesso. Era una
violazione delle leggi internazionali, perchè non teneva conto degli
Accordi di Ginevra, firmati dalle maggiori potenze, ma ancora di più
perchè non teneva conto della Carta dell’ONU, organismo quest’ultimo
apertamente sostenuto da Washington, la quale sottolineava il divieto di
risolvere con la forza le controversie tra le nazioni. C’era anche un
disprezzo delle leggi interne americane dal momento che, nè il Senato,
nè la Camera dei Rappresentanti erano stati interpellati su di una simile
decisione di intervento diretto. Dopo quattro anni di coinvolgimenti
sempre più ampi, i militari americani in Vietnam erano quasi 550.000
ed alla fine del 1968, in totale, ne erano caduti più di 31.000. Le diverse
amministrazioni aumentarono il contributo americano alla guerra in
modi diversi (2), senza però avere chiaro se, in tal modo, potevano
conseguire gli obbiettivi stabiliti.
Dal 1960 al 1968, gli americani in Vietnam incorsero in diversi e
disastrosi errori politici, non riuscendo a capire che la guerra non era
conseguenza di una rivolta del Vietnam del Sud ma dell’invasione di
questo da parte del Nord e non adeguando la tattica militare alle
circostanze politiche della guerra (NIXON, 1987, pag. 52). A nulla
valse l’opera della Fondazione Bertrand Russell per la pace, che creò un
tribunale internazionale per i crimini di guerra in Vietnam; la macchina
da guerra americana era abbastanza forte da mettere a tacere e ignorare
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anche questi mezzi di informazione. Il più grande errore politico,
commesso dal Presidente Johnson, fu muovere guerra senza il consenso
dell’opinione pubblica: il popolo americano sarebbe stato ben disposto
a entrare in guerra solo se era convinto di combattere per una giusta
causa.
2.6) L’offensiva del Tet (1968) e l’avanzata in America del movimento
di opposizione alla guerra:
A fermare il progressivo coinvolgimento americano nella guerra del
Vietnam fu l’offensiva del Tet del 1968, che mostrò come il popolo
unito del Vietnam, con un attacco concertato su scala nazionale,
potesse, pur venendo respinto, sconfiggere psicologicamente la più
grande potenza militare del mondo, e mostrando così come l’America
non avesse ancora compreso quale fosse la vera forza del Vietnam
(COLOMBO, 1973, pagg. 200-201). Inevitabilmente, la linea politica
seguita da Johnson aveva prodotto un malcontento interno al paese.
L’intervento americano era considerato dal movimento d’opposizione
moralmente ingiustificabile, corruttore dello spirito democratico che
animava l’America, marginale ai reali interessi di sicurezza, sovversivo
nei confronti delle incrementate relazioni russo-americane e
sproporzionato nei costi per la popolazione dell’Indocina (DE
BENEDETTI, 1987, pag. 24). Politicamente preparata e altamente
articolata, l’opposizione si era formata con la creazione di un élite di
dissidenti dalle scelte politiche della nazione (3).