5
Introduzione
Il presente lavoro mira ad indagare la complessa natura di una delle
opere più sfuggenti e difficilmente definibili della filmografia del
regista danese Lars Von Trier: Dancer in the dark. La difficoltà
interpretativa nasce dal fatto che il film si presenta a un livello ad una
prima e frettolosa impressione come un musical, ma è in realtà
un‟opera in cui il registra destrutturalizza e decontestualizza
radicalmente le istanze del genere musical per approdare a
significazioni di senso personali ed altre rispetto alle tematiche di
solito affrontate da quel genere filmico. Il film, un originale pastiche
sulle sfumature del musical, del melodramma, del teatro classico e
dell‟opera sinfonica, impone, per una sua piena comprensione
tecnico/tematica di appropriarsi di un ventaglio di teorie e di tecniche
sinestetiche in quanto tramite l‟occhio antropocosmomorfico della sua
protagonista, Selma, il film diventa strutturalmente paradigmatico nel
rilevare le corrispondenze tra le immagini del suono ed i suoni
dell‟immagine nel cinema.
Nella prima parte ci occuperemo di svolgere questo nodo tematico
confrontando diversi spunti teorici ed epistemologici desunti, tra gli
altri, dalla poesia simbolista francese, da Michel Chion e Nicolas
Cook, dall‟operistica di Schoenberg e Wagner, dall‟astrattismo di
Kandinskij e dalle teorizzazioni di Ejsenstein, Adorno ed Eisler, per
citare alcuni dei contributi. Tali spunti ci serviranno da strumento
preliminare per analizzare l‟universo sfaccettato di Dancer in the
dark, un universo caratterizzato da una forma in continuo divenire che
irradiandosi dal centro nevralgico dell‟inconscio della protagonista,
mette in scena i suoi luminescenti sogni-musicali interiori, in un
6
vortice di dicotomie che abbracciano le categorie di reale/immaginato,
luce/tenebre, suoni/silenzi. Una forma che si illumina e si spegne
incessantemente riportandoci la lettura dell‟occhio sinestetico di
Selma. Nella seconda parte ci occuperemo dettagliatamente del film,
offrendo preliminarmente una panoramica generale sul profilo del
regista, sulla sua concezione del cinema, sulla filmografia e sul suo
universo estetico e tematico. Nell‟ultima parte svolgeremo l‟analisi
del film con un taglio prettamente rivolto all‟analisi audiovisiva e al
rapporto suono/immagine cercando di comprendere quanto la
semplice accezione di musical sia limitante come contenente per il
film. Per l‟analisi audiovisiva prenderemo come fonti i modelli
proposti da Chion e da Cook cercando di proporre un paradigma di
analisi integrato che contempli sia un‟analisi tecnica dell‟interazione
fra musica ed immagini, sia un approccio volto a rintracciare la
consistenza o la dissonanza interna del linguaggio audiovisivo
interpretato come un prodotto estetico multimediale. L‟analisi
audiovisiva ci permetterà di evidenziare e di sottolineare il processo
sinestetico strutturante Dancer in the dark e di come questa sua
struttura formale possa essere interpretata mediante le suggestioni
dell‟Opera totale di Wagner, che può fungere da parametro più
elastico e malleabile rispetto al contenente di genere musical. Le
istanze proprie del genere musical vengono infatti sistematicamente
reinterpretate dal regista a favore dell‟espressione dello psicodramma
della sua protagonista. Andremo a vedere cosa delle caratteristiche
specifiche del musical sopravvive nel film, e cosa viene trasformato
con eclettica originalità per restituirci il flusso interiore dell‟artisticità
di Selma. Mettendo il musical in comunicazione ed in costante
conflitto con il drama, con la tela narrativa, arriveremo a comprendere
come e in che termini Dancer in the dark possa essere definito
7
un‟Opera totale. Tenteremo infine di comprendere a quale specifica
significazione di senso vuole portarci Lars Von Trier nella scelta di
una materia così fortemente improntata sulla fotogenia, sulla
sinestesia e sulla messinscena dello statuto del cinema come forma
d‟arte e fabbrica di sogni.
