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1. Introduzione
“Dopo aver perso il monopolio dell‟informazione, la stampa quotidiana sta
attraversando oggi la più grave crisi della sua storia secolare. Ciò ha
autorizzato alcuni studiosi ad annunciare addirittura il prossimo tramonto
del giornale come mass medium, riscontrando la sua incapacità a
competere con gli altri mezzi di informazione in quella che si sta già
delineando come una civiltà audiovisiva. In realtà, la crisi attuale investe la
stampa di tutti i paesi e ha le sue più imponenti manifestazioni nella
continua diminuzione delle testate, nel fenomeno delle fusioni e delle
concentrazioni, nel ristagno e nel declino delle tirature, nel contenuto
sempre più uniforme dei quotidiani.”
1
Il dibattito sulla forza di persuasione del linguaggio attraversa i secoli. Sin
dall‟antica Grecia abbiamo testimonianza di lavori che si interrogano sulla retorica
e sul migliore uso della comunicazione possibile al fine di ottenere consenso.
Platone, Isocrate, Aristotele ci hanno lasciato eminenti studi sull‟arte della retorica,
ossia l‟arte del discorso che ha per scopo la persuasione.
Se, tuttavia, nell‟antichità l‟idea di persuasione attraverso il linguaggio era da far
risalire alla capacità dell‟oratore di organizzare il discorso, in modo da convincere
l‟uditorio dell‟inattaccabilità della propria tesi, solo a partire dal Novecento si è
fatta strada la consapevolezza che le parole, usate nel modo corretto, esercitano un
potere. E con la diffusione di massa della carta stampata prima, della televisione a
partire dalla metà degli anni ‟50 del „900 poi, si è avuto un mezzo che potesse
diffondere alla totalità un pensiero e cercare di orientare l‟opinione pubblica.
Interessanti, inoltre, le ricerche che dimostrano quanto sia importante l‟analisi del
linguaggio e il modo in cui viene recepito, assimilato e interpretato dal destinatario.
Per questa ragione chi si occupa di politica, sia in senso attivo, sia in senso teorico,
non può esimersi dallo studio del linguaggio e dei suoi effetti, poiché la conoscenza
del linguaggio è necessaria per la comprensione dei rapporti di potere.
Esistono situazioni in cui la forza persuasiva del linguaggio è più evidente: quando
1
Del Boca A., Giornali in crisi, 1968
3
il rapporto di potere è messo in discussione e, dunque, si viene a creare uno stato di
conflitto. Durante uno scontro ogni partecipante deve mettere in campo tutte le
risorse comunicative di cui dispone, al fine di guadagnare il consenso della
maggioranza e giungere a sovvertire il preesistente rapporto di potere. Il risultato è
un perfetto laboratorio che consente all‟analista del discorso di investigare le
dinamiche linguistiche e i cambiamenti che il linguaggio subisce in relazione alla
variazione del contesto.
Per queste ragioni, con il lavoro seguente, proverò a dimostrare come il linguaggio
giornalistico possa influenzare l‟opinione pubblica e come il linguaggio sia di
fondamentale importanza nell‟ambito della comunicazione politica.
Sarà un lavoro diviso sostanzialmente in due grandi parti. La prima più introduttiva
e teorica dove, dopo un primo approccio storico e critico, saranno proposti alcuni
esempi di come i mezzi di comunicazione di massa possano intervenire nei
processi di creazione dell‟opinione pubblica. La seconda sarà dedicata invece
all‟analisi di due quotidiani nazionali, La Repubblica e Il Giornale, nelle loro
edizioni cartacee dal 20 al 27 aprile 2009. Tale analisi vorrà evidenziare come un
giornalismo di parte e di partito sia “studiato” per indirizzare e talvolta manipolare
il pensiero dei lettori. Tuttavia cercherò di seguire un approccio critico sia nelle
considerazioni che nell‟analisi stessa.
La scelta del corpus di documenti presi in considerazione ha un motivo ben
preciso: il 25 aprile è una delle date più importanti della storia d‟Italia, facente
parte del bagaglio storico e culturale di tutti; una diversa interpretazione del fatto
storico non è altro che il preludio al tentativo di manipolazione dell‟opinione
pubblica.
1.1 Che cos’è l’opinione pubblica.
«I giornalisti esprimono il più profondo patriottismo e operano al più alto livello di
professionalità quando sottopongono tutti gli atti e le decisioni del governo a
un'onesta e corretta indagine, e poi ne riferiscono i risultati con senso di verità.
Questo è il loro lavoro ...»
2
2 Washington Post, a proposito della richiesta della Casa Bianca di autocensura dopo i fatti dell'11
4
La richiesta della Casa Bianca era precisa: per il bene del paese e per il diritto alla
difesa, si chiedeva un appoggio da parte della stampa. Questo appoggio doveva
consistere in un'adeguata autocensura riguardo le notizie che provenivano dal
fronte, per salvaguardare le strategie dell'apparato militare. Ci troviamo dunque di
fronte ad un netto contrasto: privilegiare il diritto alla difesa (e della sicurezza)? O
privilegiare il diritto all'informazione? Ovvero: etica dei principi o etica della
responsabilità?
