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Introduzione
Cercando di riflettere sui rapporti fra storia e storiografia, questo lavoro si sofferma sulla battaglia
di Lepanto (1571) per il particolare significato che tale evento riveste ancora oggi nell’immaginario
collettivo nella cultura occidentale. La vittoria cristiana ebbe infatti una grande risonanza in tutta
l’Europa e fu enfatizzata, anche per uso di politica interna, dalle varie potenze vincitrici che ne
favorirono la celebrazione in campo artistico.
Venezia, che all’epoca godeva del primato nel settore della stampa, fu uno dei principali centri di
raccolta e distribuzione della notizia. La vittoria venne celebrata con numerosi dipinti ancora oggi
visibili. Nelle opere iconografiche Lepanto risulta un non luogo, un trionfo della virtù sui vizi
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.
Per affrontare la questione la scelta è caduta su tre autori caratterizzati da percorsi differenti quanto
a formazione e prospettiva proprio al fine di fare emergere punti di vista diversi su una tematica
così controversa.
Il primo scrittore è Arrigo Petacco, giornalista affermato, che affronta gli argomenti storici sempre
con intenti divulgativi e tagli cronachistici. Egli nella sua pubblicazione su Lepanto (La croce e la
mezzaluna Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam
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) manifesta il
convincimento che si trattò di un vero e proprio scontro tra due civiltà contrapposte, quella
occidentale, quindi cristiana, e quella islamica.
Per quanto concerne il secondo autore preso in esame, ossia il giurista Romano Canosa, va detto che
nel suo volume Lepanto Storia della Lega Santa contro i Turchi
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non si lascia mai influenzare né
dalla mitizzazione che è seguita all’evento, né dall’idea di scontro di civiltà. Egli, infatti, analizza i
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A. Stouraiti, Costruendo un luogo della memoria: Lepanto in Meditando sull’evento di Lepanto. Odierne
interpretazioni e memorie, Convegno storico. Venezia, 8 novembre 2002. Raccolta delle relazioni, Venezia 2002, tratto
dal sito http://www.storiadivenezia.net/sito/saggi/stouraiti_lepanto.pdf. L’autrice analizza Lepanto come un luogo della
memoria, studiando la produzione storiografica veneziana e inoltre si sofferma sul risalto che fu attribuito alla vittoria
da parte di Venezia dove prevalsero intenti autocelebrativi al fine di ristabilire il prestigio navale della repubblica.
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A. Petacco, La croce e la mezzaluna Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam, Milano,
Mondadori, 2005.
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R. Canosa, Lepanto Storia della Lega Santa contro i Turchi, Roma, Sapere 2000, 2000.
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fatti storicamente accaduti evitando però di attribuire una eccessiva importanza alla vittoria cristiana
alle isole Curzolari e affrontando la situazione con particolare riferimento ai complessi rapporti
politico-diplomatici intervenuti successivamente alla battaglia tra le potenze vincitrici.
Il terzo autore preso in esame è il polemologo Niccolò Capponi, autore di Lepanto 1571 La Lega
Santa contro l’Impero ottomano
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. Questi, pur in un quadro di rigore storiografico, privilegia la
descrizione degli apparati militari dei due schieramenti e della strategia bellica tenuta dai vari
comandanti. In realtà, la sua interpretazione si discosta dal pensiero degli altri due autori, ponendosi
in qualche senso in una via mediana. Infatti, egli non crede allo scontro di civiltà, ma comunque
mantiene una posizione differente anche rispetto a quella di Canosa.
Capponi ritiene che la vittoria cristiana abbia avuto una importanza non soltanto simbolica, ma
abbia rappresentato anche il manifestarsi di quella superiorità della strategia e della tattica militare
cristiana nei confronti degli ottomani, che garantirà all’Occidente una netta supremazia per molti
secoli a venire.
