Ad agosto si ebbe poi un fatto singolare. Il 5 di qul mese avvenne infatti uno dei più forti episodi di
rivolta all'Havana dai tempi della rivoluzione del 1959. Sul Malecon, il lungomare della capitale,
nei pressi del vicino quartiere nero di Centro Habana, circa 1.000/2.000 persone, in maggioranza
neri e mulatti, distrussero alcuni negozi statali in dollari (grandi magazzini Ultra, pellicceria Roxana,
ecc.) e chiesero libertà e cambiamenti politici. Un precedente episodio simile avvenne durante i
funerali di un giovane uomo ucciso mentre tentava di lasciare il paese nella località di Regla, vicino
l'Havana. Lo stesso giorno Fidel Castro accusò gli Stati Uniti di aver causato la rivolta, attraverso
la diffusione di voci di "una nave in partenza per Miami sponsorizzata dagli americani", nel corso di
una serie di tre discorsi televisivi (di cui uno trasmesso anche dalla CNN) e avvertì che "o gli Stati
Uniti prendono serie misure per sorvegliare le loro coste o noi smetteremo di ostacolare chi vuol
partire da Cuba o chi vuole venire a visitare i propri parenti". Nei giorni seguenti il fenomeno dei
balseros raggiunse quindi proporzioni allarmistiche. Si registrò infatti l'arrivo di oltre 13.000
persone nei giorni dal 13 al 25 agosto, contro le 9.340 registrate, nello stesso periodo, per l'esodo
dei "marielitos" nel 1980. Fino a quel momento le questioni relative all'immigrazione erano regolate
dagli accordi del 1987, che avevano semplicemente rinnovato quelli che erano stati stipulati dai
due paesi nel 1984. Oltre ad aver rimpatriato più di 2.700 esuli cubani provenienti dall'esodo di
Mariel detenuti nelle prigioni statunitensi gli accordi prevedevano il rilascio di ventimila carte
d'ingresso negli Usa l'anno ai cubani che ne facessero richiesta e che fossero riconosciuti idonei.
Poichè l'accordo non fu mai attuato interamente (le sezioni di interessi statunitensi all'Havana
rilasciò, dal 1985 al 1994, 11.222 carte d'ingresso, contro le 160.000 previste dall'accordo)
Castro accusò gli Stati Uniti di favorire l'immigrazione clandestina. In questo contesto intanto la
Cuban American National Foundation trovò spazio e forza per creare ed ottenere l'approvazione
del Dipartimento di Stato del programma "Exodus". Questo, attraverso fondi pubblici (circa due
milioni di dollari in cinque anni) e privati, fornì, fra il 1989 ed il 1993, assistenza medica ed un
lavoro per un anno a immigrati cubani diretti presso parenti in paesi terzi.
La politica americana nei confronti dell'immigrazione cubana cambiò radicalmente il 19 agosto
1994. Dopo che il governatore della Florida Lawton Chiles dichiarò lo "stato di emergenza" il
Presidente Clinton proclamò infatti la fine della trentacinquennale politica della "porta aperta". In
una inusuale conferenza stampa tenuta in tarda notte il Procuratore Generale Janet Reno annunciò
che ai cubani intercettati in mare o sulle spiagge americane non sarebbe stato più permesso di
entrare negli Stati Uniti ma sarebbero stati detenuti indefinitamente dalle autorità navali statunitensi.