8
Parte prima
Le immagini del suono e i suoni dell’immagine
9
I . La differenza del cinema: un linguaggio
audiovisivo
I.I Correspondances
Correspondances
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L‟homme y passé à travers des forets de symboles
Qui l‟observent avec des regards familiers.
Comme de longs échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.
Il est des parfums frais comme de chairs d‟enfants,
Doux comme les hautbois, verts comme les prairies.
- Et d‟autres, corrompus, riches et triomphants,
Ayant l‟expansion des choses infinies,
Comme l‟ambre, le musc, le benjoin et l‟encens,
Qui chantent les transports de l‟esprit et des sens.
1
La suggestione della poesia simbolista francese, di cui Baudelaire è
senz‟altro il rappresentate più significativo e paradigmatico, può
aiutarci ad introdurre un argomento molto controverso, molto studiato
ma poche volte sistematizzato in precise strutture analitiche, quale è il
rapporto ontologico e fenomenologico della musica con le immagini
1
Cit. in Charles Baudelaire, I fiori del male, Traduzione, introduzione e note di Gesualdo
Bufalino, Arnoldo Mondatori editore S.p.A, Oscar classici, Milano 1983, p. 18.
10
cinematografiche. L‟assunto fondamentale della poesia
Correspondances di Baudelaire, che suona un po‟come un manifesto
programmatico per tutta la corrente del pensiero simbolista, è che la
Natura è un regno misterioso, una selva archetipica pregna di simboli
legati fra loro da una rete sottilissima e inafferrabile di analogie, di
echi che si rispondono l‟uno con l‟altro. I suoni, i colori, le immagini,
gli odori si corrispondono in quella che sembra essere una natura
ontologica noumenicamente comune anche se fenomenologicamente
plurima e diversificata, permeata di un sentimento panico di coesione
e di unione in un assoluto divenire. Nella poesia echi lontani si
fondono legati da un misterioso accordo che all‟unisono li lega ai
colori, agli odori; e per sottolineare questo legame esistenziale il poeta
si avvale della figura retorica della sinestesia, un termine come
vedremo che diventerà chiave nella trattazione delle problematiche
inerenti al rapporto del suono con le immagini visive. Rileviamo la
presenza della figura retorica ad esempio nei seguenti versi:
«Conosco odori freschi come parvole gote,
teneri come oboi, verdi come giardini…».
2
Gli odori, appartenenti alla sfera sensoriale dell‟olfatto sono definiti
freschi come parvole gote, quindi assumono una connotazione tattile,
e successivamente come teneri oboi, dove si legano in questo caso
ancora a una dimensione tattile, quella evocata dallo strumento
dell‟oboe, ma anche a quella musicale propria dello strumento, che a
sua volta è definito tenero: viene però modificata la sua consistenza
materica che sembra sciogliersi nella suggestione della carne, delle
parvole gote. Infine gli odori sono verdi come giardini, si sono
naturalizzati, ma l‟ambiguità della loro posizione nel verso potrebbe
riferire i verdi giardini anche all‟oboe. Ecco la magia lirica che crea la
2
Charles Baudelaire, I fiori del male, op. cit. p. 19.
11
sinestesia, fonde in un rapporto analogico notazioni provenienti da
differenti campi sensoriali. Quindi nell‟intreccio ermetico della
metafora l‟autore sta cercando di produrre un discorso di senso, un suo
preciso messaggio, e questa negoziazione di senso non può non
passare sotto l‟artificio della sinestesia dal momento che vuole
comunicarci l‟intima connessione dei sensi. Questo discorso che
sembra funzionare molto bene ovviamente come modello d‟analisi per
un testo poetico può sembrare sviante rispetto all‟argomento che ci
siamo preposti di trattare, e invece sono molti gli studiosi che si sono
interrogati sulla possibilità di una sinestesia fra i suoni e le immagini
nel cinema, e sul modo in cui interagendo fra di loro i due mezzi
espressivi producano una comunicazione di senso unica e
ineguagliabile rispetto ad altre forme artistiche. Interessante da notare
a questo proposito proprio un rilievo di Dante Albanesi sulla
specificità e la differenza dell‟arte cinematografica:
«Il cinema si rivela come una originale fusione dei linguaggi della Musica e della
Pittura: una serie di immagini statiche (Pittura) che si susseguono secondo un
flusso prestabilito (Musica). Due diversi medium si uniscono e si contrappongono,
per creare una sorta di “spartito della visione”[…]. Il film può essere definito
come uno spazio che si dinamizza e si moltiplica nel tempo; o come un tempo che
si appiattisce e si frammenta nello spazio. Inventandosi questo divenire “pittorico-
musicale”, il cinema fonda una struttura quadrimensionale che non ha precedenti
in tutta la storia dell‟arte».
