1
INTRODUZIONE
I gay e le lesbiche sviluppano la loro identità in un mondo dove l’eterosessualità è
spesso considerata una norma, come se la “normalità” si dovesse misurare
quantitativamente. Questo comporta per i giovani omosessuali il superamento di diverse
difficoltà, tra le quali le loro stesse insicurezze, i loro dubbi, le loro paure, ma anche gli
stereotipi ed i pregiudizi ai quali sono spesso soggetti non solo da altri individui, ma
anche dallo Stato e dalla Chiesa. Tutto questo si pone spesso come ostacolo al processo
mediante il quale l’omosessuale si dichiara non solo a se stesso, ma anche ai propri
familiari, agli amici ed ai conoscenti. Tale processo è stato definito coming out, un
“venir fuori” che diversi autori hanno cercato di definire mediante una suddivisione in
fasi. Le associazioni in questo percorso di “svelamento” svolgono un ruolo importante:
esse permettono non solo la conoscenza di altri omosessuali, ma forniscono anche
diversi servizi come help line, consulenze psicologiche a livello individuale, familiare e
di coppia, assistenza sanitaria e legale, attività ricreative, centro di documentazione e
gruppi specifici per tematiche. Tutti questi servizi permettono l’esistenza di uno spazio
nel quale l’individuo può esprimersi e confrontarsi con altri omosessuali.
In merito agli studi relativi alla tematica dell’omosessualità, bisogna considerare che
essi sono pochi ed insufficienti per la comprensione di un tema così complesso.
Nonostante ciò, oggi diversi studi sono andati oltre la concezione di “famiglia
tradizionale”, formata da padre, madre e figli; si è iniziato a riporre l’attenzione sulle
diverse forme familiari, tra le quali quella omosessuale. Ciò ha permesso di iniziare a
comprendere l’esistenza di somiglianze e differenze tra coppie omosessuali ed
eterosessuali relativamente alla gestione delle attività domestiche, alle relazioni di
potere, agli argomenti di discussione ed al rapporto con la propria famiglia d’origine.
Un’importante differenza tra omosessuali ed eterosessuali, ben visibile a tutti, è il
riconoscimento legale delle loro unioni. Nonostante il Parlamento Europeo abbia
sollecitato tutti gli Stati dell’Unione al riconoscimento dell’uguaglianza tra le coppie
omosessuali e quelle eterosessuali, sono pochi gli Stati che hanno rispettato tale
direttiva. Tra questi rientra la Spagna che qualche anno fa ha introdotto una legge sui
matrimoni omosessuali; l’Italia invece è inclusa in quegli Stati che hanno totalmente
ignorato l’omosessualità dal punto legislativo, continuando una politica di repressione
basata sull’indifferenza. La ricerca sperimentale svolta nel terzo capitolo si riferisce
proprio alla nazione italiana e a quella spagnola; si è cercato di comprendere se esistano
2
delle differenze tra i servizi offerti dalle associazioni italiane e quelli offerti dalle
associazioni spagnole. La ricerca rappresenta il filo conduttore tra la dimensione
individuale e quella sociale dell’individuo, affrontate rispettivamente nel primo e nel
secondo capitolo. L’associazionismo assume una funzione molto importante sia nel
consentire all’individuo di far parte di un organismo dove non è il solo a dover
affrontare determinati problemi che nel fornire dei servizi mirati alla cura
dell’individualità e della singolarità personale.
3
CAPITOLO I
L’IDENTITÀ OMOSESSUALE
1.1 Il problema del riconoscimento dell’identità omosessuale
Il processo di formazione della propria identità dura tutta la vita ma alcuni periodi sono
particolarmente importanti; quello adolescenziale è cruciale e destabilizzante al punto
da essere stato definito “seconda nascita psicologica”. L’immagine di sé deve essere
riassestata sia dal punto di vista intrapsichico sia per ciò che riguarda quello sociale, con
la propria famiglia ed il proprio gruppo di riferimento (Pietrantoni, 1999). La
formazione dell’identità omosessuale è un processo graduale; da un’iniziale sensazione
di confusione e diversità si avvia ad una piena accettazione della propria identità
sessuale con la messa in atto di comportamenti ad essa coerenti (Saraceno, Torrioni,
2003). L’aspetto fisico, l’accettazione da parte dei coetanei e la competenza scolastica
sono elementi rilevanti che portano alla definizione della stima di sé dell’adolescente
(Pietrantoni, 1999). L’affettività è parte importante della propria omosessualità
(Rigliano, 2001), ed è soprattutto in questo periodo di esplorazione, sperimentazione e
forte sensibilità che l’adolescente omosessuale apprende ed introietta dal contesto
sociale i significati negativi relativi all’omosessualità. Si parla di “omofobia
interiorizzata” per definire sentimenti e atteggiamenti negativi, in merito
all’omosessualità, diretti verso se stessi. L’intensità di tali atteggiamenti varia a seconda
di fattori sociali quali: regione di provenienza, omofobia genitoriale, variabili di
personalità etc. (Pietrantoni, 1999); addirittura si può giungere ad una forma estrema di
ostilità rivolta contro se stessi in un comportamento definito da Iaculo (2002, pag. 28) “
giocare con la morte”.
