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Capitolo 1
LA CONDIVISIONE SOCIALE: caratteristiche generali
1.1. Il condividere un'emozione
L'esperienza di tutti i giorni insegna che chi ha vissuto un evento emozionale
intenso manifesta un bisogno, a volte insaziabile, di essere ascoltato, di parlarne e di
riparlarne (Rimé,2008). L’urgenza di condividere un’esperienza emozionale, parlando
di essa con altre persone, è una tendenza molto generale, presente in tutte le culture in
cui sono state sviluppate indagini in merito. La nostra intera esistenza è intessuta di
emozioni: noi le cerchiamo, ne parliamo con altri, le viviamo e riviviamo attraverso il
ricordo. Sembrerebbe che le esperienze emotive siano da riferirsi ad eventi che
riguardano ciascun individuo singolarmente e che si esauriscono in esso. Capita,
d'altronde, di avere la sensazione che l’emozione provata sia un qualcosa di molto
speciale, intimo ed unico che, per la sua rilevanza personale, vada protetto dalle
ingerenze del mondo esterno. Tuttavia le reazioni emotive non sono fatti privati o
esclusivamente personali, anzi, il ruolo rivestito dalle altre persone e, in genere, dal
contesto socioculturale in cui le esperienze si verificano, è molto rilevante. Ogni
episodio emozionale intenso ha la capacità intrinseca di suscitare negli individui varie
reazioni di tipo fisico, psicologico e sociale. Tutti i tipi di emozioni, ma specialmente
quelle che nascono da un evento doloroso o stressante, suscitano nell'essere umano
l'esigenza di comunicare le proprie sensazioni al proprio ambiente sociale, tramite
vari canali di espressione.
1.2. La condivisione sociale: conferme empiriche e metodi di studio
La condivisione sociale delle emozioni costituisce un processo cognitivo e
sociale per mezzo del quale gli individui che hanno vissuto un’esperienza emozionale
parlano dell’evento in questione con altre persone (Rimé et al., 1998).
L’ipotesi che le emozioni suscitino un processo di condivisione sociale è stata
confermata da vari studi. Queste ricerche, da un lato, hanno empiricamente
dimostrato che la condivisione sociale delle emozioni soddisfa una prima necessità,
che è quella di precisare, chiarire e rielaborare a livello cognitivo le sensazioni fisiche
che hanno accompagnato l’emozione; dall’altro, che il parlare ripetutamente con gli
altri di un evento emotivo non solo aiuta a guardare con distacco a quello che è
successo, migliorando la capacità di giudizio, ma contribuisce a riordinare le idee
stesse, poiché, schematizzando l’episodio, attribuisce un ordine temporale e causale
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all’evento.
Diversi studi hanno inoltre confermato che la condivisione di eventi traumatici
produce a lungo termine effetti benefici sulla salute fisica e psicologica dell’individuo
(Pennebaker & Beall, 1986): condividere con gli altri le proprie emozioni è dunque
anche un modo per fronteggiare meglio la situazione interna ed esterna suscitata
dall’evento emotivo. Il confronto, infatti, rafforza la nostra identità sociale, poiché da
un lato consolida il rapporto interpersonale con coloro a cui ci rivolgiamo, qualora
essi mostrino di capire e di accettare come giusto e legittimo il nostro stato emotivo;
dall’altro, ci fa sentire parte di una comunità nel momento in cui scopriamo che le
nostre reazioni ed espressioni emotive sono condivise e rispecchiano le norme sociali.
I metodi attraverso cui è stato studiato il fenomeno della condivisione sociale
delle emozioni sono diversi.
Utilizzando il metodo del ricordo, Rimé e coll. (1992) inizialmente chiedevano
ai partecipanti al loro studio di ricordare e descrivere un episodio emotivo
corrispondente a una emozione di base (paura, rabbia, gioia, tristezza) e in seguito di
rispondere ad un questionario sulla condivisione sociale dell’episodio. È emerso che:
(a) fra l’88% e il 96% dei partecipanti vi è condivisione delle esperienze emozionali;
(b) la condivisione non è influenzata dall’età e dal genere dei partecipanti allo studio,
dal tipo di emozione di base e dalla valenza dell’esperienza emozionale (positiva o
negativa); (c) l’episodio emozionale è condiviso nel 60% dei casi durante lo stesso
giorno in cui accade. Il metodo del ricordo, essendo soggetto alle influenze della
memoria selettiva, solleva alcuni problemi, come per esempio il fatto che i soggetti,
nella libertà di scegliere se riferire o meno l’episodio emozionale, potrebbero
rievocare episodi relativamente più intensi. Per superare tali limiti sono stati utilizzati
altri metodi.