3
La specificità del cinema sta proprio quindi nell‟interazione fra queste
due arti, visiva e musicale, e la quaestio sulla quale gli studiosi
continuano a dibattersi e a interrogarsi è proprio la presunta analogia
fra queste, la loro interazione all‟interno del film, insomma la
possibilità o meno di una vera e propria sinestesia. Uno degli autori
3
Cit. in Dante Albanesi (a cura di), catalogo per la rassegna Cinema e Musica, saggio di Dante
Albanesi, Lo spartito della visione, presso l‟archivio del Cineforum di San Benedetto del Tronto
1999
12
che mette bene in evidenza questa problematica è Nicholas Cook, che
nel suo testo Analysing musical multimedia, parte proprio dalla
considerazione della poesia di Baudelaire e dalla possibilità della
sinestesia, per arrivare a proporre delle linee guida assiomatiche per
l‟analisi dei media musicali e visivi. Cook infatti afferma:
«Baudelaire‟s sonnet is equally emblematic of the preoccupation of Symbolist
writers, painters, and musicians with the hidden correspondences between
different sensory phenomena».
4
E cita un altro rilievo del poeta tedesco Hoffmann:
«E.T.A. Hoffmann, who wrote in Kreisleriana that “Not only in dreams, but also
in that state of delirium which precedes sleep, especially when I have been
listening to music, I discover a congruity of colours, sounds and fragrances»
5
.
Le parole di Hoffmann riprendono il discorso di Baudelaire, e Cook si
addentra ancora di più nell‟analisi di rilievi critici che sposano questa
tesi per un preciso motivo che sarà chiarito in seguito. Cook è molto
interessato a certe teorie scientifiche che tentano di trovare delle
similarità tra le parole e i colori e tra i suoni e i colori. La sinestesia
oltre che essere infatti una categoria che designa un certo lirismo
poetico, è anche un fenomeno psicologico: l‟autore cita al riguardo un
esperimento dello psicologo Russo Alexander Luria fatto sul suo
soggetto S., e uno studio di Lawrence Marks:
«S. saw words as having their own colours, and according to Lawrence Marks,
author of a book-length study of synaesthesia and related psychological
phenomena, by far the commonest from fully-fledged synaesthetic
correspondences is that between words and colours»
6
.
Ma più avanti lo stesso Lawrence nella trattazione del suo caso
afferma che in realtà l‟unica vera connessione fra parole e immagini
proiettate dalla mente con diverse sfumature di colore, o fra i suoni e
4
Nicholas Cook, Analysing musical multimedia, Oxford University Press, Great Clarendon Street,
Oxford 1998, p. 25.
5
Ibidem.
6
Nicholas Cook, Analysing musical multimedia, op. cit., p. 27.
13
tali immagini, sono riscontrabili esperienzialmente solo su ciò che
attiene l‟idea di minore o maggiore brillantezza che l‟immagine
assume:
«In other words, he is saying that the hue as such does not seem to associate
directly with vowel sound; it associates only at second hand, via brightness, and
that help to explain the scatter in the data concern vowel-colour associations. And
precisely the same applies to associations between musical pitches and colours.
“Everybody tends to have his own scheme for ascribing colours” Marks says.
Nevertheless, one point where virtually all synesthetes agree is on brightness.
