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INTRODUZIONE
Il movimento di rinascita che ha caratterizzato la danza nel periodo a cavallo tra l'otto
e il novecento, il suo essersi riappropriata del posto che aveva sempre avuto nella vita
delle società fin dai tempi più antichi, come espressione attraverso i movimenti del
corpo di esperienze che trascendono il potere delle parole; la sua capacità di esprimere
l'uomo moderno con le sue angosce, le sue lotte e le sue speranze, è il contenuto dell’
analisi sociologica.
Come afferma Curth Sachs: "la danza è la madre della arti. In essa creatore e
creazione, opera e artista, fanno tutt'uno. Mentre la musica e la poesia si determinano
nel tempo, e le arti figurative nello spazio, essa vive ugualmente sia nel tempo che
nello spazio".
Poeti e filosofi alla fine del XIX secolo ne celebrarono il valore. "Movimento e vita
non possono mai essere separati perché la quiete assoluta è la morte, movimento e
ritmo sono le cose più reali della realtà, e la danza è un momento culminante
dell'esistenza che si raggiunge nell'ebbrezza gioiosa.", affermava Pascal.
L'argomento della tesi consiste nell'indagare come le modificazioni spazio-temporali
della modernità si siano manifestate nella danza.
Nel primo capitolo si mostrerà come la società costruisca l'arte, e l'arte la società e
come la danza fin dalle origini sia profondamente radicata nella società, in quanto
espressione della vita collettiva: religione, lavoro, guerra, ecc.
Nel secondo capitolo saranno esposti i diversi approcci alla danza, tenendo conto di
tutti i livelli esplicativi: psicologico, sociologico, strutturalista e antropologico. Perché
il fenomeno danza si caratterizza fin dall'inizio di difficile interpretazione.
Nel terzo, sarà descritto come la danza si sia evoluta con il susseguirsi delle civiltà,
partendo dalle origini e proseguendo fino al XIX° secolo. Di volta in volta saranno
evidenziate le interazioni con gli aspetti sociali e culturali di ogni epoca.
Infine nel quarto, il tema centrale: la danza degli inizi del novecento e le
modificazioni spazio-temporali della modernità. L’indagine è stata condotta sulla scia
dell'impostazione analitica di Kern, che nel suo libro Il tempo e lo Spazio. La
percezione del mondo tra otto e novecento, affronta il problema delle modificazioni
spazio temporali della modernità. Per mostrare come la danza in quanto fenomeno
artistico e culturale rifletta tali modificazioni, sarà prima illustrato come l'interazione
tra tecnologia e cultura abbia modificato l'esperienza spazio-temporale della
modernità, quindi i suoi influssi sulla danza evidenziando le diverse analogie con gli
altri campi culturali come la filosofia, la letteratura, le arti figurative, le arti plastiche e
la musica.
4
CAPITOLO 1. ARTE E SOCIOLOGIA: IL CASO DELLA
DANZA
1.1 Sociologia e arte
La danza è l'arte di muovere il corpo umano secondo un ordine ritmico in rapporto al
tempo e allo spazio. E' una forma d'arte in cui creatore e creazione formano un
tutt'uno; in essa i confini tra corpo e mente, tra socialità e individualismo, tra gioco,
culto, e rappresentazione scenica si annullano.
Ancora oggi si è abituati a considerare arte e artista come avulsi dalla società. La
sociologia dell'arte ha invece dimostrato che l'arte è radicata nella storia della società
a cui appartiene e che non scaturisce dalla divina ispirazione di individui in possesso
di genio innato.
Avvalendomi degli studi sociologici sull'arte di Annalisa Tota (1998) e Janet Wolf
(1979), esporrò brevemente le teorie sociologiche sull'arte che ho ritenuto più
importanti ai fini dell'analisi. Sarà mostrato come la società costruisce l'arte e come
l'arte costruisce la società.
L'analisi verterà sulle arti in genere; cioè si parlerà di "arte" nel suo significato più
generico. Cinema, letteratura, pittura musica e teatro, possono essere considerati tutti,
per certi aspetti, come sistemi di significazione, perciò partendo da questo assunto è
utile accostarsi ad essi considerandoli simili, almeno da questo punto di vista.