Spesso la formazione dell’identità omosessuale è stata descritta come una sequenza di
fasi che, da una sensazione di diversità, passa ad una sempre maggiore integrazione e
accettazione della propria identità. Troiden (1988 cit. in Saraceno, Torrioni, 2003)
presenta un modello costituito da quattro fasi:
Sensitization: riguarda le sensazioni di confusione dell’infanzia, esperienze che
in seguito saranno rielaborate e reinterpretate;
4
Identity confusion: la confusione dell’identità tipica dell’adolescenza dove si
definisce la propria omosessualità;
Coming out: si manifesta agli altri la propria identità;
Commitment: l’omosessualità diviene uno stile di vita.
Il modello è stato criticato per essere più prescrittivo che analitico, orientato ad
un’esperienza prevalentemente maschile e soprattutto per la riduzione del processo di
formazione dell’identità omosessuale ad una sequenza di fasi.
Non esiste, infatti, uno sviluppo identico per tutti gli omosessuali; i tempi e i processi
psicologici non possono essere generalizzabili in modo indifferenziato per ogni
individuo. È anche vero, però, che ogni giovane deve rapportarsi con i compiti evolutivi
della propria età e che l’adolescente omosessuale si ritrova a dover risolvere “un
sovrappiù di problemi specifici” (Rigliano, 2001, pag. 100). Nel percorso di conquista
della propria identità è molto importante la propria accettazione, un pieno
autoriconoscimento dei significati che il comportamento e l’orientamento sessuale
hanno per l’individuo stesso (Del Favero, Palomba, 1996). L’adolescenza può portare a
conflitti con la propria famiglia d’origine, la quale diviene una fonte di significazione
della realtà sempre meno esclusiva. Conoscenti, amici e anche alcuni adulti
acquisiscono un’importanza maggiore nella vita del giovane (Rigliano, 2001). La rete
sociale dell’omosessuale assume una forte rilevanza per la costruzione della sua
identità. Quest’ultima si sviluppa in un mondo dove la sola identità implicitamente
riconosciuta è quella eterosessuale; essa non viene posta in discussione come quella
omosessuale (Barbagli, Colombo, 2001).
Gay e lesbiche hanno dovuto spesso dare luogo a manifestazioni per esprimere la loro
identità apertamente, senza doversi nascondere e soprattutto per cercare il
riconoscimento della loro persona. Un esempio lo si può ritrovare nel gay pride. A tal
proposito, Franco Grillini, presidente dell’Arcigay nonché parlamentare Ds (cit. in
Trappolin, 2004) parla del gay pride proprio come di un modo per ottenere il
riconoscimento dei diritti degli omosessuali: “Il gay pride vuole essere una
manifestazione propositiva per affermare il diritto alla libertà attraverso l’orgoglio
omosessuale: è una parte di popolazione che vuole interloquire con le istituzioni in una
prospettiva di cambiamento che porti al diritto all’identità e a una vita originale per
ogni essere umano, nella libertà di seguire le proprie inclinazioni” (pag. 107).
In merito a tale libertà nelle proprie inclinazioni, si devono tenere in considerazione
degli studi che sono stati svolti recentemente sull’identità e sulla sessualità; essi
vengono raggruppati sotto il nome di queer theory. Questi studi, inizialmente, erano
5
incentrati sull’omosessualità e criticavano fortemente il fondamento eterosessuale delle
teorie sul genere (Lasio, Rubanu, 2006). Compaiono inizialmente negli USA come
proseguo delle idee di alcuni filosofi (ad esempio Foucalt e Derida); il termine “Queer
theory” fu introdotto negli anni ’90 ma la teoria in sé si andava elaborando già nei
movimenti femministi degli anni ’70. La cultura queer ritiene che il genere sia
socialmente costruito; essa rifiuta una logica binaria dove si è eterosessuali oppure no,
dove tutto ciò che si discosta dall’eterosessualità è deviante. Il non poter “normalizzare”
e universalizzare comporta il negare ogni identità fissa e riconoscere un’intera gamma
di possibili identità. Quest’ultima è composta da varie parti e ciò rende impossibile una
sua categorizzazione (Spinelli, 2003).