Regardless of the hue, the higher the note‟s pitch, the brighter the visual image»
7
.
Come si può notare nel campo più scientifico della psicologia, la
possibilità della sinestesia seppur esistente appare molto labile, certo
non così sublimata come le immagini dell‟arte e della filosofia ce la
propongono. Un problema fondamentale delle teorie sul rapporto fra
musica e immagini infatti risiede proprio nelle modalità d‟approccio a
tali elementi, cioè il taglio di indagine, e soprattutto lo scopo di tale
indagine, perché se parliamo di arte e di percezioni sensoriali è molto
evidente come tutto questo trascenda il dato scientifico ed
esperienziale, ma è importante sottolineare questa dicotomia, questo
doppio filone di ricerca perché è lì dove si indirizzano i diversi studi
sull‟argomento, dal momento che il cinema ha una doppia natura: è un
prodotto d‟espressione artistica ma anche un mezzo tecnico di
riproduzione del reale. Cook però si muove su un piano diverso, se
vogliamo da una parte integrativo, dall‟altro distante sia da logiche
scientifiche che da slanci facilmente romantici. Per questo nella sua
trattazione presenta un ventaglio di contributi quanto mai variegato.
Qui di seguito verranno esposti i più significativi per andare
successivamente a comprendere qual è il punto di focalizzazione
specifico dell‟autore sull‟argomento. Non poteva mancare ad esempio
7
Ivi. p. 28
14
nella sua trattazione l‟apporto del padre di quella rivoluzione del
metodo di composizione che è stata la dodecafonia: Arnold
Schonberg. La portata rivoluzionaria del suo discorso musicale
consiste nella rinuncia ad una centralità tonale e in una sempre più
congruente relazione della dimensione orizzontale con quella verticale
della musica. Possiamo notare come Schonberg non sia poi così
distante dal sentimento panico e dalla visione cosmico-assolutistica
della poetica simbolista. La sua ricerca musicale, che sfocerà
nell‟ideazione del metodo dodecafonico, parte dal concetto di
pantonalità per significare l‟apertura a ogni possibile connessione
armonica: in molti passaggi l‟armonia, uscendo dai limiti della tonalità
tradizionale, si muove in un mondo sonoro insolito nel quale la
tonalità non riesce più, pur essendo sempre presente, a
controbilanciare l‟invadenza di suoni a essa estranea, di echi lontani
che la travolgono e che tentano di fondersi con essa dando vita a un
nuovo concetto di armonia come sintesi dei contrari. Anche il
musicista espressionista ci parla quindi di echi e delle loro intime
connessioni, ma il nostro interesse si fa ancora più acceso nel
momento in cui proseguendo nella sua ricerca di linguaggi musicali
sempre più alternativi e rispondenti all‟immediatezza dell‟istinto
creativo del subconscio, dell‟io; il musicista si accosta alla pittura, in
particolare a quella di Kandinskij, e trae da questa sua esperienza
nuove possibilità di connessione e di fusione nel suo universo
musicale. Un‟intima relazione con la pittura sembra infatti palesarsi
nel suo colorismo timbrico e in particolare nelle sue partiture teatrali.
Ad esempio in Erwarturg, un monodramma per soprano e orchestra,
rappresentazione visiva e sonora insieme di un‟angoscia colta nel suo
attimo esistenziale: monologo scenico di una donna che vaga solitaria
in un bosco in cerca dell‟amante e lo trova infine assassinato, vittima
15
della sua passione per un'altra. L‟architettura ritmica che regge il
monologo consiste in una dilatazione visiva e sonora del tempo di un
momento, di un istante, che non trova modo di organizzarsi
razionalmente, è l‟io intimo della donna, l‟Urschrei, che esplode
spezzando ogni forma contenente spaziale o musicale. Ma ancora più
interessante ai fini del discorso sul linguaggio audiovisivo che ci
siamo preposti di sviluppare, è il dramma di Schonberg per baritono,
coro misto e orchestra, su testo dello stesso compositore, che sarà
studiato e analizzato anche dallo stesso Cook: Die glukliche Hand. In
questo dramma il rapporto fra musica e visualità è ancora più
accentuato e organico, e si precisa in una quantità enorme di
indicazioni di regia, movimenti d‟azione, luci fissate nella partitura
secondo ispirazioni simboliste care agli espressionisti. L‟autore lo
definisce un gioco fantasmagorico di colori e forme, e opera in questo
caso, diversamente che in Erwanturg, un‟accelerazione dei tempi
drammaturgici dell‟io espresso in un vortice di immagini e musica.