L'arte diviene oggetto dell'analisi sociologica, quando partiamo dall'assunto che tutto
ciò che facciamo si colloca all'interno di strutture sociali nei confronti delle quali
instauriamo un rapporto di influenza reciproca. In questa prospettiva diventa un
elemento importante desacralizzare sia la figura dell'artista-genio che la concezione
dell'attività artistica. La concezione dell'artista inteso come una sorta di essere
asociale, toccato dal genio, in attesa dell'ispirazione divina appartiene a un particolare
periodo storico; più specificamente risale alla concezione romantica dell'artista
1
propria del diciannovesimo secolo, che ha poi finito per trasformarsi in una
definizione universale.
Un'acquisizione importante della sociologia dell'arte è l'analisi del rapporto che si apre
tra ciò che l'artista inscrive nel prodotto e ciò che vi inscrivono il consumatore, il
lettore, lo spettatore. Il rapporto si configura come un processo di negoziazione. In
tale prospettiva l'arte cessa di essere costituita da collezioni di oggetti, di essere
rappresentata da caratteristiche peculiari presenti in alcuni prodotti, per divenire
collezione di atti di consumo. L'opera d'arte è tale solo nel momento in cui è esibita e
consumata, nel momento in cui se ne produce socialmente la definizione. Da ciò se ne
deduce che i confini non sono più definibili come confini fra oggetti, ma fra oggetti
1
Vi furono due momenti storici decisivi per la formazione di tale concetto. Il primo fu la
nascita dell'individualismo, concomitante con lo sviluppo del capitalismo industriale. Il
secondo fu la effettiva separazione dell'artista da qualsiasi gruppo o classe sociale ben definiti
e da ogni forma sicura di mecenatismo, poiché all'antico sistema di protezione dell'artista si
sostituì quello basato sulla figura del mercante critico che pose l'artista in una condizione di
precarietà nei confronti del mercato.
5
percepiti, sono confini fra processi. All'interno di una concezione pragmatica dell'arte,
la quale rifiuta ogni ipostatizzazione estetica, i confini tra arte e non-arte, non sono
definiti dalla presenza di determinate caratteristiche condivise dall'insieme di oggetti
che appartengono al sistema. L'identità artistica di un opera si costruisce attraverso
l'adesione ad un insieme specifico di convenzioni che regolano l'azione comunicativa
estetica. Si tratta di una questione procedurale prima ancora che sostanziale.
L'attributo "artistico" non designa oggetti differenti per contenuto, ma oggetti che
appartengono ad un sistema di azioni (l'arte, la letteratura il teatro) regolato da
convenzioni specifiche. A questo punto entrano in gioco le convenzioni, poiché sono
le convenzioni estetiche a rendere possibile, istituendola la comunicazione stessa.
L'analisi delle convenzioni estetiche è stata sviluppata in modo particolare dalla
linguistica testuale, il cui principale esponente è Siegfred Schimidt (1979), il quale
sostiene che non si può continuare ad occuparsi di letteratura analizzando soltanto i
testi e trascurando totalmente le azioni comunicative che compiamo su di essi. La
letterarietà non esiste come valore oggettivo, è un attributo relazionale che, come tale
si istituisce nella relazione autore-testo-fruitore se, e soltanto se, quest'ultima è
costruita in modo da soddisfare le convenzioni sociali che regolano quello specifico
gioco linguistico.
All'interno della teoria strutturalista Jan Mukarovsky (1936) nella sua teoria estetica
operando la distinzione tra "artefatto materiale" e "oggetto estetico" aveva sostenuto
la variabilità di tutti i valori. Egli è stato il vero precursore della sociologia dell'arte,
per primo ha sottolineato esplicitamente come quella del valore di un'opera sia
essenzialmente una questione sociologica. Tale variabilità è intrinseca alla natura
stessa del valore che è un processo e non uno stato. L'oggetto estetico è variabile, ciò
che perdura è soltanto l'oggetto materiale e l'obiettività dei valori estetici, cioè
indipendenti e stabili, è radicata nelle relazioni che sono in grado di stabilire con i
valori extra-estetici depositati in una sorta di coscienza collettiva.