Per quanto riguarda la struttura del lavoro, esso presenta tre capitoli, ciascuno dei quali è suddiviso
in tre paragrafi. Nel primo capitolo, riguardante Arrigo Petacco, si sottolinea l’importanza
dell’elemento biografico, come mostra la profonda indagine introspettiva compiuta dall’autore su
due personaggi protagonisti della vicenda, quali Giovanni d’Austria e Gian Andrea Doria, oltre
all’accurata descrizione della vita delle popolazioni che abitavano il Mediterraneo tormentate dalle
continue scorrerie barbaresche.
Nel capitolo su Romano Canosa viene messa in evidenza la conduzione della politica interna da
parte della Spagna per quanto riguarda il problema dei moriscos, nonché della politica estera e dei
rapporti internazionali intercorsi, dall’avvento di papa Pio V al soglio pontificio fino agli anni
successivi a Lepanto.
Nel terzo capitolo, riguardante Niccolò Capponi, vengono prese in esame due tematiche a sfondo
strategico militare, ovvero l’assedio turco ai danni di Famagosta e il vero e proprio primato
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N. Capponi, Lepanto 1571 La Lega Santa contro l’Impero ottomano, Milano, Il Saggiatore, 2008.
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tecnologico cristiano – veneziano in primis – a Lepanto, oltre a quella più prettamente politica
riguardante i diversi interessi e i reciproci sospetti delle varie potenze coinvolte.
Lepanto : uno sguardo agli avvenimenti
Nel 1453 i turchi conquistarono Costantinopoli e da quel momento continuarono a espandere i
propri domini nella regione mediterranea spingendosi sino ad Algeri e Tunisi. Iniziò così una lunga
lotta tra le potenze cristiane, in particolare gli Asburgo, e gli ottomani. Questi ultimi infatti avevano
continuato ad ampliare i loro territori impadronendosi da un lato di Rodi e di altre isole greche, e
dall’altro di Belgrado e di gran parte dell’Ungheria. Nei decenni successivi gli attacchi
continuarono: Malta venne assediata nel 1565, e Cipro fu conquistata nel 1570. Quest’ultima
disfatta incoraggiò le potenze europee ad allearsi.
In questo quadro generale si inserisce la figura di Pio V, un papa molto severo e intransigente in
un’epoca di sfarzi per la Chiesa romana, che si adoperò per vincere le divisioni interne al campo
cristiano e combattere così l’espansionismo ottomano.
La creazione della Lega Santa - alleanza costituitasi il 20 maggio 1571 tra Spagna, Venezia, Stato
Pontificio e altre potenze minori italiane in funzione anti turca - non fu però affatto semplice. Da
una parte, infatti, vi erano gli spagnoli, i quali avrebbero dovuto impegnarsi economicamente pur
non avendo alcun interesse a Levante; dall’altra vi era Venezia, la quale, avendo rapporti
commerciali col sultano, non scartava l’ipotesi di una pace separata.
Il ruolo di Pio V nella vicenda fu determinante: egli infatti convinse Filippo II a entrare nella Lega,
promettendo al re di Spagna le tre “grazie” sui beni ecclesiastici (excusado, cruzada, subsidio), che
gli sarebbero servite per ammortizzare i costi dell’impresa in Oriente, che si andava ad aggiungere a
quella nelle Fiandre.
Inoltre egli ottenne la partecipazione alla Lega Santa da parte della Serenissima. La Repubblica
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Marciana diffidava degli spagnoli - e la cosa era reciproca - poiché conosceva bene Filippo II e il
suo desiderio di portar la flotta in Nord Africa, dove vi erano i veri interessi spagnoli.
Quando venne siglato l’accordo si stabilì che la flotta alleata sarebbe rimasta sotto il comando del
fratellastro di Filippo II, Giovanni d’Austria. Questi, a differenza del fratello, era ansioso di battersi
con gli ottomani perché intendeva compiere un’impresa da tramandare ai posteri.
Il decisionismo di Giovanni si rivelerà decisivo per l’esito finale degli avvenimenti.