Il metodo del diario prevede che i partecipanti allo studio compilino ogni sera il
diario descrivendo brevemente un evento emozionale accaduto nella giornata appena
trascorsa e rispondendo a domande sull’evento descritto e sulla sua condivisione
sociale.
Il metodo del follow-up prevede che i partecipanti vengano contattati
immediatamente dopo una situazione emotiva e poi dopo alcune settimane. Alcuni
studi (Rimé, Philippot, Finkenauer, Legast, Moorkens, & Tornqvist, 1994; Zech,
1994) hanno mostrato come, a prescindere dal tipo di episodio emotivo vissuto, la
condivisione sociale avveniva durante la settimana successiva all’episodio stesso con
percentuali molto vicine a quelle ottenute con il metodo del ricordo.
Dato che la letteratura ritiene che, affinché la condivisione avvenga in maniera
rilevante, occorre un certo gradiente di intensità (Bellelli, Curci, & Mastrorilli, 2004),
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si è cercato di studiare la relazione tra intensità dell’emozione e condivisione, e si è
visto che non è di tipo lineare.
La procedura utilizzata è il metodo sperimentale, il quale prevede la
manipolazione della variabile “intensità emozionale dello stimolo” per studiare
l’effetto che questa ha sulla condivisione sociale delle emozioni. I risultati
suggeriscono che a bassi livelli di emozione si registra una condivisione sociale bassa
o nulla e che, man mano che cresce il livello di emozione esperita, aumentano anche
gli episodi di condivisione. È da sottolineare che comunque tali episodi di
condivisione non eccedono mai una certa soglia di ripetizione, probabilmente intanto
perché l’individuo ha saturato tutti i possibili partner e occasioni di condivisione
della propria esperienza e poi anche perché, a livelli altissimi di trauma, l’individuo
evita il confronto con le altre persone perché troppo doloroso e preferisce non
condividere più.
1.3. Il paradosso della condivisione sociale
Un aspetto interessante della condivisione sociale riguarda il fatto che le
persone, quando vivono un'esperienza emozionale intensa, sentono come impellente
il bisogno di condividere con gli altri le emozioni provate e, al tempo stesso, tale
condivisione riattiva le immagini mentali, le sensazioni corporee e le esperienze
soggettive legate all’evento emozionale.
In uno studio di Rimé e coll. (1991b), i partecipanti vennero sottoposti a
differenti condizioni sperimentali: avevano il compito di ricordare e descrivere un
passato evento emozionale di gioia, tristezza, rabbia o paura. Subito dopo veniva
loro chiesto di rispondere ad alcune domande relative a ciò che avevano provato
durante il processo di rievocazione: quasi tutti riferirono vivide immagini mentali
dell’evento; sentimenti e sensazioni corporee vennero riferite solo un po’ meno
frequentemente. Come ci si potrebbe facilmente attendere, l’esperienza di gioia
venne valutata come esperienza più piacevole rispetto a quelle di tristezza, rabbia o
paura. Ciò che, invece, sorprese fu il fatto che solo una minoranza dei partecipanti
riferì la paura, la tristezza o la rabbia come dolorose o estremamente dolorose.
Venne, infatti, riscontrato che, nonostante la riattivazione di immagini, sentimenti e
sensazioni corporee vivide legate all’esperienza emozionale negativa vissuta, la
condivisione della stessa esperienza non risultava così spiacevole per le persone
come ci si poteva aspettare.
L’esperimento appena discusso illustra, in modo evidente, l’aspetto paradossale
della condivisione sociale: nel caso di un’esperienza emozionale negativa, ci si
aspetterebbe che la condivisione di queste emozioni abbia un carattere spiacevole
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per l’individuo, tanto da indurlo ad evitare di parlarne; invece, contrariamente alle
aspettative, come lo studio di Rimé e coll. (1991b) ha evidenziato, le persone ne
parlano volentieri, anche se questo comporta la riattivazione degli aspetti negativi
dell’esperienza emozionale. Come spiegarsi, dunque, questo paradosso?
Pennebaker (1989;1997) ha suggerito che sforzarsi di trattenere o inibire i propri
pensieri o i propri sentimenti richiede un lavoro estremamente faticoso per l’indivi-
duo. Nel tempo questo lavoro di eccessiva inibizione di pensieri, sentimenti e
comportamenti può esporre le persone a rischi di disturbi di minore o maggiore
entità. Se, dunque, l’inibizione risulta tanto dannosa, al contrario confrontarsi con i
pensieri e sentimenti più profondi può avere notevoli benefici sulla salute, sia a bre-
ve che a lungo termine.