Una delle rivoluzioni analitiche più rilevanti degli ultimi decenni, sono le teorie della
morte dell'autore sviluppate nel filone del criticismo post-strutturalista, e più
specificamente da Roland Barthes (1977) e Foucault (1979). Gli studi sociologici
sull'arte ne sono stati fortemente influenzati. L'esito più rilevante, rappresentato da
questi contributi, è stato quello di aver invalidato le concezioni autoriali di arte, cioè
di quell'insieme di teorie che considera l'opera d'arte come prodotto esclusivo
dell'artista che l'ha creata. Un testo è fatto di molti testi, è uno spazio
multidimensionale in cui confluiscono una varietà di testi, nessuno dei quali è
originale. Tale molteplicità si ricompone nel lettore. Il lettore è lo spazio in cui viene
realizzata l'unità del testo. La nascita del lettore deve avvenire a prezzo della morte
dell'autore. In sintesi questa è la teoria di Barthes sulla morte dell'autore e la nascita
del fruitore. L'analisi di Barthes prosegue celebrando la nascita del lettore, come
luogo privilegiato di costruzione del senso, come spazio fisico e cognitivo in cui il
processo interpretativo si compie definitivamente.
Foucault sottolineerà il ruolo di modo di produzione del discorso dell'autore come
principio di esclusione e partizione dei significati. L'autore non è un'infinita fonte di
significati che riempie un testo, è piuttosto un principio funzionale attraverso cui,
nella nostra cultura, si limita, si esclude, si sceglie.
Le teorie della morte dell'autore determinano una ridefinizione dell'oggetto di
indagine: se l'evento artistico non è tale soltanto in quanto prodotto dell'artista, ma
6
anche in quanto fruito dal suo pubblico, diventano essenziali gli studi sui processi di
ricezione.
Dall'analisi dell'autore e del testo occorre passare all'analisi del lettore e della
ricezione. Le "teorie della ricezione" comprendono l'ampio spettro di approcci che ha
contribuito a focalizzare l'attenzione sui processi ricettivi in ambito artistico, letterario
e culturale. Pur nella varietà delle prospettive questi approcci sottolineano il ruolo del
processo di fruizione, che diviene parte costitutiva del processo artistico. Soprattutto
nell'approccio fenomenologico, si sottolinea il carattere "non concluso" di un'opera:
essa si completa soltanto dinanzi al ricettore che in questo senso diviene, almeno a
livello interpretativo, co-produttore dell'opera stessa. Nell'approccio fenomenologico
l'opera letteraria si presenta con un insieme di luoghi di indeterminatezza; il processo
attraverso cui il lettore completa il testo verrà definito "concretizzazione", poiché
riempirà di significato gli spazi vuoti. Ma se da una parte i testi orientano i loro lettori
in certe direzioni, dall'altra lasciano degli spazi vuoti che i lettori sono chiamati a
riempire. Per deduzione verrà elaborato il concetto di Lettore Implicito definito come
il carattere di attualizzazione proprio del leggere già tracciato nel testo; che non è il
Lettore Empirico, poiché l'estetica della ricezione della Scuola di Costanza studia le
strategie testuali inscritte nei testi.
Il Reader Response Criticism anglo americano, porrà al centro della sua analisi il
processo di lettura, cercando di spiegare quali sono le pulsioni alla lettura stessa, quali
sono i suoi effetti sulle pratiche discorsive del lettore. Noi scriviamo i testi che
leggiamo, il processo di attribuzione del significato ha a che fare esclusivamente con
l'attività del lettore; aggiungendo a questa prospettiva il contributo della psicoanalisi,
secondo cui ogni attività di lettura è in primo luogo replica del lettore stesso, noi
leggiamo ciò che siamo.