3
Se partiamo dal presupposto che l'opinione pubblica sta alla base di una
democrazia, ci risulta facile capire che il modo di crearla, influenzarla e cambiarla
è un processo fondamentale che spetta al giornalismo, ma che troppo spesso trova
ostacoli nelle forme di governo che cercano di persuaderla in un modo o nell'altro.
L'episodio a cui accennavo sopra è un lampante esempio di come si cerchi di
nascondere la verità. Ma a discapito della sicurezza o a discapito di un eventuale
consenso del popolo verso il governo?
Ci troviamo in un clima di forte controllo politico e ideologico del lavoro,
propaganda e disinformazione da parte del governo americano in questo caso; sono
molti altri gli esempi che si possono citare, passati e recenti, che dimostrano come
un eccessivo interesse della sfera politica verso il giornalismo mini quella libertà di
stampa fondamentale affinché si possa creare un'opinione consapevole e non di
parte.
Un altro episodio riguarda il caso Forcella.
Il contesto storico in cui Enzo Forcella scrive è il seguente: il Psi agli inizi degli
anni Sessanta attraversava un periodo di transizione da posizioni filocomuniste alla
collaborazione con la DC. Seppur con difficoltà, Forcella, inviato a Napoli per La
Stampa, scriveva in positivo di questo passaggio, dove una linea autonomista
usciva confermata. Il direttore della Stampa però non condivideva la stessa linea,
per ragioni di proprietà (essendo La Stampa della FIAT, e la FIAT legata a Saragat
che per ragioni tattiche aveva tutto l'interesse di screditare un'alleanza tra socialisti
e democristiani), e cestinò tutti i commenti che Forcella aveva inviato in redazione.
Forcella, per una questione di responsabilità verso l'informazione, e non per una
settembre 2001.
3 Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, in Mimmo Càndito, I reporter di
guerra, Baldini&Castoldi, 2000, p. 33.
5
questione politica, chiederà di essere licenziato, sentendo di non godere più della
fiducia della direzione.
E non fu l'unico episodio del genere. Dopo poco tempo fu dimesso dai suoi
incarichi anche il direttore del «Il giorno» Gaetano Baldacci, per conto dell'allora
presidente del consiglio Antonio Segni, che riteneva il modo di trattare la politica
interna e la sezione esteri non adeguato e con una linea che creava notevoli
imbarazzi al governo. E ancora da citare l'episodio di Enzo Biagi, sollevato
dall'incarico di direttore di «Epoca», per un editoriale in cui criticava con "severa
obiettività" il governo, che lo accusò di "rossismo".
4
Umberto Eco catalogherà
l'epoca in cui Forcella lavora e scrive come un'epoca in cui «il giornale è il
bollettino di un gruppo di potere che fa un discorso ad altri gruppi di potere».
5
Il giornalismo è informazione, fatti, notizie, e il non poter raccontare le cose come
stanno, ma doverle raccontare come il potere vuole che si raccontino, cambia
totalmente l‟identità del giornalista. Forcella chiese il licenziamento (che poi in
realtà furono dimissioni) perché non riusciva più ad ottenere «quel tipo di libertà di
cui aveva bisogno».
6
Oggi la situazione non è differente rispetto a cinquant'anni fa. Lo dimostrano i casi
di Biagi (nuovamente), Santoro, costretti ad abbandonare perché non conformi alle
direttive del potere politico. Il rischio è però la perdita totale della libertà di parola
e di stampa, e l'attuale situazione politica non è certo di supporto. Sono efficaci le
parole del premio Pulitzer Carl Bernstein ad un noto programma televisivo di
approfondimento politico: «C‟è una situazione democratica assurda, quasi senza
precedenti. Dove il capo del Governo di una democrazia occidentale cerca di
inibire ciò che è rimasto della stampa libera. Lui cerca di limitare le pubblicazioni e
le trasmissioni riguardanti la sua condotta. Quindi questo riporta un po‟ ad una
sorta di stalinismo sovietico che non è degno della grande democrazia che l‟Italia
cerca di essere». E ancora: «L‟unica censura è rappresentata dalla coscienza di chi
scrive»
7
.
L'articolo 19 della dichiarazione dei diritti umani, adottata il 10 dicembre 1948
4 Enzo Forcella, Millecinquecento Lettori, a cura di Guido Crainz, Donzelli editore, 2004.
5 Umberto Eco, Guida all'interpretazione del linguaggio giornalistico, in Capecchi-Livolsi, La
stampa quotidiana in Italia, Milano 1971, p.375, in Forcella, cit., p. XVI.