Secondo molti autori, per spiegare questo paradosso della condivisione sociale
bisogna pensare che esista un potente incentivo in grado di indurre le persone a
condividere sia gli aspetti positivi che quelli negativi delle loro esperienze
emozionali e che sia possibile, dunque, ricavare qualche vantaggio significativo da
questo processo. Secondo Liu & Laszlò (2006), poiché le evidenze suggeriscono che
condividere le emozioni negative non aiuta di per sé il recupero da un evento
traumatico, sembra che la funzione della condivisione sia di natura puramente
sociale: riguarda la costruzione di un senso di comunità e lo sviluppo dell’empatia
piuttosto che una funzione strumentale. In questo senso le emozioni negative funzio-
nerebbero non meno efficacemente di quelle positive. Tuttavia la questione relativa
alle emozioni negative appare ancora molto complessa.
Diverso, invece, è il caso della condivisione delle emozioni positive. Langston
(1994) ha rilevato in due studi sulle esperienze quotidiane che quando le persone
condividono la notizia di un evento positivo con gli altri sperimentano un maggior
effetto positivo, al di là dei naturali effetti associati alla valenza dell’evento positivo
in sé. Langston ha dato a questo fenomeno il nome di capitalizzazione, termine poi
adottato da Gable e coll.(2004) per indicare il processo attraverso il quale gli
individui informano gli altri di eventi positivi che si verificano nella propria vita.
Gable e coll. (2004) suggeriscono che la capitalizzazione, molto probabilmente,
genera un effetto positivo aggiuntivo, che va oltre quell’effetto positivo associato
all’evento stesso. Diversi sarebbero i possibili meccanismi responsabili di tale
effetto: condividere un evento positivo con gli altri richiede di narrare l’evento e ciò
dà l’opportunità di rivivere l’evento stesso; inoltre l’atto comunicativo può includere
ripetizione ed elaborazione, entrambi meccanismi che sembrano prolungare e
migliorare l’esperienza stessa aumentando la sua salienza e l’accessibilità in
memoria. Se così fosse, gli eventi positivi che vengono comunicati agli altri
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dovrebbero essere ricordati meglio degli eventi positivi non comunicati.
Un altro potenziale meccanismo responsabile è di natura più interpersonale: condivi-
dere gli eventi con gli altri permette di costruire delle risorse sociali, favorendo inte-
razioni sociali positive che vengono, così, rinforzate in se stesse. Inoltre, la condivi-
sione di buone notizie avvia un’interazione in cui l’individuo può percepire che gli
altri si compiacciono per lui, con conseguente rafforzamento della sua autostima e
l’affermazione di valutazioni positive riflesse.
1.4. I motivi della condivisione sociale
Si parla molto volentieri delle proprie emozioni, anche quando il processo di
condivisione riattiva gli aspetti negativi dell'esperienza emozionale vissuta. Questo
in qualche modo ha alimentato la diffusa credenza secondo cui condividere
un’emozione dovrebbe di per sé portare al recupero emozionale per l’individuo.
Eppure, diversi studi, condotti allo scopo di testare la validità di questa credenza,
non sono stati in grado di supportarla empiricamente (Rimé, Mesquita et al.,1991a;
Rimé, Zech et al., 1996; Finkenauer & Rimé, 1998b). In altri termini, non sembra
che parlare di un ricordo emozionale abbia un impatto significativo sul recupero
emozionale associato a questo ricordo.
Verrebbe, dunque, da chiedersi: perché allora le persone riferiscono di trovare
dei benefici nel condividere con gli altri le proprie esperienze emozionali?
Numerosi sono gli studi che hanno cercato di fornire una risposta a tale interrogativo
(Finkenauer & Rimé, 1996; Delfosse, Nils, Lasserre, & Rimé, 2004; Wetzer,
Zeelenberg, & Pieters, 2005): da essi sono emerse diverse ragioni che
spiegherebbero la condivisione sociale, ottenute chiedendo alle persone di rievocare
un episodio emozionale recente e di riferire le motivazioni per cui lo avevano condi-
viso.Una rassegna di alcuni di questi studi (Rimé, 2005) ha posto in luce l’esistenza
di ben dodici tipologie di motivi, che riguardano principalmente bisogni Socio-
Affettivi:
intrattenimento: agevolare le interazioni sociali;
ripetizione: richiamare alla propria mente l’episodio; ricordarlo;
aiuto e supporto: essere ascoltati, ricevere aiuto, comprensione;
conforto e consolazione: essere consolati, confortati;
formazione e rafforzamento dei legami sociali: rafforzare le relazioni con
gli altri, i legami sociali, evitare l’abbandono;
chiarimento e costruzione di significato: analizzare l’accaduto e darne un
significato, ordinare e dare una spiegazione;
consigli e risoluzioni: ottenere consigli, feedback, avere suggerimenti e