Venivano così riviste le norme in vigore, cioè l'Adjusment Act del 1966, per cui il semplice
salvataggio di uno zatteriere da parte della Guardia Costiera americana o la presentazione, dopo
l'arrivo su una spiaggia degli Stati Uniti, da parte dello stesso all'INS, il servizio di immigrazione e
naturalizzazione, con la relativa dichiarazione di "stare scappando" dalla repressione di Fidel
Castro dava diritto all'ingresso negli Usa e l'ottenimento, dopo un anno, della legale e permanente
residenza negli Stati Uniti. Il Presidente Clinton annunciò anche ulteriori misure nei confronti
dell'isola caraibica. Le visite a Cuba da parte di cubano-americani furono ristrette (eccetto si
trattasse di "estremi casi umanitari"), fu abolito l'invio di denaro da parte dei cubano-americani ai
loro parenti a Cuba, per un valore stimato in 500 milioni di dollari l'anno, ed istituita una speciale
licenza, rilasciata in anticipo dal Dipartimento del Tesoro, per permettere viaggi di giornalisti ed
accademici. Malgrado i provvedimenti adottati dall'amministrazione Clinton, compresi gli appelli
lanciati da Radio Martì, emittente finanziata dal governo americano, l'esodo continuò (1.239 arrivi
il 21 agosto, 2.548 il 22 agosto, ecc.). Il governo Usa chiese quindi al governo cubano di
dissuadere la gente dal lasciare l'isola, iniziò l'invio dei cubani fuoriusciti ai campi di detenzione
(Guantanamo, che già ospitava oltre 14.000 haitiani, Krome Detention Centre, Miami, Port Isabel,
Tezas e Panama, solo per sei mesi) ed il primo settembre avviò, a New York, i colloqui con le
autorità cubane sulla questione dell'immigrazione. L'accordo fra i due paesi fu raggiunto il 10
settembre e prevedeva l'accoglienza di 20.000 immigrati cubani l'anno, scelti per mezzo di una
lotteria effettuata dall'INS, e l'impegno del governo cubano di "persuadere pacificamente" i propri
cittadini a non lasciare l'isola e di non compiere rappresaglie nei confronti di chi desiderava
lasciare i campi di detenzione per tornare sull'isola. Gradualmente l'amministrazione Clinton cercò
di svuotare i campi, sia per le precarie condizioni di vita, che per gli elevati costi di allestimento e
gestione, ammontanti a 135 milioni di dollari (più altri 35 milioni nell'aprile 1995), per la
costruzione e manutenzione e un milione di dollari di costi giornalieri. Il permesso di immigrare
negli Stati Uniti fu accordato, nell'ottobre del 1994, alle persone detenute a Guantanamo con più
di 70 anni, malati cronici, donne incinte e minori con genitori per un totale di circa 1/3 dei 23.930
detenuti.
I disordini ed i tentativi di fuga che si verificarono, ai primi di dicembre, nei campi di detenzione di
Panama e Guantanamo (il bilancio fu di circa 250 feriti, 1.000 fuggiaschi e cinque cubani morti nei
tentativi di fuga), che richiesero l'invio di nuove truppe (mille soldati furono inviati al campo di
Panama, poi chiuso a febbraio) e quelli provocati dai cubani detenuti alle isole Cayman fecero sì
che il Pentagono compilasse, in aprile, un rapporto che raccomandava la chiusura dei campi "non
appena fosse possibile". Il 2 maggio l'amministrazione Clinton annunciò un nuovo accordo con il
governo cubano per i problemi relativi all'immigrazione. L'accordo prevedeva infatti una quota
minima di 20.000 immigrati cubani l'anno, stabiliva una precisa procedura burocratica per ottenere
l'asilo politico negli Stati Uniti, elimonò la norma del 1994 relativa all'"indefinita detenzione", per
cui i circa ventimila cubani tenuti presso la base americana di Guantanamo furono ammessi negli
Usa e prevedeva infine il rimpatrio dei nuovi "balseros". "I cubani -affermò infatti il Procuratore
Generale Janet Reno- devono sapere che la sola strada per venire negli Stati Uniti è fare domanda
formale a Cuba... quelli che arriveranno illegalmente andranno incontro a procedure di esclusione
e trattati come sono tutti gli immigrati clandestini da altri paesi". Il 9 maggio, nel porto cubano di
Cabanas, la Guardia Costiera Usa consegnò alle autorità cubane 13 persone recuperate in mare
quattro giorni prima, mentre funzionari della Sezione di interessi americana all'Havana spiegarono
ai fuggiaschi come fare domanda formale per l'ingresso negli Stati Uniti. Altri 11 esuli cubani
intercettati in mare l'11 maggio furono consegnati ai funzionari dell'amministrazione cubana il 13
maggio. La politica della porta aperta, che per trentasei anni aveva concesso uno status esclusivo
all'immigrazione cubana, nonostante le proteste della comunità cubano-americana, era finita. In
realtà però, malgrado alcuni episodi di disobbedienza civile che furono inscenati a Miami, Union
City, Washington D.C., fra le fila della destra anticastrista di Miami si registravano timori per la
nuova ondata di arrivi provenienti da una classe socioeconomica più bassa di quella arrivata nel
1959. Il campo di detenzione di Guantanamo fu chiuso alla fine di febbraio 1996, mentre il flusso
di esuli si arrestò. I cubano-americani preparavano però ulteriori mosse per "stringere il cappio
intorno al collo" di Fidel Castro, considerando anche le condizioni di vita sull'isola.