Le teorie della ricezione insieme a quelle della morte dell'autore hanno influenzato
profondamente l'analisi sociologica dell'arte. La sociologia dell'arte partendo dalla
distinzione tra oggetto materiale e artefatto mentale, si definisce come studio dei
processi di produzione, nel duplice aspetto di analisi dei testi prodotti e dei contesti
sociali che influiscono su tale produzione, e come studio dei processi di consumo
dell'arte, focalizzando l'analisi sia sulle attività di ricezione vere e proprie sia
sull'influenza dei contesti in cui hanno luogo. Sullo sfondo di questi processi si
colloca il problematico rapporto tra istituzione e artista e tra istituzione e fruitore.
Nella prospettiva di analizzare il rapporto tra ricezione e fruizione una dimensione
importante emersa di recente, è l'analisi prossemica, applicata in particolare all'analisi
etnografica. Annalisa Tota la applica al caso del teatro. Il termine prossemica nasce
nella letteratura antropologica americana con gli studi di Hall (1959), i quali
documentano l'esistenza di una "dimensione nascosta", di un "linguaggio senza
parole" attraverso il quale gli attori sociali comunicano quotidianamente diverse
informazioni su di sé e sulle relazioni che li legano reciprocamente. Ciò implica che
nel caso del teatro, spazio e tempo siano luoghi di significazione rispetto all'evento
spettacolare. In tal caso la prossemica è costituita da quell'insieme di convenzioni che
distinguono lo spazio dello spettatore da quello dello spettacolo. In questa prospettiva
la prossemica teatrale fornisce una chiave di lettura del modo attraverso cui, nella
mente di un determinato spettatore, testo e contesto si intrecciano per produrre
l'artefatto mentale.
7
La sociologia dell'arte deve affrontare anche il problema della formazione dello stile
così come dell'affermazione dei canoni artistici, in un certo contesto socioculturale; e
di conseguenza il rapporto tra arte e ideologia.
La formazione dei canoni artistici è un prodotto dell'attività classificatoria delle
istituzioni artistiche operanti in un dato contesto sociale e la formazione del gusto ,
cioè della struttura di legittimazione dei canoni artistici ed estetici, è di natura
istituzionale. E' importante sottolineare che nei contesti ad alta densità tecnologica i
processi di formazione dei canoni artistici sono, almeno in parte, medialmente
determinati.
I contributi della linguistica testuale e del criticismo post-strutturalista sono centrali
per l'analisi della decostruzione del gusto: pur nella differenza delle prospettive,
hanno entrambi documentato l'esistenza di una serie di funzioni latenti dei canoni
artistici, fra cui la riproduzione delle ideologie dominanti e la legittimazione dello
status quo. Il sistema di valori che definisce la posizione del prodotto non consta
soltanto di valori estetici, ma comprende anche valori sociali, politici, religiosi. Nella
società contemporanea le modalità effettive di tale processo sono fortemente
influenzate dalle tecnologie mediali. Si pensi ad esempio alla consegna dei Nobel
come evento mediale in grado di produrre legittimazione culturale e scientifica nel
contesto mondiale. La televisione, la stampa e anche i nuovi media funzionano
sempre più come agenzie in grado di produrre autorità artistica e culturale.
All'interno di una prospettiva sociologica l'arte può essere analizzata da un punto di
vista micro, e da un punto di vista macro. La prospettiva macrosociologica, mettendo
l'opera d'arte in relazione al sistema sociale, si occupa della formazione dei canoni
estetici e dei loro rapporti con le ideologie dominanti.