6 Forcella, cit, Lettera a Murialdi p.93.
7 Carl Bernstain ad Annozero, 02/10/09.
6
dalle Nazioni Unite recita questo: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di
opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria
opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso
ogni mezzo e senza riguardo a frontiere». Bisogna capire se questo diritto alla
libertà è stato ed è rispettato. In primis voglio affrontare questo problema: fino a
che punto è giusto che un direttore di un giornale prenda ordini dal suo
proprietario? Che la scelta delle notizie sia condizionata dalla linea politica che il
giornale ha scelto di seguire? Il linguaggio giornalistico risente di questa influenza
politica? É un dato di fatto ormai che il giornalismo in sé, la centralità che
l'informazione ha nella società odierna, è fondamentale perché crea un consenso,
crea un'opinione pubblica. E per controllare l'opinione pubblica può in alcuni casi
denaturare la notizia stessa. Se un direttore di giornale decide di omettere o
rivedere un pezzo di un suo giornalista perché non conforme alle direttive della
proprietà, di fatto questa è una manipolazione dell'informazione. Si cerca di non far
sapere qualcosa che è accaduto proprio perché l'opinione pubblica non sposti il suo
grado di interesse, e formi la sua conoscenza in base ad una linea dettata dall'alto.
In un saggio proposto dall'Economist anni fa, citato da Giovanni Bechelloni
8
,
intitolato “Le opinioni sono sacre”, si diceva proprio questo: «Gli articoli di
politica interna dei maggiori quotidiani indipendenti (italiani) fanno spesso parte di
un dialogo tra giornale e governo».
9
E nello stesso periodo Umberto Eco
confermava: «Il giornale svolge il suo compito politico preciso di bollettino di
opinioni e di scambio di informazioni e pressioni tra gruppi di potere, senza
preoccuparsi del diritto d'informazione del proprio pubblico»
10
. E di nuovo
Forcella, nell'introduzione al volume individua come maggior preoccupazione del
giornalismo quella di servire il potere piuttosto che il pubblico
11
. Servitore e non
traduttore e mediatore.
L'informazione è uno strumento che quando sta in mano al potere politico è uno
strumento fondamentale: non solo organizza il consenso, ma controlla anche la
creazione principale del dissenso. È un azzardo affermare che la libertà di stampa è
8 Giovanni Bechelloni,Informazione e potere: la stampa quotidiana in Italia, 1974.
9 Bechelloni, cit, p. 273.
10 Bechelloni, cit, p. 274.
11 Bechelloni, cit, Introduzione.
7
la libertà di chi ha molto denaro
12
; è impossibile però non ammettere che chi ha
molto denaro è in grado di manovrarla.
Già Pulitzer aveva individuato il problema «degli interessi economici, che mirano a
fini egoistici, contrapposti al bene pubblico»
13
. E proponeva una soluzione. Il suo
scopo era quello di creare una scuola di giornalismo, in cui si troverebbe il tempo di
far luce su degli argomenti specifici, che andavano dal diritto alla storia, dalla
sociologia all'etica, passando per la statistica e per le lingue. Discipline che però
dovevano avere una base robusta e resistente fondata sul principio di moralità. Nel
1904 il concetto era già più che chiaro.
Una stampa capace, disinteressata, animata da spirito civico, con
un'intelligenza allenata a distinguere ciò che è giusto e ad avere il coraggio
di realizzarlo, può preservare quella pubblica virtù senza la quale il
governo del popolo non è che impostura e dileggio. Una stampa cinica,
mercenaria, demagogica e corrotta a lungo andare renderà il popolo tanto
ignobile quanto lo è essa stessa. Il potere di plasmare il futuro della
Repubblica è nelle mani dei giornalisti delle future generazioni
14
.
Chiosando un pensiero di John Stuart Mill, Pulitzer eleggeva il lavoro del
giornalista come uno dei più alti, perché il suo compito è quello di plasmare le
opinioni, toccare il cuore e fare appello alla ragione di centinaia di migliaia di
persone ogni giorno
15
. Insomma, ha il compito di lavorare per la comunità: non
per un commercio, non per se stessi, ma in primo luogo per il pubblico. […]
esaltare i princìpi morali, il sapere e la cultura, se necessario a svantaggio degli
aspetti commerciali. Deve saper costruire ideali […]
16
.
Quando si parla di moralità, il giornalismo non è l'unico ambito coinvolto. E per
questo mi sembra giusto insistere su questo punto, in un lavoro che vuole
approfondire i meccanismi del giornalismo politico, e quindi la relazione tra
politica e mezzi di comunicazione, con attenzione particolare al linguaggio usato
12 Bechelloni, cit, p. 9
13 Joseph Pulitzer, Sul giornalismo, Bollati Boringhieri editore, 2009, p. 41-42.
14 Pulitzer, cit., p. 84-85.
15 Pulitzer, cit., p. 25.
16 Pulitzer, cit., p. 35.