Mentre la flotta turca svernava attendendo l’arrivo della flotta cristiana a Lepanto, nei pressi delle
isole Curzolari, Giovanni riunì l’intera flotta alleata a Messina e da lì salpò verso Corfù.
Gli alleati potevano contare su circa duecento galee e alcune galeazze veneziane, che durante la
battaglia diedero un contributo significativo oltre ad aver creato un effetto sorpresa nello
schieramento avversario.
Gli ottomani avevano una flotta più numerosa ma peggio equipaggiata. Anche tra i reparti di élite
primeggiavano i tercios spagnoli sui pur molto valorosi giannizzeri, che però non possedevano
l’armatura protettiva degli iberici.
Alì Pascià, comandante supremo turco, aveva ricevuto informazioni errate sul numero di vascelli
nemici e sulle sue navi vi era il timore che gli schiavi cristiani ai remi avrebbero creato problemi
non appena si fosse presentata loro una buona occasione. I due comandanti, con le loro ammiraglie,
restavano in mezzo alla squadra.
Al lato sinistro di Giovanni vi era la squadra del veneziano Barbarigo, a quello destro i vascelli del
Doria, mentre alla retroguardia era posizionato il marchese di Santa Cruz.
Dalla Sultana di Alì si potevano scorgere alla sua sinistra le imbarcazioni dei corsari Occhiali e
Carascosa, mentre alla sua destra, lungo costa, vi erano le veloci feluche egiziane di Maometto
Scirocco.
Non appena iniziò la battaglia, subito i due comandanti cercarono lo scontro diretto, cosa
abbastanza insolita per quell’epoca, dando vita ad un’estenuante lotta senza esclusione di colpi.
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Alla sinistra Barbarigo dovette far fronte al tentativo di aggiramento, che per altro riuscì, da parte di
Maometto Scirocco. Anche se all’inizio la situazione era favorevole ai mussulmani, alla fine
prevalsero i veneziani grazie all’inaspettata quanto gradita sollevazione dei rematori cristiani di
alcune feluche.
Frattanto il Doria si era staccato dal lato destro dello schieramento cristiano senza preavviso, pare
per contrastare le mosse di Occhiali. Resta il fatto che i due abili comandanti preservarono le loro
galee dalla contesa, dirigendosi verso il mare aperto.
Giovanni, impegnato col tercios contro Alì ed i suoi soldati, alla fine prevalse sull’ottomano. Alì
infatti, durante uno slancio nel combattimento, cadde colpito da un archibugiere genovese. Non
appena venne mostrata la testa mozzata del supremo comandante della forza turca, gli ottomani
presi da scoramento si diedero ad una precipitosa fuga. Molti vennero uccisi dai veneziani, ansiosi
di vendicarsi di Nicosia e Famagosta.
Gli storici veneziani resero merito soprattutto alle galeazze per la vittoria ottenuta e criticarono
invece la mossa del Doria che aveva lasciato scoperta la parte destra dello schieramento. Gli storici
spagnoli invece respinsero le critiche sul comandante genovese, che affittava le sue galere alla
Corona Spagnola, e ridimensionarono l’apporto delle galeazze tenuto conto che, a parte la fase
iniziale della battaglia, esse non avevano più svolto alcun cannoneggiamento per evitare di colpire
navi alleate.
Va peraltro precisato che permangono perplessità circa la reale portata della vittoria considerato che
la potenza ottomana nel giro di due anni riuscì a costruire lo stesso numero di galee che aveva
perduto a Lepanto. La Sublime Porta, seppur rallentata, non fu per nulla frenata da quella sconfitta e
anzi continuò ancora per un secolo a dominare la scena del Mare Nostrum giungendo via terra fino
alle porte di Vienna.
A conferma di quanto sopra affermato si ricorda che le due potenze vincitrici ritennero vantaggioso
- piuttosto che continuare un oneroso confronto alla ricerca di una vittoria decisiva - trovare un
accordo con il turco. Infatti la Serenissima appena due anni dopo, siglò una pace separata vedendosi