Schonberg lavora alle sue opere avendo in mente delle immagini
visive, dei quadri mentali, dei colori estremamente vividi che cerca di
riprodurre nell‟incanto della melodia. Il suo quindi è un palese
lavorare per analogie, per sinestesie: il musicista cerca di adeguare la
grammatica sinfonica per tentare di suggerire dei paesaggi musicali e
di utilizzare i colori per rendere più vivide e chiarificatrici le
suggestioni sonore:
«The semiotic principle involved in this essentially that leitmotivic recurrence,
and […] implies that Schoenberg‟s use of colour effectively is subordinated to
established musical principles when he writes that “colour element is a useful,
additional aid in following the symbolism and the musical organization of a score
that lacks a conventional grammar in it‟s atonality and comparative
16
formlessness”. To say this is to suggest that colour […] clarifies what is already
there in the music».
8
Il lavoro di Schonberg è già quasi da regista audiovisivo: il musicista
sente la necessità di creare intime connessioni tra il linguaggio iconico
e quello sonoro. Interessante notare a questo proposito la descrizione e
le indicazioni sceniche dello stesso Schonberg nel libretto di Die
gluckliche Hand in riferimento al Crescendo che Lessem definì un
“Lighting Crescendo”:
«As [the stage] darkens, a wind springs up. At first it murmurs softly, then
steadily louder (along with the music).
Conjoined with the wind-crescendo is a light-crescendo. It begins with dull red
light (from above) that turns to brown and then a dirty green. Next it changes to a
dark blue-gray, followed by violet. This grows, in turn, into a intense dark red
which becomes ever brighter and more glaring until, after reaching a blood-red, it
is mixed more and more with orange and the bright yellow; finally a glaring
yellow light alone remains»
9
.
Su suggestione del lavoro di Schonberg non possiamo non citare un
musicista che ha profuso nella sua dimensione musicale quel senso di
assoluto, di cosmologico afflato mistico, e che sarà tanto significativo
da andare ad indagare ai fini dell‟analisi tecnica e tematica di Dancer
in the dark, l‟opera di Lars von Trier che analizzeremo: Richard
Wagner. Per il compositore romantico tedesco i suoni della musica
esteriore sono l‟espressione, la rivelazione di una musica interiore, del
mondo della sonorità spirituale, dell‟armonia spirituale pulsante
attraverso il mondo. Tutta l‟anima di Wagner è intrisa di misticismo, e
la sua ricerca artistica va ben oltre un mero lavoro tecnico-espressivo
sull‟estetica della musica, ma affonda le sue radici nella filosofia
idealista di autori come Hegel, Ficthe, Schelling, e nell‟indagine sulla
nascita della tragedia di Nietzsche. Riprendendo la lezione
8
Nicholas Cook, Analysing musical multimedia, op. cit. p. 42.
9
Ivi. p. 43, 44
17
dell‟idealismo estetico ad esempio di Schelling, Wagner avverte
l‟intima connessione sensoriale della natura, e riporta nella sua arte
questa suggestione di infinità, di assoluto, ritornando a una
dimensione misterica e primitiva, di meraviglia di fronte all‟epifania
dello Spirito del mondo. Schelling afferma che la Natura si configura
come una preistoria dello spirito, un‟odissea della coscienza che trova
nell‟uomo il suo compimento e la sua possibilità parziale di
oggettivazione mediante il dono dell‟arte. Nell‟arte spirito e natura,
conscio e inconscio si fondono permettendo di rivelare l‟Assoluto, e
l‟arte è organo di tale rivelazione. Il genio concretizza in forme finite
l‟infinitezza di ispirazione dell‟Assoluto, tanto che egli stesso non
riesce a penetrare profondamente i significati da lui rivelati:
«L‟arte è per il filosofo quanto vi ha di più alto, poiché essa gli apre quasi il
santuario, dove in eterna ed originaria unione arde come in una fiamma quello che
nella natura e nella storia è separato»
10
.