L’individuo definisce la sua identità in modo attivo come fosse una performance che si
consolida con la sua ripetizione. Nessun aspetto identitario è innato; si mette così in
discussione la visione tradizionale in merito all’essere uomo o donna. Al centro del
dibattito viene collocata la società che, soprattutto con il linguaggio, legittima gli
oggetti che essa stessa crea (Lasio, Rubanu, 2006).
1.2 Stereotipi e pregiudizi sugli omosessuali
Le persone tendono a cadere in errore nel ricercare la costruzione di un profilo, un
identikit omosessuale che comprenda una serie di caratteristiche alla ricerca di un
omosessuale come tipo (Dall’Orto, 1991). Le ricerche in ambito psicologico hanno
studiato questa necessità di classificazione e categorizzazione: in merito a tale
fenomeno si parla di stereotipi e pregiudizi.
Gli stereotipi possono essere considerati come degli schemi di tipo generale che
permettono di elaborare le informazioni ed andare al di là dell’informazione data. Essi si
formano quando un aggregato di individui viene percepito come appartenente ad uno
stesso gruppo o ad una stessa entità. Tale processo si considera necessario in quanto la
maggioranza delle informazioni sociali è spesso ambigua e gli stereotipi aiutano nella
codifica di tali informazioni. Non sono dei sistemi di rappresentazione con una valenza
neutra, anzi, essi veicolano sistemi di valore, gerarchie di criteri, preferenze e giudizi
tendenziosi (Cadinu, 1998).
Vari autori hanno cercato di dare una descrizione più o meno ampia del fenomeno.
Mazzara (1997 cit. in Palomba, Del Favero, 1999) fornisce una definizione molto
generale di stereotipo: “l’insieme delle caratteristiche che si associano a una certa
categoria di oggetti” (pag. 24).
6
Del Favero, Palomba (1999) in modo più specifico ritengono invece che esso sia un
atteggiamento verso una persona che appartiene ad una data categoria e che consiste in
una risposta positiva o negativa.
Pietrantoni definisce non solo il concetto di stereotipo ma anche quello di pregiudizio: il
primo si riferisce ad “un insieme coerente e abbastanza rigido di credenze negative che
un certo gruppo condivide rispetto ad un altro gruppo o categoria sociale”; il secondo
si riferisce alla “tendenza a considerare in modo ingiustificatamente favorevole le
persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale” (1999, pag. 67).
Ci si è chiesti in quale periodo vengano acquisiti i pregiudizi; Del Favero, Palomba
(1999) sottolineano la rilevanza dell’infanzia, in particolare delle prime fasi di
socializzazione; Speltini e Palmonari (1999) sottolineano il ruolo del sistema familiare
nella trasmissione di comportamenti, abilità e conoscenze fondamentali al bambino per
consentirgli di far parte della società.
Andando ad analizzare quali siano effettivamente gli stereotipi, ci si rende presto conto
che una prima forma di stereotipizzazione la possiamo già ritrovare nella parola
“omosessuale” (dal greco “omos” = stesso): in essa è implicita la connotazione al
maschile. Ciò porta all’interpretazione del termine in esclusivo riferimento ai soli
maschi omosessuali e al ritenere che questa tendenza vi sia più negli uomini che nelle
donne (Haddock et al., 1993 cit. in Pietrantoni, 1999). Infatti, l’omosessualità maschile
è stata oggetto di attenzione, di studi e di ricerche mentre quella femminile è stata
totalmente ignorata (Barreliere, 1999).
Un pregiudizio abbastanza consolidato è che ritiene esista una personalità gay
identificabile da caratteristiche tipiche; in realtà non può esistere una sola personalità
gay ma ogni omosessuale ha la propria, con le sue particolarità (Rigliano, 2001).
Inoltrandoci più a fondo, possiamo constatare come gli stereotipi sull’omosessualità
vanno a riguardare le sue cause, il ruolo sociale, le relazioni, il comportamento sessuale
e la non conformità al ruolo di genere.