I neomarxisti, ci offrono la definizione di ideologia dominante: le idee che tendono a
prevalere in un dato contesto sociale sono quelle della classe dominante, la quale oltre
a detenere il possesso dei mezzi di produzione materiale, estende il suo controllo
anche sui mezzi di produzione culturale e simbolica. La definizione di classe
dominante è controversa, poiché è necessario prendere in considerazione la
complessità della stratificazione sociale contemporanea. A questo punto è chiaro che
le basi materiali delle ideologie non siano più riducibili esclusivamente alla classe
sociale. In conclusione, come documentano Lamont e Fournier (1992) in Cultivating
Differences, nelle società contemporanee il concetto più illuminante per guardare a
queste questioni non è tanto quello di classe dominante, quanto quello di confini
culturali, intesi essenzialmente come partizioni create e ricreate socialmente attraverso
dinamiche di negoziazione fra gruppi sociali, tese a legittimare aree di ingiustizie e di
ineguale distribuzione delle risorse. Ciò che conta in questa prospettiva, e sebbene
l'arte sia al contempo un'attività ideologica e un prodotto dell'ideologia, è il rendere
conto della profonda autonomia di cui il sistema arte gode nelle riproduzione
dell'ideologia. Al livello estetico, come ricorda Wolf, operano due set di condizioni, le
condizioni di produzione dell'opera d'arte e le convenzioni estetiche vigenti in quel
dato contesto spazio-temporale. Le condizioni della produzione artistica comprendono
non soltanto le tecniche espressive, pittoriche ecc. esistenti, ma anche il corrispettivo
dei rapporti sociali di produzione, cioè i rapporti sociali di produzione artistica basati
su quelle tecniche e sull'insieme delle istituzioni vigenti. In tale prospettiva la forma
dell'opera d'arte è determinata dalle condizioni materiali, tecnologiche e istituzionali
della produzione artistica. Ritengo importante aggiungere, che secondo Terry
Eagleton (1971), inoltre, il modo di produzione artistico deve essere analizzato in
8
relazione al modo di produzione generale di una data società. Le convenzioni
estetiche vigenti rappresentano l'insieme dei prerequisiti, attraverso cui l'artista decide
di attenersi o di trasgredire ad un certo canone. Sono il materiale di costruzione dei
generi artistici, contribuiscono a costruire le partizioni, quei confini simbolico-
culturali analizzati da Lamount e Fournier (1992), su cui si fondano i sistemi di
chiusura sociale. Le opere d'arte trasformano e rielaborano il contenuto ideologico in
forma estetica (Wolf, 1981).
La relazione tra gusto e classi sociali rappresenta una delle questioni più dibattute
nella sociologia contemporanea.
La teoria del capitale culturale, nelle sue due versioni più rilevanti quella di Pierre
Bordieu (1979) in Francia e quella di Paul Di Maggio (1982) negli Stati Uniti, ha
sostenuto che l'arte (quella con la A maiuscola, contrapposta pertanto alla cultura
popolare) richiede per il suo pieno e effettivo apprezzamento una competenza che
deve essere acquisita, e il gusto consisterebbe nella capacità di comprendere e
apprezzare appieno l'arte. Tale capacità in quanto forma di capitale culturale, non
sarebbe egualmente distribuita nella popolazione, bensì si accentrerebbe negli strati
medio-alti. Il "buon Gusto" non viene inteso come una qualità innata, ma come una
qualità appresa nei processi di socializzazione. Le ricerche più recenti su questi temi
hanno portato dei risultati talvolta contrastanti. Gli studi di Lamont (1992) mentre da
una parte documentano che le classi dominanti hanno una maggiore probabilità di
prediligere l'arte rispetto alle classi lavoratrici, dall'altra evidenziano come soltanto
una minoranza dei membri delle classi alte predilige effettivamente l'arte
2
. Questi
studi evidenziano come tale relazione con l'avvento della cultura di massa non sia più
così lineare come in passato.
E' con il contributo della scuola di Birmingham, (Cultural Studies, 1964) che gli
approcci neomarxisti all'analisi della cultura iniziano a ricevere la dovuta attenzione.
Riprendendo il concetto gramsciano di egemonia culturale, permettono di
comprendere le modalità attraverso cui un insieme di valori o una partizione culturale
divengono dominanti. Gramsci riprendendo il concetto conflittuale di cultura, in cui
differenti attori sociali o gruppi competono per negoziare i significati a loro più
consoni, sposta l'attenzione dai processi macro più astratti ed esterni che hanno a che
fare con il capitale, alle pratiche della vita quotidiana che consolidano e legittimano le
idee dominanti. Per i Cultural Studies tutto diventa cultura, l'arte cessa di essere
esclusivamente arte elevata, per comprendere tutta la cultura materiale, ogni singolo
oggetto che interagendo con un attore sociale è in grado di dar luogo ad un processo
di interpretazione. La via indicata è quella di svelare le modalità attraverso cui gli
individui contribuiscono con le loro azioni quotidiane a perpetuare le condizioni che
rendono possibile la loro stessa dominazione.