L‟oggettività e l‟inconscio coabitano nell‟espressione artistica, e la
Natura è ancora quel tempio di simboli che si corrispondono l‟un
l‟altro. Non è sviante questa piccola parentesi dottrinale, perché è da
qui che si affondano le radici del pensiero simbolista, utile per
comprendere la fisionomia di autori come Wagner appunto, o
Kandiskij, di cui parleremo in seguito; è da qui infatti che ha origine
l‟estetica della sinestesia. Tornando specificatamente a Wagner
possiamo capire allora l‟origine la sua rivoluzionaria idea di
Gesamtkunstwerk: opera totale. Nella filosofia e nella misterica antica
tutto lo Spirito del mondo era presentato in modo che l‟occhio potesse
vederlo. E ciò che l‟occhio vedeva, l‟orecchio udiva: colore, luce,
suono, erano vera sapienza, vera scienza, e l‟arte era specchio di
10
Cit. in Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Protagonisti e Testi della Filosofia , volume C,
Dal Romanticismo al Positivismo, Paravia, Rotolito Lombardia, Pioltello, Milano 1999, p. 106 .
18
questo
11
. Nei misteri erano uniti arte, scienza e religione, e la musica e
il dramma formavano un tutto. Wagner volgeva lo sguardo a
quell‟epoca e teorizzava la fusione di tutte le arti nell‟Opera totale.
Vedeva riunite nel suo dramma musicale diverse correnti e si
rivolgeva a due grandissimi artisti paradigmatici, Shakespeare e
Beethoven. In Shakespeare egli vedeva il drammaturgo che porta alla
ribalta le azioni umane in modo meravigliosamente sintetico; in
Beethoven vedeva l‟artista che, con la stessa unità interiore, sapeva
rendere ciò che l‟intimo del suo cuore sentiva in modo non traducibile
dal gesto e dall‟azione:
«Non vediamo forse come nel corso dell‟evoluzione artistica l‟essenza della
natura umana sia stata, per così dire, lacerata? L‟uomo, nella sua unità, è guidato
sia dai fatti della sua vita intima sia da quelli della sua vita esteriore; è portato ora
su e giù dalle passioni, e traduce nell‟azione quel che il suo intimo sente e
sperimenta. L‟arte ha dovuto separare tutto questo. […] tra un‟azione e l‟altra c‟è
qualcosa nell‟animo umano che fa da mediatore, ma che non può esprimersi in
questi genere di arte drammatica. E quando l‟intimo della sensibilità umana si
realizza sinfonicamente, dovrà ugualmente arrestarsi, in parte inespresso, se è
costretto a rimanere nel mondo dei suoni. Nella Nona sinfonia di Beethoven
constatiamo come ciò che vive intimamente nell‟anima si riversi all‟esterno e
divenga in ultimo parola, riunendo così ciò che è diviso solo nell‟arte, ma che
nell‟uomo è un tutto unico»
12
.
Da qui ha origine la sua idea dell‟opera d‟arte come Opera totale, la
quale realizza l‟uomo come totalità: egli deve esternarsi così come i
suoi sentimenti intimi gli suggeriscono, e deve avere la possibilità di
far rivivere, con l‟azione, quel che si agita in lui. Ciò che non può
estrinsecarsi nell‟arte drammatica è affidato alla musica; ciò che non
può essere espresso dalla musica sarà affidato all‟esposizione
11
Cfr. Rudolf Steiner, Richard Wagner e la mistica, conferenza tenuta a Norimberga il 2
Dicembre 1907, in Archivio storico della rivista Antropofosia, Edizioni Antropofosica, Milano
1995, pp. 68-71.
12
Ibidem.