In merito alle cause si è indotti a ritenere che le persone omosessuali siano tali in
seguito a traumi infantili, al desiderio del genitore di avere figli dell’altro sesso o ad
un’educazione sessualmente scorretta; gli uomini diventano gay per un rapporto
disturbato con la madre o per la mancanza del padre mentre le donne diventano lesbiche
per i rapporti negativi con gli uomini (Pietrantoni, 1999). Alcune ricerche hanno
mostrato che coloro che credono che l’orientamento sessuale sia innato avranno più
probabilmente atteggiamenti tolleranti verso gay e lesbiche, viceversa, coloro che
7
ritengono che esso abbia radici ambientali, saranno meno indulgenti (Sheldon, Pfeffer,
Jayaratne, Feldbaum, Petty, 2006).
Spesso si considera l’omosessualità anormale e contro natura: una normalità definita
come maggioranza statistica e una minoranza statisticamente anomala (Dall’Orto,
1991).
Anche per ciò che riguarda il ruolo sociale della persona omosessuale, questo è
stereotipicamente considerato deviante. Gli omosessuali vengono considerate così
persone estremamente sole, deboli, anticonformiste, disturbate, insicure e predisposte a
determinate professioni; i gay sono necessariamente tutti impegnati in lavori dediti alla
bellezza, sono parrucchieri, stilisti, arredatori etc. Le lesbiche sono tutte camioniste,
giocatrici di calcio e metalmeccaniche (Pietrantoni, 1999).
Le convinzioni comuni sul comportamento relazionale e sessuale portano ad una visione
dell’omosessuale come colui che vuole convertire le persone eterosessuali alla sua
omosessualità; gli uomini gay sono ritenuti possedere una sessualità passiva e
compulsiva mentre le donne lesbiche sono soggette ad una sessualità incompleta,
infantile e amano l’esibizione sessuale (Pietrantoni, 1999). Dall’Orto (1991) sottolinea
come non molto tempo fa si vedeva l’omosessuale come una donna in un corpo
maschile e quindi una “donna mancata”; la lesbica era invece un uomo in un corpo
femminile e dunque un “maschio mancato”. Questa visione è ormai superata, anche se
si continua a pensare stereotipicamente che entrambi siano rivolti alla continua ricerca
di sesso, saltando da un partner all’altro, mettendo in atto dei comportamenti promiscui
e sarebbero “sessuomani”.
Alcuni stereotipi portano ad una notevole distorsione e generalizzazione degli
omosessuali anche se hanno delle caratteristiche positive dal punto di vista sociale, ad
esempio: la sensibilità estetica, la gentilezza, l’accoglienza, la delicatezza,
l’intellettualità, l’allegria, il saper dare consigli, il saper divertirsi etc. Qualora ci siano
stereotipi in contraddizione tra loro, l’individuo utilizzerà gli uni o gli altri a seconda del
contesto e della situazione, in modo che risultino ad esso favorevoli (Palomba, Del
Favero, 1999).
È importante menzionare anche l’influenza notevole che i media hanno sui pregiudizi e
sugli stereotipi relativi agli omosessuali. Da una parte hanno permesso una maggiore
visibilità, per esempio con la diffusione di fiction realizzate in vari Paesi culturalmente
differenti dal nostro, consentendo una nuova elaborazione dei significati legati
all’omosessualità. Dall’altra parte gli stessi media contribuiscono a circoscriverli in
determinate categorie, sviluppando un’immagine stereotipica e parziale (Lasio, 2006).
8
“I media propongono in modo sia esplicito sia implicito conoscenze, opinioni,
atteggiamenti, modelli di comportamento, valori che contribuiscono a determinare il
vissuto delle persone, vissuto che a sua volta interviene nella formazione e nel
cambiamento di opinioni, atteggiamenti e comportamenti, mediando l’eventuale
influenza degli stessi mezzi di comunicazione di massa su tali processi” (Losito, 1994,
pag. 119).
Le ricerche non si sono fermate ad una mera descrizione dei pregiudizi e degli stereotipi
accettandoli in modo implicito, ma hanno cercato di capire se qualcosa potesse essere
modificata e in che modo.