Negli anni fra il 1989 ed il 1994 il paese caraibico conobbe infatti una profonda crisi economica
che, nel periodo più acuto, si trasformò in vera e propria crisi di sussistenza.
In quattro anni il Prodotto Interno Lordo si abbassò di oltre il 35%, le esportazioni caddero del
70% e le importazioni del 75%, mentre il debito estero salì rapidamente (11 bilioni di dollari nel
1996).
Gli aiuti sovietici, pari a 5 bilioni di dollari nel 1989, scomparvero totalmente nel 1992, mentre il
commercio con i paesi che prima appartenevano al COMECON calò di 2/3 dal 1989 al 1992 e
quello sviluppato con i paesi occidentali e dell'America Latina non fu abbastanza consistente da
rimpiazzare il valore del commercio con l'ex blocco comunista. Il governo cubano inizialmente
cercò di rispondere alla crisi attraverso lo sviluppo del settore turistico e delle biotecnologie, ma le
entrate derivanti non furono sufficienti a contrastare la sempre crescente crisi economica,
aggravata anche dai provvedimenti adottati dal governo americano e dalla struttura economica
dell'isola, basata sulla tecnologia sovietica, internazionalmente non competitiva. Più di 2/3 delle
imprese statali operavano in perdita e con libri paga gonfiati, per garantire piena occupazione.
Il 26 luglio 1993 Castro affermò: "Oggi, la vita, la realtà... ci forza a fare quello che non avremmo
fatto altrimenti... dobbiamo fare concessioni". Furono quindi avviate una serie di riforme
economiche che prevedevano il permesso di possedere dollari americani (decreto legge n° 140
dell'agosto 1993), la trasformazione delle aziende agricole statali in cooperative (legge n° 142) ed
una serie di licenze sul lavoro autonomo ("auto impiego", legge n° 141 ed allegata risoluzione uno
del settembre 1993), che si aggiungevano ai nuovi sforzi per la creazione di joint-venture con
società straniere del 1992. La legge che trasformava le aziende agricole statali in cooperative di
lavoratori, chiamate UBPC (Unidades Basicas de Produccion Cooperativa), accordava il diritto
di proprietà sul raccolto, all'uso della terra, anche se non completamente, all'elezione del proprio
management ed alla tenuta di conti correnti bancari e fece sì che entro la fine dell'anno successivo
le UBPC controllassero fra il 70 ed il 75% della terra coltivata.
L'8 settembre 1993 il governo autorizzò il lavoro autonomo in circa 130 occupazioni,
incrementando notevolmente il numero di quelle già permesse e fissando in modo più preciso la
tassazione dei guadagni derivanti, che potevano essere 10, 15 o 20 volte più alti di quelli di un
impiegato statale laureato. Questo settore, che comprende taxisti, idraulici, parrucchieri, sarti,
ecc., per un totale di circa 200.000 licenze, di cui circa 50.000 nella sola capitale, rilasciate dal
governo non può però espandersi oltre precisi limiti (per esempio non possono essere assunti
lavoratori che non siano appartenenti al nucleo familiare) e lo Stato può revocare la licenza in
qualsiasi momento. Fanno parte di questa categoria i numerosi (da 1.000 a 2.000 all'Havana e
4.000 in tutto il paese) ristoranti privati o "paladares", locali con massimo dodici posti a sedere
che offrono a turisti o cubani quattro, cinque piatti diversi ad un prezzo oscillante fra i cinque e gli
otto dollari.