2
In particolare in uno studio sulla fruizione dell'arte astratta di David Malle (1992), si giunge
a conclusioni sorprendenti: l'arte astratta è in genere considerata come un tipo di arte che
richiede una competenza specifica per essere apprezzata e che di conseguenza piace di più
alle classi alte e molto meno alle classi basse, che a tale competenza hanno meno probabilità
di accedere. Tuttavia i dati raccolti evidenziano che coloro che prediligono e fruiscono questo
tipo d'arte le attribuiscono proprio quella dimensione decorativa da cui essa rifugge. Inoltre
fra coloro che dichiarano di amarla proprio in qualità di testo aperto, la maggior parte dichiara
che, nei processi di immaginazione creativa, che l'arte astratta favorirebbe, visualizza
paesaggi. In conclusione, entrambe le classi, pur di fronte gli uni a quadri astratti e gli altri a
quadri tradizionali, alla fine vedono la stessa cosa, cioè paesaggi.
9
Conclusa l'analisi sulla costruzione sociale dell'arte possiamo focalizzare l'attenzione
su come l'arte costruisce la società. L'arte può essere considerata come una tecnologia
della memoria
3
. La memoria è un oggetto sociologico recente. In questa prospettiva
sociologica i processi del ricordare e del dimenticare non sono considerati come
azioni meramente individuali, ma come costrutti sociali, perché le modalità con cui
viene messo in moto il ricordo, cioè i materiali fra cui operare la selezione, il modo in
cui fissare l'attenzione sono eminentemente sociali. Poiché tradizionalmente le società
hanno scelto di ricordare il loro passato anche attraverso la mediazione delle
istituzioni artistiche e culturali, l'arte diviene un ambito importante per la riflessione
sociologica. I musei, i monumenti ma anche il cinema la musica e il teatro sono mezzi
autorevoli di comunicazione e costruzione della realtà sociale. Analizzare l'arte come
tecnologia della memoria significa guardare agli artefatti attraverso cui essa
contribuisce a costruire e ricostruire la memoria collettiva di una società. I monumenti
parlano e raccontano.
Così come nessun codice espressivo può essere considerato neutrale, i codici
espressivi della memoria non possono essere neutrali. Il codice espressivo della
memoria varia culturalmente, così come cambiano i codici espressivi del lutto, della
gioia, delle emozioni. Il modo in cui la memoria si oggettiva è socialmente definito e
culturalmente determinato. Il modo in cui ricordare diviene un atto politico di
ricostruzione del senso. In questa prospettiva le poetiche della memoria divengono le
dinamiche sociali che rendono la memoria possibile.
In ogni società vi sono istituzioni che sanciscono quali siano le forme della memoria
legittime e illegittime. Vi sono diversi tipi di forme della memoria che spesso si
intrecciano fra loro: politiche (come una commemorazione ufficiale), culturali (come
un museo di storia naturale), artistiche (come un museo sull'arte etnica). I musei sono
istituzioni potentissime in tal senso: funzionano come agenzie del ricordo, ma solo di
quello possibile.
In relazione all'allestimento museale come tecnologia dell'alterità l'attenzione viene
incentrata sulla parzialità di qualsiasi conoscenza etnografica e sulla consapevolezza
che narrare o scrivere l'alterità non è un'operazione neutrale, ma è attiva costruzione
dell'identità.
Susan Vogel, che ha trascorso molti anni allestendo esclusivamente mostre sull'arte
africana, ha tentato diversi espedienti per problematizzare il suo intervento come
curatrice all'interno dei percorsi di significazione che le mostre attivano nei visitatori,
ad esempio come quello rivolto a problematizzare i criteri di selezione degli oggetti da
esporre: in The Art of Collecting African Art, furono esposti tutti gli oggetti, anche
quelli scartati dalla curatrice in quanto mediocri o decisamente falsi. Inoltre le
didascalie impiegate erano informali, in modo da evidenziare la loro natura di
opinioni altamente soggettive e non affatto neutrali. Un allestimento, che tentava
esplicitamente di mettere in discussione la presunta oggettività dell'allestimento
museale come forma di rappresentazione delle culture altre.