Allport (1954 cit. in Pietrantoni, 1999) ha ritenuto che l’accettazione e il rispetto verso
gli omosessuali aumenta se si frequentano persone che appartengono a tale gruppo
discriminato. Si parla di ipotesi del contatto: l’interazione tra due persone che
appartengono a gruppi sociali diversi riduce i pregiudizi reciproci. Tuttavia vi è la
possibilità che aumenti la distanza tra i soggetti e i rispettivi gruppi a seconda della
natura del contatto, della situazione e delle personalità coinvolte. La critica che può
essere rivolta a tale ipotesi si basa sulle motivazioni che dovrebbero spingere una
persona con alti livelli di discriminazione a interagire con un membro di un gruppo
discriminato. Ricerche recenti di correlazione hanno esplorato il ruolo del contatto
intergruppo e della motivazione a rispondere senza pregiudizi verso gli omosessuali;
esse hanno rilevato atteggiamenti più favorevoli se si hanno dei contatti di prossimità e
se si è motivati nell’interagire con gay e lesbiche (Lemm, 2005).
Pietrantoni (1999) si sofferma nel delineare le tecniche cognitive per ridurre il
pregiudizio tra gruppi diversi:
la tecnica delle categorie incrociate: la categorizzazione originale viene
indebolita dall’introduzione di una nuova e indipendente dimensione della
categoria;
la tecnica della somiglianza intergruppi/intragruppo: si aumenta la somiglianza
percepita tra i due gruppi e si riduce quella tra i membri dell’ingroup;
la tecnica dell’assimilazione – contrasto: l’outgroup si accetta maggiormente
quando viene confrontato con un outgroup più diverso dal gruppo di
appartenenza;
la tecnica della ricategorizzazione: si ricategorizza se stessi come appartenenti
ad una categoria sovraordinata nella quale viene incluso l’outgroup;
9
la tecnica dei sottotipi e sottogruppi: l’organizzare le persone in sottogruppi
permette di percepire la categoria generale come maggiormente variabile in
quanto rende consapevoli della grande diversità tra i membri della categoria.
Si deve accettare il fatto che, da un certo punto di vista, gli stereotipi rappresentano una
strategia di categorizzazione che le persone sono costrette ad usare. Il mondo variegato,
estremamente ricco di esperienze, obbliga gli individui ad una sua semplificazione
(Cadinu, 1998). Le tecniche qui proposte vogliono rappresentare un aiuto per cercare di
non cadere in una eccessiva categorizzazione e portare ad una maggiore consapevolezza
dei processi cognitivi.
1.3 DISCRIMINAZIONE E VIOLENZA ANTIGAY
Gli omosessuali sono vittime di stereotipi e pregiudizi più o meno consolidati che
spesso portano alla messa in atto di comportamenti specifici di tipo discriminatorio.
Talvolta le vittime di azioni discriminatorie si comportano in modo tale da validare i
pregiudizi ad essi rivolti creando una “profezia che si autoavvera”. Si determina il
cosiddetto effetto Pigmalione quando qualcuno crea le condizioni per cui l’altro assume
proprio il comportamento che ci si aspettava (Palomba, Del Favero, 1999).
Specificatamente in relazione all’omosessualità si deve porre in evidenza il fatto che
questa comporti comunque il rischio di aggressioni. Una ricerca condotta su bisessuali,
gay e lesbiche a Città del Messico (Hernández, Cosme, 2004) ha mostrato tramite dei
questionari di auto-rilevazione che, su un campione di 318 gay e 188 lesbiche
intervistati, un numero consistente di essi è stato colpito da atti di violenza nella propria
infanzia e nell'adolescenza perché hanno sfidato proprio gli stereotipi di genere. Gli
uomini erano più spesso vittime ma anche attori della violenza rispetto alle donne; tra
questi, coloro che non assumevano dei comportamenti lineari con gli stereotipi di
genere, avevano una maggiore probabilità di essere successivamente vittime di atti di
violenza. Questa ricerca mostra il forte impatto che gli stereotipi hanno su gay e
lesbiche, tanto da renderli soggetti ad aggressioni.
Saraceno e Torrioni (2003) hanno invece svolto nel territorio torinese una ricerca su un
campione di 514 soggetti appartenenti alla popolazione omosessuale che si sono
riconosciuti in un’ampia definizione di omosessualità: “tutti/e coloro che hanno o
hanno avuto o desiderano avere relazioni con persone del proprio sesso,
indipendentemente dal fatto che abbiano, o abbiano avuto, anche rapporti
eterosessuali” (pag. 253). Tale ricerca ha messo in evidenza che le aggressioni subite da