La decisione della Banca Centrale di Cuba di rendere legale la tenuta di valuta estera e l'uso del
dollaro nelle normali transazioni quotidiane dette invece "riconoscimento e legittimità ufficiali a
quello che molti cubani stavano già facendo". Il governo, cercando di trarre qualche profitto
dall'enorme diffusione del mercato nero, che passò da 2 a 14,5 bilioni di pesos fra il 1989 e la
metà del 1993, consentì ai cubani di acquistare merce di importazione direttamente nei negozi in
dollari, di tenere conti correnti in dollari, di ottenere dai propri concittadini pagamenti in dollari ed
annunciò l'introduzione di una valuta nazionale convertibile, effettuata nel dicembre 1994 con
l'emissione del "peso convertibile": Notevole impluso fu dato alla ricerca di investimenti stranieri,
fino a quel momento regolati da una legge del 1982. La legge 50 sulle joint-venture offriva infatti
alle imprese straniere vari incentivi, quali esenzione dalle tasse, parziale libertà di assumere e
licenziare, rimpatriare i profitti, ecc.. La prima joint-venture fu costituita nel 1990, mentre
diventarono 150 nel 1994 (1,5 bilioni di dollari di investimenti), operanti in vari settori
dell'economia, spesso collegate con le nuove Sociedades Anonimas (SA), società controllate da
persone fedelmente legate al regime (erano 63 nel 1992, fra cui Cubanacan e Gaviota, operanti
nel settore turistico).
La situazione economica tuttavia si andava aggravando sempre di più. Il razionamento, che
riguardava in pratica tutti i beni di consumo, copriva, al massimo, metà dei bisogni mensili delle
famiglie ed i cubani divennero perciò meno propensi al lavoro, cercando altrove i mezzi per
sopravvivere. Il furto di merci e beni divenne pratica comune, tanto che si parlava di "mancanze
pianificate". Si stimava infatti che il 40% della produzione agricola venduta allo Stato non
raggiungesse gli sbocchi urbani ufficiali e la situazione non migliorò con la costituzione e l'invio nei
campi di "distaccamenti di vigilanza" armati. Nella società cubana comparvero i "mensajeros",
intermediari fra le famiglie e l'apparato ufficiale di distribuzione e si ebbe un notevole incremento
della prostituzione. I mensajeros, spesso pensionati, dato che la scarsità dei beni richiedeva più
tempo per ottenerli, si offrirono come tramite verso le famiglie, dietro compenso oppure vendendo
i prodotti non consumati al mercato nero. La prostituzione era invece legata al fenomeno del
"jineterismo", forma di prostituzione o quasi legata al crescente flusso di occidentali sull'isola
(30.000 i matrimoni con stranieri). Si intensificò inoltre il fenomeno conosciuto come "sociolismo",
cioè quella pratica, condannata duramente dalle autorità con l'etichetta di Macetas (profittatori),
che consiste nella risoluzione dei problemi economici tramite scambio di favori attraveerso un
circuito di amicizie. In quegli anni il governo cubano sperimentò anche altri metodi di "stile
socialista". Nel 1992 500.000 residenti della capitale furono inviati nei campi per brevi periodi di
lavoro, furono costituite 31 "brigate agricole" di 200 persone che, per paghe più alte della media,
prestarono la loro opera come "lavoratori modello" ed anche l'esercito fu coinvolto nella
produzione civile (fu impegnata 1/4 dell'industria militare). Il MINFAR (Ministero delle Forze
Armate) è infatti coinvolto in vari settori dell'economia, quali turismo, agricoltura, ecc.. Malgrado
ciò i problemi non furono risolti. I raccolti della canna da zucchero, la principale fonte di reddito
per le casse dello Stato, causa le ridotte importazioni, diminuirono della matà rispetto al livello del
1989 (4 milioni di tonnellate nel 1993, 3,3 milioni di tonnellate nel 94/95, il peggiore raccolto dal
1959) ed i guadagni derivanti, causa il più basso prezzo di mercato (1/3 di quello che veniva
pagato dai russi) precipitarono. La quantità di cibo assunta calò da una media di 2.800 calorie al
giorno nel 1989 a 1.863 nel 1993 (-33%), mentre la quantità di proteine diminuì del 40%,
ricomparvero anemia e deficienze di ferro, e la situazione si aggravava man mano che ci si
allontanava dall'Havana e dai suoi turisti.