3
HALBWACHS (1987), NAMER (1987), MIDDLETON E EDWARDS (1990), e in ambito italiano,
JEDLOWSKI (1989), CAVALLI (1996), hanno sviluppato un'analisi sociologica su questo tema.
10
1.2 La danza come fenomeno artistico e fatto sociale
Comunemente si suol dire che la danza sia nata con l'uomo ( lo stesso movimento del
bambino nel grembo della madre, prima ancora che se ne ascoltino i vagiti, pare
indicare questo fattore primigenio), che come manifestazione di un istinto ancestrale,
sia stata la prima delle arti, e all'origine delle arti stesse; la musica dei primitivi veniva
suggerita dai danzatori, senza la danza non aveva alcun valore.
La danza, espressione motoria presente sin dalle origini come estrinsecazione di una
tensione interiore, si sviluppa e si allarga , poi, per divenire ricerca della divinità,
mezzo di comunione con se stessi, con le forze della natura e con la collettività. In
quanto espressione dei sentimenti universali dell'uomo, del suo rapporto con la natura,
con la religione, il lavoro, la festa, la famiglia, il gioco, ecc. è espressione della sua
esistenza, del suo essere all'interno di una collettività.
In tutte le epoche e presso tutti i popoli, la danza è stata radicata in tutte le esperienze
vitali delle società e degli individui. La vita quotidiana si può esprimere con il
linguaggio, ma non gli avvenimenti che hanno a che fare con le forze emotive.
L'uomo per dire ciò che lo commuove o ciò che lo onora, danza.
La danza è quindi un modo di esistere. Non è semplice gioco, ma celebrazione,
partecipazione, si collega alla magia e alla religione, al lavoro e alla festa, all'amore e
alla morte. Gli uomini hanno danzato in tutti i momenti solenni della loro esistenza: la
guerra e la pace, il matrimonio e i funerali, la semina e le messi. Il termine stesso di
danza, in tutte le lingue europee: "danse", "dance", "tanz", deriva dalla radice tan che,
in sanscrito, significa "tensione". Danzare è sperimentare ed esprimere con la
massima intensità il rapporto dell'uomo con la natura, con la società, con l'avvenire e i
suoi "dei".
Significa anzitutto stabilire un rapporto attivo fra l'uomo e la natura, prendere parte
all'avvenimento cosmico.
Nell'antichità, la danza del cacciatore che imita, con la stessa potenza ed elasticità, il
movimento dell'animale, è già una vittoria dell'uomo in previsione del futuro.
Identificarsi attraverso la danza con il movimento e con le forze della natura, per
captarle imitandole, diviene una necessità primordiale della vita quando, con
l'insediamento in un territorio e con la nascita dell'agricoltura, la conoscenza dei ritmi
della natura è ormai un bisogno vitale. Nell'Egitto di seimila anni fa quando la notte
oscurava gli astri la cui celeste danza era l'immagine stessa dell'ordine della natura,
all'alba, l'uomo dava loro il cambio per conservare l'ordinamento del cielo imitandolo:
cominciava allora la danza delle stelle del mattino con i suoi girotondi, e quel balletto
simbolico, contemporaneo alla nascita dell'astronomia, insegnava, con il movimento
figurato dei pianeti, le leggi che permettevano di prevedere e quindi di dominare le
piene del Nilo rendendole non distruttrici, ma fecondanti, preparando per tempo le
dighe e i canali.
Essa è insieme conoscenza arte e religione.
Ci rivela che il sacro è anche carnale e che il corpo può insegnare quello che uno
spirito separato da esso non conosce: la bellezza e la grandezza dell'atto quando
l'uomo non è diviso con se stesso ma interamente presente a quello che fa. Cogliamo
questo arricchimento della vita quando la danza esercita su di noi il fascino del mare,