Il governo, nei mesi successivi, varò ulteriori misuure per cercare di migliorare la situazione e
riassestare gli equilibri derivanti dallo sviluppo della "seconda economia", cioè quella legata ai
dollari. Nel maggio 1994 fu approvata infatti una dura legge antiprofittatori che limitava l'accumulo
di denaro, proveniente dalle nuove misure di liberalizzazione economica, da parte dei cittadini.
Secondo la nuova legge il Ministero delle Finanze poteva, senza appello da parte dell'autorità
giudiziaria e con effetto retroattivo, confiscare tutto ild enaro, beni e merci di individui che fossero
ritenuti colpevoli di essere "profittatori". Dopo aver varato un nuovo sistema di tassazione
progressiva basato sui profitti netti annuali per tutti coloro che ottenessero guadagni al di fuori
dell'apparato statale, che divenne pienamente operativa nel 1996, il governo il 7 ottobre 1994
rese nuovamente legali i mercati agricoli e, nel dicembre dello stesso anno, i mercati artigianali e
manifatturieri. I cubani potevano così, una volta arrivati alla quota di produzione fissata dallo
Stato, vendere il surplus dei propri prodotti, beneficiando anche di incentivi, nei risorti mercati,
pagando allo Stato le relative tasse.
Malgrado nel giugno 1994 non ci fosse verdura nei mercati ufficiali dell'Havana il Prodotto
Nazionale Lordo in quell'anno tornò a crescere dello 0,7% e l'enorme deficit statale a calare (da
5,1 bilioni di pesos nel 1993 ai 1,4 bilioni nel 1994, cioè il 7% del Pil, contro il 40% nel 1993). Il
processo di liberalizzazione economica conobbe in questo periodo una fase di arresto e Castro
riaffermò spesso che lo scopo della rivoluzione era la "costruzione del socialismo" e che "non ci
sarà la transizione al capitalismo".
Il 5 settembre 1995 l'Assemblea Nazionale del Potere Popolare approvò infine la nuova legge
riguardante gli investimenti stranieri sull'isola. La legge 77 (che rimpiazzò la legge 50, attraverso cui
furono formate 210 joint-venture, per un valore di 2,1 bilioni di dollari), approvata come "apertura
per difendere e sviluppare il socialismo", permetteva agli stranieri la piena proprietà, invece del
40%, accordata sulla base del caso per caso, di imprese operanti in tutti i settori dell'economia
eccetto difesa, sicurezza nazionale, educazione e salute. Anche i cubani che vivevano all'estero
potevano investire sull'isola, mentre quelli residenti a Cuba potevano investire solo nelle
microimprese personali ed attraverso l'azione di imprese statali. La legge prevedeva anche arbitrati
indipendenti in dispute riguardanti i diritti di proprietà e compensi per espropri.
Il momento peggiore del "Periodo speciale in tempo di pace" era ormai passato e nel 1995 si
registrò una crescita economica del 2,5%, che si prevedeva di raddoppiare l'anno successivo.
L'aggravarsi della crisi economico/sociale aveva però fatto nascere nella comunità anticastrista di
Miami la convinzione che la rivoluzione castrista del 1959 fosse ormai arrivata all'epilogo. La legge
Helms-Burton, nel febbraio 1995, era stata presentata nel Congresso a maggioranza repubblicana
che era uscito dalle elezioni di medio termine del novembre 1994.